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Antonio Gramsci
Scritti politici I

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  • 1919
    • Stato è sovranità
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Stato è sovranità62

 

Nel suo articolo Perché sono uomo d'ordine il prof. Balbino Giuliano ha posto una quistione di sincerità e di galantomismo politico a coloro che ancora «credono» nel socialismo, nella lotta di classe, nel determinismo economico, e altrettali materialistiche metafisicherie. Il prof. Balbino Giuliano ha «creduto» anch'egli, un tempo, a «tutte queste cose»; oggi non ci «crede» piú. La sua fede e la sua fedeltà le ha dedicate a idee e concetti piú alti e piú vivi; egli è ritornato a Mazzini e si è convinto che la quistione sociale è essenzialmente quistione morale, quistione di cultura, d'educazione spirituale in genere; ha detronizzato il Manifesto dei comunisti e ha rimesso sull'altare I doveri dell'uomo.

Ma Balbino Giuliano è essenzialmente un maestro; pertanto vuole che la sua esperienza individuale non vada perduta. Ed ecco che la esperienza individuale di B. G. diventa «universale concreto», teoreticamente, e genera una norma d'azione pratica: o giovani, che per pigrizia mentale o per sofistica avvocatesca, «credete» ancora nel socialismo, ricredetevi, la vostra energia di pensiero dedicatela alla purificazione interiore e allo studio dei problemi concreti!

Credo che Balbino Giuliano abbia «creduto» nel socialismo, non credo che B. G. «sia stato» socialista. La storia spirituale (o la cronaca spirituale) di B. G. come di Gaetano Salvemini, come di tutti gli intellettuali che hanno «creduto» nel socialismo, è anch'essa un momento della storia della società moderna capitalistica: è la dolorosa storia della piccola borghesia, di questa classe media che in Inghilterra e in Francia è arrivata al potere dello Stato, ma che in Italia e in Russia non ha potuto svolgere alcun compito preciso ed è stata rivoluzionaria fino a quando la classe lavoratrice, debole e scompaginata, teorizzava la dialettica della sua specifica funzione sociale ed era per gli intellettuali dato esteriore per costruire miti ideologici; e si è convertita all'«ordine», appena la classe lavoratrice, compostasi in unità sociale, divenuta una potenza, ha incominciato ad attuare, coi metodi e coi procedimenti propri, il proprio divenire specifico, rompendo ogni schema prestabilito intellettualisticamente dalle mosche cocchiere della piccola borghesia.

Il socialismo è stato per B. G. atto di fede in una legge naturale che trascende lo spirito. Il suo socialismo non è stato quindi un atto di vita, ma un puro riflesso di sentimento, una mistica, non una pratica. Egli non ha neppure oggi superato criticamente questo momento del suo spirito; è avvenuto in lui un semplice spostamento, una sostituzione di contenuto empirico, ma l'immaturità non è divenuta maturità nonostante l'uso e l'abuso della fraseologia idealistica.

Il determinismo economico, prima che essere fondamento scientifico dell'azione politica ed economica della classe lavoratrice, è autocoscienza storica della classe lavoratrice, è norma d'azione, è dovere morale. La dottrina della lotta di classe sarà meno viva e meno alta della dottrina mazziniana, ma è questa una valutazione astratta, puramente intellettuale: storicamente, concretamente, la dottrina della lotta di classe è superiore al mazzinianismo di quanto la critica è superiore al sentimento, di quanto la volontà critica è superiore all'arbitrio puerile, di quanto la necessità divenuta consapevolezza è superiore alla vacua fraseologia umanitaria, che si illude basti proporre un fine sublime perché esso sia morale e sia sublime.

Balbino Giuliano è un astrattista, non un realista, è un cattolico, non un idealista.

Egli consiglia ai giovani lo studio dei «problemi concreti», e sostiene la quistione sociale essere quistione morale, quistione di educazione spirituale.

Ma i suoi «problemi concreti» sono semplicemente problemi di politica empirica; la concretezza non è altro che limitazione empirica nel tempo e nello spazio, puro tecnicismo materialistico, che nell'arte ci riporterebbe ai generi letterari e alla estetica del contenuto.

Concretezza è organicità, e l'organicità dei problemi sociali si ritrova nella politica, che è l'atto creativo dello spirito pratico. Il «sapere» e il «volere» individuali devono sostanziarsi in «potere», se hanno un fine concreto, se sono «galantomismo» e «lealtà».

Il problema concreto non si risolve che nello Stato, e pertanto non si è «concreti» senza una concezione generale dell'essenza e dei limiti dello Stato. E poiché lo Stato è una sovranità organizzata in potere, non si è concreti senza una concezione generale del concetto di sovranità, senza un'adeguazione della propria energia individuale all'atto universale che opera attraverso la sovranità e si esprime in tutto il complesso meccanismo dell'amministrazione statale.

