XXI.
Conseguenze della Forza ammessa
dai Documenti dall'Accusa.
Se l'Accusa presta fede
alle proposizioni che dai suoi Documenti medesimi ha desunto fin qui (ed io
devo ritenere ch'ella ci creda), e allora come domandano i miei Giudici a me la
prova di quello che eglino stessi hanno provato? Infatti, come si può sostenere
«che la violenza coattiva, sia all'individuo, sia al collegio, non è provata,
anzi esclusa, dai primi atti co' quali e nei quali venne a consumarsi il
delitto» (Atto di Accusa § 85), quando mi confessate agitarsi da lungo tempo
fra noi una fazione capace a imporre al Paese intero? Se questa fazione
insorse, voi dite, fino dal declinare del 1848, mentre durava la Monarchia Costituzionale,
e con essa si mantenevano gli ordinamenti, comecchè indeboliti per tutelarla; o
come pensate che si fosse rimasta inerte ad un tratto? Come di audace diventata
paurosa; di sprezzante ogni freno di autorità, umilmente arrendevole; di
cospirante alla distruzione della Monarchia, facile ascoltatrice dei miei
sermoni? Anfione e Orfeo, che a suono di lira ammansirono belve, e trassero a
seguitarli le pietre, sono racconti da storia in paragone della potenza
favolosa che da me pretende l'Accusa.
Se plausero gli
arrabbiati ferocemente alla strage del Rossi, perchè non mi concedono i Giudici
che potessi andare pensoso pel mio stesso destino? Se Dionisio Pinelli
chiamavano traditore, e il fato infelicissimo di cotest'uomo gli
minacciavano, perchè di simili minaccie non dovevo far senno ancora io213? Se cittadini e deputati temerono della propria
vita, perchè non dovei temerne io, esposto al terribile sospettare dei faziosi,
quotidianamente minacciato, e delle loro accesissime voglie oppositore
importuno? E badi l'Accusa, che per venire in fama di traditore non importa
fare tanto; basta solo sostare; così ammonisce lo infortunato Silvano Bailly
nelle sue Memorie, là dove favellando di Mounier, e di Malouet, i quali
apprensioniti dalla piega che prendevano le cose pubbliche in Francia nel 1790
vollero scansarsi, racconta214: «allora corse l'accusa
solita a percuotere chiunque si ferma in mezzo a un Popolo che cammina: la
tremenda parola di tradimento fu pronunziata.» In tempi di rivoluzione
l'accusa di traditore è quasi un saluto ordinario su le bocche dei
venduti e dei fanatici. Se violarono lo Arcivescovo difeso dalla reverenza
della religione, perchè pensano che volessero trattenersi da violentare me non
difeso? Se, durante tempi che in paragone dei posteriori all'8 febbraio
potevano dirsi ordinati, la furia del Popolo assalta ed occupa Fortezze,
imprigiona Ufficiali, perchè negano fede i miei Giudici che la mia stanza
invadessero, e, armati, minacciassero? Se dichiarano altri percosso dal
pensiero della guerra civile, della tremenda anarchia, e della strage
imminente, e perchè non doveva io pure spaventarmene? Qui si vorrà forse
rinfacciarmi che io dissi talora non temere il Popolo? Certo avrei fatto bella
prova a mostrarmi codardo! Nè quello che si dice in una occasione vale per
un'altra; e spesso, come notai, si lusinga il Popolo perchè o si trattenga dal
male, od operi il bene; artifizii sono questi che la stessa morale non
disapprova. E se la forza di cui parlate valse, a parere vostro, a violentare
Principe e Camere e collegi e individui e terre e città e Popoli interi, perchè
volete poi reputarla insufficiente a violentare me per piegarmi ai suoi
comandi? Se i faziosi pretendevano violentemente che gli stemmi granducali si
abbassassero, perchè imputarmi l'ordine trasmesso di remuoverli per preservarli
da oltraggio? Se il Principe proclamarono decaduto, o come pensare che me non
coartassero a scrivere i Dispacci relativi alle Spedizioni Elbana, di Porto
Santo Stefano e Laugeriana? Quando voi stessi raccontate che i Circoli,
coadiuvati dalle furiose declamazioni della stampa, si diedero a presentare
petizioni per la cacciata dello stesso Principe dal suolo toscano, con
quale coscienza sostenete poi, e, lasciando la coscienza, con qual fronte, con
quanto senno, con qual pudore, che la violenza è esclusa dai primi atti con
i quali e nei quali venne a consumarsi il delitto? Forse le petizioni della
moltitudine, coadiuvata dai Circoli e dalle furiose declamazioni della stampa,
reputate piccola pressura per me? Ma voi, voi stessi, queste petizioni
reputaste sufficienti a costringere la Camera dei Deputati quando decretarono la Legge sopra la Costituente! Non sono
questi due pesi, non sono due misure? E presumereste paragonare la condizione
del 21 gennaio con quella dell'8 febbraio 1849? Una fazione che si era proposta
il rovesciamento di tutte le monarchie italiane, è da supporsi
che si rimanesse da usare ogni partito estremo per conseguire il suo fine,
precisamente sul punto di cogliere il frutto dei lunghi e travagliosi conati?
