La breve discussione svoltasi
nell'ultima seduta consiliare fra i nostri compagni e qualche rappresentante
della maggioranza a proposito dei programmi per l'insegnamento professionale,
merita di essere commentata, anche se brevemente e compendiosamente.
L'osservazione del compagno Zini («La corrente umanistica e quella
professionale si urtano ancora nel campo dell'insegnamento popolare: occorre
riuscire a fonderle, ma non bisogna dimenticare che prima dell'operaio vi è
ancora l'uomo, al quale non bisogna precludere la possibilità di spaziare nei
piú ampi orizzonti dello spirito, per asservirlo subito alla macchina») e le
proteste del consigliere Sincero contro la filosofia (la filosofia trova
specialmente degli avversari quando afferma delle verità che colpiscono gli
interessi particolari) non sono dei semplici episodi polemici occasionali: sono
scontri necessari tra chi rappresenta dei principi fondamentalmente diversi.
1. Il nostro Partito non si è
ancora affermato su un programma scolastico e concreto che si differenzi da quelli
soliti. Ci siamo finora accontentati di affermare il principio generale della
necessità della cultura sia elementare, che professionale, che superiore, e
questo principio abbiamo svolto, abbiamo propagandato con vigore ed energia.
Possiamo affermare che la diminuzione dell'analfabetismo in Italia non è tanto
dovuta alla legge sull'istruzione obbligatoria quanto alla vita spirituale, al
sentimento di certi determinati bisogni della vita interiore, che la propaganda
socialista ha saputo suscitare negli strati proletari del popolo italiano. Ma
non siamo andati piú in là. La scuola in Italia è rimasta un organismo
schiettamente borghese, nel peggior senso della parola. La scuola media e
superiore, che è di Stato, e cioè è pagata con le entrate generali, e quindi
anche con le tasse dirette pagate dal proletariato, non può essere frequentata
che dai giovani figli della borghesia, che godono dell'indipendenza economica
necessaria per la tranquillità degli studi. Un proletario, anche se
intelligente, anche se in possesso di tutti i numeri necessari per diventare un
uomo di cultura, è costretto a sciupare le sue qualità in attività diversa, o a
diventare un refrattario, un autodidatta, cioè (fatte le dovute eccezioni) un
mezzo uomo, un uomo che non può dare tutto ciò che avrebbe potuto, se si fosse
completato ed irrobustito nella disciplina della scuola. La cultura è un
privilegio. La scuola è un privilegio. E non vogliamo che tale essa sia. Tutti
i giovani dovrebbero essere uguali dinanzi alla cultura. Lo Stato non deve
pagare coi denari di tutti la scuola anche per i mediocri e deficienti, figli
dei benestanti, mentre ne esclude gli intelligenti e capaci, figlioli dei
proletari. La scuola media e superiore deve essere fatta solo per quelli che
sanno dimostrare di esserne degni. Se è interesse generale che essa esista, e
sia magari sorretta e regolata dallo Stato, è anche interesse generale che ad
essa possano accedere tutti gli intelligenti, qualunque sia la loro
potenzialità economica. Il sacrifizio della collettività è giustificato solo
quando esso va a beneficio di chi se lo merita. Il sacrifizio della
collettività perciò deve servire specialmente a dare ai valenti quella
indipendenza economica, che è necessaria per poter tranquillamente dedicare il
proprio tempo allo studio e poter studiare seriamente.
2. Il proletariato, che è
escluso dalle scuole di cultura media e superiore per le attuali condizioni
della società che determinano una certa specializzazione degli uomini,
innaturale, perché non basata sulle diverse capacità, e quindi distruttrice ed
inquinatrice della produzione, deve riversarsi nelle scuole collaterali:
tecniche e professionali. Quelle tecniche, istituite con criteri democratici
dal ministro Casati, hanno subíto per le necessità antidemocratiche del
bilancio statale, una trasformazione che le ha in gran parte snaturate. Sono
ormai in gran parte diventate superfetazioni delle scuole classiche, e uno
sfogatoio innocente della impiegomania piccolo-borghese. Le tasse di iscrizione
in continua ascensione, e le possibilità determinate che dànno per la vita
pratica, hanno fatto anche di esse un privilegio, e del resto il proletariato
ne è escluso, nella sua grandissima parte, automaticamente, per la vita incerta
ed aleatoria che è costretto a condurre il salariato; vita che non è certo la
piú propizia per seguire con frutto un corso di studio.
3. Al proletariato è necessaria
una scuola disinteressata. Una scuola in cui sia data al fanciullo la
possibilità di formarsi, di diventare uomo, di acquistare quei criteri generali
che servono allo svolgimento del carattere. Una scuola umanistica, insomma,
come la intendevano gli antichi e i piú recenti uomini del Rinascimento. Una
scuola che non ipotechi l'avvenire del fanciullo e costringa la sua volontà, la
sua intelligenza, la sua coscienza in formazione a muoversi entro un binario a
stazione prefissata. Una scuola di libertà e di libera iniziativa e non una
scuola di schiavitù e di meccanicità. Anche i figli dei proletari devono avere
dinanzi a sé tutte le possibilità, tutti i campi liberi per poter realizzare la
propria individualità nel modo migliore, e perciò nel modo piú produttivo per
loro e per la collettività. La scuola professionale non deve diventare una
incubatrice di piccoli mostri aridamente15 istruiti per un mestiere,
senza idee generali, senza cultura generale, senza anima, ma solo dall'occhio
infallibile e dalla mano ferma. Anche attraverso la cultura professionale può
farsi scaturire, dal fanciullo, l'uomo. Purché essa sia cultura educativa e non
solo informativa, o non solo pratica manuale. Il consigliere Sincero, che è un
industriale, è troppo gretto borghese quando protesta contro la filosofia.
Certo, per gli industriali
grettamente borghesi, può essere piú utile avere degli operai-macchine invece
che degli operai-uomini. Ma i sacrifizi cui tutta la collettività si assoggetta
volontariamente per migliorarsi e per far scaturire dal suo seno i migliori e i
piú perfetti uomini che la innalzino ancor piú, devono riversarsi beneficamente
su tutta la collettività e non solo su una categoria o una classe.
È un problema di diritto e di
forza. E il proletariato deve stare all'erta, per non subire un'altra
sopraffazione dopo le tante che già subisce.
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