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Francesco Domenico Guerrazzi
Apologia della vita politica

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  • CONSIDERAZIONI GENERALI.
    • XVII.   Mia situazione in Piazza.
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XVII.

 

Mia situazione in Piazza.

 

Vi rammentate di Mazzeppa legato sul dorso del cavallo indomito? Tale io era fatto, per opera dei faziosi, di faccia al Popolo, ed anche per gli scongiuri della stessa Camera dei Deputati. La rivoluzione mi stava davanti con le sue mille teste, con le sue mille braccia, palpitante e smaniosa. Quanto possano il sospetto e la paura sopra le moltitudini agitate ogni uomo che legge storia conosce. Plaudivano adesso le genti, ma da un punto all'altro disposte a diventarmi prima carnefici che giudici. Intanto inquisitori, a modo dei Veneziani, mi si stringevano al fianco. Dirò cosa non credibile e vera, che, avendo retto il Popolo di Livorno e quello di Firenze, mi è sembrato il primo, quando imperversa, a trattarsi più agevole del secondo; della quale cosa ricercando sottilmente la ragione, mi parve trovarla in questo: che il Popolo di Livorno, per natura impetuoso, trascorre in escandescenza per motivi lievissimi e con molta facilità; ma o tu lo lasci sfuriare, e quel fuoco per difetto di alimento si estingue subito; o ti riesce gittarvi dentro una parola di senno autorevole, e, non altrimenti che per acqua, si spegne del pari: il Popolo fiorentino, all'opposto, è mite d'indole, arduo a muoversi, però causa grande ed eccitamento potentissimo si richiedono a spingerlo; ma spinto che sia, la difficoltà di acchetarlo sta in proporzione della difficoltà di agitarlo: le parole non bastano; procede concentrato e feroce. Considerai la insidia dei Repubblicani che mi si tenevano come vincitori davanti, quasi volessero dirmi: «ti faremo noi Repubblicano per forzaNiccolini allora comandava onnipotente; una sua accusa poteva perdermi; ed io lo aveva, in pubblico, mortificato e costretto a tacere. L'accusa veniva spontanea; chè a colorarla bastavano, e ce ne avanzava, le circostanze dell'essermi io sempre mostrato avverso alla Repubblica, parzialissimo del Principato Costituzionale; le voci sparse della benevolenza singolare del Principe; i perfidi sospetti, non senza frutto, insinuati tanto a Livorno che qui; finalmente il contrasto pertinace opposto ai voleri del Popolo nella Seduta della Camera. Reputano i miei Giudici subdolo trovato di difesa, se, mentre tanti e poi tanti appena curati, o non curati affatto, addussero a giustificazione dell'operato, e loro valse, il pensiero di provvedere alla propria sicurezza, affermo che ancora io badai un poco a me, io che mi ero posto a duro cimento e mi vedevo circondato da gente nemica e da Popolo sospettoso. Io aveva detto: «Chi si sente capace di operare in guisa diversa, sorga e mi accusi.» I Giudici sono sorti e mi hanno accusato: io devo confessare che ammiro il più che spartano coraggio di loro. In quanto a me, sono uomo, cose sopra natura so fare: non temo la morte, imperciocchè tosto o tardi, e tutti, e in breve, dobbiamo morire; pure, da morte sanguinosa e senza onore repugno; per leggere che io abbia fatto storie mi venne fin qui incontrato uomo cui dilettasse cadere sotto ignobile ferro. Io ero solo. Il Municipio, rappresentato dall'egregio Gonfaloniere, pregavami a non abbandonare in quel pericolo la Patria, e prometteva valido aiuto. Così pregava eziandio la Guardia Civica per l'organo del suo degno Generale, che si affrettò, in Senato, di aderire al voto del Popolo. Il personaggio tenuto come Capo della Commissione governativa del 12 aprile, nell'8 febbraio pronunziava parole gravissime per giustificare quello che il Popolo esigeva. - Io non incolpo nessuno; solo vorrei che quello che bastò ad altri o non costretti, o poco, potesse bastare a me, sottoposto a ineluttabile pressura.

si trattava di me solo, ma, nell'universale sbigottimento, meco dovevano salvarsi i miei compatriotti tutti, la pericolante società.

