M
Ivi. - Pag. 762.
«Colà stemmo raccolti sei:
rappresentai la indecenza che le donne non potessero avere stanza appartata.
Credei che a gentiluomini e a padri di famiglia dovesse comparire sacra la
ragione del pudore: non risposero. Rappresentai il modo disonesto del
prendermi, che mi pareva nato a un parto con quello tenuto dal Valentino a
Sinigaglia per ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo e compagni:
non risposero.»
Ecco la lettera: la
quale merita tanto maggiore considerazione, in quanto che dettata sotto la
impressione di memorie recenti, piena di contestazioni di fatti del giorno, e
consentanea alle prove, che quantunque raccolte dall'Accusa pur ella ha
reputato suo interesse dissimulare.
«Signori GINO CAPPONI ed
altri componenti la COMMISSIONE GOVERNATIVA.
Desidero sia letta
questa scrittura con la pazienza con la quale io la detto. - Forse tornerà
inutile, eppure non mi sembra bene ometterla, sentendo come per molti capi
importi farla alla mia religione.
Innanzi tratto, sapete
voi, o Signori, in qual modo io venni condotto quaggiù? Rispondendo per voi
dico: No, imperocchè mi parrebbe enorme supporre, che voi lo aveste
saputo, e consentito. A voi poco preme sapere come infiniti modi per sottrarmi alla
disonesta prigionia mi sovvenissero e fossero offerti, i quali tutti, o non
adoperai, o ricusai; quello però che dovrebbe premervi è questo: - che la
mattina del 12 aprile la Deputazione del Municipio Fiorentino, la quale venne
all'Assemblea, consultatomi intorno alla deliberazione presa di governare il
Paese a nome del Principe, proposi farvi aderire l'Assemblea onde le Provincie
più volonterose concorressero, ed ogni mal germe di discordia fosse tolto via;
parendomi ancora pel Principe più onorato, e meno nocivo alla libertà,
richiamarlo in virtù del consenso universale, che per forza di tumulto. A
istanza altrui formulai un Decreto che suppongo voi abbiate nelle mani; voi
sentiste diversamente da me; tuttavolta cotesta carta deve porgervi testimonianza
della mia volontà, disposta a contribuire alla pace del Paese con tutte le mie
forze.
Raccomandandomi il Priore
Digny la Patria con fervidissime parole, e confortatomi ad adoprarmi dal
canto mio onde la sua miseria non si facesse maggiore, io, rispondendo con
pienezza di cuore a lui e agli altri membri della Deputazione Municipale,
proposi recarmi a Livorno con qualche rappresentanza officiale avesse voluto la
Commissione conferirmi per disporre gli animi a starsi all'operato contenti.
Accolsero con segni manifesti di gradimento questa proposta, e il Priore Digny
m'invitava a non partirmi: sarebbe tornato la sera a concertare la cosa.
- Intanto i Deputati si ridussero di quieto ai proprii alberghi, ed io rimasi
contro il consiglio di tutti, e ricusata la carrozza offertami dal Colonnello
Tommi, stretto dal dovere e dalla parola data alla Deputazione
Municipale.
Il Generale Zannetti
e il Colonnello Nespoli vennero verso le ore 3 pom., il primo per assicurarmi
che nella serata, con treno particolare, sarei inviato a Livorno; il secondo a
offrirmi di mandare qualche compagnia di Nazionale alla Stazione per tutelarmi,
ad ogni evento, nel caso avessi voluto partire alle 4. - E poichè il Nespoli
accomiatandosi da me mi baciava, come si costuma, in volto, il Zannetti
favellò queste precise parole: io non ti bacio adesso, ti bacierò stasera.
Tornarono in serata Digny e Zannetti. Il primo tacque delle
facoltà che doveva conferirmi la Commissione, donde io inferiva che non me le
volesse assentire, ma confermarono entrambi sarebbe il mio viaggio avvenuto
nella notte per Livorno. Stessi pronto a partire. Verso le ore 3 del
mattino ricevo il biglietto che unisco, pel quale Zannetti mi
annunzia alcuni non volere lasciar libero il passo, opinare la Commissione
trasferirmi pel Corridore dei Pitti in Belvedere, donde remossi i Carabinieri,
avrebbe messo la Nazionale. Questa lettera, che accenna mutamento di esecuzione
a concerto che resta fermo, in sostanza mi turbò alcun poco, non tanto però che
mi facesse dubitare di uomini probi ed amici. Zannetti venne tardi la
mattina, e dichiarò la prudenza consigliare che per 2 o 3 giorni rimanessi in
Fortezza, tanto che la plebe si sdracasse. Allora le donne, e il Commesso della
Segreteria dello Interno Roberto Ulacco, vollero tenermi compagnia. A
confermarmi nella mia fede valse il fatto seguente: che manifestando io esser
privo di danaro per pagare il viaggio, e certi miei debiti, il Priore
Martelli mi portò L. 1000, e me le consegnò giusto in quel punto che da
Palazzo Vecchio muovevamo a Palazzo Pitti. Durante il cammino, Zannetti
mi avvisò la Commissione non pareva inclinata mandarmi a Livorno, e mi
interrogava se fossi stato contento a starmi qualche tempo lontano dal paese.
Risposi: avere l'animo travagliato così dalle sciagure della Patria, che lo
avrei reputato beneficio; egli però conoscere le mie fortune; provvedesse come
gli pareva meglio. Ed egli a me: lasciassi fare, avrebbe accomodate le cose in
serata, e il giorno appresso sarebbe venuto a darmene ragguaglio. Non l'ho veduto
più. - Mi coglie il ribrezzo pensando da cui mosse la insidia; ma insidia vi
fu, e bruttissima, a modo delle Valentinesche. Ora vorrete voi Gentiluomini
giovarvi di trame proditorie, e di fede tradita?
Sapete voi come io stia
ristretto in carcere con altre cinque persone? Io rispondo per voi, e dico
risolutamente: No. Dentro una stanza alberghiamo quattro, due uomini e due
donne, fra queste la nepote sedicenne, cavata per pochi giorni di convento per
visitare lo Zio. Voi siete padri, o Signori. - Io non aggiungo parola; - solo
desidero vi preservi il Cielo dalla umiliazione di vedere così poco curato il
pudore delle vostre figliuole!...
Da nove giorni qui altro
non si fa che scalpellare, turare, mettere ferrate, cassettoni, graticole e
bodole, tirare tende, inchiodare catenacci, invitiare bandelle, murare e
smurare; e tutto questo con tale una perturbazione del corpo e tortura
dell'animo, da non potersi con parole significare. La mancanza di aria, di
moto, la vista della gente che mi soffre attorno, la cura che mi lima dentro,
hanno inasprito le mie infermità, e temo peggio.
Cagione di tanto
esquisita sevizia si allegano certi segnali fatti dalle finestre. Se alcuno di
voi vedesse di quale generazione sieno queste ferrate e questi cassettoni, e se
sapesse che da martedì in poi stanno al posto, di leggieri vi persuadereste
della falsità del rapporto. Nelle cariche che ho occupato mi son guardato sopra
tutto dalle relazioni degli amici zelanti; ho preferito piuttosto le censure
acerbe dei nemici, perchè le prime mi avrebbero quasi sempre sospinto a errare,
le seconde qualche volta mi schiarirono. Certa fiata mi annunziarono il Barone
Ricasoli far grande raccolta di armi e di cannoni, a Broglio, e mi
accusavano di colpevole oscitanza perchè non commettessi perquisizioni ed altri
simili fastidii: io stetti saldo, e fatta cautamente e discretamente esaminare
la cosa, conobbi le armi esservi, ma non molte, e per armare la Nazionale, ed
esservi pure i cannoni, ma di terra cotta. Se trascorrevo a credere, sarei
stato ingiusto e ridicolo. E perchè non metta più parole intorno a
quest'infelice argomento, dirò che in carcere sono tenuto, per la intelligenza,
come un bruto; per salute, come uomo che si voglia spegnere; per
angustia, come Guazzino; - insomma come un Ciantelli non immaginò
tenermi quando mi mise le mani addosso.
E perchè sono ritenuto
io? Per delitto, o per sospetto? Se per delitto, si proceda a processo
regolarmente e civilmente; io risponderò dei miei fatti collettizii e
particolari. Il Governo Provvisorio fu necessità: voi lo consentiste, e certo
non vorrete allegare che lo faceste per forza, imperciocchè offendereste voi
stessi, non patendo violenza lo animoso Magistrato. Consultare il Paese intorno
alla sua volontà, era pure cosa necessaria, ed io l'assentiva, perchè lo stesso
Principe dal voto universale non repugnava, estimandosi amato, e perchè
Emanuele Fenzi mi assicurava non alieno lo stesso Senato. Se il voto non riuscì
universale, colpa degli uomini ignavi, non mia; e nè tutti gli Elettori della
vecchia Legge Elettorale concorrevano a votare. E le note stampate non facevano
ostacolo, perchè ogni Partito poteva stampare le sue, e le manoscritte
accettavansi. Intanto il Popolo che ora vuole il Principato allora gridava
Repubblica, ed io fui solo contro alle sue ire, e negai che una mano di gente
usurpasse il voto del Popolo consultato con modi civili; e non senza pericolo
della mia persona, e biasimo grande degli esagerati, l'ottenni.
Mi opposi a Laugier: in
prima, perchè a noi mancavano avvisi certi del Principe; e del Laugier
conoscendo la vita e i costumi, non era ignaro dell'avversione manifestata da
lui contro la Casa del Principe fino all'assedio di Gaeta; finalmente si
presentava con la invasione dei Piemontesi, alla quale conoscevo poco propenso il
Granduca; e nemmeno ignoravo agitarsi un Partito nella Toscana, specialmente, a
Lucca, per darsi al Piemonte. Io stesso n'ebbi eccitamenti, e nelle tasche
della mia veste da camera, chiusa nei bauli che sono in Palazzo Vecchio, se non
m'inganno, deve esserne rimasta la prova. Di più, la impresa di Laugier venne
meno per opera dei Popoli che non gli vollero dar reità, e il suo ultimo
Proclama al Popolo della Versilia chiaramente lo manifesta. Come mi studiassi a
fare che la votazione dell'Assemblea procedesse libera, ne porgono
testimonianza la rivista alla Nazionale, i detti e gli scritti pubblici. E
comprendendo troppo bene come si dovesse calare ad onorevole accordo col
Principe, allontanai quelli che mi pareva avessero a contrastare simile
concetto più efficacemente degli altri, o arrestandoli, o beneficandoli, cosa
che si accomoda meglio alla mia natura. All'Assemblea mi opposi alla decadenza
del Principe, alla proclamazione della Repubblica, e all'Unione con Roma:
perchè la prima cosa mi sembrava piena di pericolo per la Patria; alla seconda
non reputando accomodati i tempi nè i costumi; rispetto alla terza, parendomi
cotesta Unione uno di quei matrimonii che si contraggono in articulo mortis;
e dei miei colleghi parte ebbi avversi, e parte fermi a gran pena. A me il
Popolo chiedeva la Repubblica, a voi il Principato; io negai, voi assentiste; e
con ciò disposi quello che avete fatto voi e voleva fare io, pel bene di questa
Patria comune, ma con onore, salve sempre la libertà e la sicurezza delle
persone. Atti, e scritti attestano questo mio concetto, e lo attesteranno anche
persone spettabili, costituite presso noi in ufficio diplomatico.
Avere dato opera alla
difesa dei confini non deve ridondarmi in biasimo, sia perchè la difesa era
stata promessa a codesti Popoli nella loro dedizione, e fu rinnuovata poi; sia
perchè mi pareva onorevole rendere il Paese quale era stato lasciato al
Principe, commettendo per l'avvenire la cura di provvedere a lui stesso.
Tutelai la Religione richiamando lo Arcivescovo di Firenze, e tenendo ferme le
censure comminate da Lui contro preti protetti dal Popolo; mantenni con ogni
supremo sforzo il Paese salvo da omicidii e da saccheggi: l'altrui vita salvai
esponendo la mia.
Spero che nessuno di voi
mi reputi così scellerato o stolto, che per me si partecipasse al fatto
eternamente lamentabile dell'11 aprile. Il Battaglione Guarducci ottima prova
di sè aveva fatto a Pistoia, siccome lo attestano le dichiarazioni che io mi
ebbi, e la fede dello egregio Franchini mandato a speculare sui luoghi. Da
Arezzo, dove fu diretto, prima vennero biasimi, poi giustificazioni per la
parte del Romanelli, onde io non reputai commettere fallo rendere cotesto
Battaglione a Pistoia, facendolo transitare da Firenze, e qui fornirlo di armi
e di vesti. Intorno a questa gente io non ricevei mai reclamo, nè credo lo
ricevesse il Ministro della Guerra. I Volontarii raccolti in Fortezza di San
Giovanni erano consegnati, ordinai che non uscissero, e lì dovevano
organizzarsi, appunto come il Battaglione che n'era uscito il giorno 9. Le
compagnie stanziate in Borgo Ognissanti commisero brutti falli e insolenze:
queste furono sottoposte alle discipline militari: quando alcuni di loro furono
arrestati a Porta a Prato, andai di persona, gli rimproverai acerbamente, e,
chiamati più volte gli ufficiali, ordinai si punissero con tutto il rigore
della Legge. La Nazionale di Guardia può far fede del successo. Simili
insolenze non erano nuove, e furono commesse anche dalla gente stanziata all'Uccello,
la quale ricercata e punita non porse argomento a gravi contese; molto meno a
collisioni sanguinose. Quando avvenne il fatto di Piazza Vecchia, andai di
persona, - e quello che operassi, e quali pericoli corressi per istrappare a
forza cotesti sciagurati dalla guerra infame, ve lo dica la gente, non io. -
Meglio per me fossi morto quel giorno!
Se mi ritenete per
sospetto, io vorrei dirvi che la mia vita politica è rotta, che le sciagure
della Patria mi hanno percossa la mente così da dissuadermi da partecipare più
oltre nella cosa pubblica; ma voi lo terreste per giuramento di marinaro:
vorrei offrirvi la mia parola di onore, ma, temendo ripulsa, non la espongo;
solo vi avvertirò che vogliate ricordarvi come i tumulti a Roma non
cagionassero mai la rovina della città, perchè terminarono con una Legge;
all'opposto in Firenze, perchè si conclusero con prigionie, esilii, ed ingiurie
maggiori. Se voi mi reputate un Capo Partito pericolosissimo avete tre modi: o
ammazzarmi, o conciliarmi, o cacciarmi via. Il primo modo voi non vorrete, nè
potrete tenere; il secondo pare che schifiate; rimane il terzo: ebbene, se vi
par giusto, fatelo. Ho letto le storie non per ornato vano, sibbene per
condurvi sopra la vita; e lo esempio di Giano della Bella m'insegna come gli
animosi cittadini abbiano a sacrificarsi in benefizio della Patria. Nè possono
mancarvi mezzi per assicurare a voi la mia partenza, e rendere a me meno amari
i passi dell'esilio.
Ritenendomi in carcere,
voi mi rovinate la salute, e questo la coscienza vostra, che pur siete gentiluomini
e cristiani, non lo può patire. - Rovinate i miei nipoti che, orfani per
malignità del Choléra, tornano adesso (poveretti!) orfani una seconda volta.
Rovinate le mie poverissime fortune, e condannate me e loro alla miseria.
Ritenendomi in carcere, parrà
che lo facciate per compiacere una plebe matta, che non sa servire nè esser
libera, mutabile e feroce, e che me le gettiate davanti come alle belve nel
circo; parrà che lo facciate per vendetta di me che pure non vi offesi, ed
anche di recente mi condussi verso voi con la convenienza che meritate; parrà
lo facciate in benefizio di una Fazione che vince; e quindi, comecchè coperti,
cresceranno i rancori, e a loco e tempo proromperanno, nè avremo pace mai, e
con somma contentezza dei nostri nemici presenteremo l'aspetto di moribondi
litiganti sull'orlo della fossa. A me sembra essere tratto quattro secoli
addietro, e mi paiono rinnuovate le gare degli Albizzi, degli Alberti, dei
Ricci, e degli Scali: la prerogativa regia diventata quasi un pugnale, che i
contendenti s'ingegnano strapparsi di mano per offendersi a vicenda.
Queste cose ho voluto
dirvi per la Patria, per la mia famiglia, e per me, onde voi mi trovaste modo
onorevole di uscir di paese, - pensaste alla mia famiglia, alla gente che
volontaria pena oggi qui meco, e comunque giovane si consuma, - e alleggeriste
le angustie del carcere disonesto, che davvero sono troppe, e non sopportabili.
Abbiate mente che così, senza offesa della vostra reputazione, non può tenersi
un uomo che il Principe elevò al grado di suo consigliere, e voi stessi
eleggeste a governare il Paese. In ogni evento della fortuna gli uomini,
ancorchè emuli, hanno da usarsi scambievolmente un certo tal quale pudore di
convenienza, senza del quale il costume pubblico precipita con danno infinito
in cinismo feroce.
Che se tutte queste
considerazioni, e queste istanze per altrui e per me, dovessero convertirsi in
un nuovo motivo d'ingiuria pei miei cari, e per me, allora la storia domestica
mi presenta un altro esempio imitabile in tutto - eccetto che in una parte, - e
questa consiste nel non desiderare mai che dalle mie ossa sorga verun
vendicatore.
Dalle Segrete, 28 aprile
1849.
F.-d. Guerrazzi.»
FINE.
Decreto del Tribunale di Prima Istanza di
Firenze, Turno Correzionale, Camera di Consiglio del 1° settembre 1851.
Vedi Indirizzo della Emigrazione
lombarda dell'8 febbraio 1849. Monitore, 12 febbraio 1849. - «Nella
stessa adunanza (13) fu pure discusso e approvato il progetto di regolamento
per la nuova istruzione militare, di cui tenemmo parola qualche giorno fa. Omai
questa istituzione non è più solo un desiderio, ma sarà tra breve un fatto. Le
sottoscrizioni raccolte bastano già a dare guarentigie della sua attuazione.» Costituente
Italiana, 14 gennaio 1849.
«AVVISO PER L'EMIGRAZIONE.
In relazione alle deliberazioni prese
oggi dall'Emigrazione, il Comitato dirigente per l'associazione militare invita
tutti gli emigrati qui dimoranti all'adunanza, che si terrà nel locale del
Circolo Popolare giovedì giorno 8 del corrente mese di febbraio ad un'ora
pomeridiana per eleggere il Comitato Elettorale dell'Emigrazione, incaricato
delle operazioni relative alla nomina dei Deputati dell'Emigrazione stessa alla
Costituente Italiana.
Firenze, il giorno 6
febbraio 1849.»
Intanto, ecco come scriveva il Pigli a
sua discolpa: «Circa le 23 ha avuto luogo una dimostrazione con tamburi e
bandiere per festeggiare la morte del Ministro Rossi. Da prima erano
centinaia di popolani, e sono andati al Console Romano: da ultimo più migliaia,
e sono venuti da me. Ho fatto il sordo ai ripetuti evviva. Il Capitano
Roberti è salito; mi ha quasi obbligato mostrarmi al Popolo. Ho detto:
il Ministro Rossi non era amato dalla Italia solamente pei suoi principii
politici. Dio nei suoi arcani consigli ha voluto ch'egli cadesse per mano di un
figlio dell'antica Repubblica romana. Dio custodisca l'anima sua e la libertà
di questa povera Italia. - La dimostrazione si è sciolta subito. Si richiami
il Roberti: egli l'ha pubblicamente approvata.» - Dispaccio telegrafico del
17 novembre 1848. - Dunque è manifesto, che Pigli costretto disse coteste
parole; e che la dimostrazione gl'increscesse lo palesa il suggerimento di
richiamare il Roberti, che l'approvò. - Io la ripresi acerbamente; la mancanza
degli Archivii m'impedisce somministrare i documenti relativi; però dai
Dispacci telegrafici resulta quanto le arringhe del Pigli mi turbassero.
«Pigli, le tue parole dette al Teatro hanno sconcertato tutti; amico mio, tu
sei buono, e rovini noi e il Paese.» Dispaccio telegrafico del 13 novembre
1848. - E più tardi, esortandolo a fare più parca copia di sua favella al
Popolo, lo confortava a imitare la Rosa, la quale (io gli diceva)
La mala signoria, che sempre accora
Li popoli soggetti.
Lo spirito militare non può formarsi
così facilmente, nè così facilmente possono mutarsi le condizioni del Paese. -
Non è poi cosa tanto utile, come da alcuno si crede, formare questo spirito
militare fra noi. La educazione militare non può formarsi, se non faccia
scendere la Toscana da quel grado di civiltà nel quale si trova; e se lo
spirito militare ha da formarsi a questo prezzo, io non farò mai voto a
conseguir questo intento. - La Toscana ove la mezzeria è generale, la proprietà
così divisa, le fortune così repartite, come non lo fu finora, non diverrà
giammai militare.» (Discorso del già Ministro Ridolfi nella Tornata del
Consiglio Generale del 19 agosto 1848.) Stupefacenti parole su i labbri del
Deputato, che reggendo Ministro bandì la guerra della Indipendenza, e ora
sollevò gli animi (come si disse) fino alla speranza di potere vincere il
nemico a furia di sassi e co' bastoni, ora promise accorrere co' suoi figliuoli
alla guerra se ne occorresse il bisogno; ora finalmente licenziò la gioventù,
che traeva dalle patrie dimore desiderosa di partecipare alla contesa per la
Indipendenza italiana. Quali conseguenze ne ricavasse la gente attonita, è
facile indovinare. Il Nazionale del 10 gennaio 1849, con molto senno e
pari verità discorrendo gli avvenimenti successi dal settembre 1847 in poi,
adduce le ragioni dei varii Ministeri, e le cause della loro caduta. Importa
consultare cotesto organo, che si mantenne mai sempre independente:
«La
Toscana da più di un anno abbandonata a sè stessa, può dirsi che si
governava a senno dei cittadini. I Governi che si sono succeduti dal
settembre del 1847 in poi non hanno mai saputo prendere quella forte
iniziativa che spetta a chi regge lo Stato, e che è un dovere assoluto in chi
prende a governare un Paese appena sciolto dalle fasce dell'assolutismo, e
desideroso di lanciarsi nelle nuove vie di una libertà lungamente sospirata. -
Dov'era mestieri con mano sapientemente audace riformare, resecando il vecchio,
piantando il nuovo, fortificando le libertà pur ora inaugurate coll'istruzione
che le facesse più universalmente conoscere e amare..... si fece anzi un brutto
innesto di vecchio e di nuovo; la tutela delle istituzioni liberali si lasciò o
si diede a mani inette, o da poco tempo acquistate alla nuova causa, non mosse
da convinzioni antiche, ma dalle vicende della fortuna; si procedé timidamente,
lentamente, fiaccamente. - Accadde che nel reo impasto il nuovo isterilì e
si corruppe della sterilità e della corruzione del vecchio; le libere
istituzioni come pianta aduggiata languirono; lo Stato, siccome corpo percosso
da paralisi, rimanendo sana e vigorosa la mente, non ubbidiva all'impulso delle
volontà che lo guidavano, e strascicava; le idee lo precorrevano, i fatti lo
premevano; quando avanzava non camminava, ma era spinto dall'urto prepotente
delle idee e degli avvenimenti che ne vincevano l'inerzia. - Oscillando,
trabalzando per una via, che si poteva correre nella maestà del trionfo, arrivarono
alla Costituzione arrivarono alla guerra..... Grandeggiavano intanto i fatti
d'Italia. La Lombardia sollevata ci chiamava oltre Po, dove i Liguri e i
Piemontesi già combattevano con lieti auspicii. Noi nè uomini, nè armi, nè
danari avevamo parati alla grande e non inaspettata impresa... Ma la fatale
imprevidenza parve rea negligenza, e inasprì gli animi delusi e accorati
dall'esito infelice della guerra sacra. Innanzi al Parlamento pur or
convocato il Governo si appresentava nudo affatto di provvedimenti, della causa
italiana pendente ancora, delle sorti della guerra come dimentico. Il Governo
di allora cadde innanzi allo sdegno e al dispregio del Paese.... In mezzo a
queste circostanze nacque il Ministero Capponi. - Delle infelici prove di
quel Ministero.... non faremo altre parole....; solo diciamo come nella
Toscana agitata, inquieta, tumultuante, paresse necessità venire al Ministero
Montanelli..... - Il nuovo Ministero ebbe nome di Ministero democratico:
prendeva il potere in nome del Popolo: stretto da violenti antipatie da un
lato, travagliato forse da troppo intemperanti e cupide simpatie dall'altro,
cominciò a porgere parole di riconciliazione, e pose mano vigorosamente al
governo. Noi crediamo che gli amici gli facessero mal servigio; poichè, come
dice il Machiavelli, non è cosa desiderabile prendere un magistrato o un
principato con estraordinaria opinione ec.....» - (Nazionale del 10
gennaio 1849.)
Al Popolo, che ingannato era venuto ad
arrestarmi, tali apparecchiava parole, come resulta dallo Scritto inedito
pubblicato dall'Accusa a c. 65 dei Documenti:
«Io
l'ho detto, tra me e te, Popolo, noi non dobbiamo odiarci, nè lo possiamo.
