Pur nella straordinaria
confusione che la presente crisi europea ha creato nelle coscienze e nei
partiti, tutti sono d'accordo su di un punto: il presente momento storico è di
una indicibile gravità, le sue conseguenze possono essere gravissime, e perché
tanto sangue si è versato e tante energie sono andate distrutte, facciamo in
modo che il maggior numero possibile di questioni che il passato ha lasciato
insolute venga risolto, e l'umanità possa ripigliare la sua strada senza che
ancora tanto grigiume di tristezze e di ingiustizie le intralci la via, senza
che il suo avvenire possa essere a breve scadenza attraversato da un'altra di
queste catastrofi che richieda di nuovo un altro, come questo, formidabile
dispendio di vita e di attività.
E noi, socialisti italiani, ci
proponiamo il problema : «Quale dev'essere la funzione del Partito socialista
italiano (si badi, e non del proletariato o del socialismo in
genere) nel presente momento della vita italiana?».
Perché il Partito socialista a
cui noi diamo la nostra attività è anche italiano, cioè è quella sezione
dell'Internazionale socialista che si è assunto il compito di conquistare
all'Internazionale la nazione italiana. Questo suo compito immediato,
sempre attuale gli conferisce dei caratteri speciali, nazionali,
che lo costringono ad assumere nella vita italiana una sua funzione specifica,
una sua responsabilità. È uno Stato in potenza, che va maturando, antagonista
dello Stato borghese, che cerca, nella lotta diuturna con quest'ultimo e nello
sviluppo della sua dialettica interiore, di crearsi gli organi per superarlo ed
assorbirlo. E nello svolgimento di questa sua funzione è autonomo, non
dipendendo dall'Internazionale se non per il fine supremo da raggiungere e per
il carattere che questa lotta deve sempre presentare di lotta di classe.
Del modo con cui questa lotta
deve affermarsi nelle varie contingenze e del momento in cui deve culminare
nella rivoluzione è solo giudice competente il PSI che ne vive e solo ne
conosce il vario atteggiarsi.
Solo così possiamo legittimare
il riso e il disprezzo con cui da noi furono accolti gli improperi di G. Hervé
e i tentativi d'approccio dei socialisti tedeschi, l'uno e gli altri parlanti a
nome dell'Internazionale di cui si riputavano interpreti autorizzati, quando il
PSI bandí la formula della «neutralità assoluta».
Perché, si badi, non è sul
concetto di neutralità che si discute (neutralità, beninteso, del proletariato),
ma sul modo di questa neutralità.
La formula della «neutralità
assoluta» fu utilissima nel primo momento della crisi, quando gli avvenimenti
ci colsero all'improvviso relativamente impreparati alla loro grandiosità,
perché solo l'affermazione dogmaticamente intransigente, tagliente, poteva
farci opporre un baluardo compatto, inespugnabile al primo dilagare delle
passioni, degli interessi particolari. Ora che dalla iniziale situazione
caotica sono precipitati gli elementi di confusione e ciascuno deve assumere le
proprie responsabilità, essa ha solo valore per i riformisti, che dicono di non
voler giocare terni secchi (ma lasciano che gli altri li giochino e li
guadagnino) e vorrebbero che il proletariato assistesse da spettatore
imparziale agli avvenimenti, lasciando che questi gli creino la sua ora, mentre
intanto gli avversari la loro ora se la creano da sé e preparano loro la
piattaforma per la lotta di classe.
Ma i rivoluzionari che
concepiscono la storia come creazione del proprio spirito, fatta di una serie
ininterrotta di strappi operati sulle altre forze attive e passive della
società, e preparano il massimo di condizioni favorevoli per lo strappo
definitivo (la rivoluzione) non devono accontentarsi della formula provvisoria
«neutralità assoluta», ma devono trasformarla nell'altra «neutralità attiva e
operante». Il che vuol dire ridare alla vita della nazione il suo genuino e
schietto carattere di lotta di classe, in quanto la classe lavoratrice,
obbligando la classe detentrice del potere ad assumere le sue responsabilità,
obbligandola a portare fino all'assoluto le premesse da cui trae la sua ragione
di esistere, a subire l'esame della preparazione con cui ha cercato di arrivare
al fine che diceva esserle proprio, la obbliga (nel caso nostro, in Italia) a
riconoscere che essa ha completamente fallito al suo scopo, poiché ha condotto
la nazione, di cui si proclamava unica rappresentante, in un vicolo cieco, da
cui essa nazione non potrà uscire se non abbandonando al proprio destino tutti
quegli istituti che del presente suo tristissimo stato sono direttamente
responsabili.
