AVVERTENZA.
Le agitazioni popolari
trasmodando in Italia nel 1848, siccome avviene in tutti i movimenti politici,
tenevano inquieti gli animi delle classi più agiate, tanto più insofferenti di
tumulti quanto meno abituate alla vita politica degli Stati liberi.
La Toscana, agitata anch'essa, sperò maggior quiete
nel Ministero del 26 ottobre; e comunque il desiderio si spingesse oltre il
possibile, tuttavia la parte più intelligente e spassionata riconobbe
singolarmente in F.-D. Guerrazzi l'uomo che il ristabilimento dell'ordine
voleva e si adoprava per conseguirlo.
Penetrato dei suoi
doveri di Ministro Costituzionale, egli pose rara solerzia nel conciliare lo
elemento democratico con il Principato Rappresentativo, al quale ebbe
l'ossequio e l'affetto che quei doveri e la sua coscienza gl'imponevano.
Penetrato del bisogno di
dare alla Italia la sua Nazionalità, secondò con ogni sforzo in questo fine santissimo
i chiari voleri del Principe, e si adoprò ad un ingrandimento dei singoli Stati
entro i limiti del possibile.
Lasciati varii Stati, ed
il nostro fra questi, a loro stessi nel 1849, in un momento nel
quale sarebbe stato forse più che in altri tempi necessario ogni sforzo dei
Poteri costituiti a risparmiare disastri, tutti gli uomini intelligenti e
spassionati si congratularono che vi fosse al Governo cotesto Uomo, il quale,
lottando vivamente con le irrompenti moltitudini, e gl'impeti furiosissimi
degli
estremi Partiti,
impedisse i gravissimi danni che minacciavano.
Ad esso, al suo non
comune coraggio, alla non comune intelligenza sua nelle cose politiche, si
attribuiva la salvezza del Paese.
Ed invero, riavutosi
dallo stupore del non aspettato abbandono del Principe, egli non risparmiò nè
fatiche nè vigilie, nè schivò pericoli, per salvare il Paese dalla guerra
civile e dall'anarchia, nelle quali cotesto avvenimento fu per gettarlo.
Venne restaurato
l'antico Governo, e la Commissione Municipale sembrò che per un momento
riconoscesse i benefizii da lui resi al Paese e allo stesso Governo ch'essa
restaurava: se non che, fatto di poco più stabile l'antico ordine politico, i
benefizii andarono dimenticati, anzi furono compensati con un Carcere di Stato,
e poi con una accusa di Perduellione!
Alla voce della
coscienza pubblica fu anteposta la querela di certo officiale di polizia,
oscuro e peggio (ora processato per falsità, e dichiarato di perdutissima fama1), il quale divenne l'attivo agente nella
compilazione di un Processo giunto ormai alla mostruosa mole di dieci grosse
filze e varie migliaia di pagine.
Così l'Uomo di chiara
fama letteraria, e del quale Italia, non che Toscana, si onora; l'Uomo che con
esporre vita e salute riuscì a salvare il suo Paese, era costretto a difendersi
ed a lottare nella fangosa arena dei Processi Criminali; conflitto diseguale,
sostenuto per una parte dall'Accusato chiuso in strettissimo carcere con la
smarrita o confusa memoria dei molti fatti che in mezzo al trambusto popolare
erano avvenuti nell'Amministrazione Governativa, costretto a rendere conto dei
mezzi esaminati singolarmente, senza che gli venisse apprezzato il fine
raggiunto; dall'altra, dal tristo Accusatore libero, e forte di mille braccia
che facevano a gara per sovvenirlo.
Venuti a fine, dopo ben
25 mesi, la immane mole del Processo ed i lavori dell'Accusa, fu il tempo del
difendersi. Comunque lo intiero Processo dovesse compilarsi per gli ordini del
Senato, era almeno a sperarsi che, se ciò non era stato osservato, almeno il
giudizio dovesse rinviarsi a quella suprema Magistratura. Ma non fu così: fin
qui i veri Giudici sono stati negati, e conviene rispondere ad atto di Autorità
incompetente. Primo elemento della Difesa dovevano essere i Documenti degli
Archivii Ministeriali, dai quali agevolmente si sarebbe conosciuto come il
Prevenuto si fosse comportato nella sua amministrazione. Conveniva esaminarli e
fare, siccome l'Accusa aveva fatto, la scelta degli utili allo assunto. Quei
Documenti sono stati fino a qui negati: speriamo non lo saranno in avvenire, se
pure le armi dovranno essere pari tra l'Accusa e la Difesa.
Intanto l'Accusa non
potendo dissimulare a sè stessa qual fosse la generale opinione in questo
Processo, pubblicava il frutto delle sue peregrinazioni agli Archivii ed alle
case dell'Imputato, in un grosso Volume a stampa. Fin qui non era avvenuto in
Toscana che si rendessero di pubblica ragione Atti dei Processi Criminali prima
della Sentenza; nè trovo che altrove cotesto sistema costumasse. Convenne
quindi contrapporre alcun lavoro che stesse a distruggere le idee inesatte che
il confuso Volume potesse far nascere.
E questo parve al
Prevenuto diritto e debito fare da sè stesso in rispetto della Patria, degli
amici, e di sè: ond'egli dette mano al presente lavoro, aiutato dai Documenti
medesimi dell'Accusa e da altri pochi raccolti.
Comunque io vada
persuaso che questa Memoria soverchi all'uopo di ribattere l'Accusa, tuttavia
io credo per obbligo di ufficio dovere apprestare sollecitamente altri lavori
sui deposti testimoniali, e preparare poi nuove prove (e tra queste i Documenti
degli Archivii che ci verranno concessi) per il pubblico dibattimento, affinchè
l'alta Magistratura, sola legittima a giudicare di questo Processo, possa con
maggior sicurezza, se non riparare i danni di una carcerazione spinta ormai al
ventinovesimo mese, rendere almeno allo Accusato quel compenso di lode, al
quale la rettitudine delle sue intenzioni, i sacrifizii e le pene consumate pel
pubblico bene, la evidenza dei fatti e delle prove che li accertano, gli danno
inoppugnabile diritto.
Settembre 1851.
Avv. Tommaso Corsi
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