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Antonio Gramsci Scritti politici I IntraText CT - Lettura del testo |
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L'opera di Lenin54
La stampa borghese di tutti i paesi e specialmente quella francese (la speciale distinzione dipende da ragioni intuitive) non ha nascosto la sua immensa gioia per l'attentato contro Lenin. I sinistri beccamorti dell'antisocialismo hanno sconciamente tripudiato sul presunto cadavere sanguinoso (o destino crudele, quanti pii desideri, quanti soavi ideali tu hai infranto), hanno esaltato la gloriosa omicida, hanno rinverdito la tattica, squisitamente borghese, del terrorismo e del delitto politico. I beccamorti sono stati defraudati: Lenin vive e noi auguriamo, per il bene e la fortuna del proletariato, che egli riacquisti presto il vigore fisico e riprenda il suo posto di milite del socialismo internazionale. Il baccanale giornalistico avrà avuto anch'esso la sua efficacia storica: i proletari ne hanno colto la significazione sociale. Lenin è l'uomo piú odiato nel mondo, cosí come un giorno lo fu Carlo Marx [dodici righe censurate]. Lenin ha consacrato tutta la sua vita alla causa del proletariato: il contributo che egli ha dato allo sviluppo dell'organizzazione e alla diffusione delle idee socialiste in Russia è immenso. Uomo di pensiero e di azione trova la sua forza nel carattere morale; la popolarità che gode tra le masse operaie è spontaneo omaggio alla sua rigida intransigenza verso il regime capitalista: egli non si è mai lasciato abbacinare dalle apparenze superficiali della società moderna, che altri hanno scambiato con la realtà, precipitando quindi di errore in errore. Lenin, applicando il metodo foggiato da Marx, trova che la realtà è il profondo e incolmabile abisso che il capitalismo ha scavato fra il proletariato e la borghesia, ed il sempre crescente antagonismo delle due classi. Nello spiegare i fenomeni sociali e politici e nel fissare al partito la via da seguire in tutti i momenti della sua vita, non perdette mai di vista la molla piú potente di tutta l'attività economica e politica: la lotta di classe. Egli appartiene alla schiera dei piú fervidi e piú convinti assertori dell'internazionalismo del movimento operaio. Ogni azione proletaria deve essere subordinata o coordinata all'internazionalismo, deve poter avere carattere internazionalista. Qualunque iniziativa, in qualunque momento, sia pure transitoriamente, viene in conflitto con questo ideale supremo, deve essere combattuta inesorabilmente: perché ogni deviamento, per piccolo che sia, dalla strada che conduce direttamente al trionfo del socialismo internazionale è contrario agli interessi del proletariato, interessi lontani o immediati, e serve solo a inacerbire la lotta e a prolungare la dominazione della classe borghese. Egli, il «fanatico», l'«utopista», sostanzia il suo pensiero e la sua azione, e quella del partito, unicamente su questa profonda e incoercibile realtà della vita moderna, non sui fenomeni superficialmente vistosi, che conducono sempre i socialisti, che se ne lasciano abbacinare, verso illusioni ed errori che mettono a repentaglio la compagine del movimento. Perciò Lenin ha sempre visto trionfare le sue tesi, mentre quelli che gli rimproveravano il suo «utopismo» ed esaltavano il proprio «realismo», venivano miseramente travolti dai grandi avvenimenti storici.
