XVIII.
Cause di
delinquere.
Toccai sopra di quanta
importanza sia investigare le cause per le quali l'uomo può essersi diretto ad
agire, imperciocchè ogni atto che si parte da mente supposta sana, se manchi di
causa proporzionata e razionale, deve per necessità ritenersi involontario o costretto;
i Giuristi dicono: non informato da dolo. Qui vuolsi considerare come due
motivi soli potessero persuadermi a cospirare per la rivoluzione; o personali
od opinativi. Personali sono, cupidigia di averi e di onorificenze. Quanto io
fossi vago di pecunia lo mostrai, quando abbandonati floridissimi negozii,
consentii a tenere tale carica di cui l'onorario bastava alla metà sola
delle spese del dignitoso vivere di mia famiglia, e mio. Scrittori no, ma
arpie, di cui instituto è contaminare tutto quello che toccano, non mancarono
appormi cupido ingegno, anzi avaro. I libri della mia domestica economia
ricercati, dimostrarono quanto sia poca cosa la mia sostanza, quali le vie per
acquistarla, quali le spese, e i motivi delle spese. Se coloro che scrivono
facessero studio di onestà come e' professano, porrebbero cura a bene
informarsi prima di asserire cosa che leda la estimazione altrui; nè a sfuggire
la taccia bruttissima di calunniosi, può loro giovare punto la protesta di
ritrattarsi subito che venga dimostrato lo errore in cui sono caduti,
avvegnadio non si comprenda con quale autorità essi citino al proprio tribunale
uomini dabbene, per colpe che mai non furono, tranne nella loro matta fantasia;
tribunale per di più spregevole, come quello che già si mostrò o leggiero o
maligno; - e finalmente domando io che cosa si penserebbe di un uomo il quale
ti dicesse: lascia che io ti ferisca, nè richiamarti che io ti faccia torto,
perchè tengo in pronto balsamo e fila per medicarti la piaga? Tali sono quei
moderati scrittori, che dopo averti calunniato si protestano dispostissimi a
ritrattarsi. Ipocriti! Il vostro dovere è quello di bene esaminare prima di
gittare la pietra; e di coteste ipocrisie oggimai logoro è il conio195.
In quanto a vaghezza di
onori, io prego prima di tutto di non attribuire a immodestia quanto sono per
dire. Io veramente non credo che ad acquistarmi un po' di fama nel mio paese,
mi abbisognasse la carica ministeriale; nè per uomo travagliato da libidine di
ambizione può bastare il Ministero Toscano, di cui la fatica è pari a qualunque
Ministero del mondo, superiori le ansietà perchè ogni acqua ci bagna, e ogni
vento ci muove; infinitamente minore la fama. - Ma via, posto che questa febbre
ambiziosa mi fosse caduta addosso, o non doveva essere sazia con la promozione
alla carica di Ministro, e forse, in breve, a quella di Presidente del
Consiglio? Lo intento che aveva potuto proporsi il mio cuore era già
conseguito, e consisteva nel fare palese, col perdono, con la tutela, col
beneficio di coloro che non pure mi erano proceduti avversi, ma nemici, quanto
io fossi diverso da quello che mi avevano dipinto. E se dico questo, non faccio
per rimbrottarlo, no, - o per suscitare memorie oggimai date all'oblio; io lo
faccio costretto a difendermi, perchè la mia vita non è stata altro che
affanno; - compatitemi, e non rimettete della vostra benevolenza che mi
ridonaste. Continuiamo amici, dacchè siamo miseri assai. Intanto corse un grido
che diceva: «Chiunque vuole aver bene dal Guerrazzi, bisogna che gli faccia del
male.» Esagerava questo, ma la esagerazione stessa prova la verità delle cose.
Possano dunque le ambizioni altrui proporsi sempre uno scopo non diverso dal
mio!
Forse, avvertirà l'Accusa
sottilissima, v'increbbe il Governo Costituzionale, perchè vedeste durarvi instabili
i Ministeri. Certo, i Ministeri vi sono instabili e pericolosi, ma nelle
Repubbliche appaiono instabilissimi e pericolosissimi; sicchè il sospetto non
ha luogo. Ma l'Accusa insisterà dicendo: Forse vi prese cupidità di più alto
seggio. - Vennero da Roma, una volta, deputazione di uomini distinti per natali
e per condizione, ed un'altra, di messi speciali nelle ore più tarde della
notte, a offerirmi carica suprema, ed io la rifiutai; e prova di quanto affermo
occorre nel Decreto proposto dal Principe C. G. Bonaparte all'Assemblea della
Repubblica Romana, che suona così:
«Visto che il Popolo
tanto della Toscana quanto della Repubblica Romana, hanno più che bastantemente
dimostrato che vogliono la unificazione sotto un regime repubblicano;
l'Assemblea sovrana della Repubblica Romana:
1° Invita i 120
Deputati, componenti la
Costituente Toscana, a venire a sedere fra noi per formare la Costituente della
Repubblica della Italia Centrale.
