XIII.
Mio concetto intorno
alla Repubblica.
L'Accusa nel § 85
dichiara non importare nulla indagare se io riputassi sempre od in massima la Repubblica forma
buona ed accettabile per la
Toscana, quando si sa147 che fui elemento disorganizzatore.
- A me pare all'opposto che importi moltissimo, imperciocchè nelle criminali
disquisizioni, se io male non appresi nelle scuole, hassi principalmente a
ricercare lo affetto che lo imputato può avere avuto a commettere la
colpa; ed invero quando non occorra veruna delle cause che i legisti chiamano
di delinquere, ed anzi ne occorrano contrarie, viene la coscienza dei
Giudici facilmente condotta ad escludere il dolo dall'azione incriminata.
L'Accusa da sè stessa discorda, dacchè nel § 83 la vediamo registrare la
notizia «che ho interessato altre volte, e sempre per cause politiche,
or la Giustizia,
or la Grazia;»
quasi per dedurre l'abito vecchio a questa maniera di falli; e ciò sta bene,
perchè nel suo concetto cotesta sciagurata memoria poteva nuocere. Nel § 85 poi
quale sia stata la mia professione politica non importa conoscere; e sta bene,
perchè può giovare. E questa ricerca gioverà ad un'altra cosa, voglio dire, a
mostrare quale potesse essere il motivo pel quale i Repubblicani me volessero
piuttosto Mancipio, che Capo, in potestà di loro.
La insipienza non cessa
ingiuriare la Repubblica,
come se non fosse e non fosse stata forma governativa di Popoli incliti nella
Storia, ma sì piuttosto modo di vivere di gente usa alle rapine ed al sangue.
Da parte siffatte stupidezze; e giovi ripetere col signor Guizot: «La Repubblica è in sè
forma nobilissima di governo: suscita inclite virtù, ha presieduto al destino e
alla gloria di Popoli grandi148.» Chiunque dia opera
allo studio delle umane lettere facilmente della Repubblica s'innamora, però
che i precipui scrittori così greci come latini appartengano al periodo
repubblicano; i capitani famosi, le geste sublimi per eccellenza si vedano
apparire ed imprendere nelle Repubbliche antiche; nè le Repubbliche del medio
evo aggradiscono meno per la vita feconda che le commuove; piacciono le
vittorie contro la barbarie; piacciono gli uomini che vi si agitano dentro, i
quali, portentosi per certa loro salvatica grandezza, dominano il pensiero.
Ancora: filosofi, per istituto di vita o per virtù di fantasia appartatisi
dalle condizioni effettuali degli uomini, si dettero a speculare intorno al
migliore governo della società, e astrattamente parlando immaginarono ottimo
essere quello dove le fortune fossero pari o comuni, uguali le persone nelle
prerogative, nei diritti e nei doveri; non doversi fare inciampo alla volontà
liberissima col vincolo ingiurioso delle Leggi, conciossiachè lo spirito umano,
memore della sua origine divina, avrebbe inteso, senza posa, spontaneo,
Al
decente, al gentile, al buono e al bello.
Saturnia regna! - In cosiffatte
Repubbliche Tommaso Moro propone che la pena capitale abbia a consistere nello
appiccare un cerchio di oro, io non ricordo bene se al naso o in quale altra
parte del delinquente. Sogni di Angioli sono cotesti, e Dio faccia tristo colui
che desta i sognatori! Ma gli uomini non dormono tutti, nè sempre; la massima
parte di loro uscendo dalle astrattezze forza è che si travagli per la dura
esperienza della vita. I poeti non hanno a tenere la mano al timone, ma dalla
prua del naviglio contemplare lo emisfero interminato, dove è fede che troverà
pace l'ansia irrequieta che affatica i petti mortali.
