I giornali cosí detti liberali
dedicano molto spazio ai «retroscena» e ai pettegolezzi di sacrestia o di caffè
intorno ai nuovi atteggiamenti che stanno assumendo i cattolici italiani e
all'intenzione, che va maturando e concretandosi, di costituire un grande
partito nazionale cattolico, che attivamente si inserisca nella vita dello
Stato con un programma proprio distinto, e lotti per diventare il partito di
governo, la corrente sociale che imprime allo Stato la forma peculiare alla sua
particolare ideologia e ai suoi -particolari interessi nazionali e internazionali.
Il costituirsi di un tale
partito segna il culminare di un processo di sviluppo ideologico e pratico
della società italiana che è essenziale nella storia politica ed economica del
nostro paese: il problema centrale della vita politica, riguardante la forma e
la funzione dello Stato capitalista, si avvia ad una soluzione rapida, ed aspre
lotte si profilano per l'avvenire prossimo tra i vari ceti borghesi. Perciò i
giornali cosí detti liberali, che aborrono ogni lotta in quanto possibile inizio
di vasti rivolgimenti sociali, cercano svalutare preventivamente l'efficienza
della nuova organizzazione che sta costituendosi, annegando le notizie e le
discussioni in una palude di pettegolezzi e di chiacchiere ciarlatanesche. Ma
non certo le vacue esercitazioni letterarie dei giornalisti chiacchieroni
arresteranno l'inesorabile processo di dissoluzione della vecchia società
italiana e lo sferrarsi delle lotte in seno alla classe dirigente e il
proletariato rimbocca già le maniche per apprestarsi al suo compito di
seppellitore.
L'idea dello Stato liberale o
parlamentare, proprio della economia liberista del capitalismo, non si è
diffusa in Italia con lo stesso ritmo e la stessa intensità che nelle altre
nazioni. Il suo processo di sviluppo storico si è urtato irriducibilmente con
la quistione religiosa, o meglio col complesso di problemi economici e politici
inerenti ai formidabili interessi costituitisi in tanti secoli di teocrazia. La
vita dello Stato italiano ne è stata raggrinzita, e il partito liberale al
governo si è ipnotizzato in un problema politico unico, quello delle relazioni
fra lo Stato e la Chiesa, tra la dinastia e il papato. I fini essenziali dello
Stato laico furono trascurati o impostati empiricamente, e l'Italia nei
sessant'anni del suo essere Stato non ebbe una vita politica economica,
finanziaria, interna ed estera, degna di un organismo statale moderno:
naturalmente non ebbe neppure una politica religiosa, poiché l'attività di uno
Stato o è unitaria e audacemente tesa ai suoi fini piú essenziali, o è solo
rappezzatura e basso compromesso di consorterie.
Allo sviluppo dello Stato nuovo
italiano mancò la collaborazione dello spirito religioso, della gerarchia
ecclesiastica, la sola che potesse accostarsi alle innumeri coscienze
individuali del popolo arretrato ed opaco, percorso da stimoli irrazionali e
capricciosi, assente da ogni lotta ideale ed economica avente caratteri
organici di necessità permanente. Gli uomini di Stato furono assillati dalla
preoccupazione di escogitare un compromesso con il cattolicismo, di subordinare
allo Stato liberale le energie cattoliche appartate e ottenerne la
collaborazione al rinnovamento della mentalità italiana e alla sua
unificazione, di suscitare o rinsaldare la disciplina nazionale attraverso il
mito religioso.
