L'on. Claudio Treves, si
compiace di «sottili analogie» (Critica sociale, 1-17 settembre).
Talmente se ne compiace che ad esse, e alle loro affini, le metafore, sacrifica
il pensiero, la ricerca affannosa della verità, la comprensione stessa del
particolar mondo in cui egli si illude di vivere e di operare.
Attraverso le analogie e le
metafore, la vita, la vita degli uomini, che è sangue e dolore, che è sofferenza
e lotta, diventa qualcosa di astratto, di semplicistico, di materialmente
insensibile come i pezzi di una scacchiera, cui si dànno preventivamente nome e
valore e poi si fanno muovere e saltellare con una mossa della mano,
preventivamente sicuri del successo o dell'insuccesso; l'astrattismo arriva
fino al punto, che la potenza della volontà, negata come fattore attivo di
storia, messa in burletta come «aspettazione fiduciosa del miracolo», viene poi
reintegrata in tutto il suo valore come negatività. La volontà è solo fattiva
quando nega, è illusione idealistica quando afferma: la volontà è attiva quando
«difende», è pietosa illusione di cretini quando prende un'iniziativa. Per la
«sottile» dialettica dell'on. Treves, concettualmente non esiste che la
difensiva: l'offensiva è vaneggiamento di menti inferme.
La verità è che l'on. Treves,
«stratego» della lotta di classe, ha rivendicato gli «imbottitori di crani» che
ci deliziano nei giornali borghesi. Ha esagerato il loro metodo. Ha ridotto in
ischemi, in pezzi da scacchiera, ciò che è assolutamente irriducibile. La
«sottile analogia strategica tra la guerra e la lotta di classe» l'ha indotto a
dare corpo a quei vani fantasmi metaforici che sono l'«esercito proletario» coi
suoi battaglioni, con le sue fortezze, coi suoi campi trincerati. Ha immaginato
tutta una gerarchia di ufficiali, sottufficiali, caporali e soldati del
partito, delle organizzazioni, delle officine. Li ha visti muoversi, ben
inquadrati nei ranghi all'assalto del nemico, «nell'illusione che la vittoria è
una meta attiva, la quale, per non essere vincolata a circostanze reali,
obiettive, si raggiunge con qualsiasi mezzo e basta agire perché nell'azione
ogni sforzo sia valido, ogni volizione sia sacra al trionfo».
La verità è che la «sottile
analogia» dell'on. Treves, per essere tanto sottile, finisce coll'essere
assenza assoluta di intelligenza.
Il proletariato non è un
esercito, non ha ufficiali, sottufficiali, caporali e soldati. La sua vita
collettiva non può essere neppure lontanamente paragonata alla vita collettiva
di un esercito in armi, se non per incidenze, per metafore. Il proletariato ha
una vita collettiva che non può entrare in nessuno schema astratto. È un
organismo in continua trasformazione che ha una volontà, ma questa non è la
volontà libresca contro cui l'on. Treves tira freccioline di carta stampata. I
socialisti non sono gli ufficiali dell'esercito proletario, sono una parte del
proletariato stesso, ne sono la coscienza forse, ma come la coscienza non può
esser scissa da un individuo, cosí i socialisti non possono essere posti in
dualismo col proletariato. Sono uno, sempre uno, e non comandano, ma vivono col
proletariato, come il sangue circola e si muove nelle vene di un corpo e non
può essere fatto vivere e muover entro tubi di gomma avvoltolati attorno a un
cadavere. Vivono nel proletariato, e la loro forza è nella forza del
proletariato, e la loro potenza è in questo aderire perfetto.
L'on. Treves dichiara che un
determinato atto di vita è un «errore». Ma errore e verità sono atti di
pensiero: la vita è, semplicemente; il successo e l'insuccesso non ne
sono predicati necessari. Dimostrare di esistere, assicurarsi di esistere,
sentire battere il proprio cuore e pulsare le vene è già un successo, è il piú
grande successo della vita.
L'esistenza, la dimostrazione
della esistenza è il problema massimo del proletariato italiano in questo
momento. E questo proletariato non è lo stesso di tre anni fa. È piú esteso
numericamente, ha attraversato piú intense esperienze spirituali. Non ha avuto
il tempo di organizzarsi, ancora; non può organizzarsi. Le elaborazioni, gli
assorbimenti di cultura socialista possibili in tempi normali, non sono piú
possibili ora normalmente. Il Partito socialista, il socialismo italiano è piú
ricco ora di succhi che non lo fosse tre anni fa. Ma non conosce tutte le sue
forze, e si agita, o tende a diventare organismo piú ampio e trabocca qua e là,
incompostamente secondo il buon senso filisteo, fruttuosamente secondo una
spregiudicata concezione della vita.
Noi ci sentiamo solidali con
questo nuovo immenso pullulare di forze giovani e non ne rinneghiamo quelli che
i filistei chiamano errori, e gioiamo del senso della vita gagliarda che ne
promana. E pertanto compatiamo la vecchia mentalità astratta che tutta in
ghingheri sciorina le «vecchie prediche» e si pavoneggia sui trampoli delle
sottili analogie e delle metafore viete. Il proletariato non vuole predicatori
di esteriorità, freddi alchimisti di parolette, vuole comprensione intelligente
e simpatia piena d'amore.
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