Meditando su le Storie,
conosciamo come le Repubbliche abbiano durato fra procelle, e poco; lo
esercizio smodato delle virtù che pure le alimentano, averle condotte in
rovina; la uguaglianza immaginata, fine a conseguirsi impossibile; se tace la
smania di superarsi in ricchezze, subentra più intensa l'agonia di vincersi con
le ambizioni, co' brogli ed anche con lo splendore di gesti famosi; per cui
Aristide un giorno dirà agli Ateniesi, che, se desiderano pace, lui e l'emulo
Temistocle gittino giù nello Apotete. Ella cammina così la bisogna; se
togliete via le passioni, e l'uomo è fatto pietra; ma voi non le volete, nè
potete tôrre, e allora nelle società corrotte esse partoriranno turpi gare di
viltà, e di delitti; nelle sane, emulazioni di studii, ed anche di gloria;
nobilissime invero, e non pertanto seme immortale di disuguaglianza fra gli
uomini, nè meno delle altre dannose alla Repubblica. Considerate le Storie,
vediamo che virtù fa forza, forza superbia, superbia corruttela; e l'ambita
grandezza consuma i popoli come macina molare; non mancano però uomini di
peregrino intelletto, i quali ostinati in certe loro immaginazioni si voltano
alle Storie, e le contemplano non come elleno sono, ma come loro talenta. Io
non gli maledico; mestiere plebeo è questo; ma gli assomiglio a quel Don Pietro
di Portogallo, che, acceso di amore per la morta moglie, la vestiva di vesti
magnifiche, le poneva in testa corona, al collo e agli orecchi monili e gioie,
e delirando la volea pur viva. - Essi vi diranno presentare le Storie due
periodi, quello dell'autorità e quello della personalità, per
mettere capo al terzo, che è il Messia, quello della fratellanza; ma la
faccenda procede altrimenti, e troviamo bene spesso, troppo spesso, Stati che
invece di progredire verso il periodo ultimo, stornano verso l'autorità; anzi,
verso la barbarie; anzi, verso lo assoluto potere della spada. Intendono volere
distrutte le disuguaglianze degli averi, della prestanza personale e perfino
degli intelletti, e predicano questo quando le disparità appaiono più
disperate. Nel secolo che vide Napoleone, Cuvier, Berzelius, e Goethe, e Byron,
e Alfieri, andate a parlare di uguaglianza d'ingegni! E quando si arrivasse
alla divisione degli averi, io vorrei un po' sapere quanto ella avrebbe a
durare, e come farebbero a impedire che nascesse il prodigo e l'avaro, il
cupido e il trascurato, lo industrioso e lo infingardo. La società umana non
può nè vuole uscire da uno stato che conosce, e che spera migliorare mercè
progressive riforme, per precipitarsi dentro un abisso che non conosce, e che
teme: omne ignotum terribile. E almeno gli arditi riformatori andassero
d'accordo fra loro! Ma no; quegli vuole moneta e proprietà soppresse, questi
risparmia la moneta; uno pretende la donna libera, un altro chiusa; chi lascia
stare il matrimonio, chi lo abolisce; vi ha chi reputa il suffragio universale
ingiuria alla proprietà; non manca chi sostiene la libertà di commercio
tirannide commerciale; vi ha perfino chi immagina pagare il debito pubblico
della Inghilterra con le uova149. Mentre però procurano
rovesciare
Dio, religione,
matrimonio, famiglia, eredità, proprietà, potenza individuale, tutto quanto
insomma fin qui venerammo e rispettammo, non sanno dove andremo a cascare.
Qualche esperimento hanno fatto, e capitò male: nonostante si ostinano, e forse
può darsi, ma non lo credo, che a sciogliere la società pervengano; a riordinarla
non mai.
Non ragioniamo di
siffatte dottrine che, con molta imprudenza e senno poco, vedo formare
perpetuo argomento di qualche Giornale fra noi; certo per imitazione francese,
come se noi avessimo comuni con Francia travagli e dolori. Torniamo a favellare
delle forme del Governo.