Subito dopo lo scoppio della rivoluzione e prima di partire per la Russia, Lenin aveva inviato ai compagni il monito: «Diffidate di Kerenski», gli avvenimenti che si sono poi svolti gli hanno dato piena ragione. Nell'entusiasmo della prima ora per la caduta dello zarismo, la maggioranza della classe operaia e molti dei suoi condottieri si erano lasciati convincere dalla fraseologia di questo uomo, il quale, colla sua mentalità piccolo-borghese, per la mancanza di qualsiasi programma e di ogni visione socialista della società, poteva condurre la rivoluzione allo sfacelo e trascinare il proletariato russo su una via pericolosa per l'avvenire del nostro movimento [tre righe censurate]. Arrivato in Russia, Lenin si mise subito a svolgere la sua azione essenzialmente socialista, e che potrebbe sintetizzarsi nel motto di Lassalle: «Dire ciò che è»: una critica stringente e implacabile dell'imperialismo dei cadetti (partito costituzionale-democratico, il piú grande partito liberale della Russia), della fraseologia di Kerenski e del collaborazionismo dei menscevichi. Basandosi sullo studio critico approfondito delle condizioni economiche e politiche della Russia, dei caratteri della borghesia russa e della missione storica del proletariato russo, Lenin fin dal 1905 era venuto alla conclusione che per l'alto grado di coscienza di classe del proletariato, e dato lo sviluppo della lotta di classe, ogni lotta politica si sarebbe trasformata in Russia necessariamente in lotta sociale contro l'ordinamento borghese. Questa posizione speciale in cui si trovava la società russa era dimostrata anche dalla incapacità della classe capitalista a condurre una seria lotta contro lo zarismo per sostituirgli il suo dominio politico. Dopo la rivoluzione del 1905, in cui sperimentalmente si dimostrò la enorme forza del proletariato, la borghesia ebbe paura di ogni movimento politico al quale il proletariato avrebbe partecipato, e per necessità storica di conservazione divenne sostanzialmente controrivoluzionaria. L'espressione fedele di questo stato d'animo fu dato dallo stesso Miliucoff in uno dei suoi discorsi alla Duma: il Miliucoff affermò che preferiva la sconfitta militare alla rivoluzione. La caduta dell'autocrazia non mutò per nulla i sentimenti e le direttive della borghesia russa, anzi la sua sostanza reazionaria andò aumentando a mano a mano che la forza e la coscienza del proletariato si concretava. La tesi storica di Lenin si avverò: il proletariato divenne il gigantesco protagonista della storia, ma era un gigante ingenuo, entusiasta, pieno di fede in sé e negli altri. La lotta di classe, esercitata in un ambiente di dispotismo feudale, gli aveva dato la coscienza della sua unità sociale, della sua potenza storica, ma non l'aveva educato al metodo freddo e realistico, non gli aveva formato una volontà concreta. La borghesia si rimpicciolí furbescamente, nascose i suoi caratteri essenziali con frasi altisonanti: per la sua opera illusionistica si serví del Kerenski, l'uomo piú popolare fra le masse al principio della rivoluzione; i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari (non marxisti, eredi del partito terroristico, intellettuali piccolo-borghesi) la aiutarono inconsciamente, con il loro collaborazionismo, a nascondere le sue intenzioni reazionarie e imperialiste. Contro questo inganno si levò vigorosamente il partito bolscevico con a capo Lenin, implacabilmente smascherando le vere intenzioni della borghesia russa, combattendo la tattica nefasta dei menscevichi che consegnava il proletariato mani e piedi legati alla borghesia. I bolscevichi rivendicavano ai Soviet tutti i poteri, perché ciò solo poteva costituire una garanzia contro le mene reazionarie delle classi abbienti.
All'inizio gli stessi Soviet, sotto l'influsso dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari, si opponevano a questa soluzione e preferivano dividere il potere con i diversi elementi della borghesia liberale; anche la massa, eccettuata una minoranza piú avanzata, lasciava fare, non vedendo chiaro nella realtà delle cose, mistificata da Kerenski e dai menscevichi al governo [diciassette righe censurate]. Gli eventi si sviluppavano in modo da dare completa ragione alla critica serrata e stringente di Lenin e dei bolscevichi, che avevano sostenuto non avere la borghesia né il desiderio né la capacità di dare una soluzione democratica agli obiettivi della rivoluzione, ma che essa, aiutata inconsciamente dai socialisti collaborazionisti, avrebbe condotto il paese alla dittatura militare, strumento politico necessario per il conseguimento dei fini imperialistici e reazionari. Le masse operaie e contadine, attraverso la propaganda dei bolscevichi, cominciarono a rendersi conto di quanto avveniva, acquistarono una capacità e una sensibilità politica sempre maggiore: la loro esasperazione proruppe la prima volta nel luglio con la sollevazione di Pietrogrado facilmente repressa dal Kerenski. Questa sollevazione, quantunque giustificata dalla funesta politica di Kerenski, non aveva però l'adesione dei bolscevichi e