Forse Aristide odiò la patria perchè bandito ingiustamente? In certa notte, con
pericolo di vita ruppe il bando, e fu la precedente alla battaglia di Salamina,
per avvisare Temistocle intorno alla ragione dei venti, e all'ordine della
flotta persiana. Gli antichi esempii non saranno stati letti invano. I
Veneziani supplicarono Carlo Zeno imprigionato iniquamente onde salvasse la
Patria dal pericolo supremo da cui era minacciata: usciva, pugnava, vinceva, e
poi altero e costante tornava al carcere.
Tra
me e te ogni trista memoria è ormai obliata, e con tutti fra te. Vi lasciai
non liberi, vi trovo facultati a farvi liberi se volete. A questo patto chi non
avrebbe voluto soffrire la prigionia? Stringiamo ora, che ne fa mestieri, più
che mai i vincoli di famiglia. Giù rancori, giù discordie; se
volete essere forti contro il comune nemico, io non so davvero come potrete
riuscirvi con matte fazioni tra voi. E sopra tutto, nè viva a tale, nè morte
a tale altro. Il secondo grido è crudele, e la nostra religione lo aborre; il
primo è segno di servitù. Oggimai non hanno a contare gl'individui, ma i
principii. Mi confortano, o Popolo, ad abbandonarti, e porre la mia stanza
altrove. Non posso farlo; le cose si amano pei sacrificii che costano, e il mio
paese mi costa assai: io qui ebbi nascimento, e qui desidero sepoltura accanto alle
ossa di mio padre e dei miei amici, che più felici di me mi precederono
nella morte: io continuerò, secondo ch'è dato al mio povero ingegno, a
onorarti come posso e devo; ma tu, o Popolo, ricompensami con lo starti unito,
col non fare il mio nome bandiera di fazioni e di tumulti. Io te ne
scongiuro per la mia fama e più per la tua. Anche tu fosti accusato, e devi
mostrare che lo fosti a torto, a nessuno secondo tra i Popoli italiani, e a
qualcheduno primo. Le petizioni offrono mezzi legali per manifestare i voti,
e tôrre d'inganno il Governo: - attienti a queste.»
Partendo scriveva questa lettera:
«Signor Silvio Giannini.
Persuaso
che la mia presenza somministrerebbe alla città pretesto di collisione, per la
quale essa avrebbe a pentirsene e vergognarsene poi, io, come ogni dabbene
cittadino deve fare, cedo alla invidia, e mi allontano. Partendomi col corpo,
io lascio i miei affetti entro un paese che mi costa tanti sagrifizii e tanti
dolori; - e con sincero animo gli auguro tempi felici, menti più giuste, ed
uomini che possano amarlo molto meglio di me.
La reverisco.
Che fosse impresa da pensarci due volte,
e poi non farne nulla, lo dichiara la seguente lettera, la quale io mi conduco
a pubblicare con repugnanza, conciossiachè io dubiti forte porgere indizio di
scarsa modestia, se non mi assicurasse la speranza, che le angustie in cui
verso varranno a scusarmi presso i cortesi. Però nel riportarla mi corre
l'obbligo avvertire, che lo scrivente mosso da patria carità, forse anche da
voce più autorevole della mia, poco dopo lasciati consorte, e prole amatissime
e amantissime, e i dolci riposi della villa e i cari studj, accorse anch'egli a
travagliarsi a benefizio di quella terra, che ama, ed onora pur tanto.
«Amico carissimo,
Comunque
i doveri di famiglia resi più solenni da qualche mese di assenza al Campo, non
mi abbiano concesso di condurmi a Livorno per assumere l'ufficio del quale mi
onorasti, io te ne protesto la mia gratitudine, e ne vado lieto per l'unica
ragione che la carica affidatami mi è prova della tua leale amicizia.
In
ogni circostanza io ti corrisponderò con pari affetto, e nel mio nulla se posso
giovarti, adoprami; e (poichè anco i grandi uomini non sdegnano ascoltare
talvolta il parere dei piccoli) non ti sia molesto se ti suggerisco d'essere
cauto, perchè a mio avviso ardua è l'impresa, e gravissimo è il fardello a cui
ti sobbarchi; vero è peraltro che ogni rovescio ha il suo diritto, e che se col
tuo ingegno, e con la tua influenza perverrai a ricomporre cotesta sconvolta
città, sarai ben largamente ricompensato col saluto non perituro di Padre della
Patria.
Addio,
conservami la tua amicizia e credimi per sempre,
Crespina, 11 settembre 1848.
Tuo affez. amico
Ieri sera circa le ore 10 giungeva con
la Deputazione livornese il Guerrazzi. La carrozza era seguita da una quantità
di Popolo fino al Palazzo Comunitativo, ove il Guerrazzi trattenevasi a
conferire con alcuni membri della Commissione fino a mezza notte. - Stamattina
mentre il Guerrazzi si recava al Palazzo del Municipio una grande moltitudine
si è affollata su i suoi passi applaudendo, nè si è disciolta, finchè egli non
si è mostrato al terrazzo ove ha detto poche e severe parole: - non doversi
applaudire gli uomini, ma gli onorevoli fatti; gli applausi alle persone non
essere degni di Popolo libero, ma segno di schiavitù; essere egli venuto come
cittadino a conferire con cittadini su i modi di ricomporre le cose nostre, e
di ristabilire in Livorno l'ordine e la quiete, che vi erano prima; -
stessero tranquilli, nè disturbassero con clamori coloro, che si occupavano pel
pubblico bene, e di cose richiedenti tranquillità e maturità di consiglio. Un
bravo unanime ha accolto i suoi detti, e il Popolo si è dissipato. -
Cittadini! Commosso dai casi della
Patria, io mi riduco fra voi. È un semplice cittadino, che ritorna in famiglia
per provvedere in comune al pubblico bene. Tento indagare le cause dei fatti,
ascolto i desiderii, le apprensioni, i voti vostri, e persuaso che ormai
saranno conformi a giustizia, io mi sforzerò che vengano esauditi.
Confido nella temperanza vostra, e nella benevolenza che il Principe
professa avervi portata sempre, e tuttavia portarvi, e in Dio, che illumina
il cuore degli uomini, onde, ogni discordia sopita, attendiamo con voleri uniti
e forze concordi alla difesa della Patria comune ec. ec.
Livorno, 5 settembre 1848.
Convenzione del 4 settembre 1848 fra il
cavaliere generale Torres, tenente colonnello Reghini, ed altri ufficiali.
La
Convenzione è intitolata così: - «Convenzione tra il signor Costa Reghini
tenente colonnello delle truppe attive toscane, attuale comandante della Fortezza
di Porta Murata, e il cavaliere generale Torres comandante della forza armata
popolare in Livorno.» Firmavano: «Torres cavaliere generale. Costa Reghini
tenente colonnello. A. Alieti capitano. D. Ulacco capitano di artiglieria. F.
Porciani, e L. Romei capitani.»
«Torres
frammischiandosi col Popolo la sera del 3 era stato acclamato da quelli che
lo ascoltavano, come capo, e direttore della forza armata. Egli presentavasi
alla Commissione e annunciandosi eletto dal Popolo si offriva a organizzare e a
dirigere gli armati. La Commissione verbalmente gli confermava il mandato. - Ma
ieri mattina essa si dimetteva in seguito di una scena cui diè luogo lo stesso
signor Torres nella sala del Palazzo Comunitativo ove si recò seguito da una
turba di Popolo ec. ec.» - (Corriere Livornese del 5 settembre
1848.)
Così
questo Torres col quale gli ufficiali capitolavano, a cui le Fortezze si
consegnavano, le commissioni cittadine cedevano, da me inerme era costretto a
sgombrare la città..... e l'Accusa dignitosa e schietta par che dubiti avere io
aizzato cotesti moti.
Deliberazione con la quale si
sopprimono tutte le Commissioni per ordine del Ministero.
«Adunati servatis servandis
Gl'Illustrissimi Signori Gonfaloniere
e Priori, componenti il Magistrato della Comunità di Livorno in numero
sufficiente di otto per trattare etc.
Il Magistrato ha intesa in primo luogo
l'intiera Lettura di un Rapporto in data di questo stesso giorno presentato dai
Signori Avvocato Francesco Domenico Guerrazzi ed Antonio Petracchi Priori
aggiunti a questo consesso. Quindi tornando a esaminare le singole proposizioni
in esso contenute le ha ammesse nel modo e nell'ordine che appresso.
Proposizione prima. - Le Commissioni instituite dalla
Commissione Governativa Provvisoria di
1. Finanza e Annona.
2. Guerra.
3. Lavori Pubblici.
4. Sicurezza Pubblica.
si ringraziano come quelle che hanno
benemeritato della Patria, ed avendo pienamente soddisfatto al loro scopo si
sciolgono. - Girato il Partito è tornato vinto ad unanimità di voti favorevoli.
Proposizione seconda. - La Commissione di
Pubblica Sicurezza come necessarissima per l'assenza da Livorno delle Autorità
ordinarie si mantiene; e in quanto occorra si rielegge ex-integro sempre
provvisoriamente dal Municipio. - Approvata con Partito di voti favorevoli ad unanimità.
Proposizione terza. - La Commissione
Governativa Provvisoria installata per urgenza rimane sciolta. - Approvata ad
unanimità di voti favorevoli.
Proposizione quarta. - Il Municipio elegge
una Commissione esecutiva dal proprio seno e le commette di provvedere con
tutti i mezzi contemplati con Dispaccio Ministeriale del 6 settembre corrente
per consolidare e mantenere la quiete nel Paese, nello stato normale di ordine,
e specialmente organizzare la Guardia Provvisoria, e la Guardia Municipale, non
meno che disimpegnare gli affari occorrenti alla giornata sempre di concerto
col Municipio; ben inteso che quando si tratti di pubbliche azioni sieno queste
discusse e deliberate dal Municipio nel modo consueto per essere poi mandate ad
esecuzione dalla Commissione eligenda dal seno del Municipio stesso. -
Approvato con Partito unanime di voti favorevoli.
Proposizione quinta. - Tutti i Dispacci
che riceverà il Municipio saranno partecipati immediatamente alla Commissione
esecutiva, onde provveda e risponda al Municipio, e da questo sia la risposta
trasmessa nelle forme al Ministero, o a cui altro di ragione. - Approvata con
Partito unanime di voti favorevoli.
Disponendosi ora la Civica Magistratura
ad eleggere i due Soggetti che dovranno comporre la Commissione esecutiva
Provvisoria, il Signor Luigi Baganti f. f. di Gonfaloniere ha nominati i
Signori Avvocato Francesco Domenico Guerrazzi e Antonio Petracchi, ambedue
appartenenti alla Magistratura; e mandati separatamente a Partito questi due
Nomi, è stato ritrovato che ciascuno di essi aveva riportati i voti favorevoli
ad unanimità.
Passando finalmente le SS. LL.
Illustrissime alla elezione della Commissione Provvisoria di Sicurezza, il
prelodato Signore Baganti ha proposto i seguenti Soggetti estranei al Corpo
Magistrale:
1. Malenchini Dottor Tito.
2. Poli Dottor Adriano.
3. Adami Dottor Giovan Salvadore.
4. Lambardi Dottor Emilio.
E
detti quattro Soggetti mandati separatamente a Partito è stato ritrovato che
ciascuno di essi aveva riportati voti favorevoli otto, contrarii nessuno.
Per
copia conforme etc.
Pel Gonfaloniere
L. Baganti
f. f.
Deliberazione per determinare i
limiti entro ai quali doveva restringersi l'autorità della Commissione
esecutiva.
«Seduta del 12 settembre 1848.
Adunati servatis servandis
Gl'illustrissimi signori Gonfaloniere, e
Priori componenti il Magistrato della Comunità di Livorno, in numero
sufficiente di otto per trattare:
La Commissione Municipale esecutiva onde
bene conoscere la latitudine del suo mandato, ha fatto istanza che venga
circoscritta la sfera delle sue attribuzioni.
In conseguenza di ciò il Magistrato ha
stabilito:
1° Si confermano le attribuzioni
conferitele nelle precedenti deliberazioni.
2° Le si dà facoltà piena d'impiegare
persone che reputerà più adatte consultando i Parrochi di ogni Cura, non meno
che ad adoperare i mezzi più opportuni per eseguire la costituzione della
Guardia Municipale, e la ricostituzione della Guardia Civica in conformità
delle cose deliberate.
3° Però tutte le pubblicazioni ed avvisi devono
farsi a nome del Municipio in unione della Commissione esecutiva Municipale e
delle persone aggiunte.
4° In quanto alle spese occorrenti, la
Commissione esecutiva Municipale, in unione al signor Francesco Bombardieri
delegato a questo ufficio per quello che concerne la Guardia Civica, avrà
ricorso alla cassa del Municipio, e per quello che spetta alla Guardia
Municipale si dirigerà al Commissariato di Guerra e Marina.
E quanto sopra approvato per voti
favorevoli otto, contrarj nessuno.
Per copia conforme ec.
Visto. Il Gonfaloniere.
L'Ordinanza sulla Guardia Civica
Provvisoria, approvata in genere, se siamo bene informati, avrebbe incontrato
la superiore disapprovazione in alcuni particolari, che a noi sembrano
d'importanza minima. Si crederebbe lesa la prerogativa Reale, per la nomina
degli ufficiali superiori, ec. ec.; ma questa Guardia Civica nuovamente
organizzata per ricondurre la quiete e la pace nella città, non si chiama e non
è provvisoria? Dovendosi essa in tutta fretta costituire pel pronto
ristabilimento dell'ordine, come si poteva seguire scrupolosamente le tracce
del Regolamento del settembre, - adempiendo le lunghe formalità delle nomine? -
Ogni buon cittadino di Livorno sa che qualunque grado sia per ottenere dal voto
de' suoi concittadini nella nuova Guardia Provvisoria sarà provvisorio. Egli
sarà pronto a tornare semplice soldato della milizia cittadina, appena il
Principe, valendosi delle prerogative che la legge gli accorda, nominerà gli ufficiali
di cui gli spetta la scelta.
Egli è proprio un miracolo se nelle
frequenti razzia (e lo dirò in arabo perchè le sono cose da Beduini)
fatte sopra le mie carte se ne potè salvare qualcheduna, che porga lume in
questa materia. Ecco tre documenti, che consacro ad Apollo liceo, come pei
Pastori di Arcadia costumavasi quando salvavano l'agnello dalla bocca del Lupo.
1° Lettera diretta ai signori del
Municipio, dimostrativa gli ostacoli sconsigliati opposti dal Ministro dello
Interno ai partiti di Polizia da me suggeriti e fatti adottare.
«Illustrissimi Signori,
Ci ha recato maraviglia non piccola la
Ministeriale comunicataci dalle VS. Illustrissime intorno ai partiti che
abbiamo dovuto prendere onde tutelare la pubblica sicurezza.
Certamente la mole delle faccende fu
colpa dell'oblio di S. E. il Ministro dello Interno.
Noi e Voi, o Signori, nello arrestare
persone sospette, pregiudicate, e in parte trasgressore dei precetti ricevuti,
abbiamo proceduto non per vie eccezionali, ma in virtù della Legge del 26
novembre 1847, la quale, come si accenna nel Proemio, ha da durare fino alla
pubblicazione del regolamento organico di Polizia.
Le attribuzioni da noi adoperate si
contemplano nello Art. 2 della allegata Legge.
La pratica poi viene in conferma di
quanto affermiamo, imperciocchè dai Protocolli della Delegazione di San Marco
consideriamo una serie non interrotta di processi e di risoluzioni di simile
natura con le quali - per misura di prevenzione reclamata dalle loro
pregiudicate qualità - furono condannati parecchi individui a dimora coatta di
4, 6, 8 mesi, e allo esilio per 3, 4 e 6 mesi, con la comminazione trasgredendo
di reclusione nella Casa di Forza di Piombino.
Egregiamente commetteste la compilazione
dei processi alle Cancellerie dei Delegati di Governo, così ordinando l'Art. 9
della rammentata Legge.
Solo rimanevaci il dubbio se per l'Art.
1, la Commissione preposta a conoscere e deliberare intorno cotesti fatti
avendosi a comporre del Governatore e degli Assessori legali, essendosi
dispersa, in Voi risiedessero le facoltà alla medesima conferite: ma siccome
ripensandovi sopra, le facoltà tutte governative troviamo essere a VS.
partecipate, e considerando ancora che il provvedimento di cacciare via dalla
città uomini perversi e rotti ad ogni maniera di delitti è legge suprema di
sicurezza, così noi vi preghiamo avvertire S. E. il Ministro che voglia
coadiuvarci con tutti i nervi nelle misure che saremo per prendere.
Il ristabilimento dell'ordine è a questi
patti, e andiamo sicuri che nella sua alta perspicacia il Ministero sarà per
accettarli.
Ci valghiamo poi della occasione per
richiamare la grave avvertenza del Ministero intorno alla necessità di vestire
presto la Guardia Municipale: temiamo che abbia a perdere della rispettabilità
sua; e consumata anche questa forza noi riusciremmo poveri di consigli e non
sapremmo a che cosa ricorrere; - e intorno allo altro fatto del cacciatore a
cavallo Berni: queste mene perniciosissime non possono tollerarsi, e mantengono
sempre vivo lo Stato di suspicione del Popolo contro il Governo, che noi tutti
ci affatichiamo con indefesse cure sopire. Tanto per governo delle SS. VV.
Illustrissime, mentre ci confermiamo
Livorno, 26 settembre 1848.»
2° Lettera al Commissario di Guerra
intorno alle sofisticherie ministeriali per le spese della Municipale.
«Illustrissimo Signore,
Le accludiamo lettera del capitano Roberti,
e le facciamo osservare che S. E. il Ministro dello Interno avendo consentito a
pagare la Guardia Municipale è venuto implicitamente a consentire il pagamento
delle spese accessorie. Ora se il pagamento del soldo è appoggiato al
Commissariato, come razionalmente deve non appoggiarsegli la soddisfazione di
queste altre spese? Per l'amore di Dio non creiamo altre difficoltà, che noi ci
anneghiamo dentro. Letto che l'abbia si compiacerà ritornarmi il foglio
Roberti.
Le recheranno la presente due ufficiali
che vogliono foglio di rotta, e paga per ripartire. Con Ministeriale di stamane
S. E. il Ministro dello Interno concede al Municipio sussidiare tutti i
Volontarj che tornano a casa entro i limiti del bisogno, per rivalerci sopra il
Governo. Per iscansare inutili giri, e poi perchè noi non vogliamo
maneggiare danari, e finalmente perchè poco adatti a distinguere quello che si
meritano, reputiamo prudente inviarli immediatamente a VS.
E con vera stima ci confermiamo
Livorno, 27 settembre 1848.»
3° Lettera al Gonfaloniere relativa
alle compagnie dei ladri, e alla insufficienza delle misure dal Ministero
prescritte. Raccomandazione a non attraversare. Fiducia della classe
commerciale al Governo; imprestito offerto al 4 per %.
«Illustrissimo signore Gonfaloniere,
Si compiacerà avvertire S. E. il Ministro
dello Interno che in quanto alla prima parte del suo Dispaccio ci referiamo
alla nostra di ieri; e di più aggiunga come valendoci dei pochi mezzi che stanno
in potestà nostra noi eravamo giunti a penetrare come s'intendesse comporre in
Livorno una compagnia di ladri giovandosi dello scompiglio che immaginarono
crescente. Ora in così grave emergenza la misura indicata nella Ministeriale
non basta, sia perchè la nostra Guardia Municipale è scarsa e insufficiente a
tanta faccenda, sia perchè si tratta dovere procedere con gente audacissima e
capace di ogni estremo partito.
Noi che stiamo sul luogo, conosciamo la
materia e imploriamo che ci lascino fare, sempre che le disposizioni che saremo
per prendere non si allontanino dalla legalità, e fin qui ci sembra avere
dimostrato che non ce ne siamo dipartiti. Bisogna allontanare questi facinorosi
dalla città. Per le altre cose tutte parci bene quanto ci suggerisce la
Ministeriale, e sarà osservato con diligenza. Pensiamo che giovi eziandio
avvertire il Ministro come le cose procedano di bene in meglio, e della fiducia
riposta nell'attuale Governo dalla classe commerciale, e della carità patria
mostrata in sovvenirci in tanta strettezza di danaro al modico cambio del 4 per
%, e questo ne sia pegno della opinione di sicurezza che impera quaggiù. E con
questo la riveriamo.
Li 27 settembre 1848.»
Corriere Livornese, 18 settembre
1848, e numeri antecedenti; Atti del Municipio.
Corriere Livornese, 5 settembre 1848. «Le nostre
osservazioni non sono dirette contro l'ottimo Principe, ma contro i Ministri
che sono responsabili del linguaggio che gli fanno tenere.»
Corriere Livornese, 6 settembre 1848. «Il Guerrazzi non
prendendo consiglio che dal suo cuore, e desiderando vedere pacificata la sua
patria, mostrò i mali di una divisione di Livorno dalla Toscana, separò la
causa del Principe da quella del suo Ministero, invocò il sussidio della
Religione.»
Corriere Livornese, 12 e 16 settembre
1848.
«Per
buona ventura, se il Principe non trovava a Pisa le armi dei cittadini, che vi
aspettava, vi trovò il rispetto, e lo amore dei suoi sudditi, il quale non
gli verrà meno giammai, perchè tutti sanno che egli non può nè deve
corrispondere degli sbagli dei suoi Ministri.
Crediamo
poi, che la bontà e la clemenza di questo nostro Principe sia tanto elevata
e grande da non limitarsi alla disapprovazione dello abuso del potere, ma
sibbene anche da renunziare piuttosto al diritto della sua sovranità prima
di ordinare lo spargimento di nuovo sangue cittadino.
Corriere Livornese, 12 settembre 1848.
«Un
nome solo conosce ed onora la Italia fra tutti quelli che compongono il
Ministero attuale, quello di Gino Capponi....
La
dignità del Principe, e la salute della Nazione richiedono che..... si conservi
il solo Capponi.....
Fra i Documenti dell'Accusa, pag. 679,
trovo questo Manifesto.
«Amici e Fratelli.
Le vostre domande furono soddisfatte.
L'oblio con la formula completa da voi desiderata venne concesso. I poteri
eccezionali gittati come un velo sopra la faccia della Libertà, saranno tolti
per non rinnovarsi mai più.
Io spero che voi abbiate così meritato
ottimamente della Toscana, e quella ve ne sarà grata.
Io mi allontano da questa amatissima
terra con la persona; col cuore rimango fra voi. Avrete a governarvi Giuseppe
Montanelli, nome caro ai buoni; per detti e per fatti bello ornamento della
Patria. Amatelo, riveritelo. Se voi avete fiducia in lui, com'egli ha fiducia
in voi, la opera della quiete dignitosa e con sicurezza sarà confermata; opera
alla quale non io, ma la bontà, la temperanza, e la egregia indole vostra tanto
potentemente hanno contribuito. Addio.
Livorno, 4 ottobre 1848.
Seduta del dì 13 ottobre 1848.
«Adunati servatis servandis
Gl'Illustrissimi Signori Gonfaloniere, e
Priori componenti il Magistrato della Comunità di Livorno, in numero
sufficiente di sei per trattare:
Essendosi questa mattina adunata sotto il
Palazzo Comunitativo una quantità di Popolo con bandiere e tamburi, unitamente
alla Banda Civica, ed avendo presentato un Indirizzo del seguente tenore:
(Qui è riportato l'Indirizzo del
Popolo.)
Il Municipio adunatosi per urgenza,
Considerando essere indispensabile al
bene del paese e dell'intiera Toscana, che il nuovo Ministero sia composto di
uomini adattati ai tempi ed aventi la pubblica fiducia;
Considerando che il Popolo di questa
città accenna il desiderio che sieno eletti a detto ufficio l'attuale nostro
Governatore Montanelli e l'Avvocato Guerrazzi;
Considerando che mentre da un lato il
Municipio ritiene essere prerogativa Regia la nomina dei Ministri, e che
conseguentemente la loro Elezione deve emanare dall'animo del Principe,
dall'altro lato ravvisa che senza offendere la detta prerogativa potevasi
rappresentargli il voto del Popolo;
Perciò Delibera:
Di accogliere l'Indirizzo succitato del
Popolo come semplice espressione di un desiderio, e di farsi organo, onde
tale manifestazione pervenga all'Ottimo nostro Principe.
E quanto sopra è stato approvato ad
unanimità.
Per Copia ec.
Il
Gonfaloniere
Avv. L. Fabbri.
Eppure la opinione pubblica non era
avversa al Ministero nostro, non dirò degli amici, ma degli avversarii, e degli
emuli. La Riforma, foglio per certo a noi non parziale, scriveva: «Il
nuovo Ministero fu accettato come termine di agitazione rovinosa, e come pegno
di tranquillità.» - (3 novembre 1848). - Il Nazionale, che fece
professione di Costituzionalismo anche in mezzo alla procella
repubblicana, si esprime sul conto nostro in guisa da far comprendere due cose:
che potevo aspettarmi l'appoggio anche della passata Assemblea, e che gli
agitatori si reputavano non istrumenti, ma nemici del Ministero:
E la Costituente montanelliana dalla
stessa Opposizione salutavasi splendida e generosa.