I dottori della
Repubblica di leggieri concedono vera la sentenza del Montesquieu, che la Repubblica democratica
si fondi sopra la virtù; ma aggiungono subito, ch'egli ha confuso la causa con
lo effetto; la virtù dovere essere figlia, non madre di libertà; e questo
diceva anche Alfieri: - però aspettare, per vendicarci in libertà, ad avere
fatto procaccio, durante il servaggio, delle virtù necessarie per mantenerci
liberi, torna lo stesso che condannarci a catena perpetua. Nè siffatto
ragionamento è destituito di verità, se non che, invece di giovare alla
conseguenza che ne deducono, le nuoce. Di vero, invece di precipitare la
umanità a corsa, dove non le basteranno le piante, vediamo un po' se ci fosse
verso d'incamminarla mano a mano verso il meglio: se fu cieca e brancolò per
tenebre, perchè volere che duri cieca a brancolare per non sopportabile luce?
Quando lo schiavo rompe la catena, la sua libertà appare vendetta e delirio150; l'adopera in usi pessimi, finalmente si
spossa, e allora di leggieri è restituito al pristino stato.
I governi costituzionali
pertanto, purchè sinceri (e qui, secondo me, è dove giace nocco), si
adattano meravigliosamente alle attuali condizioni della società, nè virtuose
tutte, nè corrotte tutte, e piuttosto penzolanti di qua che di là; eglino
somministrano forme abbastanza late, dove si può, senza scosse, camminare al
meglio; impresa non superiore alle nostre spalle, e però non disperata; sistema
nel quale capendo democrazia, aristocrazia e monarchia, l'azione popolare nel
progredire vi si afforza con la pratica dei negozj pubblici, con le virtù, e
soprattutto col diminuire l'amore per sè, ed estendere l'amore per la patria.
In questo modo si evitano le cadute, più dure che non è soave il salire; quello
che si acquista si mantiene; delle riforme sociali si promuove quel tanto che i
costumi sono apparecchiati a ricevere. La umanità è corpo grave, disacconcia a
moti repentini; e quando tu la costringi a saltare, corre rischio che si rompa
le gambe o che affranta si accasci. Che qualcheduno la preceda con la torcia
accesa a schiarirle il cammino, bene sta; ma non le vada tanto innanzi, che,
fissa in quel lume lontanissimo, non veda i pericoli che le si parano sotto i
piedi.
Essendo pertanto avvenuto,
che uomini, i quali speculativamente si mostrarono parziali a forme di governo
latissime, fossero assunti al Potere, nè si trovassero abilitati a ridurre in
pratica le teorie manifestate, si ebbero, senz'altro, rimprovero di mutata
fede, e di peggio. Accusa, a mio parere, ingiusta; imperciocchè a comporre
un trattato e a scrivere un libro basti poca carta e inchiostro e il proprio
cervello, ma per condurre un Popolo sia forza consultare i suoi desiderii, i
suoi bisogni e la sua potenza. Nè si deve, senza le solite stemperatezze dei
Partiti, biasimare chi, vedendo che tutto non si può nè ad un tratto, e forse
alcune cose mai, con lealtà di cuore e fede intemerata si mette a raccogliere
le possibili. Così non si biasimava Platone, se, avendo scritto il Trattato
della Repubblica, si conduceva a Siracusa per mansuefare lo efferato animo
del tiranno Dionigi; nè Tommaso Moro, il quale, comecchè dettasse il Libro
della Utopia, consentiva a tenere ufficio di Gran-Cancelliere d'Inghilterra
sotto Enrico VIII; nè il Moro perciò vendeva la sua coscienza a cotesto re, e
lo mostrò con la morte. - E Cocceio Nerva compiacque piuttosto al suo fiero
talento, che al bene della umanità, quando, pria che vivere sotto Tiberio,
sostenne morire, conciossiachè è da credersi che con l'autorità, la quale
esercitava grandissima, e l'amicizia che l'Imperatore gli professava, avrebbe
potuto, per avventura, temperare la truce indole di quello.