Qui cade in acconcio favellare dell'accusa appostami nel § 52 del Decreto del 7 gennaio 1851, e ripetuta in seguito, di non avere abbandonato la posizione che poteva strascinarmi o farmi perseverare nella via del delitto.

Non vi era luogo a renunzia: non si offeriva lo ufficio come cosa che potesse rifiutarsi o accettarsi. La moltitudine imponeva, e fu dimostrato. Guardia Civica, Municipio, Deputati instavano a salvare la vita e le sostanze dei cittadini. Quando il naufrago chiede soccorso, possiamo ricusarlo per debito di coscienza? Se curando il mio proprio interesse avessi duramente respinta la preghiera, e se questa durezza avesse partorito i mali che pur si temevano, e che sarebbero stati inevitabili, in qual parte di mondo potrei sollevare io adesso la faccia svergognata? - Dove sarebbero andati i familiari del Principe, ai quali, con Decreto del 10 febbraio 1849, d'accordo con P. A. Adami, riuscii a mantenere le pensioni? Dove gl'impiegati? dove voi stessi, o Giudici che mi accusate? Ma lascio della ingratitudine atroce: e in qual modo potevo sottrarmi io? E non avete saputo che notte giorno mi abbandonavano? Che, pieni di sospetto, specialmente nei primi tempi, mi seguitavano come ombra? Voi lo avete saputo, ma lo dissimulate. E dove fuggire? A Livorno forse? Sì certo, perchè, come traditore, mi ponessero a morte! A Roma...? In tempi di rivoluzione, difficile e piena di pericoli è la fuga, anche apparecchiata da lunga mano. Il Decreto dovrebbe sapere qual maniera di gente stanziasse allora in Firenze; Romagnoli e Romani, che a rinnuovare la strage di un supposto Rossi avrebbero reputato ottenerne merito presso gli uomini e presso Dio: e senza uscire di Toscana, il Frisiani, caduto in sospetto, quale acerbissimo fine non ebbe egli a patire!

Egli è impossibile giudicare di cose politiche, senza lo studio o la pratica degli avvenimenti politici. Un uomo, comecchè mediocremente versato nelle storie, consapevole del come il Popolo commosso proceda inesorabile nella sua vigilanza, non avrebbe domandato: Perchè non fuggiste? E molto meno poi della omessa fuga avrebbe fatto accusa. Questo uomo si sarebbe sovvenuto, che non riuscì la fuga a Carlo I, a Giacomo II, a Luigi XVI. Carlo II si salvò per miracolo nascosto nella quercia reale: delle regie, e pontificali fughe dei più recenti tempi a me non importa discorrere; basti rammentare che non vennero operate senza difficoltà, e precauzioni grandissime. Nella prima rivoluzione di Francia (e correva sempre l'anno 1789), il barone de Bechman, maggiore del reggimento Guardie svizzere, era strascinato alla Comune solo perchè la sua carrozza, scendendo il Ponte Reale, volse a sinistra dalla parte di Versaglia. Bonseval dal Municipio di Villenasso è sostenuto prigione; Cazalès, fuggendo l'Assemblea nazionale, si trova arrestato a Caussade; l'abate Maury, quantunque travestito, viene fermato a Peronna; all'Aura di Grazia traducono in carcere il duca de la Vauguyon e il suo giovine figliuolo, che pure mentivano abito, professione e nome. Delle fughe tentate e capitate male più tardi, basti accennare appena: Roland costretto a trapassarsi il cuore con la propria spada, e Condorcet a prendere il veleno; dei profughi Girondini ve ne furono perfino taluni divorati dai lupi; al solo Louvet riuscì lo scampo mercè le cure portentose di amantissima donna. Ecco come si riesce a fuggire dalle rivoluzioni. Veramente, se i Giudici pensano che per me si potesse abbandonare lo ufficio con la medesima comodità con la quale, giunti gli ozii autunnali, mandasi pel fattore onde ne aspetti col calesse alla Stazione della strada ferrata, e ci conduca in villa a far vendemmia, hanno ragione di appuntarmi per la mia permanenza: ma la cosa non è così; e la storia ammaestra come anche ai Principi, potenti di danari e di aderenze, sia riuscito talvolta fuggire; sempre poi con pericolo. Il cittadino privato, in cosiffatte fughe, perde o la vita o la fama, e sovente ambedue.

