Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Antonio Gramsci Scritti politici I IntraText CT - Lettura del testo |
|
|
Letture34
Ho qui sul tavolino alcune pubblicazioni recentissime. Altre ne vedo annunziate. Ho ricevuto due o tre circolari che annunziano l'uscita di periodici che dovranno trattare i problemi che si riferiscono alla complessa azione che deve svolgere il proletariato per il raggiungimento dei suoi fini immediati o ultimi. Discorro con compagni, con amici, con affini. Sento in tutti un qualcosa di diverso. Dei bisogni nuovi sono sorti, e stimolano il pensiero. La realtà ambiente è vista ora sotto punti di vista nuovi. Tutti sono irrequieti, è in tutti un tumulto di intenzioni ancora incerte e vaghe che si esprimono genericamente, che non riescono a solidificarsi. Perché nasconderlo? Partecipo anch'io di questa irrequietezza, di questa incertezza. Certo di infrenare gli stimoli, di non lasciarmi sommergere da ondate di impressioni nuove che bussano alla soglia della coscienza e vogliono essere accolte, e vogliono essere esaminate. Tre anni di guerra hanno ben portato delle modificazioni nel mondo. Ma forse questa è la maggiore di tutte le modificazioni : tre anni di guerra hanno reso sensibile il mondo. Noi sentiamo il mondo; prima lo pensavamo, solamente. Sentivamo il nostro piccolo mondo, eravamo compartecipi dei dolori, delle speranze, delle volontà, degli interessi del piccolo mondo nel quale eravamo immersi piú direttamente. Ci saldavamo alla collettività piú vasta solo con uno sforzo di pensiero, con uno sforzo enorme di astrazione. Ora la saldatura è diventata piú intima. Vediamo distintamente ciò che prima era incerto e vago. Vediamo uomini, moltitudini di uomini dove ieri non vedevamo che Stati o singoli uomini rappresentativi. L'universalità del pensiero si è concretata, tende almeno a concretarsi. Qualcosa crolla necessariamente, in noi e negli altri. Si è formata una temperie morale nuova: tutto è mobile, instabile, fluido. Ma le necessità del momento urgono, e perciò il fluido tende a stagnare, ciò che non è altro che avventura spirituale vuole diventare definitivo. Lo stimolo al pensiero si pone come pensiero bello e perfetto. Ciò che è solo velleità si pone come volontà chiara e concreta. E nasce il caos, la confusione delle lingue, e si incrociano le proposte piú pazzesche con le piú luminose verità. Scontiamo cosí la nostra leggerezza di ieri, la nostra superficialità di ieri. Disabituati al pensiero, contenti della vita del giorno per giorno, ci troviamo oggi disarmati di contro alla bufera. Avevamo meccanizzato la vita, avevamo meccanizzato noi stessi. Ci accontentavamo di poco: la conquista di una piccola verità ci riempiva di tanta gioia come se avessimo conquistato tutta la verità. Rifuggivamo dagli sforzi, ci sembrava inutile porre delle ipotesi lontane e risolverle, sia pure provvisoriamente. Eravamo dei mistici inconsapevolmente. O davamo troppa importanza alla realtà del momento, ai fatti, o non ne davamo loro alcuna. O eravamo astratti perché di un fatto, della realtà facevamo tutta la nostra vita, ipnotizzandoci, o lo eravamo perché mancavamo completamente di senso storico, e non vedevamo che l'avvenire sprofonda le sue radici nel presente e nel passato, e gli uomini, i giudizi degli uomini possono fare dei salti, devono fare dei salti, ma non la materia, la realtà economica e morale. Tanto piú grande è il dovere attuale di porre un ordine in noi. Il mondo si è avvicinato a noi, meccanicamente, per impulsi e forze che erano a noi estranee. Inconsapevolmente molti vedono in noi la salvezza. Eravamo gli unici che preparavamo un avvenire diverso, migliore del presente. Tutti i disillusi, ma specialmente tutta l'enorme moltitudine che tre anni di guerra hanno portato alla luce della storia, hanno obbligato a interessarsi della vita collettiva, aspettano da noi la salvezza, l'ordine nuovo. Una crisi spirituale enorme è stata suscitata. Bisogni inauditi sono sorti in chi fino a ieri non aveva sentito altro bisogno che quello di vivere e di nutrirsi. E ciò proprio nel momento storico — come del resto necessariamente doveva avvenire — in cui è avvenuta la maggiore distruzione di beni che la storia registri, di quei beni che soli possono appagare la maggior parte di quei bisogni. Le pubblicazioni nuove, le nuove riviste, non mi dànno, non riescono a darmi alcuna delle soddisfazioni che io cerco. Ciò, del resto, non è una ragione di sconforto. Le soddisfazioni le devo ricercare in me stesso, nell'intimo della mia coscienza, dove solo possono comporsi tutti i dissidi, tutti i turbamenti suscitati dagli stimoli esterni. Questi libri non sono altro per me che stimoli, che occasioni per pensare, per scavare in me stesso, per ritrovare in me stesso le ragioni profonde del mio essere, della mia partecipazione alla vita del mondo. Queste letture mi convincono ancora una volta che un grande lavoro deve essere ancora fatto da noi socialisti: lavoro di interiorizzazione, lavoro di intensificazione della vita morale. Si minaccia tutta una campagna serrata per la revisione delle formule, dei programmi finora adottati. Non questo revisionismo è necessario. Gli errori che si sono potuti commettere, il male che non si è potuto evitare non sono dovuti a formule o a programmi. L'errore, il male era in noi, era nel nostro dilettantismo, nella leggerezza della nostra vita, era nel costume politico generale, dei cui pervertimenti anche noi partecipavamo inconsapevolmente. Le formule, i programmi erano esteriori, erano inanimati per troppi; non li vivevamo con intensità, con fervore, non vibravano in ogni atto della nostra vita, in ogni momento del nostro pensiero. Cambiare le formule non significa nulla. Occorre che cambiamo noi stessi, che cambi il metodo della nostra azione. Siamo avvelenati da un'educazione riformistica che ha distrutto il pensiero, che ha impaludato il pensiero, il giudizio contingente, occasionale, il pensiero eterno, che si rinnova continuamente pur mantenendosi immutato. Siamo rivoluzionari nell'azione, mentre siamo riformisti nel pensiero: operiamo bene e ragioniamo male. Progrediamo per intuizioni, piú che per ragionamenti; e ciò porta a una instabilità continua, a una continua insoddisfazione: siamo dei temperamenti piú che dei caratteri. Non sappiamo mai ciò che i nostri compagni potranno fare domani; siamo disabituati al pensare concreto, e perciò non sappiamo fissare ciò che domani si debba fare, e se lo sappiamo per noi, non lo sappiamo per gli altri, che ci sono compagni di lotta, che dovranno coordinare i loro sforzi ai nostri sforzi. Nella complessa vita del movimento proletario manca un organo, sentiamo che manca un organo. Dovrebbe esserci, accanto al giornale, alle organizzazioni economiche, al partito politico, un organo di controllo disinteressato, che fosse il lievito perenne di vita nuova, di ricerca nuova, che favorisse, approfondisse e coordinasse le discussioni, all'infuori di ogni contingenza politica ed economica. Nel corso di queste relazioni di letture fatte, questi bisogni che io sento, che molti altri sentono con me, andranno concretandosi, e con l'aiuto dei compagni di buona volontà sarà prospettata una soluzione e indicata una via da seguire. |
p. - 34 Siglato A.G., Il Grido del Popolo, 24 novembre 1917. |
Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2008. Content in this page is licensed under a Creative Commons License |