Migliaia e migliaia di
persone, tinte in chermisi fino alla radice dei capelli, presero a impallidire
da un lato dopo la battaglia di Novara, e di tanto progredirono, che, svanito
anche il verde, dopo il 12 aprile si trovarono perfettamente partiti di rosso e
di bianco. Cotesti esempj non fanno per me: prima che la dignità umana abbia a
ricevere offesa per mia viltà, prego Dio a ritirarmi la vita. Io non aspettai
questo infortunio a chiarire come pensassi della Repubblica, e mi mostrai
avverso alla medesima prima dello Statuto, dopo lo Statuto, semplice Deputato,
e Deputato e Ministro, libero, e prigioniero. Pei tempi che corrono, o non pare
ella all'Accusa siffatta costanza mostruosa quasi?
Nel 19 novembre 1847
ragionando per lettera col marchese Gino Capponi (che in quel tempo erami
amico, e potrebbe essermi ancora, se fosse rimasto sempre solo coll'anima sua)
intorno ai miei concetti politici, gli scriveva in questa sentenza: «Io vedo, e
vedo certo, disordine e impossibilità di scopo a cui tendiamo, per difetto di
razionale organismo. Per me la questione è semplice: il Governo cerca forza;
hanno a dargliela i cittadini? Se il Governo si mantiene assoluto, no; -
se modifica il suo principio convenientemente, sì. Io, perdurante la mia
vita, ho combattuto il primo, e certo non posso nè devo sovvenire che al
secondo. Nonostante, se questo mio fosse errore, se dovesse contristare i
migliori e più sicuri amici miei, io non rinunzierò alla mia opinione, ma la
chiuderò nel mio seno, e romperò la penna, - pregando Dio che voglia abbreviare
il termine prefisso alla mia vita151.»
Nel decembre del 1847,
scrivendo certe mie Memorie, m'indirizzava a Giuseppe Mazzini con queste
parole: «Molta terra e molto mare ci dividono adesso: corrono anni ben
lunghi che noi non ci mandiamo neppure un saluto: le opinioni diverse ci
separarono. Tu inebriato di amore, e confidando troppo nella umana natura,
nella casta ed ardente fantasia immaginavi non possibili destini ai tuoi
fratelli, e li volevi ad un tratto felici e vendicati dal servaggio che è
offesa a Dio ed onta alla dignità dell'uomo. Io, più provato alla dolorosa esperienza,
quel tuo soverchio volere non consentiva; e pretendere fuori di misura, mi
pareva tornasse il medesimo che non profittar nulla. Ed in questo ancora
differivamo, che il bene divisavi imporre ai popoli repugnanti e ignoranti;
io poi, forse di soverchio studioso dell'altrui libera volontà, ricusava
costringerla anche a quello che per avventura era ottimo152.» E favellando, a pagine 25, delle varie
tirannidi che contristano la terra, dichiarava: «Ho provato nella vita
occorrere di molte generazioni di tirannidi; nè sempre cingono corona di oro, ma
bene spesso berretto frigio; nè sempre muovono dai potenti, ma bene spesso dalla
miseria importuna, dalla querula presunzione e dalla cieca ignoranza.»
Così nei tempi in cui
potevasi non solo impunemente confessare, ma anzi tôrre argomento di popolarità
dalla confessione di avere promosso o partecipato a sètte politiche, io volli
manifestare come avessi mai sempre rifuggito da quelle, e ne dissi il perchè;
chiarii dividermi da Mazzini antica e profonda diversità di opinione; lamentai
la sua corrispondenza da moltissimi anni interrotta; la tirannide del berretto
rosso stimatizzai. Nel medesimo anno pubblicai il libro Al Principe e al
Popolo, di cui ho favellato altrove.