Pietro Augusto Adami dal Decreto del 10 giugno 1850 venne a ragione scusato della sua permanenza in ufficio per le mie insinuazioni, che lo impressionavano di vedere ridotta a mal partito la casa e famiglia sue per l'enormezze dei faziosi: ora questi timori non partecipava io, e bene altramente gravi per me? Forse si dirà (e così mi bisogna procedere, perchè quale vituperosa supposizione ha risparmiato l'Accusa a mio danno?) che senza sentirle simulava io coteste paure per inspirarle in altrui? Or come, anche all'amico, anche all'uomo che conviveva meco? E quantunque io glielo indicassi, non aveva egli senno, non aveva occhi ed orecchi per conoscere se io gli dicessi il vero? Queste insidie noi, la Dio grazia, non siamo usi a concepire nemmeno, e tanta pravità supererebbe perfino la immaginazione infelice di chi per mestiere maligna su la natura umana; il Decreto la suppone nemmeno. Dunque si ha da ritenere, che siffatte apprensioni palesate fra amici, nella intimità delle domestiche mura, dovessero essere troppo bene sentite, e pur troppo vere. Ed io non avevo casa allora, non avevo famiglia allora (ahimè! adesso mi sono state spietatamente rovinate, e disperse), non ho cuore io come l'Adami? La mia forza è ella come la forza delle pietre? la mia carne è ella di rame186? - Oh! non è questo il solo punto dove con inestimabile amarezza ho veduto che i medesimi Giudici adoperano due pesi e due misure. Pietro Augusto Adami è scolpato per essere rimasto in ufficio, dietro le istanze che gli muovevano spettabili persone, timorose che la Finanza cadesse in mani pessime. E me non pregarono? No? Me la cittadinanza áncora ultima di speranza chiamava; a me i servitori stessi di S. A. come a rifugio estremo ricorrevano; me impiegati principalissimi, mantenuti tuttavia in carica, scongiuravano a non disertare lo ufficio con rovina sicura del Paese e di loro; questo già mi dicevano in faccia per piaggeria, ma nelle private lettere lo predicavano ai lontani, ma nei penetrali della famiglia, ma nei fidati colloquii con gli amici non rifinivano ripetere; e quando più tardi, indignato degl'improperii di parte repubblicana, dichiarai volermi dimettere, la grande maggiorità dell'Assemblea per lunghissima ora non supplicò, che io non volessi mancare nel maggiore uopo al bisogno della Patria187? - Del Municipio, della Guardia Civica e dei Deputati, ho detto qui sopra. Oh! chi sa, che quelle mani... - ma che dico io, chi sa? - quelle mani stesse, che vergarono la ingrata Accusa, scrissero il voto di fiducia a mio favore, volendo allora tributarmi l'onorevole approvazione pel mio operato! - Ma ahimè! il sentimento della gratitudine s'inaridisce più presto della lacrima dell'erede... Io, invitato ad usare le mie scarse facoltà in benefizio del mio Paese, non ho mai rifuggito, comecchè con mio carico grande; e se nel 12 aprile io non lasciai Firenze, e' fu perchè mi pregarono interpormi, onde Livorno aderisse di quieto alla restaurazione del Principato Costituzionale: poi si scoperse essere un tranello cotesto; ma il mondo dirà da qual parte stia la vergogna, se dalla parte dei venerabili personaggi che dello amore di Patria fecero insidia, o dalla mia, che mi lasciai prendere a quell'amo!