Art. 12. «La Costituente italiana avrà
due stadii: il 1° anteriore, il 2° posteriore alla cacciata dello straniero.
Tutte le quistioni di ordinamento interno della Nazione non si dovranno agitare
se non che nel secondo stadio, poichè alla loro risoluzione è richiesto il voto
di tutto il Popolo italiano, gran parte del quale non potrà eleggere i suoi
rappresentanti finchè geme nel dolore della servitù straniera. La Costituente
del primo stadio deve occuparsi di tutti i problemi, che si riferiscono
direttamente o indirettamente allo acquisto della Indipendenza. Essa impedirà
quello sparpagliamento di forze, che fu la causa principale dello esito
infelice della ultima guerra. A tale effetto la Costituente, potrà
incominciare le sue operazioni appena due Stati italiani si sieno intesi per
iniziarla.»
Il Popolano dell'8 novembre 1848
riporta un articolo dallo Indipendente di Venezia, che critica il
Programma Ministeriale, dicendolo «un po' pallido, un po' cattedratico, un poco
troppo pacifico;... che se vi è abbastanza per la libertà civile e pel
progresso morale della Toscana, vi è nulla o poco più di nulla per la guerra
ec.» E continua con l'invitare i Circoli Toscani a spingere il nuovo
Ministero per la via rivoluzionaria; perchè, siegue: «Ci sembra poi di una
estrema gravità il riserbo che i nuovi Ministri si prefiggono nel loro
Programma rispetto alla Costituente Italiana, per cui si limitano a tenere
alzata la bandiera ed a richiamare del continuo l'attenzione dei Principi. A
noi pare non sia tutto il da farsi, ma che anzi si aspetti e si voglia molto di
più. Perchè dove si tratta dei grandi destini di tutta una Nazione, bisogna
voler riuscire ad ogni costo, e non basta il dire: se non riesciamo, la colpa
non sarebbe nostra. La questione non è di colpa o di responsabilità; la
questione è della sorte di 23 milioni di persone.»
E finisce con lo spronare i popoli a forzare
i Governi alla accettazione piena della Costituente Italiana.
Il medesimo Popolano dell'11
gennaio 1849, il quale rende conto del Discorso della Corona proferito all'apertura
delle Assemblee, così si esprime: «Ciò che riguarda la Costituente in questo
discorso è anche più incerto e più dubbio di quello che sia permesso ad un
discorso di apertura.»
«Non ci voleva altro che il S......... od
uomini della sua stampa o della sua scuola per trovare sovversivo un Discorso
(della Corona) che tutta Italia ha ormai letto e compassionato pel suo
languore, per la sua sconfortevole pallidezza, per la povertà delle sue
promesse, per quel suo camminare a ritroso, che è sempre stato, e sarà sempre,
il camminare abituale dei Principi.» - (Frusta Repubb., 14 gennaio
1849.)
«Se nel Discorso di apertura del
Parlamento Toscano, che riferimmo ieri, dovessimo trovare il riflesso della
politica passata e il disegno della politica avvenire del Governo, saremmo
imbarazzati assai. Piuttostochè andar pescando nel vago delle frasi.....
preferiamo attendere gli atti del Ministero innanzi al Parlamento, - e
attendiamo.» - (Il Nazionale, 11 gennaio 1849.)
«Ecco il Discorso della Corona che nella
sua circonvoluta e sospesa espressione, per poca nitidezza di esposizione ed
evidenza di concetto, non riflette largamente i principii e le idee incarnate
dall'attuale Ministero, professate dal suo Programma e dalla conseguente
condotta. Quantunque l'importanza di tali manifestazioni politiche vada
decadendo ogni dì più, e la coscienza del Popolo siasi educata a riguardare
piuttosto ai fatti che ai Programmi ed alle parole; pure desso era aspettato
con ansia interessata da tutte le parti, intente al movimento del paese, alla
influenza che la potente iniziativa toscana esercita, e deve mantenere, sulla
universa Italia.» - (La Costituente Ital., 11 gennaio 1849.)
«Ora adulando il Governo in cose, che
nessuno lodò, anzi biasimò (come nel Discorso della Corona per l'apertura delle
Camere)....» - (Corriere Livornese, 9 Marzo 1849.)
Odasi un po' come il Conciliatore
cotesti miei sforzi annunciasse.
«Qualche
dissidio si manifestò tra i Deputati sull'ordine del giorno, in quanto che ad
alcuni piaceva di far mostra di zelo esagerato in pro di una votazione
di urgenza.» - (Il Conciliatore, 23 gennaio 1849).
Il Conciliatore, di cui uno dei
Collaboratori sostenne alla Camera, che il mandato dovesse dichiararsi con
una Legge, nel N° del 23 gennaio 1849 così discorre in proposito: «Il
Ministero in questo aveva ragione; giacchè, partendo dai suoi principii, il
mandato doveva essere quale sarebbe uscito dal suffragio universale, non quale
voleva farlo l'Assemblea. Non il Governo colle sue istruzioni, come sosteneva
il Ministro dell'Interno, non l'Assemblea con una Legge, come
pretendeva la Commissione, ma gli Elettori soli avean diritto di assegnare, se
volevano, i limiti del mandato conferito ai loro eletti.»
La Riforma di Lucca, in data 8
novembre 1848, dietro una sua corrispondenza così si esprime:
«Si
parla, e par certo, che gravi dissidii si sieno elevati fra Montanelli e il
cittadino Ministro dell'Interno. Anche Adami pare che ne abbia assai del
Ministero.»
Viva lo Impellicciato, viva lo Impellicciato!
urlò il Popolo re. Ma per bacco, esclamò uno degli spettatori, sbaglio, o gli
spunta il codino? - E qui nacque un parapiglia, perchè tutti volevano
vedere il codino dello Impellicciato. - Non vi faccia specie (sorse
allora a dire il saltimbanco credendo di calmare la effervescenza); se gli
spunta il codino, non è colpa sua: è colpa dell'aria che si respira sopra
certe seggiole..... non mi capite? Chi sa, che coll'andare del tempo quel
codino non cresca e diventi coda! - A queste parole nacque un casa del diavolo:
abbasso i codini, non vogliamo codini, abbasso lo Impellicciato! si
gridava da tutte le parti; era una tempesta di fischi e di urli
degna proprio del Popolo re.» - (Vespa, 12 dicembre 1848.) - Questo è il
Giornale, che dall'Accusa merita il nome di generoso! - Il Popolano
dell'8 gennaio 1849, accennando a me, diceva:
«Al democratico che si accosta al Potere
vedesi perciò accadere il fenomeno opposto che accadeva ai paralitici, nei
tempi in cui eran di moda i miracoli, allorquando accostavansi alle sante
reliquie. Questi riacquistavano le forze ed il vigore, mentre colui
s'infiacchisce subitamente al pernicioso contatto.»
E questo per l'Accusa è il Giornale reprobo!
E sì, che, non fosse altro, lo insulto esprime con garbo meno plebeo del generoso
figlio della sua predilezione:
L'Accusa repubblicana, o piuttosto quella
che si chiamava repubblicana, ecco come faceva aspro governo delle mie parole
dette alla Tornata del 22 gennaio 1849.
«Il
Ministro Guerrazzi veggendo come quelle vuote spelonche, che fanno le veci di
cuore alla massima parte dei Deputati, non avessero eco per questo nome, vi ha
aggiunto quello di Leopoldo II! Siano perdonati i pleonasmi al Ministro
Guerrazzi, purchè ne faccia pochi, e que' pochi a fin di bene!
Ha
detto il Montanelli, e nobilmente detto, che: - se al bene della Italia
converrà che la Toscana sia, la Toscana sarà..... Se alla Nazione italiana
sembrasse diversamente, chi siete voi che vorreste resistere al voto di 23
milioni? La parola solenne d'Italia è l'arbitra suprema di tutte le
prerogative. -
E
questo doveva bastare per una Assemblea di Deputati Italiani: ma siccome in
cotesta Assemblea ve ne hanno degli Austriaci, anzi dei Croati di purissimo
sangue, ai quali simili parole sarebbero sembrate una ragione di più per
opporsi al pieno sviluppo del concetto informatore della Costituente, il
Ministro Guerrazzi ha creduto ben fatto il soggiungere: (Qui si riportano le
mie parole un cotal poco alterate, poi si riprende:)
Noi
lo ripetiamo; se queste parole debbonsi riguardare come un ingegnoso espediente
per combattere l'astuzia, il cavillo e la ignoranza, noi le accettiamo come si
accetta una trista e penosa necessità. Ma se debbonsi considerare come
professione di fede, come programma non di Ministro ma d'Italiano, noi che
siamo schietti e leali, e impavidi Repubblicani, noi che lo fummo ieri, che lo
saremo domani e sempre, siamo obbligati dalla nostra fede a combattere la
sfiducia e la diffidenza del Ministro Guerrazzi, e a dirgli che l'ora è
suonata, sol che al Popolo piaccia consultare l'orologio ove le ore della
sua vita hanno funzioni assegnate, non dai Principi e dai Ministri, ma da Dio.
La
Costituente non deve e non può che costituire l'Italia, non già questa o quella
provincia di essa a danno dell'una o dell'altra. Che cosa ha voluto il
Guerrazzi far capire all'Assemblea con quelle parole che dovevano bruciare le
labbra repubblicane dell'autore dell'Assedio di Firenze? Forse ha voluto
insinuare la speranza che porzione di quelle terre, su cui passeggia un soldato
con in petto la croce sabauda, o un frammento di quelle sulle cui bandiere
sarebbe tempo per Dio! si scancellassero le chiavi simboliche della schiavitù
delle genti cristiane, potessero accrescere di un miglio, di due, di quattro
quella frazioncella d'Italia che si chiama Toscana?... Forse, nuovo Gioberti,
come questo apostolo di menzogna volea porre sull'avvilita fronte del suo re la
corona dell'Alta Italia, vagheggiava egli lo arcadico concettino d'una corona
della Italia Centrale?.... Compirebbe questa la triade delle Italie reali che
successivamente furono create dalla male ispirata fantasia dei sostenitori del
decrepito e anticristiano principio monarchico.
Non è puleggio da piccola barca
Quel che fendendo va l'ardita prora,
Nè da nocchier, che a sè medesmo parca.
Aggiungo adesso, perchè prima non mi era
potuto procurare, l'Avviso col quale il Direttore della Posta di Livorno
pubblicava il mio ordine del 29 ottobre 1848 intorno alla Patria:
La stampa, che sotto nome di repubblicana
precipitava alla demagogia, così commentava la mia lettera poco fatidica
invero:
«Diceva il Monitore Toscano, giornale
officiale, or fa pochi dì, anzi soli due dì prima della fuga di Leopoldo
d'Austria, di felice memoria, piacergli riferire una lettera che un amico
suo scrivevagli di Roma: e in cotesta lettera così piacevole al Monitore,
leggeansi le seguenti parole: - I buoni Italiani convenuti qui in Roma pare che
abbiano deposto il pensiero di proclamare la Repubblica ecc.... - E il dì
appresso veniva officiale novella della proclamazione della Repubblica a Roma,
per opera di una grande maggioranza di voti nella Assemblea Costituente.
Tre dì dopo, due popolazioni
affollate, e dirò tre, perchè eravi anco la truppa, fin qui formante
popolo a parte, sulla Piazza della Signoria, riassunta al primitivo suo nome
per l'atto migliore e più umano che giammai abbia operato l'Austriaco Leopoldo,
- quello d'andarsene, - era gridato, non da una voce nè da due, ma da migliaia
e migliaia: Viva la Repubblica! Ed il simbolo di essa volevasi piantare, se non
fosse stato proibito, sulla Piazza rigenerata da quel nuovo battesimo di Popolo.
-
Il Popolo di Firenze ha mostrato di
sentire repubblicanamente al pari di qualunque altro Popolo: le tradizioni
degli avi si sono in lui risvegliate per miracoloso istinto, ed egli oggi sorpassa
d'assai in repubblicanismo il Governo, dacchè il Governo vien fuori a
parlare di maturità e di opportunità, mentre il Popolo a tutti cotesti
cavilli, altro non grida che Repubblica!
E Repubblica sia!» - (Frusta
Repubblicana, 15 febbraio 1849.)
Niccolò Tommaseo, nome illustre in
Italia, io non so bene se più per fama di lettere o per integrità di costume,
passando per Firenze scriveami questo biglietto:
Quantunque il Popolano dell'8
gennaio 1849 parli in termini generali, dalla parte già citata di questo
articolo si conosce come s'indirizzasse a me:
E proprio non lo volevo dire; ma l'enfant
terrible dell'Accusa io trovo che lo ha stampato nel suo Volume, però cessa
il motivo del silenzio.
Mettendolo Turpino anche io l'ho messo.
Così va sovente scusandosi l'Ariosto,
onde io giovandomi dello esempio di Messere Ludovico dirò:
Mettendolo l'Accusa anche io l'ho messo.
Importa grandemente osservare in
quante guise e con quanta perseveranza si fossero adoperati pessimi agitatori
al fine avvertito. Non essendovi pervenuti, deliberarono afferrarmi per
perdermi più tardi. Certo avrebbero amato piuttosto calpestarmi subito; ma le
perfide insinuazioni non avevano partorito fin qui frutto bastantemente
copioso. A pag. 148 di questa Apologia riportai le infamie della Vespa
generosa, e del Popolano reprobo.
Fino dal novembre 1848 spargono voce,
avere io mutato casacca, ed essere diventato capace di tirare sul
Popolo; per lo che ebbi a scrivere per telegrafo a Livorno il 30 novembre: «Che
cosa dicono di tirare sul Popolo? Da quando in qua sono io diventato parricida?
Prudenza e vigore, e togliete ogni credito ai guastamestieri.»
Nel 5 decembre 1848, per telegrafo
raccomando diffidassero dei rumori, «che spargonsi con leggerezza o con malizia
contro di me.»
Nel 6 decembre 1848 gli agitatori fanno
arrestare a Livorno i cannoni caricati per Firenze, col sospetto che dovessero
usarsi a reprimere i turbolenti; io scrivo per via di telegrafo: «E che? Si
teme che noi li vogliamo per mitragliare Livorno? Mancherebbe anche questa!»
«Il Popolo intende che i cannoni non si
levino da Livorno, non avendo bisogno di sotterfugi.» - (Dispaccio telegrafico
da Livorno, 6 decembre 1848.)
«P. accompagnato da una Deputazione mi ha
detto: scriva che il Popolo non dorme.» - (Dispaccio telegrafico da
Livorno, 6 dicembre 1848.)
«Circola a stampa, ed è affisso pei muri
della città, un foglio ove si avverte il Popolo a stare in guardia, e a non
permettere che i cannoni sieno trasportati altrove. Guardati, vi si
dice, è un trabocchetto!» - (Dispaccio telegrafico da Livorno, 12
dicembre 1848.)
Fogli avversi si rinnuovano a Livorno, e
la mattina del 23 si stracciano. - (Dispaccio telegrafico del 23 dicembre
1848.)
Torres, e le persone che si rammentano
nei varii Dispacci da Livorno dal 6 al 24 dicembre 1848, si riaffacciano a
Livorno per concitarmi contro lo sdegno del Popolo.
Di lettere anonime, minatorie la mia
prossima strage durante il Ministero, ne avrei potuta comporre una collezione;
me apertamente traditore chiamavano.
Insomma a tanto giunsero le inique arti,
che, dopo avere incontrato nelle tardissime ore della notte appostato un uomo
con la carabina sotto il pastrano, i miei amici mi persuasero a non
avventurarmi più oltre, e S. A. ebbe la bontà di farmi apparecchiare alcune
stanze in Palazzo Vecchio.
Orlando Furioso, IV:
Sotto vasi vi son, che chiamano olle,
Che fuman sempre, e dentro han foco
occulto.
L'Assemblea Costituente toscana nella
notte del 27 al 28 marzo, mi volle onorato dello arduo incarico di governare
esecutivamente lo Stato.
Quello che da uomo può farsi onestamente,
per essere liberato da tanto peso, io feci: non essendomi riuscito
affrancarmene, opererò quanto devo.
In ogni prova alla quale piace alla
Provvidenza chiamare talora i Popoli due cose possono salvarsi sempre: la
sicurezza e l'onore.
I pieni poteri, dei quali io sono
rivestito, saranno da me adoperati non per offesa della Libertà ma per tutela
del Paese. Di questo vadano persuasi i miei concittadini.
Firenze, 28 marzo 1849.
La lettera anonima diceva:
«Ill. Sig.
Scrivo in questo carattere perchè alla
Posta non si faccia secondo il solito ec. ec. ec. - Io frequento molte, ma molte
Società.... e qui la croce addosso a Guerrazzi..... guerra a morte..... Ecco i
nomi di questi assassini aristocratici. Tutti i Fortini; il Capitano poi
della Guardia Civica il più accanito. I suoi cognati, Senno Capitano dei
Carabinieri, l'altro Segretario del Ministero di Grazia e Giustizia signor Duchoqué,
M***.
Terribile al colmo il Direttore degli
Alti Puccini, e il suo amicone avv. B*** e L***.
Quelli di secondo ordine a suo tempo ec.
ec.
Vanno finiti, - ridotti impotenti, -
esiliati.»
Non importa dire, che a nessuno dei
rammentati fu non solo non recata molestia, ma neppure diminuito riguardo.
Il Puccini tanto rimase in
ufficio, che potè iniziarmi contro questa brutta procedura, e in modo così
parziale, che rispetto a lui l'accusa di poca benevolenza verso me pare fosse
vera; ma egli periva di misera morte, e così Dio gli perdoni come io l'ho
perdonato.
Il Potere Esecutivo provvisorio della
Toscana,
Considerando esser cosa del più grave
interesse la sistemazione da darsi al già Dipartimento della Corte Toscana, sia
avuto riguardo agli stabilimenti ed uffizj che ne dipendono, sia avuto riflesso
alle determinazioni da prendersi relativamente agli stipendiati della Corte
stessa, la sorte di molti dei quali è strettamente connessa alla sussistenza di
altrettante non agiate o povere famiglie;
Considerando che, se un decreto del
Governo Provvisorio emanato nel decorso febbraio provvide ai più bisognosi fra
quelli stipendiati, resta ancora a fissare la sorte di quelli che non possono
dirsi compresi nella categoria presa di mira dal decreto suddetto;
Considerando che l'onore nazionale, come un
interesse sommamente morale e politico, vogliono che le definitive
determinazioni da prendersi su questo proposito siano il frutto di maturo e
coscienzioso consiglio;
Sulle proposizioni del Ministro
Segretario di Stato pel Dipartimento delle Finanze, del Commercio e dei Lavori
Pubblici;
Decreta:
Art. 1° È istituita una Commissione
composta dei Cittadini
Prefetto di Firenze,
Gonfaloniere di Firenze,
Generale della Guardia Nazionale
Fiorentina,
Avvocato Giuseppe Panattoni Consiglier di
Stato,
Cristoforo Cecchetti Soprintendente alle
Possessioni dello Stato.
Art. 2° La detta Commissione resta
incaricata:
1. Di discutere sulla sorte degli
impiegati addetti al già Dipartimento della Corte Toscana, per quindi proporre
al Governo il modo della definitiva loro sistemazione, avuti i debiti riguardi
alla natura e durata del servizio, non meno che allo stato economico delle
respettive loro famiglie;
2. D'esaminare e proporre, se, come, e
fino a qual punto debba mantenersi ai già stipendiati di Corte il godimento dei
diversi emolumenti, somministrazioni e franchigie di cui essi profittavano,
oltre il proprio onorario;
3. Di esaminare e proporre, se, come, e
fino a qual punto debba lo Stato continuare la prestazione di quelle
sovvenzioni, che in modo permanente o a ripetuti intervalli solevano elargirsi
dalla Corte, e nel caso affermativo compilare la nota delle persone e famiglie
da sussidiarsi;
4. Di liquidare ed appurare i conti dei
sovventori, manifattori, e altri creditori della Corte stessa e suggerire i
modi di pagamento;
5. E finalmente di prendere in maturo ed
esteso esame i provvedimenti da suggerirsi per la definitiva sistemazione ed
organizzazione delle varie branche e ramificazioni nelle quali il vasto
Dipartimento della Corte si divide, esponendo, in questo importante proposito,
quali di esse debbano o possano rimanere soppresse, quali debbano o possano
conservarsi; ed in quest'ultimo caso indicarne, e proporne il passaggio, sotto
la direzione e tutela di quel Ministero o Dipartimento da cui per natura loro
potessero con maggiore opportunità rilevare organicamente.
Art. 3. All'oggetto di facilitare alla
Commissione l'adempimento di così importante e delicato incarico, resta
dichiarato che essa potrà mettersi in spedita e diretta comunicazione con qualsiasi
pubblico dicastero dal quale gli occorresse attingere schiarimenti e notizie in
proposito.
Art. 4. Il Ministro Segretario di Stato
pel Dipartimento delle Finanze, del Commercio e dei Lavori Pubblici, è
incaricato dell'esecuzione del presente Decreto.
Dato in Firenze, dalla Residenza del
Potere Esecutivo provvisorio di Toscana, li trentuno Marzo
milleottocentoquarantanove.
F. D. Guerrazzi.
Il Ministro Segretario di Stato
pel Dipartimento delle Finanze, del
Commerci
e dei Lavori Pubblici.
Il Governo Provvisorio Toscano
ha decretato e decreta:
1. È istituita una Commissione, la quale dovrà
immediatamente occuparsi di ricevere la consegna dei Palazzi Regj, e di tutti
gli oggetti di qualunque natura nei medesimi esistenti, dei quali farà esatto
inventario.
2. Questa Commissione è composta del
Gonfaloniere della città di Firenze
Ubaldino Peruzzi;
General-Comandante la Guardia Civica
della stessa città Carlo Corradino Chigi;
Deputato al Consiglio Generale Avv. Luigi
Fabbri;
Professore Emilio Cipriani.
Dato in Firenze li otto febbraio
milleottocentoquarantanove.
I Membri del Governo Provvisorio toscano
In diverso stato da quello in cui
io mi trovo non sarebbe degno di notare come o la Vespa, o lo Stenterello,
io non so bene quale di questi due salutati dall'Accusa generosi
propugnatori dell'Ordine, giungesse perfino dileggiando a chiamare
impostura l'offerta, che io feci di mezza la mia indennità in sussidio di
Venezia, avendo assegnata l'altra al compimento della Chiesa di Rosignano. - E'
fu mestieri di pubblicare la lettera diretta da me al signor cavaliere Salvetti
Gonfaloniere di Rosignano.
Corriere Livornese del 9 febbraio 1849. - Merita
grandissima considerazione che nei tempi antecedenti il Partito repubblicano in
Firenze instasse con tutti i nervi pel suffragio universale.
«Il Circolo del Popolo di Firenze nella
sua adunanza del dì 4 corrente ha deliberato di fare un indirizzo al Ministero
perchè presenti, fino dal principio della sessione, una Legge elettorale col
voto universale diretto; una domanda alle Camere perchè la votino; una lettera
a tutti i Circoli e Municipii dello Stato perchè domandino lo stesso; ed un
invito al Popolo perchè, alla convocazione della Camera il dì 10 corrente,
acclami con solenne e tranquilla dimostrazione il voto universale.» -
(Popolano, N° 203, 8 gennaio 1849.)
Quando poi la parte repubblicana, meglio
avvisata, comprende che il voto universale non le tornerà favorevole, allora la
sua dottrina imperturbata smentisce, disvuole ciò che volle. Mazzini non istà
più a' patti, e muta parola; che cosa importa il consenso dei non Repubblicani,
e perchè si aspetta? Basta quello dei Democratici puri. La penna stessa, che
tracciava le linee citate, senza scomporsi registrerà queste altre:
«Quella adesione, la cui mancanza
ogni dì serve di pretesto al Governo Provvisorio toscano per indugiare la
promulgazione della Unione nostra con Roma e quella del regime repubblicano,
ogni giorno al Governo Provvisorio si fa maggiormente manifesta per l'organo
della pubblica opinione, per le proteste dei Circoli, per la impazienza
del Popolo. Tutta Toscana Democratica non ha che un voto, che un desiderio, - Unione
con Roma, - Repubblica, - e se tutta Toscana Democratica esprime
cotesto voto, non sappiamo vedere il bisogno, vedere la prudenza di avere
anco l'adesione della parte di Toscana che non è democratica. Oggi è il
Circolo democratico di Montalcino..... il quale alla sua volta viene a fare la
sua propria professione di fede al Governo Provvisorio toscano. E il Governo
Provvisorio toscano che cosa fa? Il Governo Provvisorio sul suo organo
officiale, il Monitore, riporta delle parole che ei pretende
uscite dalla bocca di Mazzini: parole che consigliano i Livornesi ad
aspettare, per dichiarare Repubblica, la decisione della Costituente Italiana
in Roma. Tali parole noi le ignoriamo ecc..... Certo sappiamo che nel suo
discorso ai Fiorentini..... ei disse doversi pronunziare immediatamente la
Toscana, non già per mezzo di una Assemblea, ma de' suoi Circoli, de' suoi
Municipii, delle sue rappresentanze già costituite. E quand'anco Mazzini avesse
detto quelle parole, noi domandiamo al Governo Provvisorio toscano come mai
egli invoca la autorità di un nome, la sentenza di un uomo, quando non
riconosce l'autorità di una popolazione, quando chiama non legale, non
sufficiente il desiderio espresso e palese di migliaia d'individui?» - (Frusta
Repubblicana del 18 febbraio 1849.)
