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Antonio Gramsci
Scritti politici I

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  • 1918
    • Astrattismo e intransigenza
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Astrattismo e intransigenza46

 

La Stampa dell'8 maggio ha pubblicato un articolo di un «simpatizzante», sul dissidio socialista manifestatosi nella polemica tra la direzione dell'Avanti!, che scrive per tutta la frazione intransigente rivoluzionaria e alcuni membri del gruppo parlamentare che scrivono non si sa bene per chi. Il «simpatizzante» simpatizza specialmente per il gruppo, ma non riesce a dare di questa simpatia una dimostrazione che convinca intimamente cosí come può convincere qualcuno per l'apparenza formale di una ferrea logicità. Ciò che cercheremo di dimostrare.

Il dissidio esistente nel partito avrebbe le sue scaturigini nello stesso Carlo Marx, la cui personalità si rivelerebbe sotto due aspetti: quella del mistico-rivoluzionario e quella del concreto-storico. Gli intransigenti sarebbero dei mistici-astrattisti, i collaborazionisti sarebbero dei concretisti, degli storicisti, dei realisti (domandiamo perdono per la filastrocca degli isti). Il misticismo si sarebbe accordato col concretismo nella negazione della guerra, dando luogo alla compattezza occasionale del partito, ma il granito ha questa intima screpolatura, e la lucertola del dissidio fa ogni tanto capolino dalla fessura.

Il «simpatizzante» è egli stesso un'astrattista coi fiocchi, cioè non è un temperamento politico.

La sua astrazione prediletta sono i «fatti». Ma esistono i fatti senza gli uomini, e i determinati fatti senza i determinati uomini, che hanno una determinata cultura, che si propongono un determinato fine? Il concretismo diviene astrattismo quando, allucinato dall'empirismo, dimentica che i fatti, in quanto attualità e non storia del passato, in quanto spinta per lo sviluppo ulteriore della loro essenza effettiva, sono sovrattutto conoscenza, giudizio, valutamento, e queste belle cose sono possibili solo se gli uomini, gli aggruppamenti si propongono un fine generale nella loro azione. La traiettoria dei fatti è la risultante obiettiva delle attività svolte dalle energie sociali costituite: lo Stato e il Partito socialista. Uno si propone un fine quantitativo (fissabile nello spazio e nel tempo) e opera attraverso i suoi organi, dall'esercito alla magistratura, ai quotidiani. L'altro si propone anch'esso un fine quantitativo, ma non come immediato, e ottiene immediatamente dei parziali successi qualitativi: trasforma il costume, chiarifica idee, fa conoscere le energie reali operanti, suscitando, organizzando energie ancora passive, da cui scaturirà l'ordine nuovo attraverso il quale il fine ultimo sarà realizzato.

Concretismo assoluto, perché non si illude che la legge abbia valore senza il controllo intelligente dei rappresentanti, che l'idea sia storia senza la forza organizzata. Le idee, i principi, l'intransigenza ideale divengono cosí concretezze storiche, anche se immediatamente non fanno abdicare un monarca o vincere una battaglia.

Le due facce di Carlo Marx (storicismo e misticismo) che diventano i due termini del dissidio socialista, sono un'amplificazione retorica. Lo storicismo concreto di Marx è pura serietà di studioso, che ricerca i documenti del passato. Questi documenti sono definitivi, e lo studio ha il fine della verità, della ricreazione della storia, non della sua creazione. La concretezza in questo caso significa solo assenza di tutte le passioni, di tutte le energie, che non siano quelle necessarie per la ricerca, per la ricostruzione del passato, nel suo assestamento in una determinata forma d'equilibrio. Non sarebbe concreto Marx neppure in questo caso, se il concretismo fosse quale l'immagina il «simpatizzante». La storia, anche del passato, deve servirsi di schemi pratici, di idee generali, deve astrarre dai singoli individui, concretezza massima, e studiare l'attività tendenziale delle forze sociali costituite, consciamente o inconsciamente. Il «simpatizzante», invece, se fosse coerente con tutto il suo concretismo, dovrebbe ridurre la storia a un atomismo individuale; egli è un empirico, non un politico storicista, e la sua dimostrazione ha apparente robustezza, ma è viziata da un intimo astrattismo polverizzatore e scettico.

Marx irride le ideologie, ma è ideologo in quanto uomo politico attuale, in quanto rivoluzionario. La verità è che le ideologie sono risibili quando sono pura chiacchiera, quando sono rivolte a creare confusioni, ad illudere e asservire energie sociali, potenzialmente antagonistiche, ad un fine che è estraneo a queste energie. Marx irride i democratici spappolati, che non conoscono la forza, credono la parola sia carne, credono che alle forze organizzate basti opporre la parola, che ai fucili e ai cannoni basti opporre il petardo del vaniloquio. Ma come rivoluzionario, cioè uomo attuale di azione, non può prescindere dalle ideologie e dagli schemi pratici, che sono entità storiche potenziali, in formazione; solo che le salda con la forza dell'organizzazione, del partito politico, della associazione economica.

