Nel suo articolo Perché sono
uomo d'ordine il prof. Balbino Giuliano ha posto una quistione di sincerità
e di galantomismo politico a coloro che ancora «credono» nel socialismo, nella
lotta di classe, nel determinismo economico, e altrettali materialistiche
metafisicherie. Il prof. Balbino Giuliano ha «creduto» anch'egli, un tempo, a
«tutte queste cose»; oggi non ci «crede» piú. La sua fede e la sua fedeltà le
ha dedicate a idee e concetti piú alti e piú vivi; egli è ritornato a Mazzini e
si è convinto che la quistione sociale è essenzialmente quistione morale,
quistione di cultura, d'educazione spirituale in genere; ha detronizzato il Manifesto
dei comunisti e ha rimesso sull'altare I doveri dell'uomo.
Ma Balbino Giuliano è essenzialmente un maestro; pertanto
vuole che la sua esperienza individuale non vada perduta. Ed ecco che la
esperienza individuale di B. G. diventa «universale concreto», teoreticamente,
e genera una norma d'azione pratica: o giovani, che per pigrizia mentale o per
sofistica avvocatesca, «credete» ancora nel socialismo, ricredetevi, la vostra
energia di pensiero dedicatela alla purificazione interiore e allo studio dei
problemi concreti!
Credo che Balbino Giuliano abbia
«creduto» nel socialismo, non credo che B. G. «sia stato» socialista. La storia
spirituale (o la cronaca spirituale) di B. G. come di Gaetano Salvemini, come
di tutti gli intellettuali che hanno «creduto» nel socialismo, è anch'essa un
momento della storia della società moderna capitalistica: è la dolorosa storia
della piccola borghesia, di questa classe media che in Inghilterra e in Francia
è arrivata al potere dello Stato, ma che in Italia e in Russia non ha potuto
svolgere alcun compito preciso ed è stata rivoluzionaria fino a quando la
classe lavoratrice, debole e scompaginata, teorizzava la dialettica della sua
specifica funzione sociale ed era per gli intellettuali dato esteriore per
costruire miti ideologici; e si è convertita all'«ordine», appena la classe
lavoratrice, compostasi in unità sociale, divenuta una potenza, ha incominciato
ad attuare, coi metodi e coi procedimenti propri, il proprio divenire
specifico, rompendo ogni schema prestabilito intellettualisticamente dalle
mosche cocchiere della piccola borghesia.
Il socialismo è stato per B. G.
atto di fede in una legge naturale che trascende lo spirito. Il suo socialismo
non è stato quindi un atto di vita, ma un puro riflesso di sentimento, una
mistica, non una pratica. Egli non ha neppure oggi superato criticamente questo
momento del suo spirito; è avvenuto in lui un semplice spostamento, una
sostituzione di contenuto empirico, ma l'immaturità non è divenuta maturità
nonostante l'uso e l'abuso della fraseologia idealistica.
Il determinismo economico, prima
che essere fondamento scientifico dell'azione politica ed economica della
classe lavoratrice, è autocoscienza storica della classe lavoratrice, è norma
d'azione, è dovere morale. La dottrina della lotta di classe sarà meno viva e
meno alta della dottrina mazziniana, ma è questa una valutazione astratta,
puramente intellettuale: storicamente, concretamente, la dottrina della lotta
di classe è superiore al mazzinianismo di quanto la critica è superiore al
sentimento, di quanto la volontà critica è superiore all'arbitrio puerile, di
quanto la necessità divenuta consapevolezza è superiore alla vacua fraseologia
umanitaria, che si illude basti proporre un fine sublime perché esso sia morale
e sia sublime.
Balbino Giuliano è un
astrattista, non un realista, è un cattolico, non un idealista.
Egli consiglia ai giovani lo
studio dei «problemi concreti», e sostiene la quistione sociale essere
quistione morale, quistione di educazione spirituale.
Ma i suoi «problemi concreti»
sono semplicemente problemi di politica empirica; la concretezza non è altro
che limitazione empirica nel tempo e nello spazio, puro tecnicismo
materialistico, che nell'arte ci riporterebbe ai generi letterari e alla
estetica del contenuto.
Concretezza è organicità, e
l'organicità dei problemi sociali si ritrova nella politica, che è l'atto
creativo dello spirito pratico. Il «sapere» e il «volere» individuali devono
sostanziarsi in «potere», se hanno un fine concreto, se sono «galantomismo» e
«lealtà».
Il problema concreto non si
risolve che nello Stato, e pertanto non si è «concreti» senza una concezione
generale dell'essenza e dei limiti dello Stato. E poiché lo Stato è una
sovranità organizzata in potere, non si è concreti senza una concezione
generale del concetto di sovranità, senza un'adeguazione della propria energia
individuale all'atto universale che opera attraverso la sovranità e si esprime
in tutto il complesso meccanismo dell'amministrazione statale.
Il Giuliano non è un idealista;
è un positivista all'inglese, con una incipriatura di fraseologia idealistica.