di Lenin, perché i Soviet rimanevano ancora contrari ad assumere tutto il potere nelle loro mani e per conseguenza ogni sollevazione virtualmente si dirigeva contro i Soviet, che, bene o male, rappresentavano la classe. Bisognava quindi continuare ancora la propaganda classista e persuadere gli operai a mandare nei Soviet delegati convinti della necessità che i Soviet assumessero tutto il potere del paese. Appare anche da ciò evidente il carattere essenzialmente democratico dell'azione bolscevica, rivolta a dare capacità e coscienza politica alle masse, perché la dittatura del proletariato si instaurasse in modo organico e risultasse forma matura di regime sociale economico-politico. Ad affrettare lo svolgersi degli avvenimenti contribuí, oltre che l'atteggiamento sempre piú provocante della borghesia, il tentativo militare, fatto da Korniloff, di marciare su Pietrogrado per impossessarsi del potere, e poi Kerenski con i suoi gesti napoleonici, con la formazione di un gabinetto composto di noti reazionari, col suo preparlamento non eletto col suffragio universale, e finalmente col divieto del Congresso panrusso dei Soviet, vero colpo di Stato contro il popolo, inizio del tradimento borghese verso la rivoluzione. Le tesi di Lenin e dei bolscevichi, sostenute, ribadite, propagate con lavoro perseverante e tenace fin dall'inizio della rivoluzione, avevano nella realtà una riprova assoluta: il proletariato, tutto il proletariato delle città e delle campagne si schierò risolutamente attorno ai bolscevichi, rovesciò la dittatura personale di Kerenski consegnando il potere al Congresso dei Soviet di tutta la Russia. Come era naturale, il Congresso panrusso dei Soviet, che si era convocato nonostante il divieto di Kerenski, affidò, fra l'entusiasmo generale, la carica di presidente del Consiglio dei commissari del popolo a Lenin che aveva dimostrato tanta abnegazione per la causa del proletariato e tanta chiaroveggenza nel giudicare i fatti e nel tracciare il programma d'azione della classe operaia [trentacinque righe censurate].
La stampa borghese di tutti i paesi ha sempre rappresentato Lenin come un «dittatore» che si è imposto con la violenza ad un popolo sterminato e lo opprime ferocemente. I borghesi non riescono a concepire la società che inquadrata nei loro schemi dottrinari: la dittatura per loro è Napoleone, o sia pure Clemenceau, è il dispotismo accentratore di tutto il potere politico nelle mani di uno solo, ed esercitato attraverso una gerarchia di servi armati di schioppo o emarginatori di pratiche burocratiche. Perciò la borghesia ha tripudiato alla notizia dell'attentato contro il nostro compagno, e ne ha decretato la morte: sparito il «dittatore» insostituibile, tutto il regime nuovo, secondo la loro concezione, dovrebbe miseramente crollare [sessantatre righe censurate]. Egli è stato aggredito mentre usciva da una officina, dove aveva tenuto una conferenza agli operai: il «feroce dittatore» continua dunque la sua missione di propagandista, è sempre a contatto coi proletari, ai quali porta la parola della fede socialista, l'incitamento all'opera tenace di resistenza rivoluzionaria, per costruire, per migliorare, per progredire attraverso il lavoro, il disinteresse, il sacrifizio. Fu colpito dal revolver di una donna, di una socialista-rivoluzionaria, di una vecchia militante del sovversivismo terroristico. Nell'episodio è tutto il dramma della rivoluzione russa. Lenin è il freddo studioso della realtà storica, che tende organicamente a costruire una società nuova su basi solide e permanenti, secondo i dettami della concezione marxista: è il rivoluzionario che costruisce senza farsi illusioni frenetiche, ubbidendo alla ragione e alla saggezza. Dora Kaplan era una umanitaria, una utopista, una figlia spirituale del giacobinismo francese, che non riesce a comprendere la funzione storica dell'organizzazione e della lotta di classe, che crede socialismo significhi immediata pace fra gli uomini, paradiso idillico di gaudio e di amore. Che non comprende quanto complessa sia la società e come difficile il compito dei rivoluzionari appena divenuti gestori della responsabilità sociale. Ella era certo in buona fede, e credeva poter far raggiungere all'umanità russa la felicità liberandola dal «mostro». Non certo in buona fede sono i suoi glorificatori borghesi, i beccamorti schifosi della stampa capitalistica. Essi hanno esaltato il socialista-rivoluzionario Ciaicovski che ad Arcangelo aveva accettato di porsi a capo del movimento antibolscevico e aveva rovesciato il potere dei Soviet: ora, che egli ha compiuto la sua missione antisocialista ed è stato mandato in esilio dai borghesi russi capeggiati dal colonnello Sciaplin, irridono al vecchio pazzo, al sognatore. La giustizia rivoluzionaria ha punito Dora Kaplan: il vecchio Ciaicovski sconta in un'isola di ghiaccio il suo delitto d'essersi fatto strumento della borghesia, e sono i borghesi che lo hanno punito e si ridono di lui. |
p. - 54 Non firmato, Il Grido del Popolo, 14 settembre 1918. |
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