Nella Nuova Rivista Storica
Umberto Ricci ha proposto che fossero raccolti in volume gli innumerevoli
articoli coi quali il prof. Luigi Einaudi ha, durante un ventennio, erudito il
popolo italiano, dalle colonne della Stampa e del Corriere della Sera,
sui problemi della nostra vita economica nazionale. Ci associamo alla proposta
del Ricci e la integriamo: la direzione del Partito faccia compilare un'epitome
del volume e la diffonda; sarà un efficace contributo alla propaganda
comunista, un documento di prim'ordine dell'utopia liberale.
Einaudi rimarrà nella storia
economica come uno degli scrittori che piú hanno lavorato a edificare sulla
sabbia. Serio come un bambino che s'interessa al gioco, ha tessuto un'infinita
tela di Penelope che la crudele realtà gli ha quotidianamente disfatto.
Costante ed imperterrito ha sempre continuato a distendere i suoi articoli
sobri, saggi, pazienti per spiegare, per rischiarare, per incitare la classe
dirigente italiana, i capitalisti italiani, industriali ed agrari, a seguire i
loro veri interessi. Miracolo strano e stupefacente: i capitalisti non vollero
mai saperne dei veri interessi, continuarono per la loro scorciatoia melmosa e
spinosa, invece di saldamente [tenersi sulla strada] maestra della libertà
commerciale totalmente applicata. E gli scritti dell'Einaudi ne diventano un
eterno rimpianto, un gemito sommesso che strazia le viscere: ah! se avessero
fatto questo, ah! se il Parlamento..., ah! se gli industriali!... Ah! se gli
operai..., ah, se i contadini..., ha! se la scuola..., ah! se i giornali...,
ah! se i giovani!... Da vent'anni è la stessa elegia che risuona dall'Alpi al
Lilibeo; e gli uomini non hanno cambiato, e la vita economica non ha spostato
il suo asse che impercettibilmente, e la corruzione, l'imbroglio, l'illusione
demagogica, il ricatto, la truffa parlamentare, l'anchilosi burocratica sono
rimaste le supreme idee conduttrici dell'attività economica nazionale.
Einaudi è antimarxista implacabile;
non riconosce al Marx merito alcuno; recentemente gli ha negato persino, in
polemica con Benedetto Croce, il merito affatto esteriore di aver dato impulso
alle ricerche economiche nello studio della storia. Per Einaudi, Marx non è uno
scienziato, non è uno studioso che proceda sistematicamente dal riconoscimento
della realtà effettuale economica; è un giocoliere della fantasia, un acrobata
del dilettantismo. Le sue tesi sono arbitrarie, le sue dimostrazioni sono
sofistiche, la sua documentazione è parziale.
Eppure, il reale sviluppo della
storia dà ragione a Marx; le tesi marxiane si attuano rigidamente, mentre la
scienza di Einaudi va in pezzi e il mondo liberale si disfà, in Inghilterra con
maggior schiamazzo che altrove. La verità è che la scienza economica liberale
ha solo la parvenza della serietà, e il suo rigore sperimentale non è che una
superficiale illusione. Studia i «fatti» e trascura gli «uomini»; i processi
storici sono visti come regolati da leggi perpetuamente simili, immanenti alla
realtà dell'economia che è concepita avulsa dal processo storico generale della
civiltà. La produzione e lo scambio delle merci vi diventano fine a se stessi;
si svolgono in un meccanismo di cifre rigide e autonome, che può venir
«turbato» dagli uomini, ma non ne è determinato e vivificato. Questa scienza è,
insomma, uno schema, un piano prestabilito, una via della provvidenza, una
utopia astratta e matematica, che non ha mai avuto, non ha e non avrà mai
riscontro alcuno nella realtà storica. I suoi addetti hanno tutta la mentalità
dei sacerdoti: sono queruli e scontenti sempre, perché le forze del male
impediscono che la città di Dio venga da loro costruita in questo basso mondo.
