Pubblichiamo questo articolo di For
Ever nonostante esso sia una farragine di spropositi marchiani e di amenità
fraseologiche. Per For Ever, lo Stato di Weimar è uno Stato marxista;
noi dell'Ordine Nuovo siamo statolatri, vogliamo lo Stato ab aeterno
(For Ever voleva dire in aeternum, evidentemente); lo Stato
socialista è una cosa medesima col socialismo di Stato; sono esistiti uno Stato
cristiano e uno Stato plebeo di Caio Gracco; il Soviet di Saratov potrebbe
vivere senza coordinare la sua produzione e la sua attività di difesa
rivoluzionaria col sistema generale dei Soviet russi ecc. Tante affermazioni,
tante corbellerie, che vengono presentate come una difesa dell'anarchia.
Tuttavia pubblichiamo l'articolo di For Ever. For Ever non è solo
un individuo: è un tipo sociale. Da questo punto di vista non deve essere
trascurato: deve essere conosciuto, studiato, di-, scusso e superato.
Lealmente, amichevolmente (l'amicizia non può essere disgiunta dalla verità, e
da tutte le asprezze che la verità comporta). For Ever è un
pseudo-rivoluzionario: chi basa la propria azione sulla mera fraseologia
ampollosa, sulla frenesia parolaia, sull'entusiasmo romantico è solo un demagogo,
non è un rivoluzionario. Sono necessari, per la rivoluzione, uomini dalla mente
sobria, uomini che non facciano mancare il pane nelle panetterie, che facciano
viaggiare i treni, che provvedano le officine di materie prime e trovino da
scambiare i prodotti industriali coi prodotti agricoli, che assicurino
l'integrità e la libertà personale dalle aggressioni dei malviventi, che
facciano funzionare il complesso dei servizi sociali e non riducano alla
disperazione e alla pazza strage internecina il popolo. L'entusiasmo verbale e
la sfrenatezza fraseologica fanno ridere (o piangere) quando uno solo di questi
problemi deve essere risolto anche in un villaggio di cento abitanti.
Ma For Ever, pur essendo
un tipo, non è tutti i libertari. Nella redazione dell'Ordine Nuovo contiamo un
comunista libertario: Carlo Petri. Col Petri la discussione è su un piano
superiore: coi comunisti libertari come il Petri il lavoro in comune è
necessario e indispensabile: essi sono una forza della rivoluzione. Leggendo
l'articolo del Petri pubblicato nel numero scorso e quello di For Ever
che pubblichiamo in questo numero — per fissare i termini dialettici dell'idea
libertaria: l'essere e il non essere — abbiamo steso queste osservazioni.
Naturalmente i compagni Empedocle e Caesar, ai quali il Petri direttamente si
riferisce, sono liberi di rispondere per conto loro.
Il comunismo si realizza
nell'Internazionale proletaria. Il comunismo sarà solo quando e in quanto sarà
internazionale. In tal senso il movimento socialista e proletario è contro lo
Stato, perché è contro gli Stati nazionali capitalistici, perché è contro le
economie nazionali, che hanno la loro sorgente di vita e traggono forma dallo
Stato nazionale.
Ma se nell'Internazionale
comunista verranno soppressi gli Stati nazionali, non verrà soppresso lo Stato,
inteso come «forma» concreta della società umana. La società come tale è una
pura astrazione. Nella storia, nella realtà viva e corporea della civiltà umana
in isviluppo, la società è sempre un sistema e un equilibrio di Stati, un
sistema e un equilibrio di istituzioni concrete, nelle quali la società
acquista consapevolezza del suo esistere e del suo svilupparsi, e per le quali
soltanto esiste e si sviluppa.
Ogni conquista della civiltà
diventa permanente, è storia reale e non episodio superficiale e caduco, in
quanto si incarna in una istituzione e trova una forma nello Stato. L'idea
socialista è rimasta un mito, una evanescente chimera, un mero arbitrio della
fantasia individuale fin quando non si è incarnata nel movimento socialista e
proletario, nelle istituzioni di difesa e di offesa del proletariato
organizzato: in esse e per esse ha preso forma storica e ha progredito; da esse
ha generato lo Stato socialista nazionale, disposto e organizzato in modo da
essere capace di ingranarsi con gli altri Stati socialisti: condizionato anzi
in modo tale da essere capace di vivere e di svilupparsi solo in quanto
aderisca agli altri Stati socialisti per realizzare l'Internazionale comunista
nella quale ogni Stato, ogni istituzione, ogni individuo troverà la sua
pienezza di vita e di libertà.
