La dottrina di Carlo Marx ha
dimostrato anche ultimamente la sua fecondità e la sua eterna giovinezza
offrendo un contenuto logico al programma dei piú strenui avversari del Partito
socialista, ai nazionalisti. Corradini saccheggia Marx, dopo averlo vituperato.
Trasporta dalla classe alla nazione i principi, le constatazioni, le critiche
dello studioso di Treviri; parla di nazioni proletarie in lotta con nazioni
capitalistiche, di nazioni giovani che debbono sostituire, per lo sviluppo
della storia mondiale, le nazioni decrepite. E trova che questa lotta si
esplica nella guerra, si afferma nella conquista dei mercati, nel
subordinamento economico e militare di tutte le nazioni a una sola, a quella
che attraverso il sacrifizio del suo sangue e del suo benessere immediato, ha
dimostrato di essere l'eletta, la degna.
Perciò Corradini non avversa, a
parole, la lotta di classe. «Sopprimere la lotta di classe, egli dice, val
quanto sopprimere la guerra. Non è possibile. Entrambe sono vitali, l'una
all'interno delle nazioni, l'altra fuori. Servono a muovere e rifornire di
materiale umano fresco, classi, nazioni, il mondo.» Ma questo saccheggio delle
idee marxistiche ai fini nazionalistici ha il torto di tutti gli adattamenti
arbitrari; manca di una base storica, non poggia su nessuna esperienza
tradizionale. Per cui dal punto di vista della logica formale i ragionamenti
corradiniani non fanno grinza, ma perdono ogni valore quando vogliono diventare
norma di vita, coscienza di un dovere. La storia non ha esempi di uno uguale a
uno; questa uguaglianza è formula matematica, non constatazione di rapporto fra
due realtà affermatesi nel passato o attuali. Tizio è uguale solo a se stesso,
e volta a volta, anche; non Tizio bambino uguale a Tizio uomo adulto. E cosí la
classe non è uguale alla nazione e quindi non può averne le stesse leggi. Tanto
vero che dopo affermato il principio, lo stesso Corradini pone tali limitazioni
che finisce, senza avvedersene, col fare rovinare tutta la sua costruzione.
Egli afferma che bisogna insegnare al proletariato il massimo rispetto per la
produzione.
E per produzione egli intende il
capitalismo nazionale, cioè quel complesso di attività economiche, buone e
cattive, naturali e fittizie, che in parte servono ad aumentare la ricchezza
investita in macchine ed in aziende [una parola censurata] i socialisti
vogliono socializzare lo sfruttamento, e in gran parte vivono ai danni del
benessere generale e quindi specialmente di quello del proletariato. E
rispettare questo pare sia alquanto difficile ai proletari, i quali non fanno
la lotta di classe solamente per aumentare i salari, come crede il Corradini,
ammiratore naturalmente dei riformisti nazionali, ma specialmente per
sostituire la propria classe che lavora a quella dei capitalisti che la fa
lavorare. E ciò per quei principi fondamentali dello spirito umano, per cui
ogni uomo vuole che la sua attività sia autonoma e non subordinata alla volontà
e agli interessi di estranei. E come la borghesia francese, esaltata dal
Corradini, lottò per la sua autonomia economica e raggiunse contemporaneamente
anche la realizzazione dell'autonomia nazionale, che prima non esisteva, cosí
ora il proletariato internazionale lotta per una cosa che ancora non esiste,
perché si lotta sempre per raggiungere qualche cosa che non si possiede ancora.
E, questa nazione proletaria che
è l'unificazione di tutti i proletari del mondo, supera la nazione di quanto
Carlo Marx, che la sua logica nutriva di realtà storica, è superiore ad Enrico
Corradini, che si diverte a riempire la botte senza fondo della logica formale
con i torniti periodi della lingua italiana, e di quanto la lotta di classe,
morale perché universale, supera la guerra, immorale perché particolaristica, e
fatta non per volontà dei combattenti, ma per un principio che questi non
possono condividere.
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