Ho qui sul tavolino alcune pubblicazioni
recentissime. Altre ne vedo annunziate. Ho ricevuto due o tre circolari che
annunziano l'uscita di periodici che dovranno trattare i problemi che si
riferiscono alla complessa azione che deve svolgere il proletariato per il
raggiungimento dei suoi fini immediati o ultimi. Discorro con compagni, con
amici, con affini. Sento in tutti un qualcosa di diverso. Dei bisogni nuovi
sono sorti, e stimolano il pensiero. La realtà ambiente è vista ora sotto punti
di vista nuovi. Tutti sono irrequieti, è in tutti un tumulto di intenzioni
ancora incerte e vaghe che si esprimono genericamente, che non riescono a
solidificarsi.
Perché nasconderlo? Partecipo
anch'io di questa irrequietezza, di questa incertezza. Certo di infrenare gli
stimoli, di non lasciarmi sommergere da ondate di impressioni nuove che bussano
alla soglia della coscienza e vogliono essere accolte, e vogliono essere
esaminate.
Tre anni di guerra hanno ben
portato delle modificazioni nel mondo. Ma forse questa è la maggiore di tutte
le modificazioni : tre anni di guerra hanno reso sensibile il mondo. Noi
sentiamo il mondo; prima lo pensavamo, solamente. Sentivamo il nostro piccolo
mondo, eravamo compartecipi dei dolori, delle speranze, delle volontà, degli
interessi del piccolo mondo nel quale eravamo immersi piú direttamente. Ci
saldavamo alla collettività piú vasta solo con uno sforzo di pensiero, con uno
sforzo enorme di astrazione. Ora la saldatura è diventata piú intima. Vediamo
distintamente ciò che prima era incerto e vago. Vediamo uomini, moltitudini di
uomini dove ieri non vedevamo che Stati o singoli uomini rappresentativi.
L'universalità del pensiero si è
concretata, tende almeno a concretarsi. Qualcosa crolla necessariamente, in noi
e negli altri. Si è formata una temperie morale nuova: tutto è mobile,
instabile, fluido. Ma le necessità del momento urgono, e perciò il fluido tende
a stagnare, ciò che non è altro che avventura spirituale vuole diventare
definitivo. Lo stimolo al pensiero si pone come pensiero bello e perfetto. Ciò
che è solo velleità si pone come volontà chiara e concreta. E nasce il caos, la
confusione delle lingue, e si incrociano le proposte piú pazzesche con le piú
luminose verità.
Scontiamo cosí la nostra
leggerezza di ieri, la nostra superficialità di ieri. Disabituati al pensiero,
contenti della vita del giorno per giorno, ci troviamo oggi disarmati di contro
alla bufera. Avevamo meccanizzato la vita, avevamo meccanizzato noi stessi. Ci
accontentavamo di poco: la conquista di una piccola verità ci riempiva di tanta
gioia come se avessimo conquistato tutta la verità. Rifuggivamo dagli sforzi,
ci sembrava inutile porre delle ipotesi lontane e risolverle, sia pure
provvisoriamente. Eravamo dei mistici inconsapevolmente. O davamo troppa
importanza alla realtà del momento, ai fatti, o non ne davamo loro alcuna. O
eravamo astratti perché di un fatto, della realtà facevamo tutta la nostra
vita, ipnotizzandoci, o lo eravamo perché mancavamo completamente di senso
storico, e non vedevamo che l'avvenire sprofonda le sue radici nel presente e
nel passato, e gli uomini, i giudizi degli uomini possono fare dei salti,
devono fare dei salti, ma non la materia, la realtà economica e morale.
Tanto piú grande è il dovere
attuale di porre un ordine in noi. Il mondo si è avvicinato a noi,
meccanicamente, per impulsi e forze che erano a noi estranee. Inconsapevolmente
molti vedono in noi la salvezza. Eravamo gli unici che preparavamo un avvenire
diverso, migliore del presente. Tutti i disillusi, ma specialmente tutta
l'enorme moltitudine che tre anni di guerra hanno portato alla luce della
storia, hanno obbligato a interessarsi della vita collettiva, aspettano da noi
la salvezza, l'ordine nuovo. Una crisi spirituale enorme è stata suscitata.
Bisogni inauditi sono sorti in chi fino a ieri non aveva sentito altro bisogno
che quello di vivere e di nutrirsi. E ciò proprio nel momento storico — come
del resto necessariamente doveva avvenire — in cui è avvenuta la maggiore
distruzione di beni che la storia registri, di quei beni che soli possono appagare
la maggior parte di quei bisogni.
Le pubblicazioni nuove, le nuove
riviste, non mi dànno, non riescono a darmi alcuna delle soddisfazioni che io
cerco. Ciò, del resto, non è una ragione di sconforto. Le soddisfazioni le devo
ricercare in me stesso, nell'intimo della mia coscienza, dove solo possono
comporsi tutti i dissidi, tutti i turbamenti suscitati dagli stimoli esterni.
Questi libri non sono altro per me che stimoli, che occasioni per pensare, per
scavare in me stesso, per ritrovare in me stesso le ragioni profonde del mio
essere, della mia partecipazione alla vita del mondo. Queste letture mi
convincono ancora una volta che un grande lavoro deve essere ancora fatto da
noi socialisti: lavoro di interiorizzazione, lavoro di intensificazione della vita
morale.
Si minaccia tutta una campagna
serrata per la revisione delle formule, dei programmi finora adottati. Non
questo revisionismo è necessario. Gli errori che si sono potuti commettere, il
male che non si è potuto evitare non sono dovuti a formule o a programmi.
L'errore, il male era in noi, era nel nostro dilettantismo, nella leggerezza
della nostra vita, era nel costume politico generale, dei cui pervertimenti
anche noi partecipavamo inconsapevolmente. Le formule, i programmi erano
esteriori, erano inanimati per troppi; non li vivevamo con intensità, con
fervore, non vibravano in ogni atto della nostra vita, in ogni momento del
nostro pensiero. Cambiare le formule non significa nulla. Occorre che cambiamo
noi stessi, che cambi il metodo della nostra azione. Siamo avvelenati da
un'educazione riformistica che ha distrutto il pensiero, che ha impaludato il
pensiero, il giudizio contingente, occasionale, il pensiero eterno, che si
rinnova continuamente pur mantenendosi immutato. Siamo rivoluzionari nell'azione,
mentre siamo riformisti nel pensiero: operiamo bene e ragioniamo male.
Progrediamo per intuizioni, piú che per ragionamenti; e ciò porta a una
instabilità continua, a una continua insoddisfazione: siamo dei temperamenti
piú che dei caratteri. Non sappiamo mai ciò che i nostri compagni potranno fare
domani; siamo disabituati al pensare concreto, e perciò non sappiamo fissare
ciò che domani si debba fare, e se lo sappiamo per noi, non lo sappiamo per gli
altri, che ci sono compagni di lotta, che dovranno coordinare i loro sforzi ai
nostri sforzi.
Nella complessa vita del
movimento proletario manca un organo, sentiamo che manca un organo. Dovrebbe
esserci, accanto al giornale, alle organizzazioni economiche, al partito
politico, un organo di controllo disinteressato, che fosse il lievito perenne
di vita nuova, di ricerca nuova, che favorisse, approfondisse e coordinasse le
discussioni, all'infuori di ogni contingenza politica ed economica.
Nel corso di queste relazioni di
letture fatte, questi bisogni che io sento, che molti altri sentono con me,
andranno concretandosi, e con l'aiuto dei compagni di buona volontà sarà
prospettata una soluzione e indicata una via da seguire.
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