In questo senso il comunismo non
è contro lo «Stato», anzi si oppone implacabilmente ai nemici dello Stato, agli
anarchici e ai sindacalisti anarchici, denunziando la loro propaganda come utopistica
e pericolosa alla rivoluzione proletaria.
Si è costruito uno schema
prestabilito secondo il quale il socialismo sarebbe una «passerella»
all'anarchia; è questo un pregiudizio scemo, una arbitraria ipoteca del futuro.
Nella dialettica delle idee, l'anarchia continua il liberalismo, non il
socialismo; nella dialettica della storia, l'anarchia viene espulsa dal campo
della realtà sociale insieme col liberalismo. Quanto piú la produzione dei beni
materiali si industrializza e alla concentrazione del capitale corrisponde una
concentrazione di masse lavoratrici, tanto meno aderenti ha l'idea libertaria.
Il movimento libertario è ancora diffuso dove continua a prevalere
l'artigianato e il feudalismo terriero; nelle città industriali e nelle
campagne a cultura agraria meccanica, gli anarchici tendono a sparire come
movimento politico, sopravvivendo come fermento ideale. In tal senso l'idea
libertaria avrà un suo compito da svolgere ancora per un pezzo: essa continuerà
la tradizione liberale in quanto ha imposto e ha realizzato conquiste umane che
non devono morire col capitalismo.
Oggi, nel trambusto sociale
determinato dalla guerra, pare che l'idea libertaria abbia moltiplicato il
numero dei suoi aderenti. Non crediamo che sia una gloria dell'idea. Il fenomeno
è di regressione: nelle città sono immigrati elementi nuovi, senza cultura
politica, non allenati alla lotta di classe nella forma complessa che la lotta
di classe ha assunto con la grande industria. La fraseologia virulenta degli
agitatori anarchici ha facile presa su queste coscienze istintive e antelucane;
ma niente di profondo e di permanente crea la fraseologia
pseudo-rivoluzionaria. E chi domina, chi imprime alla storia il ritmo del
progresso, chi determina l'avanzata sicura e incoercibile della civiltà
comunista, non sono i «ragazzacci», non è il Lumpenproletariat, non sono
i bohémiens, i dilettanti, i romantici capelluti e frenetici, ma sono le
masse profonde degli operai di classe, i ferrei battaglioni del proletariato
consapevole e disciplinato.
Tutta la tradizione liberale è contro lo Stato.
La letteratura liberale è tutta
una polemica contro lo Stato. La storia politica del capitalismo è
caratterizzata da una continua e furiosa lotta tra il cittadino e lo Stato. Il
Parlamento è l'organo di questa lotta; e il Parlamento tende appunto ad
assorbire tutte le funzioni dello Stato, cioè a sopprimerlo, svuotandolo di
ogni potere effettivo poiché la legislazione popolare è rivolta a liberare gli
enti locali e gli individui da ogni servitù e controllo del potere centrale.
Questa azione liberale rientra
nell'attività generale del capitalismo rivolto ad assicurarsi più solide e
garantite condizioni di concorrenza: La concorrenza è la nemica piú acerrima
dello Stato. La stessa idea dell'Internazionale è d'origine liberale; Marx la
assunse dalla scuola di Cobden e dalla propaganda per il libero scambio, ma
criticamente. I liberali sono impotenti a realizzare la pace e
l'Internazionale, perché la proprietà privata e nazionale genera scissioni,
confini, guerre, Stati nazionali in conflitto permanente tra di loro.
Lo Stato nazionale è un organo
di concorrenza : sparirà quando la concorrenza sarà soppressa e un nuovo
costume economico sarà stato suscitato attraverso le esperienze concrete degli
Stati socialisti.
La dittatura del proletariato è
ancora uno Stato nazionale e uno Stato di classe. I termini della concorrenza e
della lotta di classe sono spostati, ma la concorrenza e le classi sussistono.
La dittatura del proletariato deve risolvere gli stessi problemi dello Stato
borghese: di difesa esterna ed interna. Queste sono le condizioni reali
obbiettive con le quali dobbiamo fare i conti: ragionare e operare come
esistesse già l'Internazionale comunista, come fosse già superato il periodo
della lotta tra Stati socialisti e Stati borghesi, della concorrenza spietata
tra le economie nazionali comuniste e quelle capitalistiche, sarebbe un errore
disastroso per la rivoluzione proletaria.