I Giudici commendano Adami per avere conservato gl'impiegati: ma io feci di più; un segretario antico e benemerito del Ministero dello Interno, Ambrogio Piovacari, me istante, fu promosso a Consigliere di Stato, e nel suo ufficio posi la persona ch'egli stesso mi designava. Frequenti lettere anonime mi confortavano, ed anche minacciavano, a dimettere un altro Segretario, il Signore Allegretti. Io gli mostrai le lettere, gli dissi reputarlo, qual è, onesto, e, per quanto stesse in me, volerlo conservare in ufficio. Altra lettera anonima mi notiziava agitarsi ai miei danni Ferdinando Fortini; io gli mandai per suo governo il foglio accusatore, certificandolo della mia perenne amicizia.

E la mia lettera suonava in questa sentenza: «Amico. Se io credessi vero quanto nell'acclusa lettera si legge, io non te la manderei. Da quella vedrai come in questi tempi infelici la calunnia non risparmia te la tua famiglia. Se puoi argomentare da quale mano nemica muove cotesto foglio, badati. In quanto a me è inutile dirti che simili infamie non valgono a farmi mutare opinione intorno ai probi uomini, fra i quali novero meritamente te. Fammi grazia salutare il Sig. Duchoqué, il quale ebbi l'onore di conoscere in circostanza non troppo piacevole, ma non per cagione sua. Addio.

Firenze, 20 ottobre, 1848.

 

Aff. Guerrazzi.

 

Al Sig. Avv. Ferdinando Fortini Regio Procuratore Firenze188

 

A certo altro facevano guerra (Stefano Stefanini Commissario degli Ospedali di Livorno) e n'era pretesto l'affezione al Governo passato, gli onori ricevuti da quello; motivo vero la cupidità della sua carica onoratissimamente esercitata. L'egregio uomo tra le angoscie della iniqua persecuzione smarriva l'animo, e a me per aiuto scriveva. Ecco come io lo confortava: «Amico carissimo. - A questa ora avrai pace, lo spero, e poi lo voglio. Ed ho potuto, e voluto, quando ero nulla; pensa se adesso! - La mia amministrazione sarà breve o lunga, poco importa, ma sarà di giustizia. Dunque rispondimi se ti lasciano tranquillo. - Eccoti una supplica. Se merita, ti offro modo di fare un bene, e conciliarti favore; - se non merita, - nulla: Addio

Dirò altrove del giovane Boiti per sospetto degli Arrabbiati dovuto allontanare, e poi da me restituito in ufficio.

A tutti i servitori del Principe curai si mantenessero gli stipendii, e fu già detto, col Decreto del 10 febbraio 1849.

I sussidii alle molte famiglie povere elargiti dalla Corte di S. A. ordinai si continuassero189. Finalmente provvidi affinchè in modo stabile le sorti degl'impiegati della Corte si determinassero190.

Membro del Governo Provvisorio, impiegai perfino Pretore al Porto Santo Stefano chi venne ad arrestarmi un anno avanti! - E basti..... perchè è pure ignobile, Dio mio! - è pure infelice la

condizione ove la necessità della difesa mi costringe a spogliare il benefizio del suo divino pudore191.

Lodano i Giudici meritamente Emilio Torelli, il quale per lungo tempo mi servì con zelo come guardia del corpo aspettandomi spesso nelle tarde ore di notte, per iscortarmi a casa; lo lodano, dico, per essersi adoperato a salvare dalle mani dei faziosi oggetti di regia proprietà, e non sanno compartire merito alcuno a me, che rientrato appena in Palazzo, sbigottito della mente, e indolenzito della persona, firmai tre Decreti, e primo fra questi, quello che instituisce la Commissione dei Signori Generale Chigi, Gonfaloniere Peruzzi, Deputato Fabbri, e Professore Emilio Cipriani per prendere in consegna immediatamente tutti i palazzi regii, e oggetti di qualunque natura nei medesimi esistenti192, onde salvarli dalla dispersione.