Solo cosí sarà ristabilito il
dualismo delle classi, il Partito socialista si libererà da tutte le
incrostazioni borghesi che la paura della guerra gli ha appiccicato addosso (mai
come in questi ultimi due mesi il socialismo ha avuto tanti simpatizzanti piú o
meno interessati) e, avendo fatto toccar con mano al paese (che in Italia non è
tutto né proletario né borghese, dato il poco interesse che la gran massa del
popolo ha sempre dimostrato per la lotta politica, e quindi è tanto piú
facilmente conquistabile da chi sappia dimostrare energie e visione netta dei
propri destini) come quelli che si dicevano i suoi mandatari si sono mostrati
incapaci di una qualsiasi azione, [potrà] preparare il proletariato a
sostituirla, prepararlo ad operare quel massimo strappo che segna il traboccare
della civiltà da una forma imperfetta in un'altra piú perfetta.
Piú cauto perciò, mi pare,
avrebbe dovuto essere a. t.3 che sul cosiddetto caso Mussolini ha
scritto nel passato numero del Grido. Avrebbe egli dovuto distinguere
tra ciò che, nelle dichiarazioni del direttore dell'Avanti! era dovuto a
Mussolini uomo, romagnolo (anche di ciò si è parlato), e ciò che era di
Mussolini socialista italiano, prendere insomma ciò che di vitale poteva
esserci nel suo atteggiamento e su quello rivolgere la propria critica,
annientandolo, ovvero trovandoci il piano di conciliazione tra il formalismo
dottrinario della rimanente Direzione del partito e il concretismo
realistico del direttore dell'Avanti!
Ma errato mi pare il nucleo
centrale dell'articolo di a. t. Quando Mussolini dice, alla borghesia italiana:
«Andate dove i vostri destini vi chiamano», cioè: «Se voi ritenete che
sia vostro dovere far la guerra all'Austria, il proletariato non
saboterà la vostra azione», non rinnega affatto il suo atteggiamento di fronte
alla guerra libica che ha avuto come risultato quello che a. t. chiama «il mito
negativo della guerra». In quanto si parla di «vostri destini» si lascia
intendere quei destini che per la funzione storica della borghesia culminano
nella guerra, e questa mantiene quindi piú intensa ancora, dopo l'acquistatane
coscienza del proletariato, il suo carattere di antitesi irriducibile coi
destini del proletariato.
Non un abbracciamento generale
vuole quindi il Mussolini, non una fusione di tutti i partiti in un'unanimità
nazionale, che allora la sua posizione sarebbe antisocialista. Egli vorrebbe
che il proletariato, avendo acquistato una chiara coscienza della sua forza di
classe e della sua potenzialità rivoluzionaria, e riconoscendo per il momento
la propria immaturità ad assumere il timone dello Stato (a fare la
[...]4 una disciplina ideale, e permettesse che nella storia fossero
lasciate operare quelle forze che il proletariato, non sentendosi di
sostituire, ritiene piú forti. E il sabotare una macchina (che ad un vero
sabotaggio si riduce la neutralità assoluta, sabotaggio accettato del resto
entusiasticamente dalla classe dirigente) non vuol certo dire che quella
macchina non sia perfetta e non sia utile a qualche cosa.
Né la posizione mussoliniana
esclude (che anzi lo presuppone) che il proletariato rinunzi al suo
atteggiamento antagonistico, e possa, dopo un fallimento o una dimostrata
impotenza della classe dirigente, sbarazzarsi di questa e impadronirsi delle
cose pubbliche, se, almeno, io ho interpretato bene le sue un po' disorganiche
dichiarazioni, e le ho sviluppate secondo quella stessa linea che egli avrebbe
fatto.
Io non so immaginare un
proletariato che sia come un meccanismo al quale nel mese di luglio sia stata
data la corda con la chiavetta della neutralità assoluta, e che non possa
essere nel mese di ottobre fermato senza che abbia a spezzarsi.
Si tratta di uomini, invece, che
hanno dimostrato, specialmente in questi ultimi anni, di possedere un'agilità
di intelletto e una freschezza di sensibilità quale la massa borghese amorfa e
menefreghista è ben lontana dal solamente fiutare. Di una massa che ha mostrato
di sapere molto bene assimilare e rivivere i nuovi valori che il rinato Partito
socialista ha messo in circolazione. O che forse ci spaventiamo del lavoro che
bisognerebbe fare per fargli assumere questo nuovo compito, che forse potrebbe
essere per lui il principio della fine del suo stato di pupillo della
borghesia?
In tutti i casi la comoda
posizione della neutralità assoluta non ci faccia dimenticare la gravità del
momento, e non faccia che noi ci abbandoniamo neppure per un istante ad una
troppo ingenua contemplazione e rinunzia buddistica dei nostri diritti.
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