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Francesco Domenico Guerrazzi
Apologia della vita politica

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  • CONSIDERAZIONI GENERALI.
    • XX.   Forza.
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XX.

 

Forza.

 

L'Accusa confessa questa forza; ma ammettendola facilissimamente a benefizio altrui, per me poi mostra il viso dell'uomo di arme. L'antico Pirrone e San Tommaso, a petto suo, sono credenzoni. Così anche in questa parte, nell'Accusa, si osserva da un lato rilassatezza, dallo altro incredibile rigore; da una parte miscredenza, dall'altra superstizione210. Nel volume degli Scritti varii recai in volgare certo canto illirico211, il quale dice di un Bano di Croazia, che era cieco da un occhio; e sordo da un orecchio; e con l'occhio cieco guardava le miserie dei derelitti; con l'orecchio sordo intendeva il pianto dei disperati. Ora non vi par egli, che l'Accusa legga con l'occhio cieco del Bano di Croazia le carte che mi discolpano, e ascolti con l'orecchio sordo di quello le testimonianze a me favorevoli? Altrove addussi ragioni di questa diversità manifesta: la violenza patita dagli altri mi accusa; la violenza, non patita da me, mi condanna; ma poichè io credo avere dimostrato abbastanza, che di cotesta forza non fui provocatore complice, bisogna, per necessità, concedere che io sopra gli altri fui esposto a subirne l'azione.

Il Decreto del 10 giugno 1850, da capo in fondo, è pieno di questa prova di forza che domanda da me; così nello Attesochè racconta: «che sul finire del 1848 sorse una fazione» (io ho provato che vi era anche innanzi) «cospirante contro la Monarchia, eccitatrice di plebe a incomposti disordini, recalcitrante alle Leggi, sprezzante di ogni autorità, forte d'improntitudini e di audacia per il pervertimento dei Circoli e lo imperversare della stampa:» - nello Attesochè , in conferma della opinione emessa, rammenta i Forti occupati di Portoferraio; gli Ufficiali prigioni; il plauso feroce allo assassinio del Rossi; le violenze elettorali, ai giornalisti, al domicilio dell'Arcivescovo; la stampa repubblicana: - nello Attesochè con parole, che invano c'ingegneremmo trovare più truci, infama «cotesto sconvolgimento, come quello che elevava il furore a virtù, la moderazione a delitto, segni certissimi di prossima rovina per la parte dei faziosi della Monarchia e dello Statuto, i quali aspettavano la opportunità, e la ebbero nello allontanamento del Granduca da Siena:» - nello Attesochè 11° parla dello assembramento all'Arcivescovado, che commise violenze deplorate dai buoni, dai pessimi giornali celebrate: - nel 12° rammenta lo Indirizzo minaccioso mandato alle Camere, affinchè, per via del suffragio universale, si eleggessero sollecitamente i Deputati alla Costituente italiana, onde pel 5 febbraio potessero assistere alla prima seduta di Roma. - -nel 16° e 17° dichiara Siena turbata pel cruccio e per lo arti della Demagogia, che si augurava prossimo il rovesciamento del Principato; la rivoluzione imminente per colpa della stampa, senza limite licenziosa, e del concorso dei Circoli diventati, nel pervertimento, fratelli; l'anarchia provocata in Siena, la città sconvolta dopo l'arrivo di Montanelli, Marmocchi e Niccolini: - nel 18° afferma, per violenza, avere il Principe abbandonata Siena; per violenza le Camere avere eletto il Governo Provvisorio: - nel 21° espone: «l'audacia di pochi tristi prevalsa sopra la moltitudine illusa, sconfortata, indifferente, i quali, vituperato in ogni maniera l'augusto Principe, proclamarono la sua decadenza dal Trono, e il Governo Provvisorio:» - nel 25° certifica il Presidente Vanni tornato a presiedere l'Assemblea per concepito timore di guerra civile e di sangue: - nell'84° racconta dei faziosi esigenti a forza lo abbassamento delle armi: - nel 32° palesa «come i Circoli, coadiuvati dalle furiose declamazioni della stampa, si dierono a presentare petizioni per la cacciata dello stesso Principe toscano:» - nell'88° nota gli sforzi per instituire la Repubblica e inalzare l'albero della Libertà il 18 febbraio, e le pubbliche ardentissime arringhe di rovesciare tutte le monarchie italiane: - nel 94° ci fa conoscere che una fazione, fuori del Governo, proseguente un fine suo proprio, esercitava solertissima sorveglianza: - nel 104° insegna quali e quanti fossero gli sforzi a spingere i Popoli alla Repubblica in provincia, non meno gagliardi di quelli che si facevano in Firenze, e gli eccitamenti della stampa per armare il Popolo a sostenere la rivoluzione, la Repubblica, e a cacciare il Principe da Santo Stefano: - finalmente nello Attesochè 32° dichiara la sorpresa, le violenze adoperate, e le furiose declamazioni della stampa, capaci a imporre il Potere alla Toscana.

