La posta mi trasmette una
circolare della mia parrocchia. Non conosco né il curato né la parrocchia, ma
ciò non impedisce che essi esistano, e che io sia una pecorella del loro
gregge, e che essi pensino alla mia salute spirituale, e che magari consacrino
qualche minuto del prezioso loro tempo per invocare dall'angelo annunziatore il
miracolo del rammollimento delle durezze del mio cuore.
Pertanto la circolare mi dispone
alla soavità, alla tenerezza. Domanda un contributo per l'elevazione di un
tempio votivo a Maria Annunziata, vorrebbe riunire tutta l'Italia ai piedi di
Maria SS. per implorare vittoria e pace, protezione ai combattenti, eterno
riposo ai caduti. È accompagnata da alcune copie di una pubblicazione
periodica, «Votiamoci a Maria!»; ricorda che la SS. Annunziata ha
protetto in mille battaglie i magnanimi principi di Casa Savoia, ricorda che la
immagine della dea brilla sul petto del nostro eroico sovrano nel collare
benedetto, e ricorda perciò che essa è la speciale protettrice degli eserciti e
dei soldati d'Italia. Ma questi ricordi non hanno neanche essi la virtú di
indispormi, di strappare almeno un piccolo urlo alla mia coscienza di
giacobino. La mia coscienza è immersa in un vago crepuscolo mitologico, la mia
coscienza è tormentata da altre preoccupazioni. L'attività degli altri non mi
irrita, anche se antipodica alla volontà mia e dei compagni in idea. Mi
preoccupa il fatto che questa attività ha per fine di lasciare su qualche metro
quadrato della superficie del globo una traccia architettonica che consuma
pietra e calcina, ingegno e braccia per un edificio, cui non so prevedere un
ufficio per domani, quando l'attività attuale sarà definitivamente divenuta
mito, quando l'edifizio avrà perduto per tutti del suo carattere ieratico e non
sarà piú che sasso e calcina organizzati in edifizio. È una preoccupazione viva
e attuale, questa. Si vorrebbe che tutto ciò che si produce in solido, in
trasformazione geologica della superficie del mondo, avesse dei caratteri di
perpetuità, e pertanto, avesse delle possibilità di adattamento a nuove
funzioni.
L'uomo passa: una generazione è
sostituita dall'altra. La storia degli uomini è una matrice feconda di
coscienze sempre nuove, quantunque nutrite di vecchio, di tradizione. Ma la
materia bruta non possiede in sé questa elasticità di rinnovamento. Sono gli uomini
che gliela dànno, quando hanno la coscienza di questo loro infuturarsi, di
questo rivivere del loro sforzo attuale in una forza di domani. E quando
trasformano la stratificazione geologica del mondo, quando tolgono granito al
monte o calce alla cava per ordinarli in muri e soffitti, cercano di fare tutto
con criteri di continuità, per non ferire inutilmente il decrepito mondo, per
non ingombrare inutilmente il nuovo mondo che si dibatte per nascere. La
circolare del mio curato mi preoccupa molto in questo vago crepuscolo
mitologico nel quale l'animo è immerso. Ma non riesco a vincere i sentimenti
soavi e teneri.
È la stessa soavità e tenerezza
che si prova al cospetto di tutte le creature imperfette. Si pensa alla fatale
loro infecondità, all'oblio che le sommergerà completamente in un tempo non
lontano. Il mito pagano ha lasciato dei monumenti di bellezza che continuano a
vivere per questo loro carattere di perennità, che fanno rivivere qualcuno dei
sentimenti ancestrali. Il mito cristiano, almeno nella nostra città, non
lascerà che degli ingombri, preda del futuro piccone. C'è da preoccuparsene
davvero. Confessiamo che esso se fa pena per la sua impotenza e sterilità,
finisce anche per essere seccante.
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