Il signor Montanelli, non io, come
afferma la requisitoria del Regio Procuratore Repubblicano
Rusconi (Op. cit., pag. 167), fece inserire nel Monitore del 28 febbraio
1849, che stando a cuore del Governo la unificazione della Toscana con la
Repubblica Romana, aveva intavolato trattative sopra i seguenti articoli:
1. Unificazione dei due territorii
togliendo la linea doganale.
2. Parificazione di tariffe per
importazione, estrazione e transito.
3. Unificazione del sistema postale.
4. Reciprocità pel corso della moneta, e
moneta uniforme.
5. Reciprocità di corso pei Buoni del
Tesoro, e carta monetata.
6. Unità di rappresentanza all'Estero.
7. Istituzione di comune difesa.
8. Sussidio a Venezia da dividersi dai
Governi.
Queste cose concesse, rimaneva inutile
deliberare: poichè non erano riusciti a entrare per la via maestra, tentavano i
tragetti. Insorse grave discussione fra me e il signor Montanelli
principalmente intorno agli Articoli 1. 2. 5. Dice il signor Rusconi, che Roma
agevolava un passo alla Toscana; mi pare anzi che gliene agevolasse più di
uno..... ma per dove? Il signor Montanelli, giustamente commosso dalle mie
considerazioni, chiese allontanarsi, come invero si assentò col pretesto di
visitare le frontiere. Io rimasi a strigarmela co' Ministri romani. L'Articolo
7 concessi senza esitare, e stesi gli appunti per adempirlo, non che le
istruzioni pei Commissarii, le quali poi vennero ridotte in bella scrittura dal
signor Achille Niccolini: spedii eziandio i signori colonnello Manganaro e
capitano Araldi a Bologna per sollecitare un tanto scopo. Il Governo romano non
aveva mandato nessuno; aspettarono parecchi giorni invano, e se ne tornarono
sconclusionati! Accolsi anche l'8°. Gli altri furono rimessi al Consiglio di
Stato. Il R. Procuratore Generale pensa che questa operazione fosse un
nonnulla: il signor Rusconi Procuratore Regio della Repubblica
all'opposto acerbamente l'accusa.
Fra questi due Procuratori fortunatamente
occorre il Consiglio di Stato composto di uomini valorosi, e che temono Dio,
i quali dietro le traccie del mio Dispaccio del 4 marzo 1849 (Qui in parentesi
mi permetto due domande. 1° In questo giorno era accaduta la infausta battaglia
di Novara? 2° Perchè fra le centinaia di carte inutili, per cui il Volume
dell'Accusa si assomiglia più che ad altro alla bottega di un Cenciaiolo,
non fu stampato questo mio Dispaccio del 4 marzo?) mi risposero in questa
sentenza: «E ravvisando come pienamente civile e giusta la idea, che nel suo
dispaccio de' 4 corrente marzo viene dal Governo significata, di volere serbare
il suo carattere di Provvisorio e deferire all'Assemblea Nazionale ogni
decisione intorno alle future sorti della Toscana, ha creduto - che al
Governo stesso converrebbe astenersi dal pregiudicare in verun modo, e sia pur
anche per Trattati, meramente preparatorii a quella unificazione o veramente
assoluta e piena di un solo Stato con la Repubblica Romana, e della Toscana, od
anche semplicemente federativa dei due Stati, la quale per essere coerente alla
sua natura di Provvisorio non può l'attuale Governo non lasciare intatta e
libera alle Deliberazioni dell'Assemblea Nazionale, che tra pochi giorni sarà
convocata. - E ciò perchè nel primo caso di completa unificazione, Toscana
spegnerebbe in tutto la sua propria individuale esistenza, e vita; e nel
secondo, di unione federativa, la diminuirebbe, e molto considerevolmente. -
Ora ciascuno intende, che la Nazione soltanto può avere balía di sè stessa, e
che di ciò vorrà deliberare con gravissima maturità di consiglio, e senza
veruno impaccio di precedenti trattati i quali menomamente scemino quella
libertà, ch'è tanto necessaria.»
Poichè qui cade in acconcio,
rammenterò chi promuovessi ed intendessi promuovere allo ufficio di Prefetto e
di Delegato Regio nelle Provincie, onde si conosca se fossero gente di Partito,
e cospiranti ai danni della Monarchia Costituzionale. A Firenze il Deputato
Guidi Rontani; in Arezzo lascio il Cav. G. B. Alberti, in Lunigiana il Cav. E.
Sabatini, a Massa il Cav. R. Cocchi; poi a questo surrogo il Conte Andrea Del
Medico, a quello il Consigliere P. Beverinotti; ma prima a Pontremoli m'ingegno
inviare il Cav. F. Ruschi, a Lucca il Cav. L. Fabbri; recusarono entrambi per
ragioni di famiglia; però a Lucca mandai l'Aud. Buoninsegni, poi interino Landi
antico impiegato, e, pei conforti del Segretario Allegretti, a Pisa il Consig.
Martini, a Grosseto Massei già Presidente del Trib. di Commercio di Lucca.
Egregi tutti, ma degno di speciale menzione Raffaello Cocchi, il quale, rimasto
in credito di spese per lo ufficio liberalissimamente esercitato da lui, volle
con nobile esempio, che della somma dovutagli parte s'impiegasse a sollievo dei
poveri, e parte in benefizio di Venezia.
Cittadino Presidente
Questa sera 6 febbrajo vi era Circolo al
Pubblico Teatro. Mi vi sono recato, e siccome il presidente mi ha chiamato al
seggio annunziandomi come vice-presidente del Circolo popolare di Firenze, così
ho detto a questi nostri fratelli quanto noi c'interessavamo ai loro destini,
ho raccontato quanto avevamo fatto per loro, ed ho offerto in nome del Circolo
tutti quegli aiuti tanto morali che materiali di cui potrebbero abbisognare.
Molti evviva e ringraziamenti al Circolo popolare. Spero il Circolo approverà
quanto ho fatto. Voleasi fare una dimostrazione questa sera; e siccome vi era
pericolo si cambiasse in tumulto, così ho pregato il Popolo la differisse a
domani. Domani a mezzodì avrà luogo. Domani stesso vi scriverò più a lungo e vi
dirò qualche cosa degli affari in generale: non lo posso questa sera perchè
non ho visto nessuno.
Vostro Socio e F.
G. B. Niccolini.
P. S. Vi raccomando calorosamente le
decurie e centurie.
Questa notte la città nostra fu agitata
da insolito commovimento. Dopo le ore 8 di sera si videro splendere sopra le
colline circostanti moltissimi fuochi, e ad un tempo si udirono spari di
moschetto che continuarono lungamente. Presto si conobbe che nella campagna
vicina a Firenze si tumultuava. La generosa popolazione fiorentina non mancò a
sè stessa. Per tutte le vie era un accorrere, un chiedere le armi, un
dichiararsi pronti a respingere con la forza i traditori, a versare il sangue
per la libertà. La Guardia nazionale accorse in grandissimo numero, e mostrò
qual partito se ne poteva trarre sì per comprimere gl'interni nemici, come le
straniere aggressioni. Gli esuli lombardi accorsero tutti a difendere la
libertà minacciata, e la Legione Polacca, sebbene rientrata in Firenze da poche
ore, dimenticò la fatica e la stanchezza per accorrere a difesa della terra che
ospitalmente l'ha raccolta. La Guardia Municipale fu infaticabilmente operosa.
Ma ciò non bastava al desiderio ardente del Popolo. Tutti indistintamente
chiedevano armi sospettando di essere traditi. Allora si mostrava a raffrenare
l'ardore generoso il professor Montanelli, membro del Governo Provvisorio, che
sorgeva dal letto, ove giaceva infermo, per accorrere alla chiamata del Popolo.
Acquietava gli accorsi, mostrando loro come il disordine poteva essere più
funesto della scarsità della forza; avvertiva i cittadini a tenersi pronti, ove
fosse stata necessaria l'opera loro; lasciassero libera l'azione del Governo
che vigilava a salvezza comune. Alle parole dell'uomo venerato e caro si
acquietava la moltitudine, ma non dimenticava il pericolo della Patria. Intanto
non cessavano le cure del Governo. Forti pattuglie perlustravano la città e
uscivano anche dalle porte per iscoprire se dalle campagne si movesse
aggressione. Furono arrestati molti tumultuanti, e il Popolo a fatica si
conteneva dal manometterli, se non fosse stato l'egregio contegno dei militi, e
il rispetto alla Legge che è così forte in questa egregia popolazione. Il
Governo ricerca assiduamente gli autori de' fatti scellerati i quali resteranno
esposti a tutto il rigore della Legge, alla infamia e all'abominio di tutti gli
onesti; premio degnissimo a chi cerca contaminare di sangue cittadino questa
terra che fu culla di civiltà e di sapienza.»
«Popolo
di Firenze!
I segnali di un movimento retrogrado
apparivano ieri sera sulle colline circostanti. Ma agli occhi tuoi, o Popolo di
Firenze, splendeva un'altra fiamma, quella santissima di libertà, e col tuo
sorgere pronto, risoluto ed unanime, contro l'esterno attentato, mostrasti
quanto male si fosse apposto chi ti aveva sperato cooperatore alle sue nefande
intenzioni.
Lode a te! Lode a tutti coloro che in questa solenne
occasione si mostrarono devoti alla Patria! E bene veramente meritarono della
Patria la Guardia Municipale, le milizie di Artiglieria, l'Emigrazione armata
Lombarda, la Legione Polacca, e tutta la Guardia Nazionale, di cui faceva parte
la Riserva. Ogni elogio sarebbe poco a significare i sentimenti che il Governo
professa verso i generosi militi della Guardia fiorentina per la prova solenne
di devozione che col loro numeroso e pronto concorso porgevano alla causa
dell'ordine e della libertà. Esso sa che in qualunque pericolo li troverebbe
egualmente pronti a rispondere alla chiamata della Patria.
Perchè sia conosciuto il carattere
dell'attentata reazione, basterà dire che si gridava: - Viva i Tedeschi!
- Il nemico comune d'Italia vorrebbe con questi mezzi spianarsi la via della
invasione da tanto tempo desiderata.
Ma tu, o Popolo, vincerai, serbando fede
in Dio che protegge l'Italia, e nella santità dei tuoi diritti. I tuoi figli
già su i piani lombardi si mostrarono degni discendenti del Ferruccio, e le
glorie del Mincio non saranno, ove occorra, smentite sulle rive dell'Arno.
Firenze, 22 febbraio 1849.
G. MAZZONI.
G. MONTANELLI.»
(Monitore del 23 febbraio 1849.)
«È stato universale il grido di
riprovazione e di difesa. La Guardia Civica è corsa immediatamente alle
armi in gran numero. La Guardia Municipale ha mostrato zelo e operosità
lodevolissima. La Emigrazione Lombarda era tutta armata. Il Popolo
voleva armarsi tutto, e ho dovuto parlargli per contenerlo. - Sono stati fatti
degli arresti nelle vicinanze, e durano fatica a salvare gli arrestati dalla
furia del Popolo.» - (Dispaccio telegrafico del 22 febbraio 1849.) - La
verità dei fatti contenuti in questo Dispaccio è confermata dalla Deliberazione
Municipale del 24 febbraio 1849 dove occorre scritto: «Considerando in ispecie
che la condotta del Popolo e della Guardia Nazionale di Firenze
nella sera del 21 corrente dà al Governo garanzia sufficiente, che i Cittadini
bastano senza eccezionali misure a tutelare l'ordine e la libertà...» Dunque
anche il Municipio pensava che i moti del 21 la libertà e l'ordine
avversassero, ed egli stesso fa fede che Popolo e Civica così risoluti li
compressero da dispensare l'uso di ogni eccezionale provvedimento. Il Prefetto
di Firenze, spaventato a ragione degli atti minatorii del Popolo, invoca il 22
febbraio lo aiuto del Circolo onnipotente in tutela degli arrestati: «Il
Presidente del Circolo del Popolo è pregato inviare alle Carceri pretoriali una
deputazione dei suoi Socj per esortare il Popolo, che ivi si trova affollato, a
rispettare la Legge e la giustizia, non insultando le persone che gli agenti
della pubblica forza vi conducono in istato di arresto.» - (Vedi Documenti
dell'Accusa, pag. 115.) - E buono accorgimento fu questo; però che si venisse a
togliere al disordine la parte più temuta, e impegnarla ad opera di civiltà. -
Uno Smith, un Ricciardi, e fu detto un Trollope, furono salvati a stento su la
Piazza di San Firenze dal Popolo infuriato. - Il Conciliatore, perpetuo
nemico nostro, nel 23 febbraio 1849 stampava: «I fatti accaduti nei contorni di
Firenze e in varie parti della Provincia danno segno di una divisione di animi
nelle nostre Popolazioni, e possono essere seme funesto di sanguinosi
dissidii domestici.... Ma se del mal fatto sono oggi inutili i rimpianti,
non crediamo che a niuno onesto sia conteso proporre quei rimedii che almeno
possono renderlo minore nei suoi effetti.... Usi il Governo della forza
della Legge per comprimere i perturbatori..... Ora la rovina si è fatta
completa, l'avvenire si è coperto di tenebre, e Dio solo sa a che riusciranno.»
Toscani!
Il Principe, a cui voi prodigaste tesori
di affetto, vi ha abbandonato.
E vi ha abbandonato nei supremi momenti
di pericolo.
Il Popolo e le Assemblee legislative
hanno appreso questo fatto con senso di profonda amarezza.
I Principi passano, i Popoli restano.
Popolo ed Assemblee hanno sentito la loro
dignità, e provveduto come conveniva.
Il Popolo e le Assemblee ci hanno eletti
a reggere il Governo Provvisorio della Toscana. Noi accettammo, e in Dio
confidando e nella nostra coscienza, lo terremo con rettitudine e con forza.
Coraggio! Stiamo uniti; e questo avvenimento
sarà lieve come piuma caduta dall'ala di uccello che passa.
Nessuno si attenti sotto qualunque
pretesto turbare la pubblica sicurezza. Il Popolo guardi il Popolo. La libertà
porta bandiera senza macchia. I Toscani se lo rammentino. Custodi, per volere
del Popolo, della civiltà, della probità, e della giustizia, noi siamo
determinati a reprimere e acerbamente reprimere le inique mene dei violenti
e dei retrogradi: difensori della Indipendenza, noi veglieremo a ordinare
armi libere e onorate.
Viva la Libertà!
Firenze, dal Palazzo della nostra
Residenza, questo dì 8 febbrajo 1849.
I Membri del Governo Provvisorio Toscano
Il nostro Circolo non dorme,
e cura quanto può gl'interessi
dei fratelli, che gli sono carissimi. Ha
già fatto uno indirizzo al Ministero
per rimproverarlo di non avere seguito il
Granduca, e domandare
il suo ritorno in Firenze. Si è poi costituito in permanenza,
ha
creato una commissione perchè sia in
corrispondenza continua col
Ministero, e cinque commissarii ec. -
Firenze, 5 febbraio 1849.» - (Documenti
A pagg. 102, 105-109 dei Documenti
dell'Accusa si trovano traccie
del fiero sospetto in cui era venuto il
Barone Ricasoli. L'Archivio
Sir George
Hamilton to viscount Palmerston.
«Florence,
February 27, 1849.
Pepe, Histoire
des Révolutions d'Italie, pag. 36. - Bruxelles.
Cesare Vimercati, officiale di marina
austriaco, nella sua Italia ne' suoi confini e l'Austria ne' suoi diritti,
ovvero Rivoluzione e guerra del 1848, a pag. 39, così ci racconta pure
questo fatto. «Il Vice-Presidente allora prometteva sulla sua parola che gli
avrebbe soddisfatti; ma il Popolo, sapendo per esperienza quanto valevano le
promesse, infuriava gridando: lo vogliamo in iscritto; ed un tal
Cernuschi facendosi avanti obbligava O' Donell a sottoscrivere diversi ordini
che venivano tosto pubblicali per la città, e che qui riportiamo:
Milano, 18 marzo 1848.
Il Vice-Presidente, vista la necessità
assoluta per mantenere l'ordine, concede al Municipio di armare la Guardia
Civica.
Firmato: Conte O' Donell.
La Guardia della Polizia consegnerà le
armi al Municipio immediatamente.
Conte O'
Donell,
La Direzione di Polizia è destituita, e
la sicurezza della città è affidata al Municipio.
Conte O'
Donell.»
Questa sera fummo spettatori d'una
di quelle dimostrazioni che rivelano tutta la bontà nativa del Popolo, la soave
arrendevolezza dell'animo suo.
Il Popolo e la Guardia Nazionale disposti
in ordine, a suon di tamburo, preceduti da splendide bandiere, si recavano a
salutare dei loro voti, dei loro applausi e dell'antico affetto, il nuovo
Generale della Guardia Nazionale di Firenze, il professore Zannetti. La scena
fu lieta e commovente ad un tempo: l'amore delle moltitudini trasfuso
nell'evviva prolungato e universale: la rispondenza dell'acclamato rivelata con
parole tenere, appassionate, interrotte dalla interna agitazione: l'ora, il
luogo, e la solennità della festa, d'una familiarità popolare.....
Il professore Zannetti..... l'uomo
eminentemente italiano, rinnovava la promessa alla patria di volerla difendere
contro tutti i nemici interni ed esterni col baluardo del proprio petto, del
proprio sangue. Diceva esser degno il Popolo di governarsi da sè stesso, di
raggiungere la più filosofica forma di governo, la Repubblica, quando
sappia contenersi nelle vie dell'ordine, dell'armonia, della fratellanza. La
Guardia Nazionale non dover mai apparire altrimenti che in tutela della
libertà: l'esercito stanziale, gli altri corpi dello Stato, il Popolo tutto
concordare con essa al santissimo fine. E la Toscana decretare i suoi destini
con tranquillo giudizio, secondo il voto universale.
Il Popolo applaudiva a queste parole,
interrompendole della sua approvazione; applaudiva agli abbracci fraterni dati
come simbolo dell'amplesso generale dal professore Zannetti ad un Ufficiale
della Guardia Nazionale, ad un altro della milizia.
Suggellava in quel momento un patto
infrangibile d'amore e d'alleanza coll'esercito, colla Civica antica, colla
sorgente e rinnovata Guardia Nazionale. Poi, ad una semplice preghiera del
Generale, si disperdea, procedendo alle grida di: Viva Zannetti, Viva la
Repubblica, Viva l'Unione con Roma.
Tali sono le tendenze e le volontà del
Popolo che si rivelano ad ogni istante, in qualunque occasione. Noi non
sappiamo perchè gli uomini del Governo e quelli che sono da esso preposti
sembrino paventare questa salutare espansione del Popolo, e s'industrino a
rattenerla. Vanno ripetendo l'ordine, l'ordine, l'armonia.
E chi più del Popolo la sente, la coltiva, l'apprezza? Vanno instillandogli che
egli non abbia a usurpare una soverchia potenza, facendosi rappresentanza del
concetto di tutti, e quasi gl'indicono di porre un freno agli interni aneliti,
che sono la prima rivelazione della verità. E chi più del Popolo non l'ha da
gran tempo compresa questa verità; di lui che in luogo del monopolio dei
privilegiati, ha domandato e domanda il libero esercizio della sovranità
universale? Lo spediscono dolcemente alle case con raccomandazione di calma
taciturna, quasichè l'aperto grido alla luce del cielo in questo stadio di
vita convulsa e interrotta, - d'organismo politico disfatto e rinnovantesi,
- non fosse un sintomo, una prima e necessaria manifestazione dell'avvenire!
Petracchi a Guerrazzi: - Ricevo in
questo momento un Dispaccio dal Pigli che dice: Torni immediatamente. È vero,
si tenta un colpo a Pietrasanta, ma non riuscirà. Nulladimeno è necessario che
i buoni Livornesi sieno in Livorno. - Cosa devo fare? ho bisogno
d'istruzioni, e sollecitamente.» - 18 febbraio 1849, ore 11 a. m.
Mazzoni, non io, dà il medesimo ordine a
Petracchi, ma dopo.
«Petracchi a Pigli: - In questo momento
ricevo un Dispaccio dal Presidente Mazzoni, che mi ordina partire per Livorno.»
- 18 febbraio 1849, ore 12, m. 45.
Ill. sig. Prefetto.
1: Dell'ingegno di Gio. La Cecilia,
decisamente antipatico a qualunque subiezione, ostinato a fare a modo suo, e a
confondere ogni ordinamento, mi porge prova certa lettera rinvenuta tra le mie
carte in Livorno. Il Municipio mi aveva incumbensato della organizzazione della
Guardia Civica; io consentiva, compiacendo al voto del Popolo, incumbensare La
Cecilia di talune attribuzioni: questi le usurpa tutte, e subito; anzi arriva
perfino a pubblicare notificazioni col mio nome senza pure consultarmi! Il
Gonfaloniere mi mandava la lettera seguente, che io partecipava a La Cecilia
con la nota che vi si legge a tergo: sono testimoni informati del fatto Fabbri
e Baganti, ed altri parecchi:
«Illustriss. Signore
Leggo nella Notificazione o Avviso di
questo giorno, che le forme per la elezione degli Uffiziali, sotto-Uffiziali
ec., devono essere indicate dal Municipio; ciò è contrario alla Notificazione
del 9 settembre, poichè in essa vien detto che in tutto quello che non è
contemplato nel presente Regolamento s'intende supplito dalla legge e dagli
ordini in vigore relativi alla Guardia Civica Toscana.
Ora non trovandosi nulla in proposito su
detta Notificazione mi sembra che si debba tenere il sistema antico delle schede
ec. per quanto lungo, e nojoso.
Le sono rispettosamente
Di VS. Ill. Dalla Comunità di Livorno, il
27 settembre 1848.
Devotis. Servitore
Avv. L. Fabbri Gonfaloniere.
All'Ill. Sig. Avv. F.-D. Guerrazzi Livorno.»
(In margine) «A. C.
Non è mia colpa tutto questo apparato di
solennità, ma del Diplomatico Baganti. - L. F.»
(A tergo) «Come rispondere alla
qui aggiunta? Questa Notificazione di stamani io non l'ho neppure vista. - E
ciò dipende sempre perchè voi organizzatori disorganizzate ogni cosa, repugnando
fare sempre capo a un centro. Io taccio per non parere geloso di prerogative;
ma voi siete imbroglioni per eccellenza. Non sono io incaricato con Petracchi
della Guardia Civica? Dunque perchè mandi tutti i fogli in Comunità? anzi ve li
porti tu stesso? Perchè fai Notificazioni in mio nome senza che pure le legga?
Così non va BENE.
F. D. G.»
Io vidi certo, ed ancor par ch'io
'l veggia,
Un busto senzo capo andar, sì come
Andavan gli altri della trista greggia.
E il capo tronco tenea per
le chiome
Presol con mano, a guisa di lanterna.
Dante, Inferno, XXVIII.
La lettera a Giorgio Manganaro
amico mio, e prestantissimo uomo, dice:
«Amico
Vedi lettera di Prete birbo: sorveglia se
vi è Frugoni, e si cacci via. - Sai tu, che ci è di nuovo? La Cecilia mi
propone di dare la Toscana al Piemonte, e andare a Roma per intrigare in
proposito. Vedi fede! Questa lettera si depositi negli Archivii della Polizia.»
Guerrazzi.»