La quistione sociale è vista, da buon puritano, come quistione morale, di
purificazione interiore, da raggiungere attraverso la cultura e l'educazione
individuale. La quistione sociale non è piú un problema storico, un momento
necessario dello sviluppo progressivo della società umana, da superare
storicamente, sostanziando di potenza materiale e spirituale la classe
lavoratrice che porrà a base della sovranità e dello Stato l'atto produttivo di
beni nel quale tutti gli uomini raggiungeranno una nobiltà spirituale,
sostituendo quest'atto all'empiria del «maggior numero» democratico che si organizza
attraverso la violenza e l'inganno demagogico, ma ridiventa il problema del
male come lo concepiscono i cattolici, e lo concepiscono gli epigoni
dell'illuminismo enciclopedista annidatisi nelle università popolari. Per un
idealista, cosí posto, il problema è una vacuità fraseologica ed è
irrisolvibile «politicamente»; è un travestimento buffo dello spirito
cristiano; è una cattiva azione, è una scaturigine di pervertimento sociale e
di scetticismo individuale, è l'arresto della vita storica per un ascetismo che
ha i suoi cenobi nelle biblioteche e il suo rito nelle giostre oratorie e nelle
polemiche rivistaiole.
Se il Giuliano avesse non
«creduto» nel socialismo, ma fosse stato socialista, se la immaturità della
percezione intellettuale fosse divenuta maturità nell'atto creativo di
consapevolezza teoretica e di norma pratica, altri problemi concreti avrebbe
proposto alla meditazione e alla soluzione-azione.
Perché anche la dottrina del
materialismo storico ha i suoi problemi concreti educativi e spirituali. Perché
gli intellettuali del socialismo hanno dei doveri immediati, quando traducono
in pratica la meditazione filosofica. A questi doveri il Giuliano non ha
obbedito, e la sua mancata adesione al dovere giustifica col fallimento delle
dottrine.
La dottrina del materialismo
storico è l'organizzazione critica del sapere sulle necessità storiche che
sostanziano il processo di sviluppo della società umana, non è l'accertamento
di una legge naturale, che si svolge «assolutamente» trascendendo lo spirito umano.
È autocoscienza stimolo all'azione, non scienza naturale che esaurisca i suoi
fini nell'apprendimento del vero. Se la «necessità» storica trascende
l'arbitrio dell'individuo posto come pura ragione, come cellula empirica della
società, è immanente in ogni individuo, momento concreto dello spirito
universale che attua l'essenziale legge del suo sviluppo: è quindi «prassi»,
superamento continuo, adeguazione continua dell'individuo empirico alla
universalità spirituale.
Il Giuliano non è stato «fedele»
allo spirito universale, egli che aveva, da socialista, il compito educativo di
adeguare gli operai e i contadini alle necessità storiche universali quali si
concretano e si definiscono nella funzione storica della classe lavoratrice. I
problemi concreti sarebbero stati allora per lui, l'educare gli spiriti
immaturi della classe lavoratrice all'esercizio concreto della sovranità del
lavoro, alla fondazione del nuovo Stato che ordini la sua attività sull'atto
produttivo, sul dinamismo del lavoro, sostituendo lo Stato capitalista,
condizionato dalla proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio,
adorante il vitello d'oro, mostruoso Moloch che sacrifica la vita per spostare
individualmente e nazionalmente la proprietà privata.
Il problema concreto, oggi, dopo
che la guerra, distruggendo e isterilendo le fonti della ricchezza, ha fatto
diventare frenetici gli uomini prospettando il pericolo che mezza umanità sia
condannata a morire di esaurimento, per l'impossibilità fisiologica che il
regime individualistico di libera concorrenza restauri le macerie e dia nuove
possibilità di vita — il problema concreto, oggi, in piena catastrofe sociale,
quando tutto è stato dissolto e ogni gerarchia autoritaria è scardinata
irrimediabilmente — è quello di aiutare la classe lavoratrice ad assumere il
potere politico, è quello di studiare e ricercare i mezzi adeguati perché la
traslazione del potere dello Stato avvenga con effusione minima di sangue,
perché lo Stato nuovo comunista si attui diffusamente dopo un breve periodo di
terrore rivoluzionario.
Ma questa concretezza sfugge
agli illuministi dell'astratta ragione ragionante. Essi, i profondi studiosi
dei problemi concreti, reputano il bolscevismo (nel numero scorso, Energie
Nove ha pubblicato un articolo di P. Ballario sul bolscevismo. Un ufficiale
italiano ritornato da Mosca pochi mesi fa, racconta che il Soviet di Mosca in
ogni assemblea, si fa tradurre i giudizi e le impressioni latine e anglosassoni
sul bolscevismo e sui Soviet. L'ufficiale italiano era umiliato dalla gioconda
ilarità di quei delegati operai per le scempiaggini che la cronaca europea
scrive sulla loro attività politica ed economica; era umiliato ed avvilito,
perché la guerra, apportatrice in Russia di un ordine, che coincide con la
coscienza e la volontà della totale società russa, e si sviluppa di un secolo
ogni anno perché condizionato dalla sola volontà buona degli uomini, non avesse
nei nostri paesi contribuito che a moltiplicare la già vasta tribú degli scemi,
che confondono la vita e il pensiero con l'arte di fare sberleffi) un fenomeno
«russo», hanno ucciso l'uomo per il concetto, hanno ucciso lo Stato per il
«problema» e «l'ordine», nel processo di immiserimento della coscienza storica,
può finire, identificandosi in un delegato di pubblica sicurezza.
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