I Giudici e l'Accusa non hanno avuto occhi per leggere la risposta, che di mia commissione mandava il Segretario del Governo Chiarini al sig. Poggi, custode del Palazzo della Crocetta, il quale mi avvisava come una mano d'individui, nel 23 marzo 1849, minacciasse convertire cotesto Palazzo in Quartieri, e lo annesso giardino ridurre a orto, per seminarvi carote, cavoli e patate ad uso delle milizie.

«Sig. Poggi. Sono incaricato dal Governo Esecutivo di rispondere alla sua del 23 spirante. Avanti tutto le faccio sapere che le di lei osservazioni, in essa manifestate, sono ritrovate non giuste, ma giustissime. Nel tempo stesso rendo a sua piena cognizione, che il Governo mai ebbe in animo di ridurre il Palazzo della Crocetta ad uso di Quartieri, per ora soggetto a nessuna innovazione. Il Governo conosce benissimo le convenienze, e molto più sa rispettare le opere di Arte: mai è stato vandalo. Si rassicuri, caro sig. Poggi; usi il solito attaccamento alle cose affidatele, e vada persuaso che comunque girino gli eventi, i galantuomini sono sempre rispettati, e riveriti.» (Così allora credevo.) «Se il Governo non ha potuto in tutto e per tutto ostare alle esorbitanze e agli arbitrii dei molti intemperanti, non è stato suo volere, ma sola mancanza di cooperazione, e di forza. Dove non è ordine, non è legge. Però mai sotto il suo Governo (cioè del Guerrazzi) saranno compiti atti di violenza, contro le cose, contro le persone, di qualunque condizione si sieno193

A me da tempo remotissimo era noto il signor Poggi, che fu amico di mio padre, e sovente me lo era venuto ricordando con affetto, sicchè quando lo rividi, lo accolsi come conoscenza antica: però questa lettera, oltre lo scopo pel quale adesso è citata, giova maravigliosamente a provare quante esorbitanze avessi a subire, e a quante, con mio sommo dolore, non mi trovai capace di riparare per difetto di forza e di sussidio!

I Giudici non trovano parola di lode alla discretezza mia di fare apporre sigilli al gabinetto particolare di S. A., onde le sue carte non andassero rovistate; nessuna pel Proclama scritto da me nella notte dell'8 al 9, e pubblicato nel Monitore del 9 con la data dell'8, dove s'incontrano le parole: «Custodi per volere del Popolo della civiltà, della probità, della giustizia, noi siamo determinati a reprimere acerbamente le inique mene dei violenti e dei retrogradi;» nessuna alla perigliosa minaccia da me diretta al Niccolini e alla turba seguace, che intendeva irrompere nel Palazzo Corsini, e trambustarlo da cima in fondo, per trarne un supposto tesoro appartenente a S. A., di che eglino erano (come asserivano) informati da un servo di casa. I Giudici lodano il Prefetto Guidi Rontani, per avere fatto abbattere gli alberi nella corte del Liceo Imperiale; e me, che davanti le moltitudini affollate ostai al piantare dell'albero sopra la piazza, non ricordano nemmeno. Che più! quello che in altrui dai Giudici si scusa, in me s'incolpa: così si approva il medesimo Prefetto per avere fatto remuovere i granducali stemmi a scanso di oltraggi plebei; io poi che condotto dagli stessi motivi trasmettevo ordini uguali, al parere dei Giudici commettevo delitto. Dovevo io sopportare che si rinnuovasse la turpitudine di vederli da Fiesole strascinati a Firenze194?

 

 

 






p. -

186 Job, c. 6, V. 12.



187 «L'Assemblea Costituente toscana nella notte del 27 al 28 marzo, mi volle onorato dello arduo incarico di governare esecutivamente lo Stato.