Questo fatto nel libro di Luigi
Carlo Farini, intitolato Lo Stato Romano, così si racconta:
"... Ma nel momento in cui i
Costituzionali toscani si ponevano a grave repentaglio tentando aiutare
l'impresa del Laugier, i consigli della Corte di Santo Stefano cambiavano
intieramente. Erano colà giunti da Gaeta sopra un battello a vapore il Bargagli
ministro presso la Santa Sede ed un Saint-Marc francese, faccendiere
legittimista, i quali col granduca e colla sua famiglia ebbero confidenti
colloquii per un giorno intiero, senza che i legali fossero chiamati a
consiglio od avessero sentore degli avvisi che quelli recavano. Avevano recate
lettere del Santo Padre pel granduca, lettere e consigli del cardinale
Antonelli, della Corte di Napoli, della Duchessa di Berry, dell'Esterhazy, dei
legittimisti, pel granduca, per la moglie, per la sorella, per la Corte
Toscana. Il giorno appresso, convocati i legati, il granduca disse, avere
ricevuta una lettera di Gaeta (che poi quelli seppero essere del papa), in cui
si diceva, che l'Austria non permetterebbe mai che il Piemonte intervenisse in
Toscana, e che non prima le truppe piemontesi passerebbero la frontiera, il
maresciallo Radetzky muoverebbe sopra Torino; che presto Austria, Francia,
Spagna e Napoli restaurerebbero coll'armi il papa, e che il Piemonte era al
bando dell'impero e del sacerdozio. Per le quali cose, soggiunse il granduca,
aveva dovuto convincersi, essere suo debito di ammonire prontamente il re di
Sardegna dei pericoli che correva, dichiarandogli, non volere essere cagione
delle disgrazie che lo minacciavano, e quindi aveva rinunziato all'aiuto
ricercato prima, ed aveva mandato ordine al generale Laugier di astenersi o
dare indietro dall'intrapresa che gli aveva affidata. I legati furono
maravigliati ed afflitti da questo discorso, se si eccettui monsignor Massoni
internunzio pontificio, che fece segno d'assenso. Un d'essi, lo Svedese, notò
che la notizia mandata da Gaeta delle deliberazioni dell'Austria non poteva
essere fondata sulla verità, perchè a Gaeta non si poteva avere sentore il
giorno 18 d'una determinazione qualunque presa dall'Austria in Olmutz intorno all'intervento
piemontese chiesto con lettera del granduca, giunta a Torino soltanto il giorno
17. Le notizie di Gaeta adunque, soggiungeva, facevano fondamento in un
desiderio, forse in un consiglio di là mandato all'Austria, o in una semplice
supposizione, e perciò non doveva il granduca fondare in quelle i suoi giudizii
e le sue deliberazioni. Pensasse, che avendo l'Austria accettata la mediazione
della Francia e dell'Inghilterra a Brusselle, non poteva credersi nè che il
Piemonte, contro l'avviso della Francia e dell'Inghilterra, pigliasse l'impresa
della restaurazione in Toscana, nè che quelle permettessero all'Austria di
assalire il Piemonte per simigliante cagione: perciò conchiudeva, che il
granduca dovesse scrivere di nuovo a re Carlo Alberto, non già rivocando la
domanda del soccorso, ma sì disdicendo la lettera che aveva mandata per
rivocarlo, ed avvertendolo semplicemente delle notizie che di Gaeta aveva
ricevute. Parve Leopoldo arrendevole a questi ragionamenti e consigli, e fatto
venire innanzi a sè il Legato Sardo, gli consegnò una nuova lettera pel suo
re...."
Io ho chiesto le Corrispondenze
ufficiali, e fin qui non mi si vollero dare; sicchè con che cosa io abbia a
difendermi non si sa vedere. Nel Monitore trovo il seguente Dispaccio
del Comandante di Piazza di Carrara al Ministro della Guerra, in data del 19
febbraio 1849:
"Il General De Laugier s'è messo in
aperta ribellione col Governo Provvisorio, giacchè avanti ieri essendosi recato
a Pietrasanta vi lesse un Proclama di Leopoldo d'Austria, quindi da pochi
birbaccioni fece suonare le campane a festa, e lacerare tutti i proclami del
Governo Provvisorio; in seguito, presa mezza batteria, la fece trasportare al
forte di Porta appostandola in direzione ostile, guardata da circa dugento
soldati che io stesso vidi. - Il Delegato di Massa già aveva protestato contro
l'infame attentato del De Laugier; mi trasferii subito a Carrara.
I Carraresi si sono condotti degnamente,
giacchè tanto il Municipio che la Guardia Nazionale e tutta l'intiera
Popolazione non hanno voluto riconoscere il potere militare di De Laugier,
ed hanno fatto rispettare tutti i decreti del Governo Provvisorio che stanno
affissi nelle muraglie; agli stessi pochi soldati che qui stanziano, è stato
comunicato lo spirito della popolazione di Carrara, stantechè il proclama di
Leopoldo d'Austria, ch'era stato affisso alla porta del loro quartiere, è stato
da loro stessi lacerato, e ve ne hanno sostituito un altro in favore del
Governo Provvisorio, dimodochè penso che l'attentato del De Laugier sia ormai
sventato, non avendo ottenuto, come egli sperava, l'appoggio morale di
queste popolazioni."
Nei Giornali del tempo trovo quest'altra
corrispondenza:
"Massa, 21 febbraio. - Noi ci
troviamo in tale incertezza, in tale stato d'inquietudine, che vi giuro mai
provammo l'eguale. Il Generale De Laugier, dopo aver fatto affiggere una
protesta in nome di Leopoldo, si diede quindi a correre le nostre contrade
seguito da parecchi Dragoni a cavallo, e gridando Morte ai Repubblicani, Viva
Leopoldo II. Il Municipio, composto d'uomini deboli o peggio, non ha fatto
alcuna protesta pubblica contro di esso. Solo il Circolo popolare alzò la sua
voce di disapprovazione, dichiarando che il Popolo di Massa non parteggiava per
alcuno, ma solo per l'Italia e per l'Indipendenza; ciò procurò da parte del De
Laugier una minaccia di oppressione, stato d'assedio, e peggio. Non sappiamo
nulla di positivo della Toscana; correte però presto a liberarci, che le
tiranniche violenze di questo piccolo despota ci sono insopportabili."
Le corrispondenze officiali, di
queste mene non tacciono. La Sentenza della Corte Regia di Lucca del 4 giugno
1880 dichiara: "Attesochè altri non manchino i quali affacciano il sospetto,
che fra i segreti agitatori delle campagne alcuni vi fossero avversi a un tempo
alla democrazia e alla Dinastia Lorenese, e coltivassero la occulta mira per
ricondurre il già Ducato di Lucca a condizione di cose impossibile;" - ma
più esplicitamente i Giornali dei tempi intorno alle mene pei Piemontesi.
Il Popolano del 15 febbraio 1849 così allarma il
Governo Provvisorio con le sue corrispondenze lucchesi, che in sostanza erano
vere: "A Lucca pure i fervidi patriotti perdon coraggio per la fiacchezza
del Governo, che sembra volontario ficcarsi negli occhi le dita per nulla
scorgere di quanto gli succede dattorno. Note di adesione al Governo Sardo
circolano sempre per la città, e diecimila Piemontesi sono alle frontiere,
presso Sarzana, desiderosi di porre il suggello del fatto compiuto alla perfida
macchinazione della trista combriccola della Riforma, foglio svergognato
e venduto, a cui, nei tempi che corrono, e nel bisogno di unione e di quiete
interna che supremo impera, non dovrebbe bastare lo invocare la libertà della
stampa per proseguire nelle sozze sue opere; e come austriaco, e come traditore
della patria, esser dovrebbe messo fuor della legge, e condannato alla pena dei
facinorosi."
"Le più allarmanti notizie fannosi
correre in quel paese (Lucca) pieno di generosi intelletti, ma dallo iniquo
partito, soverchiante, tenuti isolati e divisi.
"Ieri abbiamo da lettera di
onesto cittadino tenersi colà per certo l'accordo del De Laugier col Piemonte.
Alla menzognera notizia una mano di soldati con insolita burbanza dirigevasi
sulla piazza di San Michele, dichiarando ad alta voce non volere eglino prestar
servigio al Governo Provvisorio, perchè - urlavan essi - composto di tre
assassini, e proseguirono in altre esecrande invettive finchè parte di
Popolo non gli ebbe ricondotti a forza nella loro caserma, dopo essersi
impossessata delle armi. I cittadini spontaneamente si dettero a pattugliare
per la città, ove niun disordine ebbe luogo, ma non fu però potuto impedire
fossero sparsi fogli sediziosi fralle truppe, colle quali insinuavasi dovere
eglino persistere nel loro proposito di non servire ad un Governo che ci
conduce al macello. Di tutta la Ufficialità risiedente in Lucca due soli
hanno parlato a pro di esso: gli altri permisero che alti personaggi s'introducessero
nel quartiere militare, e vi spargessero danari per sovvertire sempre
maggiormente i soldati.
Merita esame profondissimo la
seguente lettera da me mandata al R. Delegato conte Staffetti, mentre io durava
nei Consigli della Corona: per essa si comprende come la mia politica fosse la
conseguenza franca e decisa del Decreto del 12 maggio 1848 - (Ministero Compini,
- e della Commissione data il 22 settembre al Marchese Ridolfi - (Ministero Capponi),
- sia intorno alla consulta del voto popolare, sia intorno alla necessità di
accorrere con tutte le forze in soccorso dei Lunensi:
«Al signore Conte Andrea Del Medico
Staffetti Delegato R. di Massa e Carrara.
Signore Delegato, Amico carissimo.
Io ho motivo fondato per credere che le
minaccie, e le paure relative al paese alla fede vostra commesso, e che voi con
senno pari alla energia governate, si abbiano a reputare per vane; e
nonostante, quando fossero vere, il Ministero è deliberato difenderlo con ogni
supremo sforzo, così persuadendo la politica, l'onore, e il dovere.
Uno Stato, perchè duri, e non sia uno
scherno geografico, concedetemi la espressione, ha mestieri di confini
naturali. La natura gli ha dati alla Toscana; essa ha potuto conseguirli; e
adesso deve mantenerli. - La difesa esterna, alla quale ogni Stato che non si
voglia ridotto nella condizione di schiavo tremante ha diritto, così ordina.
L'amministrazione interna, per le ragioni che ogni uomo intende, senza pure
tôrmi il pensiero di esporle, così domanda. - Il Trattato di Vienna ormai,
nella divisione territoriale del nostro Paese, fu chiarito assurdo, e Dio
volesse che fosse stato assurdo in questa parte soltanto!
Qualunque sieno le sorti che la
Provvidenza riserba alla Italia, confido in questo, che, se avranno a decidersi
co' Congressi, agli antichi errori verrà riparato col senno; se poi con le
guerre dei Popoli, saranno emendati con la spada. Ad ogni modo vogliono essere
corretti, se non si ama perpetuare gli argomenti della inquietudine, e saranno.
E ciò posto da parte, noi vi abbiamo
aperto le braccia, voi vi ci siete precipitati dentro, e ormai questo amplesso
ha da essere indissolubile. La libera votazione del Popolo è l'unico, e il
santo diritto divino dei Principi: infatti la libera volontà dell'uomo,
determinata dalla segreta ispirazione del suo Creatore, è il modo col quale in
simili bisogne Dio si rivela agli uomini; e questa dottrina io penso che non
abbisogni essere dimostrata.
Non sarà detto che voi abbiate ricevuto
danno per la benevolenza
dimostrata con modi così solenni a noi Toscani. Voi siete per natura, e
diventaste adesso per libero consenso della mente, quasi carne della nostra
carne, ed ossa delle nostre ossa. Noi vi difenderemo da tutti, e ci
salveremo, o periremo insieme.
Poche sono le forze nostre, e non
pertanto bastano contro i nostri nemici; e poi stanno per noi la ragione, e il
buon dritto, che, come la esperienza insegna, fanno forza agl'Imperii più
poderosi.
Queste leali ed esplicite dichiarazioni
avranno, io spero, virtù di assicurare i timidi, e confermare i risoluti.
L'Accusa pare, che faccia nascere i sassi
Dal più profondo e
tenebroso abisso,
per urtarvi dentro: invero la disciplina
militare difficilmente troverebbe cultore più passionato di me; quando mi
pervenne la notizia della strage del Giovannetti la mia voce si levò nel Parlamento,
perchè fosse sottilmente ricercata, e punita.
«Guerrazzi. - Mi vengono sicure
notizie non solamente a carico della compagnia dalla quale si suppone che possa
essere derivata la uccisione del Colonnello Giovannetti, ma ancora relative al
pessimo contegno tenuto da tutto il Corpo dei Granatieri nella presente
Campagna.
Mi si annunzia di più che le
provocazioni, le minaccie e gli scopelismi usati contro il Giovannetti datano
da tanti tempi remoti; e per conseguenza domanderei al sig. Ministro della
Guerra affinchè si facesse dovere di affrettare una simile inchiesta.
Privatamente lo faremo anche noi, affinchè, corrispondendo a questa inchiesta
le notizie che mi vengono date, sia proceduto con tutto il rigore della Legge,
non solamente a carico della compagnia, ma anche contro tutto questo corpo di
Granatieri; il quale, essendo corpo scelto, doveva dare esempio di disciplina,
e, secondo le informazioni ricevute, avrebbe fatto tutto al contrario.
Ministro della Guerra. - Dal momento in cui le nostre truppe
mossero per la Lombardia fu istituito un tribunale militare a cui
incombe l'incarico di fare le indagini necessarie dei fatti tumultuosi o dei
disordini che avvengono nel campo. Io, nonostante, tornerò ad eccitare il
tribunale, affinchè si occupi di queste indagini.
Il Prefetto di Lucca al Ministro
dello Interno. Trascrivo un biglietto del Delegato di Massa e Carrara, che mi
perviene in questo momento, così concepito - Massa 18 febbraio. Signor
Prefetto. I Piemontesi non entrano. Laugier è sconcertato. Qui calma
dignitosa. Altrettanto sia in Toscana, ed il folle progetto cadrà per la sua
propria incostanza. Dirami questa notizia, e sopra tutto la comunichi al
Governo.
Cittadini del Governo Provvisorio.
Non avendo avuto tempo a convocare
un'Adunanza Magistrale, ho riuniti presso di me diversi Priori, li ho
consultati sul ritardo della revoca della Legge Marziale. Tutti siamo unanimi
nel mantenerci fermi nei principii esposti nella nostra Deliberazione del 24
corrente, e non possiamo secondare le vedute del Governo in quanto sono
contrarie a quei principii.
Il Circolo del Popolo di Firenze nella
Seduta del 26 febbraio 1849 ha decretato:
V'inviamo i cittadini Canonico Alfonso
A., Capitano Francesco G., Canonico Carlo R. e Avv. Giuseppe D. G., Agostino R.
e Oreste M., socj del nostro Circolo; i quali sono stati eletti per recarsi costì
ed unirsi a Voi, ed ai Deputati degli altri Circoli Toscani, nella
Dimostrazione da farsi al Governo Provvisorio giovedì prossimo, per chiedere
che sia mandata ad effetto la proclamazione della Repubblica e l'unificazione
della Toscana con Roma, a seconda di quanto è stato annunziato col num. 465
dell'Alba.
Cittadino Presidente del Governo
Toscano.
Il Circolo del Popolo di Firenze ha
inviato quest'oggi in Siena e nei dintorni dei Commissarii per ottenere che per
giovedì futuro una banda di Popolo ed una Deputazione di questo Circolo da me
presieduto si portino a Firenze per proclamare definitivamente in piazza la
Repubblica e la Unione con Roma.
Fra questi Commissarii è un tal B.
aderente di M.
Dubitando io della fede dei messaggi qua
venuti, non ho voluto precipitare, ed ho rimessa a dimani sera l'adunanza
pubblica di questo Circolo.
Il predetto B. ha fatto sentire che tutti
i Circoli Toscani invieranno giovedì prossimo i Deputati a Firenze, che Livorno
si verserà tutto nella Capitale per eseguire quanto sopra.
Io ho obiettato al B. che non mi sembrava
utile o decente lo attraversare i passi del Governo, e paralizzare la
convocazione della futura Assemblea Legislativa già decretata dalla Legge.
Ho obiettato ancora, che avendo il Popolo
di Firenze proclamata la Repubblica, salva l'adesione del Parlamento, non
poteva porsi in contradizione con sè medesimo con lo impedire che questo
Parlamento sorgesse a stabilire la forma definitiva del nostro Governo. Ho
avvertito infine che gli ultimi avvenimenti della Toscana, le reazioni
abbattute, i Governi Popolari stabiliti di fatto, erano tali elementi che
obbligavano senz'altro la futura Assemblea a proclamare la Repubblica.
Queste cose io andava dicendo al B. ed
altre molte. Quest'ultimo peraltro ha insistito nel sostenere che è urgente il
proclamare giovedì prossimo la Repubblica e la Unione o Fusione con Roma, non
mancando d'insinuare segretamente a molti che anche il Governo desidera di
abbandonare la via della legalità e procedere con la Rivoluzione.
In questo stato di cose, io ho preso il
partito di rivolgermi a voi, Padre della Patria, per domandare istruzione e
consiglio.
Immensa è la popolarità che io ho
acquistata in questo paese; come Presidente poi del Circolo, posso fare e
disfare.
Debbo io secondare, o impedire in questa
città i progetti del Circolo fiorentino? Attendo replica con la prestezza del
fulmine per regolarmi.
Avverto che domani sera il Circolo
Pubblico, che suole essere numerosissimo, si adunerà a ore 24 al Teatro dei
Rozzi.
È urgente adunque che prima di quest'ora
la replica mi giunga.
I Senesi sono quasi tutti Repubblicani
ec. - D. D. C.»
Il ritardo di posta dell'invito, che piacque
a voi, Cittadino Presidente, d'indirizzarci all'effetto del nostro intervento
sulla Piazza del Popolo in questo giorno 1º marzo per solennizzare la
proclamazione della Repubblica e della Unione della Toscana con Roma, è stato
sentito con generale dispiacere, giacchè impedì di adunare il Circolo, e di
aver tempo sufficiente per trasferirvisi.
Il Nazionale del 2 marzo
narrava: - «Ieri sera vi fu pubblica adunanza del Circolo Nazionale nel teatro
grande in Via Goldoni: era presente l'Avv. L. Deputato del Circolo di
Firenze. Si trattò della dimostrazione che doveva aver luogo stamane in
Firenze contro il Proclama del Governo Provvisorio del 27 p. p.; fu
proposto di uniformarsi a quanto aveva fatto il Circolo della Capitale.»
È impossibile annoverare tutti gli errori
commessi per leggerezza o per malvagità nel giudicare gli uomini politici del
nostro tempo; per non iscostarci da casa, vediamo in certi libri Benoît Champy,
ministro di Francia, accusato di alimentare le sedizioni in Firenze, mentre
Benoît Champy ci si mostrò sempre moderatissimo uomo, e più presto inclinato
alla Monarchia Costituzionale, che alla demagogia. Quale dovesse essere tra
noi, lo fa conoscere il partito che, come rappresentante del Popolo, sostiene
nell'Assemblea di Francia: egli appartiene alla destra, e, comunque nipote del
Lamennais, parteggia per l'Eliseo, ed ha votato la revisione della
Costituzione. - Lord Hamilton Baillie, ministro inglese, è detto intrinseco dei
ribelli; e questo diplomatico fu onestissimo tory, amico del Principe e
del Principato, aborrente da ogni trambusto, zelante propugnatore della
civiltà; di più, percosso da insanabile malattia, la quale non gli permetteva
uscire di casa, e talora nè anche ricevere visite. - Lord Palmerston viene
designato sempre col mantice in mano per soffiare nel fuoco rivoluzionario
d'Italia; ed io, salvo onore, ho da dire, che il nobile Lord assai si
rassomiglia allo zio di Francesco Berni, di cui questo bizzarro ingegno cantò:
A Roma andai dipoi, come a Dio
piacque,
Pien di molta speranza, e di concetto
Di un certo mio parente cardinale,
Che non mi fece mai nè ben, nè
male.
Questa fallacia di giudizii non solo su
gli uomini comparisce, ma su le cose ancora. I democratici di Europa si
mostrarono parzialissimi alla rivoluzione di Ungheria; ed oggimai è provato che
i Magiari non erano repubblicani nè democratici; stirpe fiera, tenace dei
privilegii, conservatrice delle preminenze sopra la razza slava, aliena dalle
idee e dai costumi stranieri; sprezzante di ogni novità per modo, che spesso
pronunzia in guisa di proverbio quel detto: «Mio nonno stesso non intese mai
favellare di questa cosa.»
Certo con sacca e scuri non
si andava a restaurare il governo monarchico-costituzionale. E se abbiamo
detto, che in quelle campagne il grido di - Viva Maria - è quasi
sinonimo di violenza e rapina, perchè non si reputi esagerata, o imaginata a
comodo di difesa quest'asserzione, ci permettiamo di riferire alcuni versi del
nostro amenissimo poeta Guadagnoli, scritti in uno dei vernacoli del contado
aretino.»
Doppo che 'n tempo de la
battitura
Fadighæ' quant'un æseno da
basto,
Nun me spettevo mèo questa
figura!
E pure armasto so come so
armasto!
Cappodeddua! se doppo mïtitura
Dicio che 'l græn la
ruggene avía guasto,
Alnotta tanto tanto se
putía
De calche sacco fœ' VVIVA
MARIA!
Siccome temo, che chi legge non mi
abbia a dare fede, - tanto parmi, ed è enorme il caso, - m'induco, comecchè
repugnante, a copiare le parole precise del Decreto:
Alba, 28 febbraio 1849. - A prova della
continua pressura della Fazione Repubblicana si vogliano, in grazia esaminare
questi frammenti:
«La volontà del Popolo è stata disconosciuta,
contrariata, rinnegata. La disobbedienza del Governo chiedeva
riparazione.... La decadenza del Principe, la Unione con Roma divengono oggi
necessità, e con esse tutta quella
serie di provvedimenti eccezionali o rivoluzionarii, dei quali
abbiamo altre volte accennato, e non ci stancheremo mai di accennare. Laonde da
oggi noi chiamiano altamente
responsabile il Governo Provvisorio, prima di tutto di essere appunto
tuttavia Governo Provvisorio toscano. E ritorniamo a domandargli, che cosa ne
sia avvenuto del Decreto del Popolo
del dì 8 febbraio; che cosa ne sia avvenuto della Unione con Roma,
della Repubblica proclamata in
Firenze, in Pisa, in Livorno, per tutta Toscana! Oggi gli muoviamo
queste parole senza rancore, senza ire, senza minaccie! senza disperare delle
intenzioni sue. E lo invitiamo a rileggere la nostra epigrafe che risolutamente
e irrevocabilmente riprendiamo quest'oggi: Unione con Roma ec.» - (Alba, 25 febbraio
1849.)
«Unione
con Roma: questo è il nostro grido, perchè lo crediamo, e lo sentiamo
espressione di potenti bisogni, d'incalzanti necessità. Lo abbiamo innalzato
dal primo dì in cui il Popolo provvide a sè; lo abbiamo di giorno in giorno
ripetuto, sperando che destasse un eco, che provocasse una risposta: lo
ripetè con noi la voce gagliarda e solenne del Popolo, prima come un voto, poi
come una domanda: il Governo tacque al voto, alla domanda rispose
barcheggiando. Non è più il tempo delle parole a doppio senso, delle mezze
misure: abbiam francamente chiesto, francamente si risponda.»
«Molti serii motivi devono ora troncare
gl'indugii, rompere i nodi. Quando noi abbiam per la prima volta inalberata la
nostra bandiera politica, quando abbiam per la prima volta scritta sul nostro
Giornale la epigrafe, che ne riassumeva le speranze e la fede, Leopoldo Austriaco
non aveva ancora sciolto ogni vincolo, rotto ogni velo, smessa ogni
maschera; non aveva ancora posata sulla sua spada tedesca la mano, che stendeva
in atto bugiardo di pace, di unione; la minaccia non suonava ancora sulle sue
labbra, che mormoravano l'antica commedia del Padre tenero e mite. Ora
tutto ciò avvenne: egli ha spinti Toscani contro Toscani, ha tentato di
gittare l'illuso Popolo delle campagne ad invadere, a distruggere le nostre
città; ha implorate le baionette piemontesi per conculcare il Popolo suo,
avendosi apparecchiata a' reali ritorni una via di delitti e di sangue: ma
poichè i Toscani di contro a' Toscani rovesciarono i fucili, ed apersero,
compatendo, le braccia; poichè le nostre città fermamente si opposero a' rei,
disingannarono gl'illusi, convinsero i creduli; poichè all'intervento
piemontese mancò il tempo e la sanzione del Popolo, e nella via dove sperava
ire e discordie, trovò amore ed unione; il Principe Austriaco è fuggito,
scornato e tremante, senza che un verace compianto lo accompagnasse, o che un
nobile sdegno si curasse di maledirlo. Così anche gli ultimi nodi tra Principe
e Popolo furono spezzati e per sempre. Perchè adunque se il fatto esiste,
non proclamarlo? Che intende il Governo colla stretta e rigida provvisorietà,
che vuol rispettata e salva ad ogni costo? Perchè dare a' nemici nostri il
lontano sospetto di una transazione, che nessuno vuole, impossibile, non che a
compiersi, ad idearsi soltanto?................ .... «Inoltre il Popolo
nostro, a vita politica nuovo, di politici intendimenti inesperto, vuole un
Governo che gli assicuri l'ordine e la vita. Incapace a comprendere certi
dilicati fili, che stringono all'avvenire il presente, domanda una forma chiara
e precisa, che gli spieghi apertamente i suoi diritti, i suoi doveri, i suoi
interni rapporti. Attaccato francamente al Principe, che per lui non era
null'altro che un Governo, quando si vide dal Principe abbandonato, ingannato,
tradito, si gittò francamente alla forma contraria, alla idea repubblicana, che
per lui era simbolo di un Governo, e gridò: Viva la Repubblica, nelle
sue feste, nelle sue gioie, nelle sue canzoni. Scrisse: uniti con Roma, sulla
porta delle sue case, su' muri delle sue città; uniti con Roma fu la
parola de' suoi Circoli, fu il grido delle sue adunanze: e piantò l'Albero
della Libertà, che per lui rappresentava queste due idee di Repubblica e di
Unione, in tutte le sue Piazze, nel sagrato dalle sue Chiese.