Gente, che eleva il furore a virtù, si pretende credere che, con
mansuetudine pastorale, le istanze per le mentovate spedizioni mi presentasse,
o non piuttosto con tal garbo che non dava campo alla scelta? Se i Giudici
sanno che il Popolo irrompente il 18 febbraio in Piazza, malgrado che io,
secondo le mie forze, mi opponessi, e nonostante le mie dimostranze, quasi in
onta di me, volle inalzarmi sotto gli occhi l'albero della Libertà,
perchè ricusano fede alla mia impotenza a resistere a tutto? Perchè non vi
curaste, non dirò nello imparziale animo librare le parole dirette all'egregio
uomo signor Poggi amico del padre mio: «Se il Governo non ha potuto in tutto
e per tutto ostare alle esorbitanze ed agli arbitrii dei molti intemperanti,
non è stato suo volere, ma solo la mancanza di cooperazione e di forza,» ma
almeno leggerle? Perchè mi chiedete ragione se il vento mi ha portato via
qualche vela; tronco qualche albero, e non mi tenete conto del corpo della nave
che, Dio aiutando, vi ho preservato dal naufragio? Voi mi siete, Signori,
scarsi e crudeli. E badate, comecchè le mie parole adesso sieno argomento di
scherno appo voi, che tra i più brutti vizii che offendano il Signore io ho
sentito come principalissimo annoverare sempre quello della ingratitudine: anzi
in certo solenne Maestro di divinità ricordo aver letto una volta: «la
ingratitudine essere vento crescente, che dissecca la fonte della pietà, e la
rugiada della misericordia.» E queste fonti dovrebbero mantenersi del
continuo aperte a dissetare i cuori spasimanti di rabbia, e queste rugiade
divine implorarsi perenni a temperare le fronti riarse dal furore.
Oltre a dichiarare non
provato quello che eglino stessi si sono affaticati a provare, i Giudici
esprimono due altre proposizioni, e sono: I. Il Decreto del 7 gennaio 1851, §
53, intorno alla violenza dedotta dice, che i fatti allegati non gli paiono
d'importanza tale da stabilire la violenza irresistibile e continuata; e
qui importa notare, che e' sono della medesima natura, e di molto maggiore
intensità di quelli che il Decreto medesimo e gli Accusatori tutti hanno
ritenuto valevoli a coartare Principe e Camere! - II. L'Atto di Accusa poi, a §
85, non solo non vuole provata la violenza, ma la esclude: qui la
contradizione mi sembra palese, perchè il primo non nega i fatti ma non gli
apprezza, il secondo del tutto gli nega. Il Decreto del 7 gennaio continua che,
in ogni caso, cotesti fatti di violenza non varrebbero a scolparmi, perchè dal
Processo resulta l'autorità che io aveva su le turbe tumultuanti, la mia
protesta di non temerle, e la frequente riuscita a contenerle per vantaggio di
privati cittadini! Di questo modo di argomentare ho ragionato abbastanza; ma il
cuore degli onesti tornerà a sollevarsi per me a cagione di questi implacabili
sofismi.