Quello che da uomo può farsi onestamente, per essere liberato da tanto peso, io feci: non essendomi riuscito affrancarmene, opererò quanto devo.

In ogni prova alla quale piace alla Provvidenza chiamare talora i Popoli due cose possono salvarsi sempre: la sicurezza e l'onore.

I pieni poteri, dei quali io sono rivestito, saranno da me adoperati non per offesa della Libertà ma per tutela del Paese. Di questo vadano persuasi i miei concittadini.

Firenze, 28 marzo 1849.

Guerrazzi



188 La lettera anonima diceva:

«Ill. Sig.

Scrivo in questo carattere perchè alla Posta non si faccia secondo il solito ec. ec. ec. - Io frequento molte, ma molte Società.... e qui la croce addosso a Guerrazzi..... guerra a morte..... Ecco i nomi di questi assassini aristocratici. Tutti i Fortini; il Capitano poi della Guardia Civica il più accanito. I suoi cognati, Senno Capitano dei Carabinieri, l'altro Segretario del Ministero di Grazia e Giustizia signor Duchoqué, M***.

Terribile al colmo il Direttore degli Alti Puccini, e il suo amicone avv. B*** e L***.

Quelli di secondo ordine a suo tempo ec. ec.

Vanno finiti, - ridotti impotenti, - esiliati

Non importa dire, che a nessuno dei rammentati fu non solo non recata molestia, ma neppure diminuito riguardo.

Il Puccini tanto rimase in ufficio, che potè iniziarmi contro questa brutta procedura, e in modo così parziale, che rispetto a lui l'accusa di poca benevolenza verso me pare fosse vera; ma egli periva di misera morte, e così Dio gli perdoni come io l'ho perdonato.



189 «Avuto riguardo alle molte famiglie povere le quali ritraevano dalla cessata Corte dei periodici sussidii in denaro o in pane, mancati i quali, queste famiglie vengono veramente a risentirne danno gravissimo, per cui sono costrette a languire nella miseria, il Governo, il quale sente e vuole avere viscere di padre per i Popoli alla sua tutela commessi, non può permettere che la parte che più esige il di lui soccorso venga a mancare per l'abbandono di chi era in dovere di assisterla. All'adempimento del qual dovere, che è per lui religione, il Ministro dello Interno aprirà una nota ove verranno ad iscriversi tutti coloro che ricevevano dalla prefata Corte i citati sussidj onde questi possano venire seguitati ai medesimi provvisoriamente, e finchè la suprema Legislatrice del Paese, l'Assemblea, non abbia preso anche in proposito gli opportuni provvedimenti.» - (Mon. del 3 marzo 1849.)



190 «Il Potere Esecutivo provvisorio della Toscana,

Considerando esser cosa del più grave interesse la sistemazione da darsi al già Dipartimento della Corte Toscana, sia avuto riguardo agli stabilimenti ed uffizj che ne dipendono, sia avuto riflesso alle determinazioni da prendersi relativamente agli stipendiati della Corte stessa, la sorte di molti dei quali è strettamente connessa alla sussistenza di altrettante non agiate o povere famiglie;

Considerando che, se un decreto del Governo Provvisorio emanato nel decorso febbraio provvide ai più bisognosi fra quelli stipendiati, resta ancora a fissare la sorte di quelli che non possono dirsi compresi nella categoria presa di mira dal decreto suddetto;

Considerando che l'onore nazionale, come un interesse sommamente morale e politico, vogliono che le definitive determinazioni da prendersi su questo proposito siano il frutto di maturo e coscienzioso consiglio;

Sulle proposizioni del Ministro Segretario di Stato pel Dipartimento delle Finanze, del Commercio e dei Lavori Pubblici;

Decreta:

Art. È istituita una Commissione composta dei Cittadini

Prefetto di Firenze,

Gonfaloniere di Firenze,

Generale della Guardia Nazionale Fiorentina,

Avvocato Giuseppe Panattoni Consiglier di Stato,

Cristoforo Cecchetti Soprintendente alle Possessioni dello Stato.