Ma se un giorno, a mente più calma,
questo Popolo si domanderà: Che cosa siam noi? Che cosa è la Toscana?
Granducato no, perchè Leopoldo Austriaco vi ha perduto ogni diritto; Repubblica
no, perchè il nostro Governo s'intitola ancora Governo Provvisorio... dunque
aspettiamo; - allora s'incrocierà le braccia, e attenderà, per agire e per
combattere, di sapere in nome di chi agisce e combatte.
«Nè ciò basta. Quando l'8 febbraio
abbiam detto: Unione con Roma, - era forse il proclamarla un giusto e santo
ardimento: ora il non farlo, sarebbe imprevidenza od audacia. E infatti allora
s'ignorava quale sarebbe il contegno dal Governo Piemontese verso la Romana
Repubblica; forse anche il gelido silenzio aveva fatto travedere il pensiero
triste ed egoista dell'abate Gioberti: ora la vergognosa caduta di
questo ci ha fatti sicuri quale sia la volontà ferma e coraggiosa della Giovane
Camera, e quale sarà quindi la volontà o imposta o libera del Gabinetto. Il
Ministero di Torino riconoscerà immediatamente la Repubblica Romana; non potrà
riconoscere il Governo di Toscana, perchè non ha forma stabilita, e non si
approva ciò che s'ignora, ciò che non è se non provvisorio.
«Ma se Toscana con Roma formerà
immediatamente la Repubblica d'Italia Centrale, il Piemonte stenderà a questa
Repubblica la mano e le braccia: i due Stati stringeranno patti di solidarietà
e di amicizia; e così due terzi quasi d'Italia saranno uniti a combattere lo
straniero, e a vincere la guerra di Nazione e di Libertà.» - (Alba, 28
febbraio 1849.)
«Domani sarebbe tardi, imperciocchè
domani la Nazione sorgerà a chiedervi strettissimo conto dell'operato.»
- (Alba, 14 marzo 1849.)
«Con estremo dolore abbiamo inteso che
non si sia venuto alla proclamazione definitiva della Unione repubblicana, come
il Governo Provvisorio avea solennemente promesso. - Ieri tenevamo questa
promessa omai come un fatto, e fu cagione in noi di vivissima gioia; oggi
abbiamo l'amarezza di essere stati delusi da uomini che sin qui meritarono
l'intiera nostra fiducia.
«Uomini del Governo Provvisorio! ponderate
quali danni possono derivare dalla vostra lentezza alla causa cui veniste
assunti a sostenere. La reazione si avvantaggia della vostra perplessità,
pigliando da essa tempo d'impaurire i buoni; è tempo di organizzarsi e
stendersi tra i tristi e li ignavi. Perdio! troncate li indugii; ogni ora, ogni
giorno che passa aggiunge forze e proseliti al Partito della reazione. Noi, che
abitiamo le più remote provincie della Toscana, sappiamo di buon grado che cosa
si possa temere o sperare da queste popolazioni, fornite bensì di buon senso,
ma facili ad essere pervertite. Noi conosciamo la difficoltà e i pericoli delle
future elezioni, i quali voi non potete prevenire in altro modo, che col
proclamare prontamente la invocata fusione con Roma. Nulla dovete temere per
parte delle provincie dalle risoluzioni forti e istantanee, molto bensì dovete
paventare dalla irresolutezza e dagl'indugii.
«Uomini del Governo Provvisorio!
ricordate che le rivoluzioni non si compiono colla pacatezza di un'ordinaria
prudenza. In condizioni violenti abbisognano misure audaci e pronte, che
sgomentino i tristi, e infiammino l'ardire dei buoni. Ma voi adoperate tutto al
rovescio, e quasi ci sembrerebbe che vi prendeste gioco dell'entusiasmo del
Popolo.
«Uomini del Governo Provvisorio, rammentatevi
quale responsabilità posa su voi; qual conto dovete rendere a Dio ed alla
Nazione, se foste per esser causa d'una guerra civile, e se danneggerete
menomamente la causa della Libertà.
«Santa Sofia, 28 febbraio 1849.»
(Popolano, N° 250, - 5 marzo
1849.)
Anche di questo fatto negli
Archivii Governativi hanno da essere depositate prove. Però nè anche alla Costituente
Italiana furono avversi i Sacerdoti tutti e i Vescovi. Vi fu chi sostenne non
incorrersi affatto nella scomunica, sia votando per la italiana quanto votando
per la toscana:
«Empoli, 8 marzo. - In questa mattina è
stata affissa sulla porta della Chiesa Collegiata di questa Terra la seguente
Dichiarazione:
«Empolesi!
«Le Elezioni dei Deputati alla
Costituente Toscana e Italiana sono imminenti.
«Accorrete a dare il voto, e non
ascoltate chi vi susurra all'orecchio che incorrete la Scomunica. Io posso e
debbo dichiararvi, che secondo i principj della Morale Cattolica e della
ragione non vi è nè scomunica, nè peccato di sorta, per gli Elettori alla
suddetta Costituente.
«Empoli, 8 marzo 1849.
«Vostro Affezionatissimo
«P. Pasquale Martelli Proposto.»
«Molto Reverendo Signore.
«Richiesto da varii Parrochi di questa
Diocesi, se potessero dar risposta ai proprj lor Parrocchiani
sull'interrogazione fatta ad essi, cioè, se nelle attuali circostanze, in cui
si trova la nostra Toscana, la pena della Scomunica s'incorra per l'elezione da
farsi nel prossimo Lunedì, 12 del corrente mese, dei Deputati alla Costituente
Italiana, io ho manifestato apertamente ad essi la mia, qualunque siasi,
opinione, dicendo loro che, per l'esame già fattone, io era d'avviso che
effettivamente non s'incorresse. Ne prevengo di questo mio parere VS. Molto
Reverenda per sua regola, acciocchè, qualora Ella pure sia ricercato dai suoi
Popolani sullo stesso proposito, possa dar loro una replica, che lasci
pienamente tranquilla la loro coscienza.
«E dandole la Pastoral benedizione mi
confermo con sincerità di cuore,
«Di VS. Molto Reverenda,
«Pisa, li 8 marzo 1849.
«Affez. come Fratello
«Giovan Batista Arc. di Pisa.»
Quest'oggi, verso le ore 3 p. m.,
è giunto in Pisa, proveniente da Livorno, Ciceruacchio con altri suoi compagni
di Roma. È alloggiato alla Locanda Peverada. Il Popolo lo ha festeggiato, ma
non in molto numero. Ha parlato di Unificazione con Roma. Domani parte per
Lucca.»
In altra parte ho mostrato quello
che imprendessi felicemente a troncare trame siffatte; mi gode l'animo di
riferire un Documento citato dalla Difesa Romanelli a pag. 156, il quale
attesta gli sforzi nel medesimo intento eseguiti dal mio degno collega.
«A. C.
«Il Circolo Popolare di Firenze invia costà
dei Commissarii, per quello mi assicura un mio particolare e schietto amico. -
Se questi intendono di commuovere la città, perchè ci forziate la mano alla
fusione con Roma e ad usurpare la tanto vantata e voluta sovranità del
Popolo, devo dichiararvi che per parte mia non sono uso a cedere
alla violenza, e a tradire i miei principii. Se però venissero ad
eccitare gli spiriti marziali della Gioventù, pur troppo pacifica, e
persuaderla a inscriversi nei ruoli dei propugnatori della santissima causa
della indipendenza e della libertà, secondateli di tutto cuore e con ogni
mezzo.
«Firenze, 17 febbraio 1849.
Il Governo Provvisorio Toscano,
«Considerando suprema legge dello Stato
essere provvedere alla propria salute;
«Considerando che per ottenere questo
intento supremo il Governo abbia avuto non pure il diritto ma il dovere di
ricorrere a qualunque straordinario rimedio;
«Considerando che la libertà non consenta
mantenere siffatti rimedii neanche un istante quando il pericolo cessi;
«Considerando la piena vittoria della
opinione contro gli eccitatori scellerati della Guerra Civile, l'accordo
universale di riservare alle Assemblee la sanzione del voto popolare intorno
alle forme del nostro Reggimento, ed in fine l'orrore che il generoso Popolo ha
da sentire per qualunque attentato parricida contro la Patria in presenza del
pericolo di straniera aggressione;
«Considerando che i sospetti e la
diffidenza della tirannide repugnino alla maestà del Governo popolare;
«Decreta:
Il Popolano, 8 marzo 1849: - .... «oltre a che il
Governo nulla sembra disposto a fare affinchè le elezioni procedano in guisa da
produrre il resultato che noi vogliamo, cioè la Unione con Roma e la
proclamazione della Repubblica ec.»
Il Popolano, 9 marzo 1849: - .... «una Legge mal
concepita (del 6 marzo) è d'uopo sia anche peggio eseguita. Da ciò emergerà
forse un'Assemblea di Retrogradi e di Conservatori; ed un'Assemblea di simil
colore sapete a che cosa ne conduce direttamente e senza transazioni? Alla
guerra civile, ec.»
Questa mattina la Guardia
Nazionale è stata raccolta dal Generale Zannetti sulla Piazza di Barbano, e di
colà attraversando tutto Firenze si è recata in Boboli, ov'è stata passata in
rivista dal Guerrazzi.
«Non possiamo con precisione riferire le
parole che a ciascun battaglione ha indirizzato il Presidente del Governo
Provvisorio, imperocchè, a quanto ci viene riferito, elleno fossero di diverso
genere ad ogni fermata. Bensì una calorosa esortazione alla Guardia Cittadina è
stata reiteratamente volta dal Guerrazzi, ed è quella di sostenere con ogni
forza il Governo Provvisorio e la futura Assemblea Costituente Toscana sì dai
pericoli che sovrastare loro potrebbero dalla parte dei reazionarii retrogradi,
quanto da quelli che nascer potrebbero dalle impronte pretensioni degli ultra
e degli intolleranti, consigliando a starsi contenti i Toscani a quello che i
loro Rappresentanti saranno per decidere.
«In quanto a noi, fin da questo momento
protestiamo, che se le future Assemblee non pronuncieranno la Unione con Roma,
e, conseguentemente la decadenza della Famiglia di Lorena e la istaurazione del
regime repubblicano, profitteremo di qualsiasi mezzo ci presentino le
circostanze, affine di salvare il Paese nostro da un giogo aborrito, che
imporre gli si volesse a nome della legalità e di una servile rappresentanza.
Noi non temiamo che il Popolo il quale
compone la Guardia Nazionale, quel Popolo che gridò e grida tutto giorno Viva
la Repubblica, Viva la Unione con Roma, voglia suscitare nel Paese la
guerra civile, facendo fuoco su i suoi fratelli che, traditi nei loro voti, e
vedute strozzate le loro speranze dal capestro delle formali legalità, usassero
l'estremo loro appiglio, la suprema loro ragione - la forza e la violenza,
- contro coloro che non si meriterebbero davvero il nome di Rappresentanti del
Popolo, ma di traditori della Patria, ove si negassero a coteste tre
supreme Leggi, che oggi ci sono imposte non tanto dalle circostanze, quanto dal
bene della nostra patria, dalla sua salvezza, dalla necessità di assicurare
solidamente la sua futura solidità e grandezza.
Altrove ho dimostrato, e qui insisto a
dimostrare, la falsità della incolpazione appostami dall'Accusa: «avere io
lasciato in balía di mandatarii non Toscani la decisione intorno alle sorti
dello Stato.» La Legge del 10 febbraio 1849 relativa alla Costituente toscana
nell'Art. 8 decreta, che i forestieri dalle elezioni si escludano;
certo, adoperare la parola forestieri fu male, ma egli è pur certo, che
con essa denota i non Toscani. Lo sforzo dei parteggianti per la Repubblica
potè ottenere che il Popolo mandasse Deputati non Toscani all'Assemblea
Toscana; però essi furono pochissimi, e per nulla bastevoli a partorire i danni
immaginati dall'Accusa. Il Generale D'Apice stampò nel Monitore la
lettera, che io gli consigliai, e scrissi a norma del suo dettato rispetto a
questo negozio, la quale spiegava, che, trattandosi di pratica domestica,
convenienza e senno gli suggerivano di rinunziare alla Deputazione; e parecchi
seguitarono lo esempio. Io manifestai agli amici il mio disegno di prendere parola
all'Assemblea per escludere i non Toscani, parendomi, com'era, pretta
improntitudine quella di volere rappresentare la Toscana in cosa vitale senza
conoscerla; ma essi me ne sconfortarono con grandissima istanza, onde non
provocarmi contro il furore degli avversarii. Fra questi amici ricordo il
signor Guidi Rontani; e gli altri, spero, mi sovverranno con la loro memoria.
Intanto, che così sia vero si ricava dalia relazione dell'Adunanza del 27 marzo
1849, tenuta dall'Assemblea Costituente Toscana. In cotesta Adunanza il Circolo
del Popolo presentò una petizione al fine, che i non Toscani venissero ammessi
allo ufficio di Rappresentanti Toscani. Avrebbe il Circolo operato così, se la
faccenda stesse come fantastica l'Accusa? Ancora: una Sezione lasciò sospesa la
proclamazione di tre Deputati, fra i quali due non Toscani. Avrebbe potuto
tenerli sospesi la Sezione, se la Legge gli ammetteva? - Più oltre: rispetto
alla quistione se gli eletti non Toscani possano formar parte dell'Assemblea
Costituente è deciso, che messa da parte l'applicazione legale ogni
Italiano deva essere accolto in Assemblea Italiana. Dunque la Legge gli
escludeva. - (Alba, N° del 28 marzo 1849, pag. 1943.) - Nelle note
stampate dal Governo non occorre un nome solo di non Toscano, e nonostante
sapete voi su quale fondamento questa Accusa ha cuore di sostenere, che le
sorti del nostro Paese furono commesse a mani non toscane? Eccolo. Esaminate
nel Monitore del 25 marzo 1849 il Prospetto dei Deputati dell'Assemblea
Costituente Toscana, e su 120 trovate tre non Toscani: Modena, D'Apice e
Niccolini; ma D'Apice renunziò, Niccolini fu reietto; dunque ne rimase uno.
Così lasciavansi in balía di non Toscani i toscani destini! - Incredibili cose,
e non pertanto vere. Raccomandai escludessero almeno Niccolini, e fu escluso:
«non venne proclamato Giovanni Battista Niccolini di Roma, quantunque la
Sezione fosse di sentimento ammetterlo sebbene non Toscano.» - (Alba,
luogo citato.) - Niccolini protestò; ma quantunque conoscesse la sua esclusione
opera mia, e fosse sfrenatissimo, ed ora per la nuova ingiuria soprammodo
infiammato, pure non seppe rimproverarmi, come per certo non avrebbe mancato di
fare, di essermi servito di lui pei miei fini, ed ora gittarlo via mal gradito
arnese. Questo Documento, benchè non valga nulla, rarissimo, mercè le diligenze
del mio Difensore, mi perviene adesso, e adesso qui mi è forza metterlo:
«Cittadino Presidente,
In nome della sovranità del Popolo,
stando alla lettera e allo spirito del Regolamento, e onde non veder violato un
Principio Costituzionale, debbo protestare come protesto sulla decisione presa
dalla Camera a mio riguardo considerandola come inlegale; perchè:
Se alla Camera fosse riservato il dritto
di ammettere o escludere i Deputati regolarmente eletti, cioè le operazioni dei
Collegj elettorali che li nominò (sic), essendo state riconosciute
valide, cesserebbe ogni sovranità del Popolo, e il suffragio elettorale sarebbe
una mera illusione, e lo provo:
Si supponga che in una Camera di 120
persone 60 membri siano conosciuti rappresentare il Principio Costituzionale
Monarchico, 60 quello Repubblicano; ora nella verifica de' poteri possono esser
presenti alla Camera i 60 Repubblicani, e soli 10 Costituzionali, e così
viceversa. Che se il Partito che si trovasse in maggioranza, venisse ad
escludere l'altro Partito, cosa diverrebbe il voto della metà degli elettori
che hanno mandato alle Camere uomini rappresentanti i loro principj? Dove si
troverebbe allora l'espressione sincera della volontà del Paese? Io lo lascio a
voi a considerare.
Ma vi è più. L'Art. 6 del Regolamento,
che si è dichiarato dovere provvisoriamente reggere la Camera, porta che:
L'Assemblea pronunzia sulla validità
delle elezioni, ed il Presidente proclama Deputati coloro i cui poteri sono
stati dichiarati validi.
Io non aggiungo parola su questo
Articolo, che di per sè stesso è troppo chiaro, e che non ammette nessun'altra
possibile interpretazione.
Io spero, o Cittadini Rappresentanti, che
voi vorrete seriamente considerare questa mia protesta che contiene un alto
principio di diritto costituzionale, e vorrete considerarla dall'alta sfera in
cui la confidenza del Popolo Toscano vi ha posto. Onde esser liberi bisogna
esser giusti, diceva un sommo Legislatore, e sulla vostra giustizia io mi
riposo tranquillamente.
Nel pregarvi, Cittadino Presidente, a
leggere all'Assemblea questa mia protesta, con tutto il rispetto mi dichiaro
di Voi, Cittadino Presidente,
Era arte ordinaria screditare con
sospetti, o fare segno di vituperii i Deputati, che si scoprivano parziali ai
disegni del Governo; eccone una prova espressa:
«La causa repubblicana fu ieri sera
fortemente attaccata dal Presidente del Circolo di Pistoia (Dott. Didaco
Macciò) a motivo di una santa proposizione fatta da un buon Popolano intorno al
piantare in piazza l'Albero della Libertà.
1: Risposte date dai Ministri
dello Interno e degli Esteri alle interpellazioni Pigli; ed estratto di altri
particolari delle Sedute del 2 e 3 aprile 1849 dell'Assemblea Costituente
Toscana:
«Ministro dell'Interno. Quanto
allo Interno io devo conservare molta prudenza intorno queste interpellazioni;
nulladimeno disegnando così l'insieme della Toscana, dirò: - in generale le
popolazioni della campagna sono mediocremente disposte alla idea della guerra;
le campagne nostre in parte negano mobilizzarsi in Guardia Nazionale. Parecchi
Gonfalonieri mandano preghiere di esser dimessi, non sentendosi il coraggio
civile di affrontare l'antipatia delle popolazioni per la mobilizzazione della
Guardia medesima, antipatia che potrebbe esser vinta con più efficaci
eccitamenti dei Gonfalonieri mentovati. Lo stato di ignoranza in cui si trova
parte della popolazione toscana, fa che queste lepidezze non prendano sempre un
aspetto fiero, e di una aperta reazione: ma in molti luoghi, dove la
popolazione della campagna conserva ancora una certa fibra forte, allora questa
repugnanza si converte in modi alquanto più sensibili. I Deputati di
quest'Assemblea, e ormai il Popolo tutto, sono informati dei fatti successi in
varie parti del contado toscano. Questo è quanto allo stato della popolazione
campestre. - Nelle città lo spirito è acceso per la patria difesa. Livorno ha
mandato quasi tutta la gioventù in campo per avviarsi alle frontiere. Firenze
comincia a muoversi, e si muoverà....
Guardia mobile parte da diverse città
della Toscana verso la capitale, per organizzarsi, ricevere le armi, e andare
ai confini; non come fiammella che vive prossima a spengersi, ma come scintilla
che seconderà gran fiamma.
Le cure del Governo infine ad ora
adoprate sono tali, che hanno cercato di alimentare ed accarezzare amorosamente
questa fiammella; e spera poter riuscire a fare che una massa non piccola della
nostra Gioventù possa coprire le frontiere. - Vi sono poi i Rapporti dei nostri
pubblici funzionarj di un ordine più elevato (per esempio i Prefetti) intorno
alla idea della Unificazione della Toscana con Roma. Se debbo qui fedelmente
esporre quello che a me da questi funzionarj vien riferito, dirò, che la
massima parte della popolazione toscana recalcitra alla immediata Unificazione
con Roma: alcuni perfino ne fanno argomento di timore per non poter conservare
l'ordine pubblico, quando questa Unificazione fosse legalmente e
definitivamente proclamata da questa Assemblea, mentre all'opposto la opinione
contro qualunque ingiustissima invasione straniera potrebbe crescere fino al
furore.
Il superior Comandante della Guardia
Nazionale fiorentina anch'esso ci ha denunziato dubbj gravissimi sulla adesione
della Guardia stessa intorno a questa grave perdita d'immediata Unificazione,
confidando nello egregio spirito dei Militi per correre alla frontiera.
Come Ministro dello Interno a me pare
avere in generale sodisfatto alle domande ed alle interpellazioni direttemi dal
Deputato Pigli.
Il Ministro della Guerra vi potrebbe dire
circa i mezzi che sono in suo potere per armare ed equipaggiare la Gioventù, e
unirla ai Battaglioni della nostra Milizia stanziale.
Il Ministro delle Finanze potrà a sua
posta dirvi quali mezzi sono a sua disposizione per soddisfare ai bisogni
dell'armamento.
Un Deputato. Domando la parola.
Presidente. Non mi pare che siano esaurite le
interpellazioni, perchè il Deputato Pigli ne ha fatte di due specie: cioè sullo
stato interno dello Stato e sugli Affari Esteri; in conseguenza io credo...
Un Deputato. Domandava la parola per rettificare un
fatto.
Presidente. Io credo non poter aprire la
discussione, sino a che non siano esaurite le risposte alle interpellazioni. -
Il Cittadino Ministro dello Interno ha altro da soggiungere?
Ministro dello Interno. Se sono sodisfatti.... (no, no.)
No? però a me pare che potrebbero esserlo.
Ministro degli Affari Esteri. Le interpellazioni a me dirette vertono
sulle notizie di Genova e Piemonte, sulla probabilità che può esistere di una
ripresa di ostilità nella Guerra Italiana, e sulle relazioni che passano tra il
Governo Toscano e le Potenze estere.
Le ultime notizie di Genova sono state
pubblicate nel Monitore di ieri sera. - Il Governo non ne ha ricevute
altre fino a questo momento. Quanto al Piemonte resulterebbe al Governo,
sebbene la fonte della notizia non sia officiale, che l'armistizio fatale di
cui tanto ha parlato la stampa periodica fosse firmato dal nuovo Re nel giorno
24 del passato mese, e che il Re istesso avesse dichiarato esser sua volontà di
fare rispettare l'armistizio ancorchè non si fossero potute ottenere dal
Maresciallo Austriaco le modificazioni fatte sperare al Parlamento Sardo.
Probabilità dunque di ripresa di ostilità non esiste in Piemonte, a meno che
non vogliano aprir la guerra per proprio conto le Popolazioni con una generale
insurrezione.
Quanto alle relazioni che sono fra il
Governo Toscano e le Potenze estere non posso dire all'Assemblea che questo:
Non avere le medesime cambiato dal 9 febbraio. - Il Governo è in rapporti
officiosi coi Rappresentanti d'Inghilterra, Francia e Spagna; colla Prussia,
Russia e le altre Nazioni, sono rotti anche i rapporti officiosi. Dirò poi che
riguardo al partito che l'Inghilterra e la Francia possono aver preso
relativamente alla questione italiana tale quale l'hanno fatta i recenti
avvenimenti, è da ritenersi che siano fino a questo momento arrivate le
istruzioni analoghe dei respettivi Governi ai Rappresentanti di queste due
Nazioni qui residenti.
Ho risposto alle interpellazioni del
Deputato Pigli.
Il Presidente domanda al Deputato
Pigli se non ha altro da domandare.
Il Deputato Bichi domanda che
siano cancellate da' fogli degli Stenografi le interpellazioni e le risposte.
Un Deputato osserva che le interpellazioni erano
inutili, perchè i componenti l'Assemblea conoscevano pienamente i fatti stessi
tanto per i mezzi che ognuno di loro aveva come Deputato della provincia,
quanto anche per avere avuto più volte notizie dal Governo nelle adunanze
segrete.
Presidente. Prima di tutto, insiste nella sua
proposta il Deputato Bichi?
Deputato Bichi. Insisto perchè gli Stenografi cancellino
dai loro fogli le narrazioni che rivelano vergogne.
Presidente. Bisognerebbe che ella scrivesse la sua
proposizione e che io la ponessi in discussione.
Deputato Guidi Rontani. Io farei una osservazione: se il
Deputato Bichi chiede che sieno cancellate le risposte del Ministro dello
Interno, perchè queste non abbiano pubblicità, e perchè le date spiegazioni non
possono corrispondere al fine che le mosse; io approverei la loro radiazione.
Se poi questa mozione dovesse considerarsi come impugnativa dei fatti, allora
non potrei concordarla.
(Diverse voci: no! no!)
Presidente. Allora siccome semplicizza la disputa,
domando se si debbano radiare dal rendiconto degli Stenografi tanto le
interpellanze, quanto le relative risposte.
