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Antonio Gramsci
Scritti politici I

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  • 1919
    • Walt Whitman
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Walt Whitman67

 

Abbiamo voluto commemorare, nel numero scorso, il primo centenario della nascita di Walt Whitman (31 maggio 1819) nel modo piú degno: traducendo e stampando uno dei piú bei canti del grandissimo poeta americano A un rivoluzionario vinto d'Europa.

L'ufficio torinese revisione stampa ha imbiancato inesorabilmente la poesia: ci ha imposto persino di sopprimere la nota bibliografica nella quale offendevamo le leggi statutarie e i decreti della patria scrivendo che la poesia era stata pubblicata la prima volta nel 1856 col titolo Inno di libertà per l'Asia, l'Europa, l'Africa e l'America e ripubblicata poi, con aggiunte e correzioni, negli anni 1867 e 1871, col titolo A un rivoluzionario vinto d'Europa.

I delegati di pubblica sicurezza, gli avvocati e i giornalisti smessi che esercitano l'ufficio di censura per delegazione dello Stato democratico-parlamentare-burocratico-poliziesco, non sono tenuti a sapere che Walt Whitman non è mai stato un agitatore, un uomo d'azione, un «sobillatore», per il quale la poesia fosse un mezzo di propaganda rivoluzionaria; essi hanno offeso la poesia, hanno sconciamente ingiuriato la bellezza e la grazia. Come scimmie ubbriache si sono sfogate oscenamente sulla bellezza, sulla pura creazione della fantasia artistica. Non riusciamo a vincere l'ira che ci gonfia il petto nel ricordare questa miserabile azione dei censori, per scriverne ora. Tanto piú l'ira ci vince, in quanto pensiamo al pregiudizio, diffuso tra i cosiddetti intellettuali, che il movimento operaio e il comunismo siano nemici della bellezza e dell'arte. Invece, amico dell'arte, favorevole alla creazione e alla contemplazione disinteressata della bellezza sarebbe il regime attuale, di mercanti avidi di ricchezza e di sfruttamento che esplicano la loro attività essenziale nel distruggere barbaramente la vita e la bellezza, il regime dei trafficanti che apprezzano il genio quando si è convertito in valore monetario, che hanno elevato la falsificazione dei capolavori a industria nazionale, che hanno soggiogato la poesia alle loro leggi dell'offerta e della domanda e mentre artificialmente «lanciano» avventurieri della letteratura, lasciano morire d'inedia e di disperazione artisti di prim'ordine «che i posteri rivendicheranno poiché i valori reali si impongono o prima o dopo» (consolazione estetico-liberale che assolve i droghieri, i salsamentari e i delegati di pubblica sicurezza, esponenti del regime, dai delitti che si commettono contro i viventi creatori della bellezza).

No, il comunismo non oscurerà la bellezza e la grazia: bisogna comprendere lo slancio con cui gli operai si sentono portati alla contemplazione dell'arte, alla creazione dell'arte, come profondamente si sentono offesi nella loro umanità per il fatto che la schiavitú del salario e del lavoro li taglia fuori da un mondo che integra la vita dell'uomo, che la rende degna di essere vissuta. Lo sforzo che i comunisti russi hanno fatto per moltiplicare le scuole e i teatri di prosa e di musica, per rendere accessibili alle folle le gallerie; il fatto che i villaggi e le fabbriche che si distinguono nella produzione vengono premiati con l'assegnazione di godimenti culturali ed estetici, dimostrano come il proletariato arrivato al potere tende a instaurare il regno della bellezza e della grazia, tende a elevare la dignità e la libertà dei creatori di bellezza.

In Russia i due commissari del popolo dell'Istruzione pubblica finora assunti in carica sono stati un finissimo esteta, Lunaciarski, e un grandissimo poeta, Massimo Gorki. In Italia alla Minerva si succedono massoni e trafficanti come Credaro e Daneo e Berenini e si lascia ai delegati di pubblica sicurezza il potere di imbiancare i canti di Walt Whitman.






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67 Non firmato, L'Ordine Nuovo, 14 giugno 1919, sotto la rubrica «Cronache dell'Ordine Nuovo».





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