Il «simpatizzante» riconosce che il dogma, lo schema pratico della classe, avendo generato l'intransigenza, ha rinvigorito il partito (cioè la classe potenziale, in formazione, che si integra giorno per giorno). Non pensa che il dogma ha cosí dimostrato di essere una concretezza, ed ha esaurito il solo suo compito. L'uomo politico che non sia un empirico, opera per l'avvenire come se la classe fosse già attualmente in piena efficienza di quadri. Ottiene lo scopo immediato di rinvigorirsi e di trasformare il costume, di migliorare l'ambiente generale. La critica dovrebbe dimostrare, per essere concreta, come questi schemi pratici siano arbitrari, come l'astrazione, che è una necessità della pratica, sia gratuita, cioè non diventerà mai organizzazione, date le premesse storiche attuali. Ma la dimostrazione è impossibile perché lo schema della classe, diventato azione col metodo dell'intransigenza, ha determinato un rinvigorimento, documento di concretezza nel presente e piú nell'avvenire.

Il «simpatizzante» è anch'egli un mistico inconsapevole, dato che misticismo significhi non adesione alla vita, all'azione. Crede ai fini concreti fissati e raggiungibili a priori. Immagina l'avvenire come un qualcosa di solido, della solidità del passato. Non è un dialettico, sebbene si serva di questa parola, e non immagina il futuro come puro giuoco di forze potenziali che nel presente hanno solo un presupposto; il futuro non è che il riflesso che la nostra fantasia logica proietta del presente per avere un indirizzo certo e non empirico, di tutti e non di pochi, delle organizzazioni non di individui rappresentativi e incontrollati. Esistono i fini concreti, ma essi si attuano parzialmente ogni giorno, nell'esteriorità e nelle coscienze. Il problema è da porsi in questi termini: di questi fini concreti solo una parte si attua quotidianamente; questa parte non è fissabile a priori perché la storia non è un calcolo matematico: questa parte è il risultato dialettico delle attività sociali in continua concorrenza di fini massimi. Solo se questi fini massimi sono perseguiti col metodo dell'intransigenza, la dialettica è storia e non arbitrio puerile, è risultato solido, e non sbaglio, che bisogni disfare e correggere.

Nasce il dovere dell'intransigenza, pura da ogni empirismo arbitrario. Questo dovere è di tutte le energie sociali; è la ragione di vita e di sviluppo del Partito socialista. La storia è dialettica della lotta di classe, che ha protagonista e antagonista lo Stato e il Partito socialista con le organizzazioni economiche che il partito controlla. Ma di questo snodarsi di avvenimenti sono anche fattori i partiti politici borghesi in continua concorrenza fra di loro per la conquista dello Stato (concorrenza che non permette il metodo intransigente) e la passività, l'inerzia delle moltitudini. L'intransigenza conquista al partito questa inerzia, e la conquista è effettiva perché fatta con l'organizzazione, attraverso il fine generale, il programma massimo. La collaborazione è morte dello spirito, perché è assenza di distinzione, di plasticità politica. Il «simpatizzante» dovrebbe dimostrare che il fine massimo dei socialisti è arbitrario, che la classe, oltreché astrazione, è astrazione arbitraria, che non aderisce ai fatti, neppure negativamente. Dimostrare che esistono i fatti in sé, fuori del giudizio degli uomini, come qualcosa di fatale e non di necessario dialetticamente. Dimostrare che la vita è confusione e non chiarezza, che le idee generali sono astrattismi e non concrete realtà quanto il cannone e le manette. Cosí solo potrà dimostrare che l'intransigenza è passività e reazione e non, come noi crediamo, metodo necessario e sufficiente perché la realtà effettiva si organizzi e si riveli, perché la storia dialetticamente necessaria si affermi, sia pure questa storia la reazione degli altri e non il «democraticismo», ideologico e vacuo di Giovanni Giolitti che in concreto ha sempre voluto dire: protezione doganale, accentramento statale con la tirannia burocratica, corruzione del Parlamento, favori al clero e alle caste privilegiate, schioppettate sulle strade contro gli scioperanti, mazzieri elettorali. Ha voluto dire anche qualche pizzico di legislazione sociale, ma per gli intransigenti le leggi sono inutili se non corrisponde loro il costume, e queste leggine sono sbagli, in senso classista, perché non essendoci il costume diffuso, sono diventate privilegi di categorie.






p. -

46 Non firmato, Il Grido del Popolo, 11 maggio 1918.





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