La società umana subisce un
processo rapidissimo di decomposizione coordinato al processo dissolutivo dello
Stato borghese. Le condizioni reali obbiettive in cui si eserciterà la
dittatura proletaria saranno condizioni di un tremendo disordine, di una
spaventosa indisciplina. Si rende necessaria la organizzazione di uno Stato
socialista saldissimo, che arresti quanto prima la dissoluzione e
l'indisciplina, che ridía una forma concreta al corpo sociale, che difenda la
rivoluzione dalle aggressioni esterne e dalle ribellioni interne.
La dittatura proletaria deve,
per le sue necessità di vita e di sviluppo, assumere un carattere accentuato
militare. Ecco perché il problema dell'esercito socialista diventa uno dei piú
essenziali da risolvere; e diventa urgente, in questo periodo
prerivoluzionario, cercare di distruggere le sedimentazioni di pregiudizio
determinate dalla passata propaganda socialista contro tutte le forme della
dominazione borghese.
Dobbiamo, oggi, rifare
l'educazione del proletariato: abituato all'idea che per sopprimere lo Stato
nell'Internazionale è necessario un tipo di Stato idoneo al conseguimento di
questo fine, che per sopprimere il militarismo può essere necessario un tipo
nuovo di esercito. Ciò significa addestrare il proletariato all'esercizio della
dittatura, all'autogoverno. Le difficoltà da superare saranno moltissime e il
periodo in cui queste difficoltà rimarranno vive e pericolose non si può
prevedere come di breve durata. Ma se anche lo Stato proletario dovesse
esistere per un giorno solo, dobbiamo lavorare affinché esso trovi condizioni
di esistenza idonee allo svolgimento del suo compito, la soppressione della
proprietà privata e delle classi.
Il proletariato è poco esperto
dell'arte di governare e di dirigere; la borghesia opporrà una resistenza
formidabile, aperta o subdola, violenta o passiva allo Stato socialista. Solo
un proletariato educato politicamente, che non si abbandoni alla disperazione e
alla sfiducia per i rovesci possibili e inevitabili, che rimanga fedele e leale
al suo Stato nonostante gli errori che singoli individui possono commettere e i
passi indietro che le condizioni reali della produzione possono imporre, solo
un simile proletariato potrà esercitare la dittatura, liquidare l'eredità
malefica del capitalismo e della guerra e realizzare l'Internazionale
comunista. E per la sua natura, lo Stato socialista domanda una lealtà e una
disciplina diverse ed opposte a quelle che domanda lo Stato borghese. A
differenza dello Stato borghese che è tanto piú forte all'interno e all'esterno
quanto meno i cittadini controllano e seguono l'attività dei poteri, lo Stato
socialista domanda la partecipazione attiva e permanente dei compagni alla vita
delle sue istituzioni. Bisogna inoltre ricordare che lo Stato socialista è il
mezzo per mutamenti radicali, non si muta di Stato con la semplicità con cui si
muta il governo. Un ritorno alle istituzioni passate vorrà dire la morte
collettiva, lo sfrenarsi di un terrore bianco senza limiti di sangue: nelle
condizioni create dalla guerra, la classe borghese avrebbe interesse a
sopprimere con le armi i tre quarti dei lavoratori, per ridare elasticità al
mercato dei viveri e rimettersi in condizioni privilegiate nella lotta per la
vita agiata cui ha fatto l'abitudine. Non possono essere ammessi pentimenti di
nessuna specie, per nessuna ragione.
Dobbiamo fin da oggi formarci e
formare questo senso di responsabilità tagliente e implacabile come la spada di
un giustiziere. La rivoluzione è una cosa grande e tremenda, non è un gioco da
dilettanti o una avventura romantica.
Vinto nella lotta di classe, il
capitalismo lascerà un residuo impuro di fermentazioni antistatali o che si
diranno tali perché individui e gruppi vorranno esonerarsi dai servigi e dalla
disciplina indispensabili al successo della rivoluzione.
Caro compagno Petri, lavoriamo a
evitare ogni urto sanguinoso tra le frazioni sovversive, a evitare allo Stato
socialista la necessità crudele di imporre con la forza armata la disciplina e
la fedeltà, di sopprimere una parte per salvare il corpo sociale dallo sfacelo
e dalla depravazione. Lavoriamo, svolgendo la nostra attività di cultura per
dimostrare che la esistenza dello Stato socialista è un anello essenziale della
catena di sforzi che il proletariato deve compiere per la sua emancipazione,
per la sua libertà.
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