Ed è pur qui che l'Atto
di Accusa, § 85, dopo avere ammessa la forza, anzi dopo averne accennato le
origini, ampliato il quadro dell'azione, ad un tratto la fa cessare; e quando?
Nel giorno 8 di febbraio. E perchè? Per accusare come liberissimi gli atti pei
quali venne a consumarsi il delitto. Poi, egli stesso, di leggieri
confessa che insistenze, esigenze, improntitudini vi furono; ma invano; ormai
il fatto era consumato, nè esse potevano giustificare il delitto già
completo.... Se questo sia vero e verosimile, chiunque ha fior di senno a colpo
di occhio il conosce;.... ma che favello io di vero e di verosimile, quando
neppure l'Accusa crede a quello che dice! - La Fazione, ella dice,
per rovesciare Monarchia e Statuto attendeva occasione opportuna, e la ebbe,
nello allontanamento del Granduca da Siena. Dunque non istettero con le
mani alla cintola i Faziosi nell'8 febbraio. Essi operarono la rivoluzione in
quel giorno, ed è l'Accusa che un po' lo confessa, e un po' lo nega; che modo
di ragionare è mai questo suo? E svarioni siffatti, che in una scuola di Logica
basterebbero a mettere a pane e acqua il tristo scolare che gli scrisse, hanno
potuto avere in Toscana la virtù di logorarmi in carcere ventotto mesi di vita?
Le febbri delle fazioni non sono intermittenti, ma continue; e questo andare,
fermarsi, rimettersi in cammino, bene sta deplorabilmente nella fantasia
dell'Accusa, non già nella natura umana. Motus in fine velocior. E dico
deplorabilmente, imperciocchè se il Pubblico Ministero penserà che alla sua
religione non sieno «confidati gl'interessi della verità, della innocenza,
della civiltà, della coscienza pubblica e della giustizia, ma unicamente quelli
della pena,» che cosa diventerebbe mai il Pubblico Ministero?... Tutto è qui:
fui complice, o no, con la fazione, che attendeva occasione opportuna a proclamare
la Repubblica,
la decadenza del Principe, e la
Unione con Roma, e la ebbe nell'8 febbraio? Se fui, le
sue colpe sono le mie; se non fui, perchè mi disfate anima e corpo prolungando
la iniquissima prigionia?
Il sistema di violenza era
dai Circoli degenerati abbracciato e praticato come regolamento organico. Nel
principiare del novembre 1848, nella solenne Adunanza del Circolo Fiorentino,
tenuta nel teatro Goldoni, trovo che fu proposto di sospingere il
Ministero; ma questo parve poco, chè sorse Oratore di maraviglioso seguito in
quel tempo, il quale espressamente dichiarò: «essere di opinione che non
solamente si avesse a sospingere il Ministero, ma violentarlo se
fosse necessario, e portarlo più lontano.... Se il Popolo conosce la necessità
di agire prontamente, io ripeto, che non solamente deve spingere il
Ministero, ma violentarlo, quando vi sia, ciò facendo, la convinzione
del bene d'Italia, quando vi sia la convinzione di un fatto di urgenza ec.»
È vero che l'Oratore
protesta, che le violenze intende abbiano ad essere morali; ma, scendendo agli
esempj, suggerisce le dimostrazioni pubbliche e gli eccitamenti del Popolo in
massa, sicchè quanto sapessero di morale cotesti partiti ognuno sel vede. Quasi
poi che il detto fosse poco, insisteva l'Oratore affermando: «Oggi mi pare che la Italia sia in una
alternativa co' suoi Reggitori; nell'alternativa cioè di rovesciarli, o
di strascinarli. Non ci è via di mezzo; una delle due215.» Cotesti erudimenti facevano effetto di zolfo
su carboni accesi, e già troppo bene gli avevano posti in pratica senza
conforti; ora poi che vi si trovavano eccitati, non è da dirsi se volessero
fare a risparmio, e se (come l'Accusa immagina contrariamente a quello che
narra il Decreto del 10 giugno) se ne rimanessero proprio nel punto in cui per
assicurare i loro disegni ne avevano maggiormente bisogno. Intanto l'Accusa, se
avesse amato conoscere come i Repubblicani fossero contenti, poteva leggere la
requisitoria repubblicana del signor Rusconi, il quale narra che il Partito
minacciava irrompere da un punto all'altro contro di me; e poteva anche
informarsi come una congiura repubblicana si andasse preparando per
rovesciarmi. Se per difendere me dovessi offendere altrui, è naturale che il
mio debito sarebbe di restare indifeso, ma le cose a cui accenno sono note a
tutti, e resultano da atti pubblici.