Deputato Guerrazzi. Io non sarei mai di parere di
dissimulare la verità; meglio valeva non chiederla. Ora che è chiesta la
verità, la verità si dica. La magnanimità dell'Assemblea non deve consistere
nel dissimulare la verità, ma nel contemplarla e spendere ogni mezzo per vincerla,
qualora non fosse consentanea all'alto scopo che ci siamo proposti.
Se la verità è dura, è un fatto fatale; a
noi non deve bastare il cuore di mutarla per quanto è possibile, perchè quando
noi cadremo sotto la necessità dei fatti, noi mostreremo ancora che abbiamo
fatto quanto per noi era possibile per superarla con virtù e con fermezza.
Presidente. Rinnuovo all'Assemblea l'interrogazione
se essa è di parere che debbansi radiare tanto le interpellazioni quanto le
risposte.
(La proposizione Bichi non è ammessa.)
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . .
Giovami riferire l'autorità del signor
Montalembert per temperare la stupida indiscretezza di coloro, che esaminando
la mia condotta vanno a cercare il nodo nel giunco. Nella Seduta dell'Assemblea
di Francia del 10 febbraio 1851, cotesto oratore si esprimeva così: «Adesso voi
mi direte, ch'egli ha commesso errori. Egli ha commesso errori? davvero! e voi
avete fatto questa bella scoperta? Permettete, che io vi domandi, da quando in
qua avete trovato nel mondo un Governo, che non commettesse errori?» Con più
grato animo mi valga ricordare la parte finale del Discorso di Addio fatto al
Congresso americano «da quello, che lasciava ai posteri il nome di
Washington onde essi arrossiscano di eccezione così solitaria.» - (Byron,
Ode a Napoleone.)
Il Generale, rivolto ai suoi colleghi,
favellò in questa sentenza:
«Gli atti pubblici provano fino a qual
punto i principii che ho rammentato mi abbiano condotto nello adempimento dei
doveri del mio ufficio. La mia coscienza almeno mi dice, che non me ne sono
allontanato. Comecchè ripassando gli atti della mia amministrazione non conosca
colpa veruna d'intenzione, io ho un sentimento troppo profondo dei miei difetti
per essere sicuro di non avere commesso errori. Quali essi sieno, io
prego l'Onnipotente Dio a dissipare i mali che potrebbero partorire. Io così
porterò meco la speranza, che la mia Patria non cesserà di considerarli con
indulgenza, e che dopo quarantacinque anni di vita consacrati a pro suo con
rettitudine e zelo cadranno in obblio i torti di un merito insufficiente,
come io cadrò ben tosto nella dimora dello eterno riposo!...»
1: Ritengo la proposizione già provata:
nondimeno penso importante aggiungere alquante prove specialissime:
Rispetto alla Guardia Nazionale: - «La
principale occupazione del Circolo la sera del 24, fu la questione delle
elezioni dei capitani, tenenti, e sotto-tenenti della Guardia Nazionale,
avvenute nella mattina del 22. Queste elezioni sono cadute generalmente su
persone poco repubblicane; sono state generalmente rielette le medesime
persone agli antichi gradi.» - (Popolano, 28 febbraio 1849.)
Per quello riguarda l'elezioni dei
Deputati a Firenze: - «2 Marzo. - La discussione di ieri sera al Circolo (del
Popolo) si aggirò tutta sulla nota dei Candidati del Compartimento Fiorentino
all'Assemblea dei 120. La serata non fu migliore per la Commissione. Dopo avere
già essa stessa riformata la sua nota, ripudiando una parte dei suoi figli,
ha dovuto ritirarne altri da sè nel tempo della discussione, ed altri sono
stati respinti dalla giustizia del Circolo; oltre quelli che sono usciti
vincitori coi voti sì, ma laceri e mal conci dalla discussione. L'ultima
giustizia, però, speriamo che la faranno gli Elettori col rigettare tutti
quelli che si spacciano nostri legislatori, e non sono stati mai nè
Unitarii, nè Repubblicani, nè Rivoluzionarii, nè Cospiratori per l'Unità e per
la Repubblica; nè sono capaci colla sapienza e coll'azione sul Popolo a
fare alcuna opera buona nella costruzione del nuovo edifizio da elevarsi sul
Campidoglio; insomma, che non hanno nè scienza, nè coraggio; ma sono gente di
moda.
Lo zelo laborioso di alcuni Socii, che
sanno posporre i riguardi al dovere, estorse da alcuni Candidati dichiarazioni
pregevoli, da pigliarne atto per confrontarle coi fatti avvenire, siccome fu
detto. Richiesto un Candidato: Che farebbe se l'Assemblea dei 120 non votasse
l'Unione con Roma? rispose: Scenderei in piazza collo schioppo per unirmi col
Popolo a fare la rivoluzione ec.» - (Popolano, 3 marzo 1849.)
1: Le lusinghe non cessarono mai.
- «Roma 29 marzo, di sera. - In seguito delle disastrose notizie del Piemonte,
l'Assemblea ha nominato un Triumvirato a norma del Decreto che vi accludo. I
membri di questo Triumvirato sono Mazzini, Armellini e Saffi. Si voleva farvi
entrare anche Guerrazzi e Montanelli; ma si è poi pensato che il primo, essendo
costà Capo del Potere Esecutivo, non avrebbe potuto accettare fino ad Unione
compiuta. Ad ogni modo però il Triumvirato attuale è provvisorio, e non appena
formeremo con voi uno Stato solo, provvedemmo ad una nuova nomina, e la faremo
in guisa da trar profitto degli uomini più illustri e più popolari tanto di
Toscana come di Roma.
L'Assemblea Costituente rigettò
l'Unione con Roma; e con ciò fare impedì forse una nuova complicanza dalla
quale nessun utile e molto danno poteva ora resultare. Forse impedì piuttosto
un decreto che un fatto; ma in ogni caso fece opera ragionevole. Concentrò
inoltre in un solo tutto il potere esecutivo; ed anco questo partito era consigliato
dalla imperiosità delle circostanze.
Operi adunque chi ebbe la somma dei
poteri per salvare la Toscana, e l'esperienza dovrà consigliarlo nella scelta
dei mezzi più opportuni ed efficaci.
Due mali oggi minacciano la Toscana: il
disordine interno armato in lotta civile, ed una possibile invasione austriaca.
Queste due calamità egli deve scongiurare dal nostro Paese; e quando vi riesca,
non vi sarà onesto cittadino che per questo non gli si professi riconoscente.
Se noi sapessimo la Toscana in condizioni
diverse da quelle nelle quali oggi sventuratamente si trova, noi sapremmo
proporre ben altri consigli. Ma ove è ella la guerra dei Popoli che
soccorra la disfatta dei Regii? Ove è un nucleo al quale si vogliano
rannodare le forze disperse? ove è un principio vitale che le animi e le
governi? I Decreti non creano eserciti, i proclami non aggiungono stabilità ai
governi disfatti.
Però noi crediamo che tutti i sinceri amatori
della patria debbano oggi convenire in questo: salvare per primo quel più che è
possibile dell'onore e della indipendenza nazionale invocando l'appoggio della
Francia; dividere almeno la sventura cogli altri Popoli fratelli, se non
bastammo a dividere i pericoli; - salvare l'indipendenza dello Stato,
minacciata dall'Austriaco vittorioso; salvare le libere istituzioni minacciate
dalle fazioni reazionarie; salvare la pubblica tranquillità, e con essa le
proprietà e le persone, minacciate dai turbolenti d'ogni Partito.
1: NOTIFICAZIONE.
«Lieto il Governo di aver viste coronate
di buon successo le cure che si è dato per provvedere di cavalli il treno di
artiglieria, è ora ansioso di riempiere il vuoto d'uomini in che il medesimo
Corpo si trova.
A quelli pertanto che abbiano militato in
Cavalleria, a tutti quelli che all'ufficio di cannoniere conduttore si sentano
adatti (siano pur anche coniugati) fa premuroso invito di offrire alla Patria i
proprii servigi.
Per tre anni è l'impegno; cinque zecchini
il premio d'ingaggio.
Non è per altro in questa leggera somma,
ma nel cuore dei Toscani, che il Governo ripone la sua fiducia.
Una nota per tutti quelli che vogliono
scriversi è aperta fin d'oggi presso il Comando di questa Piazza. - Su via
Cittadini: mostriamo al mondo che se altamente gridammo di voler esser liberi,
abbiamo anche il coraggio, sappiamo anche sostenere i sacrificii con cui si
merita la Libertà.
Dal Ministero della Guerra, li 2 aprile
1849.
G. Manganaro.»
Toscani,
«Alla sicurezza interna fu provveduto con
necessarii provvedimenti ieri e stamani. I fatti corrisponderanno alle parole.
Adesso della sicurezza esterna.
Bisogna difendere la nostra Terra. Questo
è dovere di tutti, qualunque opinione i Cittadini professino. Onore, religione,
interesse, e ogni altro affetto che governa il cuore degli uomini virtuosi ed
anche poco virtuosi, persuade alla difesa del Paese nativo.
Il Governo primo mandò alla Gioventù
Toscana fervidi eccitamenti; gliene mandava pari in caldezza la generosa
Assemblea. Ai confini! ai confini! Deh! Gioventù Toscana, difendi la tua
Patria. La difesa è agevole: i luoghi aspri, i calli dirotti, i tronchi e i
massi offrono riparo a noi, impedimento al nemico, dove mai si attentasse
varcare i nostri monti. Pensa che anche i bruti difendono i proprii covili;
vorrai essere, o Gioventù Toscana, da meno dei bruti?
Ai confini! ai confini! Il Governo verrà
con voi: reggerà se occorre sotto la tenda: chiunque adesso non diventa soldato
si guardi dal mentirsi amico del Popolo: amici del Popolo sono quelli che
muoiono con lui e per lui.
Intanto la Gioventù sappia che presso
ogni Municipio sta aperto il Registro nel quale hanno da scriversi coloro che
intendono accorrere alla difesa della Frontiera; ma meglio del Registro varrebbe
prendere un'arme, baciare la madre, e recarsi a Firenze. Qui si fa l'adunata
delle genti per andare ai confini.
2 aprile 1849.
Guerrazzi.»
Dispaccio telegrafico del 2 aprile
1849.
«Al Governo di Livorno.
Bisogna prevalerci delle buone notizie
per eccitare il pubblico spirito alla guerra. Adopri i mezzi che pensa più
opportuni. Si valga di Popolani, Circoli, e Preti, di tutti; e appena impegnati
dieci, o dodici, mandi subito a Firenze, previo avviso, dove faremo il
deposito. Vestiremo, armeremo, e manderemo al campo. Risposte d'ora in ora per
mio governo.
Guerrazzi.»
(Documenti pag. 441.)
Dispaccio telegrafico del 2 aprile.
«Al Governo di Livorno.
Mancano armi. Di Francia ne vennero altre?
Ve ne sono a Livorno? Se mandate Volontarii, e li dovete mandar subito,
inviateli con armi. Ai bagagli e alle vesti penseremo noi. Requisite i fucili
da caccia, e sostituiteli agli schioppi da munizione. Così vuole la Patria.
Quando la Patria ordina, a chi non obbedisce - guai.
Guerrazzi.»
Dispaccio telegrafico delle ore 2,
55 minuti, 2 aprile.
«Al Governo di Livorno.
«Intorno al Battaglione io lo accetto a
due patti: che porti i fucili, e che gli Ufficiali si sottopongano agli esami.
Fucili, noi non ne abbiamo, come vi ho detto. Qui stanno mille giovani inutili
per difetto di armi, e me ne piange il cuore; quindi se gli facciano
imprestare. Requisiteli, come ho ordinato; insomma li portino. Ufficiali devono
essere nel numero normale, corrispondente alla quantità dei soldati, a seconda
dei Regolamenti, e l'esame li deve dimostrare degni per morale e per conoscenza
che a loro si affidi il sangue dei fratelli. E questa è giustizia. Lodi, e
ringrazii il Gonfaloniere. Giustizia, ma piena giustizia: la Patria non
desidera altro.
Guerrazzi.»
Firenze 3 aprile.
«Livornesi!
Adesso vi parla una voce assai più
potente che quella del vostro concittadino, - la voce della Patria in pericolo,
e vi domanda:
Che quanta Gioventù contiene cotesta mia
terra diletta, e il suo contado, accorra alla frontiera e la difenda.
Wimpfen si è vantato con 10,000 Austriaci
calpestarvi come biacchi striscianti nel fango!... Io non dico di più.... Gli
occhi mi si empiono di lacrime e di sangue per la vergogna.
E vi scongiura ancora che le rendiate le
armi altra volta prese da voi per difendere il Paese. Bene le prendeste, e bene
le adoperaste; ma chi di voi non può andare alla frontiera, per quanto amore
porta a Dio, e ai suoi morti, impresti queste armi alla Gioventù che risponde
alla chiamata.
O Livornesi miei, vorrete mandare i
vostri figli disarmati contro gli Austriaci, come i tiranni di Roma gittavano
gli schiavi nel circo alle fiere?
Coraggio, costanza e modestia, e nulla io
reputo e non è perduto. Ma ai confini vi spinga amore di Patria santissimo, e
non voglia di gradi, o cupidità di averi. Colui che si muove per ambizione o
per interesse, si parte col conto fatto nella sua anima di piegare laddove
trova maggiore premio di vanità, o di danaro. Chi si parte da casa con
l'ambizione o lo interesse, di rado avviene, - Livornesi, badate alle mie
parole, - di rado avviene, che per la via non si accompagni col tradimento.
Voi sapete che io ho un nepote solo del
mio nome, consolazione unica a questa travagliata mia vita: andate al campo, e
lo troverete semplice soldato di artiglieria. Egli ha da guadagnare i suoi
gradi col sapere, con la obbedienza, e col valore.
O uomini livornesi, datemi le armi e i
figli, ed io vi salverò vostra Madre - la Patria.
Se gli Austriaci prevalgono, la
condizione dei vivi è peggiore di quella dei morti - perchè morirono senza
vergogna, e non li turba nel sepolcro lo scherno dei figli.
Guerrazzi.»
NOTIFICAZIONE.
La Patria in pericolo chiede uomini ed
armi. Bando alle discordie; uniti in un solo volere prepariamoci frettolosi a
respingere lo straniero che osasse attentare alle conseguite Libertà.
La calma operosa è più utile del
tumultuario affaccendarsi, perchè la prima mostra il fermo proponimento e la
solennità dell'atto che va a commettersi, mentre il secondo confonde, e non ha
durevole impronta.
Ogni Cittadino pertanto, che ritiene armi
inoperose, le consegni a questo Municipio.
Lo stesso invito vien fatto ai Militi
della Guardia Nazionale dai 50 ai 60 anni, coerentemente al disposto
dell'Articolo 7 del Decreto dei 23 marzo 1849 del Governo Provvisorio toscano.
Giovani generosi, caldi di amor patrio,
questo è il momento più bello della vostra vita; da voi la Patria attende la
propria salvezza. Dio non abbandona gli oppressi. L'ora del risorgimento è
suonata. Le armi soltanto ponno decidere dei nostri destini.
Livorno, dal Palazzo Civico, li 4 aprile
1849.
Ordine del Giorno della Commissione
organizzatrice il Corpo dei Volontarii toscani del 5 aprile 1849.
Comecchè io non detti Storie, pure
considerando che il buon cittadino non deve pretermettere occasione di lodare
chi di lode fu degno non tanto per giusta ricompensa di loro, quanto per
eccitamento di virtù, oltre il fatto di Morandini, Rubieri, Angiolini, e
Gasperini, giovi onorare Ilario Fabri di Santa Sofia, che non compreso nello
imprestito forzato offerse 500 scudi (Monitore del 2 aprile 1849), M.
Galeotti che offerse spontaneo 500 lire, e Pianigiani il quale, escluso
anch'egli dallo imprestito, offriva contribuire 14 per 100 su la prima
categoria (Monitore, del 4 aprile 1849). Il Pretore Franci di Pontedera
annunziava per telegrafo:
«Il Pretore di Pontedera al Capo del
Potere Esecutivo.
«Ho fatto quello che doveva come
cittadino. - Al Circolo ieri sera ho detto quelle stesse parole che ella mi
diceva sabato in compagnia in Vapore. Fu letto il suo Indirizzo del giorno 6
andante alla Gioventù fiorentina. - Il generoso Danielle Ricci di Pontedera ha
offerti due zecchini ad ogni giovane pontederese che s'inscriverà per andare ai
confini. Anche il Municipio, lo spero, si proporrebbe sussidiare le famiglie di
coloro che per la difesa della Patria le abbandonassero. - Che fare di più?
eppure non abbiamo fin qui che quattro Volontarii. Povera Patria! Madre
sventurata, hai figli troppo ingrati. Vergogna. - Ore 2, 5 m. pom.
«Franci.»
«Il Pretore di Pontedera al Capo del
Potere Esecutivo.
Dopo un eccitamento fatto stamani
dall'onorando vecchio Cesare Vallerini, Vicario in disponibilità, alla Gioventù
di Pontedera, abbiamo ottenuto le firme di altri dodici Volontarii. - Ore 6,35
m. pom.
Franci.»
Alla Gioventù Fiorentina!
«Una Gioventù fiorentina piena di fede,
di modestia e di ferocia, tenne levato gloriosamente il gonfalone della
Repubblica fiorentina contro le armi di un Imperatore potentissimo e di un
Papa; e quando vinta dal tradimento ebbe a deporlo, vi si avvolse dentro come
in un sudario di gloria, e si adagiò nel sepolcro.
La Gioventù fiorentina allora aveva
fremito di rabbia e lacrime d'ira, e mani gagliarde contro i nemici della
Libertà ch'è sì cara: imperciocchè questa Libertà nella nostra terra le venisse
insegnata dagli esempii paterni, esposta con gli scritti da Niccolò Macchiavelli,
difesa da Michelangelo, sostenuta con la virtù della parola o del ferro da
Francesco Carduccio, da Francesco Ferruccio, da Dante da Castiglione, e da
altri famosi di questa inclita terra.
Allora in questa città vissero uomini, i
quali come lo Alberti tennero per ferma una cosa, che anche a quei tempi parve
enorme, doversi alla salute dell'anima anteporre la salute della Patria.
E in questa Piazza della Signoria per la
Libertà era arso il frate Girolamo Savonarola, di cui fu somma sventura
andassero disperse le ceneri. Come nel primo giorno di Quaresima il rito della
Chiesa ordina, che si freghi con la cenere la fronte al cristiano e gli si
ricordi che polvere nacque e polvere ha da tornare, noi potremo adesso spargere
un pugno di cotesta cenere sopra la testa della Gioventù fiorentina e dirle:
Rammentati che Dio ti creò libera, e libera tu devi morire.
O Dio! forse da cotesti tempi in poi
qualche cosa è mutata quaggiù, onde i Fiorentini non amino la Patria come altra
volta l'amavano? In San Giovanni i Fiorentini vengono sempre battezzati nel
nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Le arche mortuarie
conservano sempre il deposito sacro delle ossa paterne; la cupola s'inalza
sempre degna di rappresentare quasi una via che unisce la terra col cielo;
popolate le valli delle medesime case e dei medesimi oliveti; il nostro cielo
sfavilla sempre del sorriso di Venere celeste, che si compiace avere stanza
quaggiù, circondata dalle divine opere del genio quasi un pianeta in mezzo alle
stelle.
E sta tuttavia questo Palazzo Vecchio
testimonio di tante opere e di tanti detti virtuosi. Sotto il ballatoio, o
Fiorentini, leggete scritta in caratteri d'oro sopra fondo azzurro la parola Libertas.
Non vi sembra un Angiolo amoroso che reietto dagli uomini si rimane esitante di
abbandonare Firenze, e sta così sospeso fra il Cielo e la Terra fiso aspettando
pure che il Popolo lo richiami?
Sta questo Palazzo, che fu sempre come il
cuore della Libertà. O sacre mura! quando io levo in alto il capo vedo
formicolare di gente il ballatoio, e fervere nella battaglia, e avventar dardi
e sassi contro i sottoposti soldati della tirannide, e poi ad un tratto
fermarsi per mancanza di armi: allora la venerabile sembianza di Messere Jacopo
Nardi rivela il muro a secco per rovesciarlo sopra il nemico, e declinato lo
sguardo, i gradini e la piazza considero ingombri di membra infrante, e di armi
spezzate; - lavate quel sangue di schiavi; esso non rallegra ma contrista la
terra della Libertà. - Per la memoria del fatto basta il braccio tronco del
David di Michelangelo. Il marmo del Buonarroti, compenetrato della sua anima
grande, sembra che non potendo rimanere spettatore immobile del caso, abbia
preso parte alla battaglia riportandone onorata ferita.
Nulla pertanto è mutato - nulla, meno che
gli uomini....
Così dicono gli stranieri calunniando;
non io. Figlio delle comuni sventure, partecipe degli stessi dolori, conosco a
prova quanto sia grave dopo trecento e più anni di vergognosa tirannide levarci
all'altezza della Libertà. Dove il pensiero tuona, non risponde la voce amica e
franca; dove il cuore freme, il braccio non consente intorpidito; una bevanda
avvelenata ti serpeggia nel sangue e ti costringe al sonno; - la spada è
diventata rugginosa, lo scudo rotto, il capo senza dolore non sopporta più
l'elmo; parenti, amici, tutti ti supplicano a dormire: bisogna che tu dorma.
Ma vi è un Angelo che rompe il sonno
della tirannide, come vi ha un Angelo che rompe il sonno della morte, - e
questo è l'Angelo della Libertà.
E voi, o Fiorentini, udiste questa voce
quando sopra i campi lombardi più costanti e più tenaci degli altri duraste
sotto la procella di ferro e di fuoco che vi avventava lo implacato nemico. Voi
mostraste allora quello che soventi volte io diceva, come un Popolo e un Dio non
possono tenersi chiusi dentro al sepolcro.
Adesso il bisogno urge maggiore. Qui ora
non trattasi di acquistar gloria, ma di fuggire vergogna: qui non vuolsi far
procaccio di comodi, ma ripararci dal danno; e da qual danno? - Tendete
l'orecchio, o madri, o spose, o figlie miserissime.... Dalle rive del Po e del
Ticino, da Brescia e da Bergamo muovono voci di pianto disperato, che stringono
il cuore d'ineffabile affanno. Ora che sarebbe se vedeste le sconce ferite, e
le membra lacere, i muri grondanti sangue? Udite fino di qua il singulto
dell'agonia di Venezia! Cotesto singulto è immenso, perchè si parte dall'agonia
della Libertà d'Italia. O Cristo, o Cristo, i tuoi giusti occhi non guardano
adesso la terra, poichè lasci perire Venezia!
La difesa è agevole. La Natura provvida
volle circondare questo suo giardino, la bella Toscana, di un muro insuperabile
di monti; ma il Cherubino che deve stare a guardia di questo Eden hanno a
crearlo gli abitatori del luogo con la propria virtù. - Ordini di milizia non
valgono, inutili per gli aggressori le artiglierie, i moti della cavalleria
impossibili; dieci mila uomini di qui possono respingerne cinquanta mila, il
numero è d'impaccio e forse rovina.
Ma il nemico non può venir grosso contro
di noi. I Popoli gli fremono alle spalle come moltitudine di acque in tempesta.
Le ire dei Popoli e del mare si stendono sopra la terra, e i troni, le armate e
le provincie spariscono. Non vi sbigottite per una sventura, i Popoli non
muoiono mai; la tela che il ragno della tirannide trama laboriosamente in un
secolo è disfatta dal Popolo in un minuto di furore.
La difesa della terra nativa fu imposta
dalla natura a tutti gli animali come un istinto. La terra nativa ha diritto di
esser difesa da tutti coloro che ella nutrisce e ricovra pietosa nel suo seno;
tutti i suoi figli hanno il sacro dovere di difenderla; chi manca alla natura
manca a Dio, però che la natura sia la figlia primogenita del Signore.
O Sacerdoti, il calice dove la prima
volta beveste con labbra tremanti il sangue di Cristo, vi sarà tolto dal
Croato. Quale legge vi sconsiglia dalla difesa della Patria? O piuttosto qual
legge non v'impone difenderla? E vi ha un Tribunale nel mondo che non patisce
appello, e questo sia nella propria coscienza; ponetevi, o Preti, la mano sul cuore,
e ditemi se mancando alla difesa della Patria una voce non si muove là dentro
che vi chiama traditori? Tradendo la Patria avrete comune con Giuda la
disperazione e lo inferno. Chi non ama la Patria odia Cristo; chi affligge la
Patria trafigge Cristo.
Ora non si parla di Unione con Roma, nè
di forma di governo; qui non entrano scrupoli, nè casi di coscienza: si tratta
di difendere le nostre terre e le nostre vite. Se un Pontefice venisse e
dicesse che difendere la Patria è peccato, io gli spruzzerei l'acqua benedetta
nel viso profferendo la formula: «va addietro Satana!» però che egli sarebbe il
Demonio trasformato in Pontefice; e se le mie parole suonino vere, io ne chiamo
in testimonio il Vangelo prima, e poi tutti i Dottori di Santa Madre Chiesa Cattolica.