Art. La detta Commissione resta incaricata:

1. Di discutere sulla sorte degli impiegati addetti al già Dipartimento della Corte Toscana, per quindi proporre al Governo il modo della definitiva loro sistemazione, avuti i debiti riguardi alla natura e durata del servizio, non meno che allo stato economico delle respettive loro famiglie;

2. D'esaminare e proporre, se, come, e fino a qual punto debba mantenersi ai già stipendiati di Corte il godimento dei diversi emolumenti, somministrazioni e franchigie di cui essi profittavano, oltre il proprio onorario;

3. Di esaminare e proporre, se, come, e fino a qual punto debba lo Stato continuare la prestazione di quelle sovvenzioni, che in modo permanente o a ripetuti intervalli solevano elargirsi dalla Corte, e nel caso affermativo compilare la nota delle persone e famiglie da sussidiarsi;

4. Di liquidare ed appurare i conti dei sovventori, manifattori, e altri creditori della Corte stessa e suggerire i modi di pagamento;

5. E finalmente di prendere in maturo ed esteso esame i provvedimenti da suggerirsi per la definitiva sistemazione ed organizzazione delle varie branche e ramificazioni nelle quali il vasto Dipartimento della Corte si divide, esponendo, in questo importante proposito, quali di esse debbano o possano rimanere soppresse, quali debbano o possano conservarsi; ed in quest'ultimo caso indicarne, e proporne il passaggio, sotto la direzione e tutela di quel Ministero o Dipartimento da cui per natura loro potessero con maggiore opportunità rilevare organicamente.

Art. 3. All'oggetto di facilitare alla Commissione l'adempimento di così importante e delicato incarico, resta dichiarato che essa potrà mettersi in spedita e diretta comunicazione con qualsiasi pubblico dicastero dal quale gli occorresse attingere schiarimenti e notizie in proposito.

Art. 4. Il Ministro Segretario di Stato pel Dipartimento delle Finanze, del Commercio e dei Lavori Pubblici, è incaricato dell'esecuzione del presente Decreto.

Dato in Firenze, dalla Residenza del Potere Esecutivo provvisorio di Toscana, li trentuno Marzo milleottocentoquarantanove.

F. D. Guerrazzi.

Il Ministro Segretario di Stato

pel Dipartimento delle Finanze, del Commerci

 e dei Lavori Pubblici.

P. A. Adami.



191 La stampa scapigliata mordeva sovente questo mantenere che io faceva degli officiali al proprio impiego: «Invano si dice da tutti e ad ogni istante al Governo Provvisorio, Gonfalonieri, Prefetti, Sottoprefetti, Delegati, Pretori e soprattutto Preti, essere quasi da per tutto pietra di scandalo e fautori di disordini. Gonfalonieri, Prefetti, Delegati e Preti rimangono ai loro posti, e proseguono impuniti e baldanzosi a recare il loro sassolino per la distruzione del Governo, e il Governo prosegue a voler ignorare come anche il sassolino atterra il gigante.» - (Popolano del 15 febbraio 1849.)



192 Il Governo Provvisorio Toscano

ha decretato e decreta:

1. È istituita una Commissione, la quale dovrà immediatamente occuparsi di ricevere la consegna dei Palazzi Regj, e di tutti gli oggetti di qualunque natura nei medesimi esistenti, dei quali farà esatto inventario.

2. Questa Commissione è composta del

Gonfaloniere della città di Firenze Ubaldino Peruzzi;

General-Comandante la Guardia Civica della stessa città Carlo Corradino Chigi;

Deputato al Consiglio Generale Avv. Luigi Fabbri;

Professore Emilio Cipriani.

Dato in Firenze li otto febbraio milleottocentoquarantanove.

I Membri del Governo Provvisorio toscano

F. D. Guerrazzi - g. Montanelli - g. Mazzoni.



193 Documenti, a pag. 281.



194 Vedi Popolano del 13 febbraio 1849.





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