In breve somministrerò
prove più speciali ancora della violenza subíta; adesso giovi ricercare qui, se
a questa procella avesse potuto resistersi. Io penso di sì quante volte il
Principe non avesse abbandonato il Governo. Bene altramente gravi, così per gli
uomini come per le cose, erano le circostanze che accompagnarono in Inghilterra
la rivoluzione del 1688; nonostante tra quelle che davvantaggio la favorirono,
Hallam pone la fuga di Giacomo II216; ed Hume, narrando come
il Re dopo avere inviato la
Regina e il figlio in Francia, egli pure, secretamente, si
muovesse verso la foce del Tamigi dove l'aspettava un vascello, considera che
questo passo ebbe a riuscire grato ai suoi nemici più di ogni altro suo
procedimento. Questo storico gravissimo espone, come gli emissarii di Francia,
fra i quali l'ambasciatore Barillon, erano affaccendati attorno al Re
suggerendogli, male a proposito, nessuna cosa potere operare più acconcia a
sconvolgere il paese quanto la sua partenza. E che così opinassi ancora io pel
nostro Paese ne porgono testimonianza il Dispaccio diretto al Governatore di
Livorno, dove dichiaro che lo allontanamento del Principe sarebbe il peggiore dei
mali; e gli altri al Presidente del Consiglio, dove gli raccomando a fare ogni
prova per ricondurre il Principe e la sua famiglia a Firenze, e di salvarlo
anche suo malgrado. Prevalsero altri consigli, dei quali ebbi prima dolore e
pericolo, ed ora ho il danno.
Giacomo II, abbandonando
il Governo, non destinava persona a reggere durante la sua assenza, per lo che
grande fu in Londra la sorpresa dello evento, e «ognuno vide le redini del
Governo abbandonate ad un tratto da chi le teneva, senza che nessuno apparisse
il quale potesse avere il diritto, e neppure la pretensione d'impadronirsene.
- Allora avvenne a Londra che nella temporaria dissoluzione del Governo, alla
plebe fu sciolto il freno; nè vi fu disordine, che in tanto scompiglio non si
potesse temere: insorse tumultuante, ed atterrò tutte le cappelle dove si
celebrava messa: assalì e pose a ruba le case dello Inviato di Firenze e dello
Ambasciatore di Spagna, ove molti cattolici avevano riposte le loro più
preziose suppellettili. Il Cancelliere Jefferies, che si era travestito per
fuggire, caduto nelle mani della plebe, ne rimase talmente malconcio, che poco
dopo morì. Temevasi che lo esercito contribuisse ad accrescere il tumulto. I
Vescovi e i Pari, in tanto stremo, si riuniscono per provvedere alla comune
salvezza; al gonfaloniere e agli aldermani danno ordini convenienti per
reprimere l'anarchia; mandano comandi alla armata, allo esercito, e ai
presidii; finalmente s'indirizzano al Principe di Orange. Giacomo II non era
partito d'Inghilterra, anzi fu ricondotto a Londra, e ricevuto con grida di
acclamazione dalla plebe, seguendo la sua natura versatile; invano però,
chè la rivoluzione per quel breve abbandono del Governo era stata operata.
Orange, genero al re, e la figlia Maria, avevano supplantato il suocero e il
padre217.»
Così fra noi,
abbandonato il Governo, trionfa il Partito repubblicano; e fu mestieri
provvedere innanzi tratto a salvare la società; poi a ricondurre il Paese nelle
condizioni politiche che gli erano naturali, traverso il travaglio
rivoluzionario, e senza sangue....
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