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Antonio Gramsci
Scritti politici I

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  • 1918
    • Individualismo e collettivismo
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Individualismo e collettivismo42

 

La classe borghese si è redenta dalla schiavitú feudale affermando i diritti dell'individuo alla libertà e all'iniziativa. La classe proletaria lotta per la sua redenzione, affermando i diritti della collettività, del lavoro collettivo, contrapponendo alla libertà individuale, all'iniziativa individuale, l'organizzazione delle iniziative, l'organizzazione delle libertà.

Logicamente il principio dell'organizzazione è superiore a quello della libertà pura e semplice. Esso è la maturità in confronto della fanciullezza; ma storicamente la maturità ha bisogno della fanciullezza per svilupparsi, e il collettivismo presuppone necessariamente il periodo individualistico, durante il quale gli individui acquistano le capacità necessarie per produrre indipendentemente da ogni pressione del mondo esteriore, imparando a proprie spese come niente di piú reale e di piú concreto esiste del dovere della laboriosità, e come il desiderio della sopraffazione, la concorrenza brutale e sfrenata debba, per il bene di tutti, essere sostituita dall'organizzazione, dal metodo, che assegna a tutti un compito specifico da svolgere e a tutti assicura la libertà e i mezzi di sussistenza.

La classe borghese, succedendo alla classe feudale nella dittatura della produzione, ha introdotto una modificazione nel regime della proprietà privata. Questa era inalienabile, si trasmetteva solo in linea diretta, di padre in figlio, era vincolata da legami antieconomici che precludevano la via ai rapidi incrementi, rendendo perciò necessario lo sfruttamento iniquo dell'enorme maggioranza, con l'esclusione assoluta di ogni concorrenza nella mano d'opera, ottenuta con la servitú della gleba e con le corporazioni artigiane.

La borghesia dissolvette il privilegio feudale di casta, rese commerciabili gli strumenti di produzione, terre, macchine e mano d'opera. Assicurò a sé la proprietà degli strumenti naturali e meccanici, e la libertà di produrre, e assicurò alla mano d'opera la libertà della concorrenza, della quale quella avrebbe potuto servirsi per migliorare le proprie condizioni,

La proprietà, resa commerciabile, incominciò a circolare, passando dai meno capaci ai piú capaci. La tecnica si sviluppò sotto il pungolo della concorrenza; la società definí le sue basi nell'individualismo, che ebbe il suo maggior assertore filosofico in Herbert Spencer, e i suoi assertori economici nei liberisti della scuola inglese.

La libertà di concorrenza venne sempre piú intensificandosi per i continui perfezionamenti della tecnica industriale ed agricola. La classe borghese si frantumò in ceti e gruppi, che entrarono in lotta per il predominio politico; essi rappresentano stadi piú o meno sviluppati della produzione; alcuni, sicuri dell'esito della concorrenza, vogliono le libertà per eliminare gli avversari: altri, deboli e incerti del domani, vogliono la conservazione di leggi restrittive delle libertà politiche ed economiche, vogliono essere protetti, vogliono un minimo di sicurezza per non soccombere, per non essere eliminati dal campo delle competizioni.

Il capitalismo si è cosí sviluppato, piú o meno intenso a seconda delle nazioni, delle condizioni naturali e storiche dei vari paesi. Dove è piú antico ed ha raggiunto il massimo di produzione, ha conseguito sul piano politico: la riduzione al minimo delle funzioni dello Stato, un'ampia libertà di riunione, di stampa, di propaganda, la sicurezza dei cittadini di fronte ai poteri, la diffusione degli ideali di pace e di fraternità internazionale. Non bisogna credere che questi principi si siano affermati per ragioni sentimentali. Essi sono la necessaria garanzia dell'attività individuale in regime di libera concorrenza. L'individuo ha bisogno nei suoi affari della rapidità amministrativa e giudiziaria, quindi è necessario che lo Stato rinunzi a una gran parte dei suoi attributi a benefizio delle autonomie locali che rendono spedita la macchina burocratica e facilitano i controlli. L'individuo ha bisogno di poter contare sulla sua attività futura per i contratti e la locazione d'opera; deve esistere naturalmente la piú ampia libertà, la maggiore sicurezza contro le privazioni arbitrarie e illimitate della libertà personale; il codice penale si semplifica, diminuisce l'importanza dei delitti e delle pene. La concorrenza dei ceti, conservando la possibilità del ritorno al potere di quelli arretrati e parassitari, domanda che sia garantita la maggiore libertà di stampa, di riunione, di propaganda, attraverso la quale si può educare l'opinione pubblica e respingere ogni assalto del passato.

La libertà economica si dimostrò subito dottrina di classe: gli strumenti di produzione, pur circolando, rimasero proprietà di una minoranza sociale; il capitalismo fu anch'esso un privilegio di pochi, che tendono a diventar sempre piú pochi, accentrando la ricchezza per sottrarsi cosí alla concorrenza col monopolio. La maggioranza dei diseredati cerca allora nell'associazione il mezzo di resistenza e di difesa dei propri interessi. Le libertà, concepite solo per l'individuo capitalista, devono estendersi a tutti. La concorrenza si amplia: oltre che di individui e di ceti borghesi, è anche di classi. Le associazioni proletarie educano gli individui a trovare nella solidarietà il maggiore sviluppo del proprio io, delle proprie attitudini alla produzione. L'organizzazione, per il proletariato, nel campo della sua classe, si sostituisce già necessariamente all'individualismo, assorbendo di questo ciò che di eterno e di razionale vi è contenuto: il senso della propria responsabilità, lo spirito di iniziativa, il rispetto degli altri, la convinzione che la libertà per tutti è sola garanzia delle libertà singole, che l'osservanza dei contratti è condizione indispensabile di convivenza civile, che gli sgambetti, le truffe, gli illusionismi finiscono col danneggiare anche chi se ne è servito. Ma l'associazione ha lo scopo precipuo di educare al disinteresse: l'onestà, il lavoro, l'iniziativa vi diventano fine a se stessi, procurano solo soddisfazione intellettuale, gioia morale negli individui, non privilegi materiali. La ricchezza che ognuno può produrre in misura superiore ai bisogni della vita immediata è della collettività, è patrimonio sociale: non è piú necessaria la commerciabilità degli strumenti di lavoro per suscitare le capacità e le iniziative, perché il lavoro è divenuto dovere morale, l'attività è gioia, non battaglia cruenta.

L'individualismo borghese produce cosí necessariamente la tendenza al collettivismo nel proletariato. All'individuo-capitalista si contrappone l'individuo-associazione, al bottegaio la cooperativa: il sindacato diventa un individuo collettivo che svecchia la libera concorrenza, la obbliga a forme nuove di libertà e di attività. La maggioranza degli individui si organizza, sviluppa le leggi sue proprie di convivenza nuova, crea le competenze, abitua alla responsabilità, al disinteresse, all'iniziativa senza fini immediati di lucro personale. Si diffondono cosí le condizioni ideali e morali per l'avvento del collettivismo, per l'organizzazione della società; si afferma quella atmosfera morale per la quale il nuovo regime non sia il trionfo dei poltroni e degli irresponsabili, ma sicuro progresso storico, realizzazione di una vita superiore a tutte quelle passate.






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42 Non firmato, Il Grido del Popolo, 9 marzo 1918.





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