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Antonio Gramsci
Scritti politici I

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  • 1917
    • Analogie e metafore
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Analogie e metafore29

 

L'on. Claudio Treves, si compiace di «sottili analogie» (Critica sociale, 1-17 settembre). Talmente se ne compiace che ad esse, e alle loro affini, le metafore, sacrifica il pensiero, la ricerca affannosa della verità, la comprensione stessa del particolar mondo in cui egli si illude di vivere e di operare.

Attraverso le analogie e le metafore, la vita, la vita degli uomini, che è sangue e dolore, che è sofferenza e lotta, diventa qualcosa di astratto, di semplicistico, di materialmente insensibile come i pezzi di una scacchiera, cui si dànno preventivamente nome e valore e poi si fanno muovere e saltellare con una mossa della mano, preventivamente sicuri del successo o dell'insuccesso; l'astrattismo arriva fino al punto, che la potenza della volontà, negata come fattore attivo di storia, messa in burletta come «aspettazione fiduciosa del miracolo», viene poi reintegrata in tutto il suo valore come negatività. La volontà è solo fattiva quando nega, è illusione idealistica quando afferma: la volontà è attiva quando «difende», è pietosa illusione di cretini quando prende un'iniziativa. Per la «sottile» dialettica dell'on. Treves, concettualmente non esiste che la difensiva: l'offensiva è vaneggiamento di menti inferme.

La verità è che l'on. Treves, «stratego» della lotta di classe, ha rivendicato gli «imbottitori di crani» che ci deliziano nei giornali borghesi. Ha esagerato il loro metodo. Ha ridotto in ischemi, in pezzi da scacchiera, ciò che è assolutamente irriducibile. La «sottile analogia strategica tra la guerra e la lotta di classe» l'ha indotto a dare corpo a quei vani fantasmi metaforici che sono l'«esercito proletario» coi suoi battaglioni, con le sue fortezze, coi suoi campi trincerati. Ha immaginato tutta una gerarchia di ufficiali, sottufficiali, caporali e soldati del partito, delle organizzazioni, delle officine. Li ha visti muoversi, ben inquadrati nei ranghi all'assalto del nemico, «nell'illusione che la vittoria è una meta attiva, la quale, per non essere vincolata a circostanze reali, obiettive, si raggiunge con qualsiasi mezzo e basta agire perché nell'azione ogni sforzo sia valido, ogni volizione sia sacra al trionfo».

La verità è che la «sottile analogia» dell'on. Treves, per essere tanto sottile, finisce coll'essere assenza assoluta di intelligenza.

Il proletariato non è un esercito, non ha ufficiali, sottufficiali, caporali e soldati. La sua vita collettiva non può essere neppure lontanamente paragonata alla vita collettiva di un esercito in armi, se non per incidenze, per metafore. Il proletariato ha una vita collettiva che non può entrare in nessuno schema astratto. È un organismo in continua trasformazione che ha una volontà, ma questa non è la volontà libresca contro cui l'on. Treves tira freccioline di carta stampata. I socialisti non sono gli ufficiali dell'esercito proletario, sono una parte del proletariato stesso, ne sono la coscienza forse, ma come la coscienza non può esser scissa da un individuo, cosí i socialisti non possono essere posti in dualismo col proletariato. Sono uno, sempre uno, e non comandano, ma vivono col proletariato, come il sangue circola e si muove nelle vene di un corpo e non può essere fatto vivere e muover entro tubi di gomma avvoltolati attorno a un cadavere. Vivono nel proletariato, e la loro forza è nella forza del proletariato, e la loro potenza è in questo aderire perfetto.

L'on. Treves dichiara che un determinato atto di vita è un «errore». Ma errore e verità sono atti di pensiero: la vita è, semplicemente; il successo e l'insuccesso non ne sono predicati necessari. Dimostrare di esistere, assicurarsi di esistere, sentire battere il proprio cuore e pulsare le vene è già un successo, è il piú grande successo della vita.

L'esistenza, la dimostrazione della esistenza è il problema massimo del proletariato italiano in questo momento. E questo proletariato non è lo stesso di tre anni fa. È piú esteso numericamente, ha attraversato piú intense esperienze spirituali. Non ha avuto il tempo di organizzarsi, ancora; non può organizzarsi. Le elaborazioni, gli assorbimenti di cultura socialista possibili in tempi normali, non sono piú possibili ora normalmente. Il Partito socialista, il socialismo italiano è piú ricco ora di succhi che non lo fosse tre anni fa. Ma non conosce tutte le sue forze, e si agita, o tende a diventare organismo piú ampio e trabocca qua e là, incompostamente secondo il buon senso filisteo, fruttuosamente secondo una spregiudicata concezione della vita.

Noi ci sentiamo solidali con questo nuovo immenso pullulare di forze giovani e non ne rinneghiamo quelli che i filistei chiamano errori, e gioiamo del senso della vita gagliarda che ne promana. E pertanto compatiamo la vecchia mentalità astratta che tutta in ghingheri sciorina le «vecchie prediche» e si pavoneggia sui trampoli delle sottili analogie e delle metafore viete. Il proletariato non vuole predicatori di esteriorità, freddi alchimisti di parolette, vuole comprensione intelligente e simpatia piena d'amore.






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29 Non firmato, Il Grido del Popolo, 15 settembre 1917.





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