Accorda col Decreto del 10 giugno del 1850 il secondo Decreto del 7 gennaio 1851 ai § 5, 7, 8, 10. L'Atto di Accusa del 29 gennaio 1851, ampliando il quadro nei § 4 e 5, dalla rivoluzione siciliana precedente, e dalla milanese susseguente lo Statuto, dalla Repubblica proclamata in Francia, dalla guerra lombarda, dai suoi infortunii ricava argomento, ed è vero, per mostrarci una maniera di gente, mal paga delle riforme costituzionali, aspirare alla Repubblica, e scuotere profondamente nelle viscere la Italia.

E l'Accusa poteva aggiungere la rivoluzione di Vienna, la ungherese, la badese, le zuffe sanguinosissime di Berlino, tutta la Germania avvolta in giro dal turbine rivoluzionario; - la prossima Roma: proximus ardet Ucalegon.... Europa tutta in fiamme!

L'Accusa poi, dando saggio delle opere di questa fazione, rammenta le declamazioni per le piazze e pei Circoli, e la licenza della stampa; - rammenta l'ardire del nizzardo Trucchi di decretare, nel 30 luglio, sotto Palazzo Vecchio, la decadenza della Monarchia, lo scioglimento delle Camere, e la istallazione di un Governo Provvisorio, di cui chiamava a far parte Guerrazzi e Pigli (ma non rammenta che con noi erano indicati Gino Capponi, Neri Corsini, e Giuseppe Giusti212; e molto meno rammenta che, lasciato stare liberissimamente dai Ministri precedenti, fu, da me assunto al Potere, e per quel fatto, esiliato di Toscana il signor Trucchi); non tace dello incendio della carrozza del Generale Statella; e i fatti livornesi del 25 agosto, e la orribile sventura del 2 settembre.

 

 

 






p. -

210 L'Accusa, che tra le altre cose sostiene come mio proponimento fosse far bandire la Repubblica dall'Assemblea Costituente, con solerte studio va raggranellando qua e alcune espressioni dagli Atti pubblici, capaci a suo credere per dimostrarlo. Siffatte espressioni si rassomigliano alla cautela di chi con mano fa riparo alla candela, che intende mantenere accesa, quando il vento tira. Lo importante consisteva in questo, che al Popolo Toscano si rendesse abilità per disporre con libero ed avvisato voto di : ora, adoperare alcuna blandizie di parole, che al tutto non disperasse i più accesi fra gli Arrabbiati, e li trattenesse dal gittarsi a partiti estremi, egli è tal consiglio, che la prudenza più che mezzana suggerisce. - All'opposto, quando si tratta di scuoprire la verità, l'Accusa non sa leggere neppure nel suo Volume. - Invero nell'Originale del Parere del Consiglio di Stato riposto negli Archivii, ed estratto dall'Accusa, si legge una nota marginale, che si dice scritta di mio carattere, e sarà. Cotesta nota, dichiara: «Commissione di studii preparatorii. Se definitiva la Unione, si trova lavoro fatto. - Se federativa, simile concetto non cimenta principii. In Germania si è operato in questa maniera senza pregiudizio di quistione politica.» - (Doc. dell'Accusa, p. 319). - -Per quanto mi viene fatto ricordare, gli studii preparatorii concernevano le ragioni finanziarie del maggiore o minore profitto che sarebbe toccato in sorte al nostro Stato nella ipotesi della Unione con lo Stato Romano. - Notavo, che avrei potuto (previo sempre il parere del Consiglio) creare una Commissione, che studiasse la materia, imperciocchè da questo fatto non resultava danno alla Unione federativa. Egli è evidente, che questa nota per me non avrei fatta, se in me fosse stato deliberato proponimento di provocare la Unione definitiva.



211 Edizione Le Monnier, 1851, pag. 402.



212 Vedi Doc. dell'Accusa, pag. 900.





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