Non è tempo di sermoni. La
censura non ce li permetterebbe e, del resto, abborriamo i sermoni. Abbiamo
piena fiducia nel proletariato torinese e nella sua maturità. Lasciamo ai
patrioti il piacevole compito di imbottire i cervelli [sedici righe
censurate].
Il proletariato torinese è ora
azzannato ferocemente dai suoi avversari implacabili. Ma ha avuto anche
testimonianze di ammirazione indimenticabili.
Non potevano mancare gli sfoghi
dei primi. Le mezze coscienze odiano i forti, non solo per avversione di idee,
ma anche per il solo fatto che sono forti, e mettono in maggior rilievo
l'altrui incapacità.
Del resto, non bisogna turbarsi
per l'odio, come non bisogna esaltarsi per l'ammirazione. L'odio e l'ammirazione
non producono. La vita solo produce: la vita che è azione disciplinata, che è
fermo proposito, che è volontà sicura e indomabile, che è servizio oscuro
dell'individuo per la collettività.
La vita di ogni giorno è
ricominciata. All'eroismo succede il trito susseguirsi delle piccole cose
quotidiane. È nella forza, nella tenacia con cui entro se stessi e nei rapporti
con gli altri si vincono gli scoramenti, si ricrea l'organizzazione, si
ritessono i fili innumerevoli che uniscono insieme gli individui di una classe.
Osiamo dire che questo eroismo è piú produttivo dell'altro. Ha bisogno per
essere attuato della continuità indefessa. Tutti gli italiani sono capaci
dell'eroismo occasionale, teatrale, che può essere produttivo, ma può anche
sembrare inutile spreco di energia. Il proletariato ha mostrato di essere
superiore. È capace dell'uno e dell'altro. È un organismo sociale, è una
complessità di vita, che non dà solo sprazzi accecanti, ma sa anche diffondere
attorno a sé la luce continua, dell'operosità minuta, incessante, che tempra
alla lotta, che forma l'implacabile potenza del carattere, che mai smentisce se
stessa, che dopo una caduta non rilassa i suoi tendini, ma si risolleva, piú
numeroso di prima, meglio preparato di prima, perché piú esperto e piú
agguerrito.
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