Della libertà così vi
ragiono: «Della libertà che per esercitarsi offende la Legge, non è da godere: la
libertà non iscambiamo con la licenza: quella è vita, questa è morte dei
Popoli. - «Di più ragioni io conosco libertà, diceva il Parini: libertà
vanitosa, libertà soverchiatrice, libertà ciarliera, con tante altre specie
ch'è più onesto tacere: amo la libertà anche io, ma non la libertà fescennina.»
- Ed io consento con quel santissimo petto153.»
Avvertiva i pericoli
dello essere andati prima troppo tardi, e dello andare adesso troppo presto:
«Sventura grande nelle società umane è quella, che il tempo non procede mai
equabilmente; prima noi camminavamo un'ora dentro un anno: adesso in un'ora
precipitiamo un secolo: però, quello che parve ottimo ieri, apparisce disadatto
oggi, forse pessimo domani: una grandissima vertigine ci offusca tutti, ed io
non maraviglio se alcuno perde la bussola154.»
Ma soverchio sarebbe
allegare citazioni; solo io prego i lettori esaminare come a pagine 42
prevedessi i moti toscani, ne indicassi le cause, e secondo il mio corto
intelletto ne proponessi i rimedj, fra i quali mi pareva efficace quello che il
Governo precorresse le voglie del Popolo discretissime allora, riprendesse
forza ed autorità, inspirasse fiducia co' fatti, la meritasse, e concedendo
anche più di quello che portavano i desiderii presenti, togliesse motivo al
nascere dei futuri155. Scendendo alle
specialità, persuadevo una Rappresentanza di uomini eletti e pagati dalle
città, i quali cooperassero alla formazione della Legge156. E la forma della consigliata Rappresentanza
desiderava non fosse inglese, o francese, o spagnuola, ma italiana, confacente
alla indole, ai costumi e alle condizioni nostre, ed in modo che alcuno dei
Potentati di Europa potesse con la forza sì, ma non col diritto perseguitare157. Non intendevo pertanto che al Principe
s'imponessero leggi intorno alla forma della Rappresentanza, pago di quello che
suggeriva egregiamente il signor marchese Daniele Zappi in certo suo libro
intorno alle condizioni della Toscana: «Se non che tanto ci avanzammo nella
carriera politica, che non più risponderebbe alla presente situazione delle
cose lo appello fatto ai provveditori delle Camere, e a pochi altri: in quella
vece si rende ora indispensabile, che dalle provincie toscane, e in modo
alquanto più largo della Romana Deputazione, sieno convocati probi e savii
cittadini, che a riformare le Comuni si adoperino col Governo, e che innanzi di
disciogliersi sappiano ottenere dalla clemenza sovrana una forma di nazionale
Deputazione, come istituzione dello Stato, la quale concorra a coadiuvare il
Governo, e valga a sostenere gl'interessi del Popolo, vera ed unica base di
nuovo ordinamento politico dello Stato.»
Questa Rappresentanza,
come al prelodato Marchese, sembrava anco a me capace di salvare il Ministero
dal popolare commovimento, ponendosi fra Governo e Popolo: essa raccoglierebbe
le speculazioni degli scrittori politici, e dopo averle ponderate le
presenterebbe al Governo; riterrebbe il Popolo da seguitare dottrine diverse, e
varii capi, potendo riposare nei suoi Deputati; e finalmente, tra gli
eccellentissimi, ottimo il vantaggio che partorirebbe questa istituzione:
«guarentendo stabilmente il Popolo dagli abusi del potere; non si potendo
godere il bene della giustizia, se assicurata non sia per lo avvenire: e come
gli uomini, per buoni che sieno, mutabili e mortali sono, così la continuata e
salda guarentigia della opera governativa non può venire dalle persone, ma deve
essenzialmente risiedere nelle instituzioni dello Stato158.»
Parole poi piene di
reverenza adoperavo verso il Principe, e di preghiera159, e finalmente concludevo col dire, che:
«principio unico e fondamento vero di riforma, consisteva nella rappresentanza
popolare cooperatrice alla formazione della legge160.»