2° Offre al Guerrazzi un
seggio nel Triumvirato della Repubblica complessiva ec.196»
Dunque nè anche la
supposta cupidità mi mosse. - Intorno ai fini opinativi è chiarito come io,
dall'incominciare delle Riforme, speculando sul genio del Paese, mi scoprissi
contrario alla Repubblica. Se per me si fosse voluta, nell'8 febbraio sarebbe
stata proclamata in Toscana, come si vedrà più largamente in seguito; se con
giudizio o no, se per durare o passare a modo di spettro, se a sostegno o a rovina
del Paese, è diversa ricerca: nessuno si opponeva; i dissidenti vi erano, ma
non avevano coraggio di fiatare; anzi si spenzolavano, smaniosi più degli
altri, a proclamare la
Repubblica; mani e piedi pestavano per volerla, e subito: per
poco me non accusavano di traditore opponendomi ai legittimi voti del Popolo,
al desiderio eterno riposto nell'intimo del loro cuore repubblicano. Io
contemplava la nuova viltà, e sorrideva. Udite un po' come si esprimeva il Conciliatore
del 28 febbraio 1849: «Che cosa possiamo sperare da coloro che s'inchinano a
tutti i poteri, che stancarono le anticamere delle Corti e dei Ministeri, e che
oggi proclamano svisceratissimi la Repubblica? O Libertà.... quando il tuo
culto era proscritto, tu conoscevi a nome i tuoi addetti; oggi, che hai altari
su le piazze e su i trivii, anche i tuoi più crudeli ed antichi nemici ti
portano pubbliche offerte fra le acclamazioni delle immemori turbe.» Non ti
pare quasi sentire un lamento del Conciliatore che altri gli abbia vinta
la mano, e possa essere reputato più amante della Repubblica di lui? Bassa
voglia poi sarebbe indicare chi questi svisceratissimi della Repubblica si
fossero: la morale pubblica ne scapiterebbe; e poi picchiandosi il petto, essi
si confessarono pentiti e dichiararono di non peccare mai più.... fino alla
prima occasione. Io non mi prevalsi nè della ebbrezza, nè del furore, nè della
pazienza, nè della viltà. Eletto tutore del Popolo, e consapevole dei suoi veri
desiderii, mi sarebbe parso fare opera di ladro, che carpisce la firma ad una
cambiale dall'uomo preso dal vino, sospingendolo al Partito della Repubblica. I
Repubblicani in questo fanno appunto consistere la mia colpa; io la mia
probità. A me piace proporre al Popolo, dopo pranzo, le risoluzioni ch'egli
confermerà anche la mattina a digiuno: perfida mi è parsa sempre la dottrina di
mettere a repentaglio così moltitudini, come individui: più tardi, risensati,
lacerano lo ingannatore, ne maledicono la fama. Io di altri Popoli nè so, nè
parlo; ma affermo, che non ostante la ebbrezza e il furore di molti, gli
eccitamenti interni ed esterni, la viltà e la pazienza, - la grande maggioranza
dei Toscani, finchè vissi nel mondo politico, non era repubblicana; il Partito
compariva, più che non bisognava, gagliardo a violentare e a distruggere, ma
per creare cosa durevole, non sarebbe bastato. Questa gente, infervorata nella
sua idea, non vuole comprendere come con uomini, che al vedere bandiere, udire
tamburi, gridi e simili altre diavolerie, guardano trasognati, poi si ritirano
in casa chiudendo le finestre, non si può creare Repubbliche. La grandissima
maggioranza delle persone educate in Toscana, stando al Ministero e prima,
conobbi appassionata delle vere libertà costituzionali, e non delle bugiarde
che si gittano alle genti come un osso da rodere, e poi non si vogliono o non
si possono mantenere; agli altri, in ispecie ai campagnuoli, bisognava dare ad
intendere la Libertà
come la dottrina cristiana. Io certa volta dissi alla Corona, che il Governo
doveva essere educatore di libertà in Toscana, e mi parve dire bene; se i tempi
sono mutati dopo due e più anni di carcere, non so, nè m'importa conoscere; ma
allora era così. Intanto i Repubblicani mi regalano il titolo di stolto,
e sarò; mi basta quello di onesto: ma quello che parrà più strano a credersi,
si è che mentre i miei Giudici mi tengono in prigione per avere cospirato
contro il Principato, e promossa la Repubblica, i Repubblicani protestano che mi ci
avrebbero messo eglino medesimi, per averla attraversata: «La Repubblica Romana
era divenuta per esso come uno spino, e quello spino vie più gli era infesto,
allorchè gli si parlava di Unione197.» E poco oltre, a
pagina 174, così si esprime il signor Rusconi: «Una Commissione fu istituita,
che disse governare in nome del Principe, e gli amici del Principato toscano
cominciarono dal retribuire Guerrazzi dei servigi fatti loro, con quella carcere
che da tutti altri che da essi avrebbe dovuto meritare.»
Sicchè, a quanto pare,
non ci è rimedio; io nacqui proprio nel mondo sotto la costellazione della
prigione!!! - Pericula in mare, pericula in terra, - diceva S. Paolo.
Sembra pertanto che io
non avessi motivo alcuno a sovvertire il Principato Costituzionale; all'opposto
lo avessi grandissimo a mantenerlo.
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