Non era possibile conciliare due
forze come lo Stato laico e il cattolicismo assolutamente irriducibili. Perché
il cattolicismo si subordinasse allo Stato laico, sarebbe stato necessario un
atto di umiliazione dell'autorità pontificia, una rinunzia alla vita da parte
della gerarchia ecclesiastica: solo con la forza e con l'audacia lo Stato
avrebbe realizzato la sua volontà, con la dissoluzione degli istituti giuridici
ed economici che potenziano socialmente il cattolicismo. Il partito liberale non
ebbe l'audacia e la forza che sarebbero state necessarie: la tattica
dittatoriale della Destra non dette i risultati sperati, e lo Stato italiano
minacciò spesso di scompaginarsi per le reazioni violente popolari alla sua
politica. Il partito liberale divenne opportunista, mandò in soffitta le sue
ideologie e i suoi programmi concreti, si frantumò in tante cricche quanti sono
i centri mercantili italiani, divenne vespaio di congreghe elettorali e di
agenzie per il collocamento e la felice carriera di tutti gli sfaccendati e di
tutti i parassiti. Cosí snaturato e corrotto, senza unità e gerarchia
nazionale, il liberalismo fini col subordinarsi al cattolicismo, le cui energie
sociali sono invece fortemente organizzate e accentrate e posseggono, nella
gerarchia ecclesiastica, una ossatura millenaria, salda e preparata a ogni
forma di lotta politica e di conquista delle coscienze e delle forze sociali:
lo Stato italiano divenne l'esecutore del programma clericale, e nel patto
Gentiloni culmina un'azione subdola e tenace per ridurre lo Stato a una vera e
propria teocrazia, per sottoporre l'amministrazione pubblica al controllo
indiretto della gerarchia ecclesiastica.
Ma se nel piano politico, in cui
operano pochi individui rappresentativi, il cattolicismo come gerarchia
autoritaria trionfa clamorosamente dello Stato laico e dell'ideologia liberale,
nell'intimità sociale i fatti si svolgono molto differenti. Il fattore
economico reagisce potentemente sulla compagine della società italiana; il
capitalismo inizia la dissoluzione dei rapporti tradizionali inerenti
all'istituto familiare e al mito religioso. Il principio d'autorità viene
scosso dalle fondamenta: la plebe agricola diventa proletariato e aspira, sia
pur confusamente e vagamente, alla sua indipendenza dal mito religioso: la
gerarchia ecclesiastica, nei suoi ordini inferiori, si vede costretta a
prendere posizione nella lotta di classe delineantesi con sempre maggiore
intensità e distinzione.
Nel seno del cattolicismo
sorgono le tendenze modernistiche e democratiche come tentativo di comporre,
nell'ambito religioso, i conflitti emergenti nella società moderna. La
gerarchia ecclesiastica resiste e dissolve d'autorità la democrazia cristiana,
ma il suo prestigio e la sua forza si piegano dinanzi alle incoercibili
necessità locali degli interessi intrecciatisi al mito religioso: essa disperde
i piccoli campioni della Riforma, ma la sostanza del fenomeno che dipende dallo
sviluppo della produzione capitalistica, anche se attenuata e irrigidita nella
sua spontaneità storica, permane tuttavia e opera fatalmente. I cattolici
esplicano un'azione sociale sempre piú vasta e profonda: organizzano masse
proletarie, fondano cooperative, mutue, banche, giornali, si tuffano nella vita
pratica, intrecciano necessariamente la loro attività all'attività dello Stato
laico e uniscono col far dipendere dalla fortuna di esso le fortune dei loro
interessi particolari. Gli interessi e gli uomini trascinano con sé le
ideologie: lo Stato assorbe il mito religioso, tende a farsene uno strumento di
governo, atto a respingere gli assalti delle forze nuove, assolutamente laiche,
organizzate dal socialismo.