Ho detto come, chiuso in
carcere a Portoferraio, io stendessi una scrittura, che lasciai inedita;
perquisita dall'Accusa, si legge adesso, con mio rammarico (però che dei fatti
del gennaio 1848 avrei voluto non rimanesse memoria, per onore di quelli che vi
parteciparono), nel Volume dei Documenti a pag. 60. Quivi nella parte finale,
indirizzandomi al Popolo, lo ammonisco: «Terminerò col darti uno avvertimento,
non inopportuno ai tempi che corrono. Le cose di Francia non t'illudano;
gli Stati non vivono d'imitazione. Ogni Popolo ha le sue età. Non
bene riscosso dal lungo letargo, male imprenderesti a correre. Sta queto.
Fortificati. Sviluppa il tuo ingegno con lo studio del reggimento degli Stati. La
forma costituzionale presenta campo abbastanza per questi...» E continuo
col concetto, e quasi con le parole che stampai nello aprile, e che si leggono
qui oltre.
Nello aprile del 1848,
dopo cotesta prigionia essendo già pubblicato lo Statuto, dichiarando i
principii di varii reggimenti, e cercando quello che, giusta la opinione mia,
meglio si confacesse al Paese scriveva:
Corriere livornese, 6
aprile 1848:
«Dopo lui (Luigi Filippo), sembrò il Governo costituzionale, menzogna: ma si
confortino i diffidenti: il vizio fu dell'uomo, non già dell'istituto; e
ricercando per le Storie, non mancano esempj di Principi e di Popoli,
osservatori religiosi degli scambievoli doveri. - La lode di Agesilao, dice
Senofonte, non può andare separata da quella della patria, conciossiachè
Lacedemone fedele ai suoi Re, non imprese mai a spogliarli della loro potestà,
e i Re non desiderarono mai poteri più estesi di quelli che dalle leggi
venissero loro consentiti.»
Nel N° dell'8 aprile, trattando della
Repubblica, termino: «Ora sono eglino in noi animo e costume capaci a
conseguire la Repubblica,
e, conseguita, a mantenerla? Noi ne dubitiamo grandemente, ed esporremo le
cagioni del dubbio.» E nei N. 13 e 19 di aprile espongo i motivi, pei
quali non reputo la
Repubblica governo adattato al nostro Paese.
Nel N° del 15 aprile, dico: «La monarchia
costituzionale offrirci palestra bastevole a istruirci nella scienza dei
Governi.»
Capitale poi apparisce
la dichiarazione diretta agli elettori, stampata nel N° 2 maggio del
medesimo Giornale: «Qualunque sieno i pensieri individuali, verun cittadino
può imporre a forza la sua opinione al Popolo, arbitro supremo del modo col
quale intende reggersi. La tirannide non porta sempre corona di oro; qualche
volta la vidi col berretto frigio: la sfidai sotto il primo sembiante; saprò
combatterla, alla occasione, sotto il secondo. Per me, il migliore Stato è il
meglio governato secondo i desiderii, i bisogni, e le condizioni attuali del
Popolo. Però, ove il Popolo si accomodi al governo costituzionale, e prosegua
di affetto il suo Principe benemerente, a me non repugna, mandatario fedele,
sostenere la Monarchia,
purchè Costituzionale davvero.»
Eletto Deputato, fra le
infinite allegazioni basti una sola, quella raccolta dalla medesima Istruzione,
allegata dalla stessa Accusa, la quale prescelgo per la data, che appartiene al
tempo in cui tornava da avere composto la scompigliata Livorno, e per la
dimostrazione dei principii politici, che me legavano allora allo scrivente; ed
è la lettera direttami nell'11 ottobre dal Deputato Pigli. «Assisti con
attenzione al gran dramma; e quando sarai chiamato, sii presente. Noi
vogliamo la Costituzione
sincera, e la strada di ogni civile progresso, sgombra da ogni impaccio di vile
egoismo. - Se occorre, scrivimi. - Io ti assicuro di tutto ciò che uomo
virtuoso può desiderare, e non già per me te ne faccio fede, ma pel Paese mio.»