Voi altri, che vi chiamate Conservatori,
di leggieri comprendete, che male conserva colui che acconsente a vedere tutto
disperso; fortuna, onore, libertà, a caro prezzo, con lauto sudore, con
diuturni studii acquistati, tutto va in volta a modo di paglie trasportate dal
turbine. Diventata l'Austria dispensiera di libertà, lascio considerare a voi
qual sia per essere la parte che sfuggirà dai suoi artigli taglienti e sottili.
E se vi ha anche taluno che negli intimi
precordii faccia voti per la Restaurazione, si rammenti che il suo
Principe non che difendesse la frontiera, ma spingesse i Toscani alla guerra di
Lombardia; che dove il voto del suo cuore si compisse, il suo Principe gli
direbbe: - perchè hai consentito che mi venissero tolte la Lunigiana, e Massa e
Carrara? Di queste frontiere ha bisogno la Toscana se non intende rimanere
esposta al primo invasore; io lasciai più vasto lo Stato, per la tua codardia
lo ritrovo diminuito. Va, tu non sei un servo fedele; tu mi stai addosso come
l'insetto sopra la pianta. Io non scambio la lealtà colla viltà. Vile fosti,
vile rimanti, e sgombra dal mio cospetto.
E voi, uomini ardenti, di cui lo impeto
ribocca come spuma che bolle fuori del vaso, avvertite che quando ciò avviene
il fuoco si spegne e il liquore scema. Ogni cosa ha il suo tempo, il frutto
mangiato immaturo allega i denti. Un fanciullo che stende la mano alla spada, e
non gli riesce sollevarla, diventa segno di compassione o di scherno. La
bandiera della Repubblica non va affidata ad un braccio di tisico, ma di un
gagliardo credente che la faccia trionfare con gloria, o cadere con onore.
Bandiera e Bandieraio, se avessero a sparire, devono tramontare entro un mare
di sangue; allora il Bandieraio non sorgerà più, ma la Bandiera come il Sole
tornerà ad affacciarsi in Oriente, aspettata dalle generazioni, benedetta dai
Popoli. La Repubblica ha da vivere, o ha da morire sopra i campi di battaglia;
voi la fareste morire delle infermità dei pargoli. Sapete voi di che si
nutrisce la Repubblica appena nata? Di midolle di leone. Potete apprestarle
questo alimento voi? Staremo a vederlo. Intanto la difesa della Patria anche
per voi, e sopra tutti per voi, è obbligo santissimo. Imitate la modestia e il
valore dei giovani Cavalieri antichi; essi militavano con bianco scudo finchè
per qualche inclito gesto non avessero acquistato il diritto di assumere
l'impresa. Voi avete lo scudo bianco, la occasione della prova è aperta innanzi
a voi; se volete scrivervi Repubblica, scrivetela, ma come i martiri
della Chiesa di Cristo prima di morire tracciavano la propria fede sopra il
terreno, - col sangue.
Andate dunque, partite tutti, nel nome
santo di Dio e della Patria. Io vi terrò sicure le case e le famiglie.
Qualunque opinione singolare, intemperanza, od enormezza, saranno da me
acerbamente punite. La Legge è sovrana qui, e la Legge emana dall'Assemblea
eletta dal voto universale del Popolo. Le Leggi dell'Assemblea, se intende
riordinarsi il Paese, hanno da venerarsi come comandamenti di Dio. Non già in
angusta sala dove entra scarsa la luce del Sole, tra lunghe ambagi, ed
inamabili discorsi, ma sui campi aperti, fra il torrente dei raggi di un Sole
di maggio, in mezzo al lampo delle armi, alla faccia del firmamento, al
cospetto del nemico vinto, si ha da proclamare la più perfetta forma politica
di Stato per uomini perfetti: la Repubblica! - La Repubblica potrà nascere
quando le avremo apparecchiato il battesimo di sangue delle nostre, o delle
vene nemiche, - ciò non importa - purchè sia battesimo di sangue.
Firenze, 6 aprile 1849.
Guerrazzi.»
Dispaccio telegrafico del 6 aprile,
ore 12, m. 5 ant.
«Al Governo di Livorno.
- Primo. - I Civici vadano subito a Pisa,
e quivi si concentrino.
- Secondo. - I Volontarii vengano a Firenze,
e portino con essi le armi.
- Terzo. - I Bersaglieri pure vengano a
Firenze.
- Quarto. - Intorno alle armi e altro,
proposte da Bini, il Ministro della Guerra dà ordini separati.
- Quinto. - Autorizzo di ricomprare a
modico prezzo le armi già nostre, ma presto. E sempre presto.
Al Ministro della Guerra.
«D'Apice ha ragione sul comando unico, nè
i corpi sono così grandi nè la superficie delle operazioni sì vasta da
consentire divisione di comando; veda di contentarlo, egli merita molto, ed è
ottimo per questo genere di guerra. Gli ho ordinato, in ogni evento regga in
Garfagnana, e cuopra Massa e Carrara. Spinga quanta gente più può di Linea.
Provveda alle sussistenze. Al Secchi, al Pierni dia maggiori facoltà per l'Amministrazione.
- Ore 4, 20 m. pom.
Dispaccio telegrafico dell'8 aprile
1849, ore 7, 30 m. p. m.
«Al Governatore di Livorno.
Firenze mi ha sollevato dalla inerzia di
Livorno. La Guardia si mobilizza. Domani mille trecento uomini partono per
Lucca. Dove è andata Livorno? o si muova, o renunzii allo scroccato titolo
d'eroica.
Dispaccio telegrafico, del 9 aprile 1849,
ore 11, 23 m. p. m.
«Al Governo di Livorno.
Venne la gente. È stata alloggiata
egregiamente. Livorno si commuove. Sta bene. Ora ravviso la mia città. Dimani
mando da te altra gente, ed armi e munizioni. Spero respingere gli Austriaci.
Al primo tiro corro agli Appennini. Viva la Patria.
Massa di Carrara, 5 marzo 1849.
«Cittadino Generale d'Apice.
Penetrato vivamente della necessità di
tentare ogni sforzo onde cessi il malvagio esempio delle diserzioni dalle
Truppe che sono sotto il vostro comando, ho fatte le più insistenti rimostranze
presso il Generale La Marmora, e presso il Ministro degli Affari Esteri di
Torino onde siano restituiti coloro che disertarono dal 23 del decorso mese
fino a questo giorno, e non siano ricevuti coloro che disertassero in seguito.
Confido che ne otterremo un buon
risultato, tanto più che mi riuscirà di provocare delle interpellanze in
proposito nella Camera Piemontese.
G.
Montanelli.»
«Generale,
«Firenze, 6 marzo 1849.
Amico mio: pieno di sospetti, di cure, io
mi logoro l'anima. Sento di emissarii piemontesi per fare disertare le milizie
nostre.
S'è vero, - guardate. - Pubblicate un
Ordine del giorno che chiunque fosse sorpreso a corrompere soldati sarà
immediatamente passato sotto le armi. Vigilate la condotta di tutti, e date
esempj, esempj per amore di Dio. Addio.
Affmo. - Guerrazzi.»
Sig. Generale Domenico D'Apice.
Amico Carissimo,
Calice, 2 aprile 1849.
Nel mentre che la Popolazione di Calice
stava pensando a fare una proposta contro la presa di possesso operata nel 13
marzo caduto dal Commissario Sardo, e che io dovea recarmi presso del Delegato
Beverinotti per concertarla, è sopraggiunto il fatto della battaglia di
Mortara, che ha prodotto un cambiamento nel sistema politico di questi luoghi.
Alla Commissione Governativa di
Livorno, il Ministro dell'Interno. - I Cittadini componenti la Commissione
Governativa, Massei e Paoli, urge che si rechino domani mattina col primo treno
a Firenze per assistere all'adunanza dell'Assemblea.
Cittadino Generale.
Dietro le conferenze che il Governo
Provvisorio ha avuto con voi, noi non possiamo darvi altra istruzione che
rimetterci alla savia discretezza vostra coerentemente a quanto fu discusso a
voce, procurando sempre che tutte le operazioni vostre convergano al doppio
scopo di promuovere gl'interessi repubblicani dell'Italia Centrale, e la
liberazione della Italia da tutta dominazione straniera. E vi salutiamo.
Dalla Residenza del Governo Provvisorio,
Li 18
marzo 1849.
Il Presidente del Governo Provvisorio
Toscano
G. Montanelli.
Al Cittadino General D'Apice.»
Cittadino Ministro dell'Interno.
«In adempimento di quanto mi scrivevate
col pregiato vostro di ieri sera ho comunicato all'Ispettore delle armi
Maggiore Bonci il desiderio da Voi esternato in quello, ed Egli mi ha rimesso
il Biglietto che vi accludo.
E con stima mi confermo
Li 9 aprile 1849.
Di Voi, Cittadino Ministro dell'Interno,
F. C. Marmocchi.
Devotiss. Zannetti.»
«Cittadino Generale.
Autorizzato al ritiro dei fucili che
furono consegnati ai Circoli, sarei a pregarvi, o Cittadino Generale, di
volermi fare indicare in che numero questi fucili furono consegnati ai Circoli
summentovati.
Mi affretto intanto a dirigerne
l'opportuna domanda ai Presidenti, e contemporaneamente a prendere le opportune
misure per il ritiro delle armi in proposito.
Profitto intanto ec.
Di Voi, Cittadino Generale,
Li 9 aprile 1849.
Devotissimo Gas. Bonci.
Al Cittadino Generale
A. C.
Livorno 31
agosto 1848.
Ho partecipato a Adami la tua risposta in
proposito Imprestito. Vi era anche Giraudino, informato dell'affare, e propenso
perchè segua, che mi ha incaricato dirti, che tu gli voglia bene, e ti rammenti
di Lui. - Essi mi dicono se credi che Adami torni a parlare al Ministro, e
come; oppure se ti prendi cura di tutto. - Sappi però che qualche banchiere di
costì almanacca altri progetti, non tanto buoni pel Governo, è vero, ma che
pure potrebbero essere accolti: - dunque bisogna vegliare. - Avevano proposto
interrogare la Banca ora che il Paese si quieta, ma ho detto aspettare la tua
risposta, per non allarmare il Paese, non sapendo se il Ministro voglia, o no
aspettare, giacchè in questo secondo caso converrebbe più il silenzio. Non
facciamo nulla senza tuo avviso, che è atteso col corriere d'immediato ritorno.
«Ecco in sostanza le basi:
Biglietti fruttiferi al 3 1/2
per 100 con obbligo di riceverli in pagamento per affari commerciali. - Non
minori di L. 200. - Le Casse Regie prenderli. - Cambio alle medesime per L.
25,000 ogni settimana. - Al pubblico per la stessa somma. - Frutti pagabili
ogni quattro mesi. - Provvisione 1/2 per 100 ogni 4 mesi.
- Garanzia del sovventore. - Se si trovasse piccola difficoltà, potrebbe
superarsi.
Monitore citato. - Come dimostrazione di animo
valga questa lettera mandata al sig. Dott. Quintilio Mugnaini in Livorno: essa
porta la data del 6 marzo 1849, ed è munita esternamente di doppio marchio
postale:
«Amico.
Al Governatore di Livorno. - Al
primo accenno di Reazione arresti, e mandi a Portoferraio: io voglio, che il
Paese non rimanga insanguinato di guerra civile.
«Guerrazzi.»
È falso che il Basetti fosse
Comandante della Guardia Municipale. Il comando di quella era nel 12 aprile, e
successivamente, nel Colonnello Solera.
«È falso che le due lettere che cita la
corrispondenza di Firenze contenessero l'ordine - di far fuoco sul Popolo
nel caso che volesse tentare un movimento rivoluzionario.
«È vero che in quel giorno il Basetti
ricevette due lettere del Guerrazzi, ambedue intercettate ed aperte; una delle
quali consegnatagli dal Capo del Comune nella sua residenza, dove l'Ufficialità
della Guardia Municipale si era portata a fare adesione.
«Sentito in seguito come testimone nel
Processo Guerrazzi fu richiamato a consegnare le indicate due lettere, e le consegnò,
ben lontano dal volere aggravato il detenuto, come si vuol far supporre da
qualcuno; ma perchè in lode della verità fosse manifesto che falsa era
l'opinione che esse contenessero l'ordine di far fuoco sul Popolo.
«Ogni maggior dettaglio è impedito
dalla pendenza della Procedura.
«Il tempo mostrerà se il corrispondente
fiorentino ha detto il vero.
«Bernardo Basetti.»
Al Ministro dell'Interno.
Il Capitano Bernardo Basetti si reca per
mio ordine a Firenze. Dalla sua bocca intenderà VS. la cagione che ha mosso
questo mio ordine. Più tardi riceverà un rapporto dettagliato sugli
avvenimenti.
Processo, a c. 2222.
Esaminiamo prima le prove testimoniali,
poi discuteremo le razionali.
Martelli. «Nel tempo che si parlava nella
Sala delle Conferenze dei Deputati» (equivoca con le stanze del Ministro della
Guerra), «Guerrazzi disse: fargli paura Livorno; e si offerì andarvi per
conciliare; disse inoltre, avere rubato tanto, che non aveva un soldo.
Il Digny non disprezzò questo progetto» (notisi che parla un
Commissionato del Municipio), «ed io fui quello, che disse non essere di
ostacolo il danaro. Fu parlato di questo progetto alla Commissione Governativa,
e fu rigettato.» - Chiarini. «Infatti il signor Guerrazzi, se avesse
voluto, avrebbe potuto fuggire per mettersi in salvo come procurò mettere in
salvo i Deputati dell'Assemblea; pranzai secondo il solito seco, e lo
riscontrai sempre tranquillo a fronte delle grida disoneste e minacciose, che
contro lui si emettevano sopra la Piazza del Granduca.» - Papadopulo.
«Mi pare avere inteso, che appunto per la restaurazione del Governo gli fosse
proposto recarsi a Livorno per persuadere il Popolo a fare lo stesso. Egli
acconsentì, e stabilirono di fare la gita al tocco di notte.» - Ulacco.
«A me pare di certo, che lo stesso Guerrazzi aderisse di venire a Livorno per
l'oggetto di persuadere i Repubblicani a ritornare sotto il Governo Toscano.» -
Nespoli. «In cotesto giorno sentivo, che il Popolo era irritato contro
il Guerrazzi, e nel timore che irrompesse, e sfogasse delle vendette sopra di
lui, due volte, per quanto mi pare, fui ad avvertirlo, insinuandogli di
mettersi in salvo, ed offerendogli anche di mandare verso il Prato una
compagnia di Guardia Nazionale per tutelarlo nello andare alla Via ferrata
Leopolda; la mattina ricusò accennando non avere alcun timore, la seconda fra
le 2 e le 3 dopo mezzo giorno, per quanto mi pare, mi fece travedere
di essere in trattative con altre persone da dovere aspettare, senza però che
io sapessi nè su che cosa, nè con chi le avesse pendenti; in questo
secondo incontro eravi anche il Generale Zannetti, che venne via meco, e non
rammento se dicesse ritornare.» - Chiarini. «Nespoli Emilio offrì farlo
scortare dalla Guardia Nazionale fino alla Stazione della Strada ferrata: il
signor Guerrazzi ricusò per aspettare le comunicazioni del Municipio dietro i
concerti già tenuti precedentemente.» - Zannetti. «Non lo ricordo
particolarmente, ma è possibile, che io mi ci sia trovato (col Nespoli),
ed anche abbia promesso al Guerrazzi di tutelarlo, perchè non facevo che
adempire al dovere del mio grado.» E più oltre: «In aggiunta devo dire che
anche nella mattinata del 12 io ebbi a trovarmi col signor Guerrazzi in Camera
delle Conferenze, unitamente a molti Deputati, ed una Deputazione del
Municipio, composta dei signori Digny, Martelli, e Brocchi; e poi più tardi
nelle stanze del Ministro della Guerra; e come tanto là che qui si trattasse
in sostanza di unire il voto
della Camera a quello del Municipio; come fosse incaricato il signor Guerrazzi di stendere la formula del
Decreto per la nuova Commissione Governativa; come appunto per ottenere
l'unione del voto della Camera con quello del Municipio si proponesse dal
signor Guerrazzi di associare alla Commissione il signor Professore Taddei che
rappresentava la Camera per esserne Presidente, e il Professore Zannetti come
Generale della Guardia Nazionale. La Commissione Governativa non aderì
accettare la formula data dal signor Guerrazzi per quanto la Commissione del
Municipio avesse aderito.»
Interrogato solennemente, - s'è vero quello che il Guerrazzi dice di essersi fermato a Firenze a disposizione della
Commissione Governativa, e più tardi essersi dato nelle mani ai Membri del
Municipio fiorentino, ed a Lui Testimone nella sua qualità di Generale, sotto
fede che non si sarebbe attentato alla di lui libertà; - risponde senza
ambagi: «È innegabile quanto dice il signor Guerrazzi, ed è appunto per ciò,
che io diceva nel principio, o nel corso di questo mio esame, e precisamente
quando mi richiamava al giorno 12, - che mi riconduceva ad una epoca dolorosa,
- perchè, contro mia volontà, diventai
complice di una mancata parola!»
Esaminiamo Digny, e Brocchi. - Brocchi.
«L'Avvocato Guerrazzi.... chiedeva una missione onorifica per Livorno, ed ebbe evasiva
risposta.... e qui dirò una volta per sempre, lo che avrei dovuto forse
premettere, che lo stato del mio animo il 12 era tale da non potermi oggi
riportare alla mente, che dei fatti complessi, molte circostanze tornandomi
nuove, come se in quei fatti io non avessi rappresentato una parte principale.»
- Messala, cavaliere romano, avendo rilevata una sconcia battitura sul capo,
dimenticati tutti i numeri, non gli rammentava che dall'uno al cinque; - ma
indi a poco la memoria del Brocchi, cessato lo ecclissi, s'illumina di nuovo
per affermare, che il Collega Martelli confonde epoche e fatti, e per
ricordarsi, che non essi offrivano a me, bensì io proponeva loro recarmi a
Livorno con missione onorevole, come si rileva ancora dalla mia scrittura
indirizzata alla Commissione Governativa: «Guerrazzi minutò» (il Brocchi
dichiara) «un Proclama per conciliare i diversi, anzi i contrarii atti
pubblicati dal Municipio, e dalla sedicente Assemblea; - mi pare
proponesse una Commissione mista da aggiungersi al Municipio; - mi pare,
ma non ricordo bene, portassi io questa minuta al Municipio, - ma per concorde
opinione di non accettare quella proposta, intorno alla quale tanto io, che
Digny, non ci eravamo impegnati a nulla.» - Digny. «Andai a cercarlo
nelle stanze del Ministro della Guerra: quivi Guerrazzi e i Deputati per
evitare collisioni persistevano a domandare un Proclama comune col
Municipio; sebbene io facessi sentire difficile»
(si noti) «una transazione, Guerrazzi da un lato, Cipriani dall'altro,
si mettono a formulare progetti!» Qui Guerrazzi gli dice: «voi già sapete,
che io vedeva volgere le cose alla Restaurazione» (il Brocchi non concorda;
egli ha inteso, che le mie parole suonavano: «tutti lavorammo nel senso
della Restaurazione»); «la vostra grande difficoltà è Livorno; io posso
accomodare ogni cosa; potreste mandarmici per interino;» ma egli avendo
risposto evasivamente, io soggiungo: «ho rubato tanto, che non ho un quattrino,
e ve lo dico per vostra regola...;» però dichiara non potere asserire di
ripetere le precisissime parole. - E fa bene ad avvertirlo, perchè sono
parole ebbre coteste sue. - Più oltre nel recarsi in Palazzo con tutti i
Colleghi seppe, che il Guerrazzi desiderava vederlo in serata. - Più
oltre dichiara: «Essere un fatto che il Guerrazzi, e gli altri, che
volevano indurre il Municipio a concertarsi coll'Assemblea, si appoggiassero
specialmente sul bisogno dello appoggio (sic) dei Rappresentanti
di tutte le Popolazioni toscane per essere riconosciuto da esse, ed in questa
idea (e non può reputarsi cattiva) avere il Guerrazzi ed altri Deputati
composti varii progetti di Proclami; ritenere forse il Guerrazzi per richiesta
le parole che io dissi: - fate se credete nuove proposizioni.» E se vuolsi
conoscere per confessione sua propria quale sia la fede di questo Conte, basta
considerare quanto non dubita raccontarci più oltre, e confrontarlo con le
parole superiormente trascritte: «facevo sentire difficile una
transazione: - del resto io rammento benissimo che io andava per la seconda
volta in Palazzo, con la certezza che nessuna transazione sarebbe accettata.
- Bulgarini e Capaccioli, avvisarono, credo, il Guerrazzi della risoluzione
definitiva, e per Capaccioli Guerrazzi mi fece dire che desiderava vedermi in
serata;» onde non sa come io ritenga aver egli promesso di vedermi con ordini
od altro. Io non istò ad analizzare questo mucchio di lordure; tutta l'acqua
dell'Arno non basta a lavarle.
L'avvivai, l'atteggiai, le diedi
moto,
Le diedi affetto.....
(Versi sotto il ritratto di Masaccio.)
Illustrissimo Signore.
Al seguito della richiesta di V. S.
Illustriss.a a mia cura inoltrata al Ministro di Giustizia e Grazia,
ricevo commissione di parteciparle che le Carte e Documenti esistenti negli
Archivii delle RR. Segreterie, da esaminarsi nello interesse della nota causa
di Perduellione, sono posti a disposizione del Tribunale Istruente, e perciò il
Ministro incaricato potrà presentarsi a tale uopo, ogni qualvolta lo creda
opportuno, dirigendosi per migliore indicazione al signor Segretario aggiunto
del Ministero dell'Interno, Ottavio Andreucci.
Frattanto con distinta stima ho il pregio
di confermarmi,
Di V. S. Illustrissima,
Devotiss. e Obbligatiss. Servitore
A. Lorini.
Dall'Uffizio del Regio Procuratore di Firenze,
li 11 giugno 1849.
(Ricevuta il 12 detto.)
Al Signor Giudice Direttore degli Atti
Criminali.»
«N. B. Il sottoscritto Ministro,
appena passatagli la presente Officiale, essendosi, per l'oggetto di che in
essa, trasferito al Ministero dell'Interno presso il signor Segretario aggiunto
Avvocato Andreucci, e successivamente, di concerto con lui, a quello di
Giustizia e Grazia, è rimasto quivi stabilito che a sua cura si sarebbero
riunite le Carte e Documenti di che si parla in questa medesima Officiale, ed
esistenti negli Archivii delle RR. Segreterie ed altrove, per esserne poi fatta
la trasmissione al Tribunale Istruente.
«Dini.»
(RISERVATISSIMA.)
«Illustrissimo Signore,
Quest'Uffizio accompagna a V. S. Illustrissima
numero 36 Documenti, la maggior parte lettere originali, più N° 12 Ricevute e
riscontri di pagamento parimente originali, e N° 10 Minute di Dispacci
telegrafici, perchè ne sia fatto l'uso di ragione nella Causa di Perduellione
costì pendente.
Vi troverà annessa una nota di riscontro,
che firmata vorrà tornarmi nell'accusare il ricevimento di quanto sopra. E mi
pregio segnarmi con distinta stima,
Di V. S. Illustrissima,
Devotissimo Servitore
F. Fortini ff.
Dalla Residenza del Regio Procuratore
Generale
alla Corte R. di Firenze, li 10 settembre
1849.
(Ricevuta il dì 11
settembre.)
«Al Signor Giudice Direttore degli Atti
Criminali di Firenze.»
Alle istanze del Guerrazzi poi l'Accusa
sentite come rispondeva:
«Il Regio Procuratore Generale,
Vista la presente istanza defensionale
nell'interesse di Francesco Domenico Guerrazzi;
Attesochè non sia nelle facoltà dei
Tribunali di ordinare che sieno aperti e posti a disposizione dei terzi, ec. -
ancorchè Difensori, ec. - gli Archivii contenenti il Carteggio e le
Corrispondenze del Ministero ec., e si ritenga solo ammissibile la domanda di
comunicazione di certi Documenti relativi a certi fatti perchè abbiano
rilevanza in causa ec.;
È di parere che la istanza medesima non
debba essere accolta, ec.
Fatto li 11 ottobre 1850.
Il Piemonte mi offriva pegno di
accomodare probabilmente le cose d'Italia; la Repubblica
Romana a scomodarle sempre più. Qui nota,
lettore; gli zelanti del Piemonte mi accusano
Non dica il Popolo, ma la parte
del Popolo, che unita ai non Toscani dominava tiranna
Falso anche questo: furono i
partigiani del signor Rusconi che a forza vollero pubblico
questo rapporto, e lo ebbero secondo la verità.
Forse era falso? - Può dirlo falso il
signor Rusconi? E se fu, com'era, vero,
dovevo io mentire all'Assemblea, che ordinò le si dicesse
Documenti, pag. 448, 511, 513, 514, 525. - A
Livorno Piemontesi furono coloro, che le armi del Console sardo abbatterono. -
(Ivi, pag. 513.)
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