Si parla spesso di un prima e di
un poi. Si aspetta una data fissa. Noi crediamo che non esista alcuna data
fissa, e crediamo di essere specificamente noi, solo perché il nostro pensiero
coglie sempre nella vita un modo di essere perennemente aderente al nostro
pensiero stesso. Tra la solita vita sociale quotidiana e la vita di eccezione
delle rivoluzioni non c'è differenza qualitativa, ma differenza quantitativa.
Un piú o un meno di certi determinati fattori. Le energie sociali attive sono
l'apparenza sensibile e umana di certi determinati fattori. Le energie sociali
attive sono l'apparenza sensibile e umana di certi determinati programmi, di
certe determinate idee; in tempi normali c'è un equilibrio di forze la cui
instabilità ha oscillazioni minime; quanto piú queste oscillazioni diventano
irregolari e capricciose, tanto piú si dice che i tempi sono calamitosi; quando
l'equilibrio tende irresistibilmente a spostarsi, si ammette che si è entrati
in un momento di vita nuova. Ma la novità è quantitativa, non qualitativa.
È avvenuta una escavazione piú
profonda nella ganga sociale. Ora la ganga si sta metallizzando tutta, e il
metallo nuovo ha tutto un timbro, il nostro timbro. Ma questo fenomeno c'è
sempre stato, perché noi non siamo diversi da ieri, perché noi continuiamo il
nostro ieri. Ci ritroviamo in questo fenomeno; gli altri se ne spaventano. Esso
è la nostra realtà, è la nostra concezione, è il nostro capolavoro storico,
perché finalmente i due termini, concezione e realtà, aderiscono estesamente,
non frammentariamente. La vita del pensiero si sta sostituendo all'inerzia
mentale, all'indifferenza: è la prima delle sostituzioni rivoluzionarie. Una
nuova abitudine si forma: quella di non temere il fatto nuovo: prima perché
peggio di cosí non può andare, in seguito perché ci si convince che andrà
meglio.
È incominciato il processo
ideale del regime, è incominciata la sua dichiarazione di fallimento; esso ha
perduto la fiducia istintiva e pecorile degli indifferenti, perché ha chiuso
troppi sportelli. Ha socchiuso ora un altro sportello: quello della vita, la
bocca del forno, la porta del magazzino granario. Lo chiuderà del tutto? La
domanda angosciosa si propaga nelle lunghe file di donne che fanno coda alle
cinque del mattino dinanzi alle panetterie. Raggiunge tutti, anche i piú umili
strati della passività sociale; bussa e scuote i pilastri stessi della vita. E
la ganga si metallizza; tutti vivono, tutti si nutrono: le sorgenti della vita
si disseccano, e la passività si organizza in pensiero per difendersi.
Hanno per tre anni goduto la
fiducia di una piccola parte attiva della società: hanno disciplinato
esteriormente la immensa passività sociale, gli indifferenti: l'altra parte
attiva, che non soffre esteriorità, non ha concesso la sua fiducia, la sua
collaborazione. Ora anche l'immensa passività si organizza in pensiero, si
disciplina, non secondo schemi esteriori, ma secondo le necessità della sua
vita propria, del suo pensiero nascente. Non c'è bisogno dell'accordo
dell'armonia prestabilita. Se, come Leibniz, paragoniamo i numeri di questa
umanità nascente agli orologi di una bottega da orologiaio, osserviamo lo
stesso atto: l'armonia prestabilita, il segnare tutti la stessa ora, il pensare
tutti la stessa cosa, l'essere tutti assillati da uno stesso turbamento, non
risulta da un accordo, da uno scambio di volontà. Il disagio è l'orologiaio che
fa scattare insieme tutte le molle, che imprime un movimento sincrono a tutte
le lancette. Il disagio è l'orologiaio che ha creato un'unità sociale nuova,
con stimoli nuovi, non esteriori, ma interiori. Un'unità sociale piú estesa di
quella che ieri esisteva determinata dalla stessa causa. Ieri il disagio era il
rapporto di insoddisfacimento tra un dato pensiero politico ed economico, tra
un bisogno e una delusione, oggi è lo stesso rapporto, colto da una
moltitudine, da una quasi totalità. Ed è la continuazione del nostro ieri, è
per noi una continuità, perché la vita è sempre una rivoluzione, una sostituzione
di valori, di persone, di categorie, di classi. Gli uomini però dànno il nome
di rivoluzione alla grande rivoluzione, a quella cui partecipa il massimo
numero di individui, che sposta un numero maggiore di rapporti, che distrugge
tutto un equilibrio per sostituirlo con un altro intero, organico. Noi ci
distinguiamo dagli altri uomini perché concepiamo la vita come sempre
rivoluzionaria, e pertanto domani non dichiareremo definitivo un nostro mondo
realizzato, ma lasceremo sempre aperta la via verso il meglio; verso armonie
superiori. Non saremo mai conservatori, neanche in regime di socialismo, ma
vogliamo che l'orologiaio delle rivoluzioni non sia un fatto meccanico come il
disagio, ma sia l'audacia del pensiero che crea miti sociali sempre piú alti e luminosi.
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