Vedasi in quella la non
sospetta manifestazione degl'intimi sensi di tale, che mi sedeva al fianco
nella Camera dei Deputati, e militava allora con me sotto la medesima bandiera,
e si comprenda se io fossi lealmente, interamente partigiano della Monarchia
Costituzionale. Tale era il mio domma politico; io vi ho persistito sempre, e
fu nella fiducia che anche Carlo Pigli vi persistesse che lo proposi al Governo
di Livorno,
Assunto al Ministero,
tanto più mi approfondai in quello, in quanto che per copia maggiore di fatti
venni confermato nella osservazione, che la massima parte dei Toscani fosse alla
Monarchia Costituzionale attaccatissìma. Invero, primo mio studio come Ministro
fu provocare da tutte le Autorità governative, e da tutti i Gonfalonieri del
Granducato, rapporti quanto meglio potessero esatti, intorno lo stato politico,
economico e morale delle Provincie e Città che reggevano. Commisi, tutti questi
rapporti riducessero in quadro sinottico (come proverò in seguito), e dal libro
che mostrai a S. A., e rimasto forse allo Ufficio del Ministero, venne a
risultare in modo esatto la verità della osservazione intorno ai desiderii del
Popolo toscano. Io per me ho sempre inteso, che per governare quanto meglio si
può, bisogna porre accuratamente studio a ricercare i fatti. I Governanti, che
ai fatti non guardano, o non li curano, o li dispettano, si rassomigliano ai
fanciulli, che corrono a nascondere il viso nel cantone, credendo non essere
veduti. - Però questo mio sistema mi ha fruttato taccia d'ignorante e di
gretto, dal Partito repubblicano161. Io posso abbandonare
intera alla censura altrui la mia mente, mi salvino il cuore; ma davvero con
idee preconcepite, e discordi dal voto universale, io non comprendo a che cosa
si riesca, tranne a sobbissare i paesi per soverchia presunzione di sè.
Però nella Circolare del
12 novembre 1848, indirizzata ai Prefetti, dopo avere parlato del periodo
procelloso che percorrevamo, dichiaro: «I principii monarchico e democratico
possono vivere in pace fra loro, a patto però, che il primo si mantenga leale,
il secondo proceda temperato. I re durarono nella Repubblica di Sparta,
e progenie inclita di Ercole eroe furono Codro, Agide e Agesilao, onore della
umanità. Se il presente Ministero fosse andato persuaso, che Principe e
Popolo camminino contrarii disperatamente, non sarebbe salito ai Consigli del
Capo Supremo dello Stato.»
Più oltre: «Alle persone
senza consiglio stemperate, dite che noi siamo antichi amici della Libertà, che
la nostra fede non può tornare sospetta, che ci ascoltino come fratelli, e
sappiano essere più onorato del desiderare nuove libertà, mostrarci capaci
di adoperare dirittamente quelle che abbiamo ricevuto.»
E nella seduta della
Camera dei Deputati, come di sopra ho avvertito, bandii solennemente non esser
suonata l'ora della Repubblica in Italia; e la generosità del Principe e i suoi
meriti presso il Popolo, e l'obbligo di questo a mostrarsi grato, per lo
insigne beneficio ricevuto162.
Al quale cumulo di fatti
vogliansi di grazia aggiungere gli altri riferiti in altra parte di questa
Memoria, e si vedrà come io mi fossi pronunziato apertamente contrario alla
Repubblica, per calcolo rigoroso di giudizio, e per probità politica; e come
esatti manifestassi i principii, guida costante del mio operato, secondo che
sarà chiarito in appresso.