 

Il Giuliano non è un idealista; è un positivista all'inglese, con una incipriatura di fraseologia idealistica. La quistione sociale è vista, da buon puritano, come quistione morale, di purificazione interiore, da raggiungere attraverso la cultura e l'educazione individuale. La quistione sociale non è piú un problema storico, un momento necessario dello sviluppo progressivo della società umana, da superare storicamente, sostanziando di potenza materiale e spirituale la classe lavoratrice che porrà a base della sovranità e dello Stato l'atto produttivo di beni nel quale tutti gli uomini raggiungeranno una nobiltà spirituale, sostituendo quest'atto all'empiria del «maggior numero» democratico che si organizza attraverso la violenza e l'inganno demagogico, ma ridiventa il problema del male come lo concepiscono i cattolici, e lo concepiscono gli epigoni dell'illuminismo enciclopedista annidatisi nelle università popolari. Per un idealista, cosí posto, il problema è una vacuità fraseologica ed è irrisolvibile «politicamente»; è un travestimento buffo dello spirito cristiano; è una cattiva azione, è una scaturigine di pervertimento sociale e di scetticismo individuale, è l'arresto della vita storica per un ascetismo che ha i suoi cenobi nelle biblioteche e il suo rito nelle giostre oratorie e nelle polemiche rivistaiole.

Se il Giuliano avesse non «creduto» nel socialismo, ma fosse stato socialista, se la immaturità della percezione intellettuale fosse divenuta maturità nell'atto creativo di consapevolezza teoretica e di norma pratica, altri problemi concreti avrebbe proposto alla meditazione e alla soluzione-azione.

Perché anche la dottrina del materialismo storico ha i suoi problemi concreti educativi e spirituali. Perché gli intellettuali del socialismo hanno dei doveri immediati, quando traducono in pratica la meditazione filosofica. A questi doveri il Giuliano non ha obbedito, e la sua mancata adesione al dovere giustifica col fallimento delle dottrine.

La dottrina del materialismo storico è l'organizzazione critica del sapere sulle necessità storiche che sostanziano il processo di sviluppo della società umana, non è l'accertamento di una legge naturale, che si svolge «assolutamente» trascendendo lo spirito umano. È autocoscienza stimolo all'azione, non scienza naturale che esaurisca i suoi fini nell'apprendimento del vero. Se la «necessità» storica trascende l'arbitrio dell'individuo posto come pura ragione, come cellula empirica della società, è immanente in ogni individuo, momento concreto dello spirito universale che attua l'essenziale legge del suo sviluppo: è quindi «prassi», superamento continuo, adeguazione continua dell'individuo empirico alla universalità spirituale.

Il Giuliano non è stato «fedele» allo spirito universale, egli che aveva, da socialista, il compito educativo di adeguare gli operai e i contadini alle necessità storiche universali quali si concretano e si definiscono nella funzione storica della classe lavoratrice. I problemi concreti sarebbero stati allora per lui, l'educare gli spiriti immaturi della classe lavoratrice all'esercizio concreto della sovranità del lavoro, alla fondazione del nuovo Stato che ordini la sua attività sull'atto produttivo, sul dinamismo del lavoro, sostituendo lo Stato capitalista, condizionato dalla proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio, adorante il vitello d'oro, mostruoso Moloch che sacrifica la vita per spostare individualmente e nazionalmente la proprietà privata.

Il problema concreto, oggi, dopo che la guerra, distruggendo e isterilendo le fonti della ricchezza, ha fatto diventare frenetici gli uomini prospettando il pericolo che mezza umanità sia condannata a morire di esaurimento, per l'impossibilità fisiologica che il regime individualistico di libera concorrenza restauri le macerie e dia nuove possibilità di vita — il problema concreto, oggi, in piena catastrofe sociale, quando tutto è stato dissolto e ogni gerarchia autoritaria è scardinata irrimediabilmente — è quello di aiutare la classe lavoratrice ad assumere il potere politico, è quello di studiare e ricercare i mezzi adeguati perché la traslazione del potere dello Stato avvenga con effusione minima di sangue, perché lo Stato nuovo comunista si attui diffusamente dopo un breve periodo di terrore rivoluzionario.

 

Ma questa concretezza sfugge agli illuministi dell'astratta ragione ragionante. Essi, i profondi studiosi dei problemi concreti, reputano il bolscevismo (nel numero scorso, Energie Nove ha pubblicato un articolo di P. Ballario sul bolscevismo. Un ufficiale italiano ritornato da Mosca pochi mesi fa, racconta che il Soviet di Mosca in ogni assemblea, si fa tradurre i giudizi e le impressioni latine e anglosassoni sul bolscevismo e sui Soviet. L'ufficiale italiano era umiliato dalla gioconda ilarità di quei delegati operai per le scempiaggini che la cronaca europea scrive sulla loro attività politica ed economica; era umiliato ed avvilito, perché la guerra, apportatrice in Russia di un ordine, che coincide con la coscienza e la volontà della totale società russa, e si sviluppa di un secolo ogni anno perché condizionato dalla sola volontà buona degli uomini, non avesse nei nostri paesi contribuito che a moltiplicare la già vasta tribú degli scemi, che confondono la vita e il pensiero con l'arte di fare sberleffi) un fenomeno «russo», hanno ucciso l'uomo per il concetto, hanno ucciso lo Stato per il «problema» e «l'ordine», nel processo di immiserimento della coscienza storica, può finire, identificandosi in un delegato di pubblica sicurezza.






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62 Firmato Antonio Gramsci, Energie Nove. 1-28 febbraio 1919, serie I, nn. 7 8 rivista quindicinale diretta da Piero Gobetti. L'articolo è preceduto da questa nota redazionale: «A soddisfare la promessa fatta ai nostri lettori pubblichiamo questi appunti dell'amico Gramsci, avvertendo che, per le sue condizioni di salute, egli non ha potuto rielaborare ciò che aveva scritto frettolosamente dopo la lettura dell'articolo del Giuliano. Prossimamente avremo da tornare sull'argomento con un numero intero e diremo allora, la nostra posizione di fronte al socialismo».





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