La guerra ha accelerato questo
processo d'intima dissoluzione del mito religioso e delle dottrine legittimiste
proprie della gerarchia ecclesiastica romana: la guerra ha accelerato
vertiginosamente il processo di sviluppo storico dello Stato laico e liberale
sorto appunto come antitesi del legittimismo romano pontificio. L'ideologia
cattolica è percorsa da correnti nuove riformistiche che trovano espressione
anche nei più eminenti assertori delle dottrine politiche romane: il marchese
Filippo Crispolti pizzica il colascione per inneggiare al presidente Wilson; un
manifesto delle organizzazioni cattoliche afferma che la vittoria dell'Intesa è
vittoria del cristianesimo (senza aggettivi) contro il luteranesimo autoritario
e qualifica di «negazione di Dio» la cattolicissima Austria, perché illiberale,
perché lo Stato non vi era costruito sul consenso dei governati. Ora, il
cristianesimo del presidente Wilson — in quanto può aver dato forma ed ispirato
programmi politici e fini generali, di moralità pubblica nazionale ed
internazionale, proposti ai popoli — è puro calvinismo. Il papa e le dottrine
cattoliche non hanno (e non potevano avere) contribuito per nulla alla
ideazione del programma wilsoniano: il papa si è rivolto sempre ai sovrani, non
ai popoli, all'autorità, legittima sempre per lui, non alle moltitudini
silenziose; mai il pontefice romano avrebbe lanciato ai popoli l'incitamento alla
ribellione contro i poteri costituiti degli Stati dinastici e militaristi, che
esprimevano la forma di società propria delle dottrine politiche cattoliche.
Per una predicazione simile a quella del presidente Wilson il papa è stato
privato del potere temporale e i sudditi si sono ribellati alla sua autorità
teocratica: l'ideologia wilsoniana della Società delle Nazioni è l'ideologia
propria del capitalismo moderno, che vuole liberare l'individuo da ogni ceppo
autoritario collettivo dipendente da strutture economiche precapitalistiche,
per instaurare la cosmopoli borghese in funzione di una piú sfrenata gara
all'arricchimento individuale, possibile solo con la caduta dei monopoli
nazionali dei mercati del mondo: l'ideologia wilsoniana è anticattolica, è antigerarchica,
è la rivoluzione capitalistica demoniaca che il papa ha sempre esorcizzato,
senza riuscire a difendere contro di essa il patrimonio tradizionale economico
e politico del cattolicismo feudale.
Il cattolicismo, come dottrina e
come gerarchia, esce disfatto dalla vittoria dell'Intesa, specialmente in
Italia, dove esso ha la sua sede. Trionfano, in mezzo alla borghesia e al
popolino disorganizzato, le tendenze liberali del calvinismo: l'idea dello
Stato laico si è affermata come coscienza politica operante. Lo Stato italiano
non ha piú bisogno dell'ausilio dell'energia cattolica per infrenare le forze
sociali immature alla storia. Lo Stato è libero dalle preoccupazioni d'ordine
internazionale provocate dalla questione romana, può svilupparsi secondo la sua
essenza laica e anticattolica, può svilupparsi e, attraverso una rivoluzione
proletaria, trasformarsi da parlamentare in un sistema di Soviet.
I cattolici si aggrappano alla
realtà che sfugge al loro controllo. Il mito religioso, come coscienza diffusa
che informa dei suoi valori tutte le attività e gli organismi della vita
individuale e collettiva, si dissolve, in Italia come già altrove, e diventa
partito politico definito. Si laicizza, rinunzia alla sua universalità, per
diventare volontà pratica di un particolare ceto borghese, che si propone,
conquistando il governo dello Stato, oltre che la conservazione dei privilegi
generali della classe, la conservazione dei privilegi particolari dei suoi
aderenti:
Il costituirsi dei cattolici in
partito politico è il fatto piú grande della storia italiana dopo il
Risorgimento. I quadri della classe borghese si scompaginano: il dominio dello
Stato verrà aspramente conteso, e non è da escludere che il partito cattolico,
per la sua potente organizzazione nazionale accentrata in poche mani abili,
riesca vittorioso nella concorrenza dei ceti liberali e conservatori laici
della borghesia, corrotti, senza vincoli di disciplina ideale, senza unità
nazionale, rumoroso vespaio di basse congreghe e consorterie.
Per l'intima necessità della sua
struttura, per gl'inconciliabili conflitti degl'interessi individuali e di
gruppo, la classe borghese sta per entrare in un momento di crisi
costituzionale che proietterà i suoi effetti nell'organizzazione dello Stato,
proprio mentre il proletariato agricolo e urbano trova, nell'idea dei Soviet,
il perno della sua energia rivoluzionaria, l'idea compaginatrice dell'ordine
nuovo internazionale.
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