Io non posso concludere
questa parte del mio ragionamento senza difendermi da un'accusa... ma per
questa volta è repubblicana! - Comprendo benissimo, che difenderci di
dietro e davanti ella è impossibile cosa; nonostante non consente l'animo,
quantunque presago della difesa disperata, abbassare vinto le mani. Come
nell'Appendice sarà manifesto, uno scrittore di setta repubblicana con molta
querimonia mi appunta che nei destini della Italia io non avessi fede, nè nella
virtù dello entusiasmo; freddo calcolatore essere io, e nel respingere il concetto
repubblicano mi consigliassi con le dottrine del Machiavello e del
Guicciardino. Aborrente, come ogni onesto dev'essere, a giudicare le intenzioni
altrui, io raccomando al signor Rusconi leggere e meditare queste parole di Ugo
Foscolo, che per certo non fu cuore freddo, nè tepido amatore della Patria e di
quanto potesse ridondare in augumento di lei, ond'egli giudichi se in parte
potesse farne ragione pei suoi amici, o per sè:
«Quando il Popolo torna
a precipitare nella corruzione, allora ad alcuni bennati le teorie sono stimolo
a nobile vita, a sublimi speculazioni, a generosissime imprese; ma alla
universalità de' cittadini necessitano rimedj desunti dalla esperienza, e
consentiti dalla natura dell'uomo. Catone fu d'onore a sè; ma di che pro alla
Repubblica? La sua virtù pareva ostentazione, e fu alle volte derisa; però
infruttuosa: non doveva piegare i costumi, bensì lo ingegno, alla condizione
de' tempi; e se non fosse temerità giudicare di tanto uomo, direi ch'egli era
più filosofo che cittadino romano; perchè s'ei non avesse inteso a procurare
alla Patria il bene assoluto, avrebbe per avventura, col valersi dello
stato d'allora, potuto procurarle quel più di bene che si poteva163.»
Che se il sig. Rusconi e
gli amici suoi mi vorranno essere benigni di proseguire nella lettura del
libro, che cotesto austero intelletto scriveva proprio per noi, troveranno,
spero, argomento di spiegare la mia mente, senza attribuirmi le brutte
intenzioni che lo infelicissimo non dirò amore, bensì furore di parte, gli
mette in pensiero.
«Ma io adorando la
sapienza e la onnipotenza di Dio, e senza arrogarmi di giudicarla, o di
bilanciare il meglio ed il peggio di quanto poteva fare o non fare, nè
interpretare i suoi fini, mi rassegno ai fatti, benchè discordino dai miei
desiderii, e m'ingegno di osservare le prove perpetue, che le cose e gli
uomini, come stanno, mi somministrano; e con l'unico lume della esperienza,
dirigo fra tante tenebre le mie opinioni a quel poco che io posso in utilità
della Patria164.»
E che io poi non meriti
anatema, per essermi mostrato difensore e custode del Principato
Costituzionale, avverso a scapigliata, debole, e non possibile Repubblica, mi
giovi per ultimo citare un'altra volta Ugo Foscolo, che la Italia nostra con le armi
difese, con gli scritti onorò, e che morì esule mandando l'ultimo sospiro, lo
estremo suo desiderio a lei, e per lei.
«Alcuni esaltando
principii di perfezione politica ardono le menti; ma gli animi sono
corrotti; quindi ogni tentativo verso lo impossibile, prorompe a corruzione
maggiore: testimonio la Rivoluzione
di Francia. Non tutti i Popoli, nè tutti i tempi possono tutto: l'esempio
degli Stati Uniti di America, popolo nuovo, suscitò il desiderio di libertà nei
Francesi, che avevano inveterata depravazione; lo esempio della Inghilterra,
che tanti anni addietro aveva per più di un secolo patito le stesse carnificine,
dovea limitare i loro desiderii ad ottenere un Monarca, ed una Costituzione....165»
E tanto basti per ora.
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