Accusano Marx di astrattismo
perché le sue teorie del plusvalore evadono dal dominio del rigore scientifico.
Rigore scientifico significa formulario della dottrina scientifica. Marx
stabilisce un paragone tra l'economia capitalistica e il comunismo: un
paragone, che è arbitrario, perché il comunismo è un'ipotesi vana senza
soggetto. Ma tutta l'economia liberale non è un paragone tra la realtà
antiscientifica e uno schema dottrinario? Dove esiste la perfetta società
liberale? Quando si è realizzata nella storia del genere umano? E se non si è
realizzata, non significa che è irrealizzabile, che riveste i caratteri
rivelatori dell'utopia? Ma essa verrà, dicono i sacerdoti. Lavoriamo, siamo
pazienti, non turbiamoci: le forze del male saranno sgominate, la verità
rifulgerà agli uomini illusi e pervertiti. Intanto la guerra ha distrutto tutte
le conquiste dell'ideologia liberale. La libertà, economica e politica, è
scomparsa nella vita interna degli Stati e nei rapporti internazionali. Lo
Stato è apparso nella sua funzione essenziale di distributore di ricchezza ai
privati capitalisti; la concorrenza politica per il potere è soppressa con
l'abolizione dei parlamenti. La burocrazia si è estesa, diventando piú greve e
impacciante. Il militarismo, improduttivo secondo l'economia liberale, è
diventato il mezzo piú potente di accumulare e conservare il profitto, col
saccheggio delle economie estere e il terrore bianco all'interno. Il monopolio
si è rafforzato in tutte le attività, assoggettando tutto il mondo agli
interessi egoistici di pochi capitalisti anglosassoni.
Gli schemi del liberalismo sono
disfatti: le tesi marxiane si attuano. Il comunismo è umanismo integrale:
studia, nella storia, tanto le forze economiche che le forze spirituali, le
studia nelle interferenze reciproche, nella dialettica che si sprigiona dai
cozzi inevitabili tra la classe capitalista, essenzialmente economica, e la
classe proletaria, essenzialmente spirituale, tra la conservazione e la
rivoluzione. La demagogia, l'illusione, la menzogna, la corruzione della
società capitalistica non sono accidenti secondari della sua struttura, sono
inerenti al disordine, allo scatenamento di brutali passioni, alla feroce
concorrenza in cui e per cui la società capitalistica vive. Non possono essere
abolite, senza abolire la struttura che la genera. Le prediche, gli stimoli, le
moralità, i ragionamenti, la scienza, i «se...» sono inutili e ridicoli. La
proprietà privata capitalistica dissolve ogni rapporto d'interesse generale,
rende cieche e torbide le coscienze. Il lucro singolo finisce sempre col
trionfare di ogni buon proposito, di ogni idealità superiore, di ogni programma
morale; per guadagnare centomila lire si affama una città; per guadagnare un
miliardo si distruggono venti milioni di vite umane e duemila miliardi di
ricchezza. La vita degli uomini, le conquiste della civiltà, il presente,
l'avvenire sono in continuo pericolo. Queste alee, questo correr sempre
l'avventura, potrà soddisfare i dilettanti della vita e chi può mettersi in
salvo coi suoi; ma la grande massa ne diventa schiava, e si organizza per
liberarsi, per conquistare il potere di rendere sicura la vita e la civiltà, di
vedere l'avvenire, di lavorare e produrre per il benessere e la felicità e non
per l'avventura e la perversione. Ecco perché lo sviluppo del capitalismo,
culminato nella distruzione della guerra, ha determinato il costituirsi delle
immense organizzazioni proletarie, unite da uno stesso pensiero, da una stessa
fede, da una stessa volontà; il comunismo, istaurato attraverso lo Stato dei
Consigli operai e contadini, che è l'umanismo integrale, come lo concepì Carlo
Marx, che trionfa di tutti gli schemi astratti e giacobini dell'utopia
liberale.
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