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Francesco Domenico Guerrazzi
Apologia della vita politica

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  • CONSIDERAZIONI GENERALI.
    • XXIV.   Spedizione di Portoferraio, e di Santo Stefano.
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XXIV.

 

Spedizione di Portoferraio, e di Santo Stefano.

 

Desumo la storia di queste due accuse dal Decreto del 10 giugno, facendovi le aggiunte e correzioni opportune dietro il confronto del Decreto del 7 gennaio e l'Atto di Accusa del 25 detto 1851.

«È luogo a ritenersi che a questo punto non si arrestasse la Rivoluzione, ma che, presentendo prossima l'ora del riscatto, i Circoli, coadiuvati dalle furiose declamazioni della stampa, si dessero a presentare petizioni per la cacciata dello stesso Principe dal suolo toscano.

Nel concetto di accoglierle, così scrisse il Guerrazzi nel 8 febbraio 1849 (6 ore pom.) al Governatore Pigli:

Il Ministro Inglese assicura essere andato il Granduca con la sua famiglia a Portoferraio; si faccia tornare il Giglio. Si mandino barche e navigli con Livornesi ed uomini arrisicati a cacciarnelo. Leopoldo non merita ospitalità sopra il suolo toscano, dopo che, con tanta ingratitudine e nera perfidia, ha corrisposto alla fede del suo Popolo. - E la raccomanda il 9 al Governatore di Portoferraio sotto minaccia di destituzione:

Può supporsi che sia diretto costà, e già si trovi in cotesta Isola, Leopoldo Secondo. - Quando ciò fosse sicuro, egli ha abbandonato la Toscana, il Governo Provvisorio non può permettergli di rimanere in una parte di essa. La sua presenza potrebbe divenire causa di perturbazione, e forse di guerra civile. Ella perciò deve in quel caso invitarlo ad assentarsi anche da cotesta Isola, e fare in modo che la presente disposizione abbia il suo pieno ed immediato compimento. - A ciò mancando non potrebbe da lei evitarsi la destituzione dallo impiego. -

Fallito il disegno di cotesta Spedizione, e dietro notizia che il Principe era a Santo Stefano, si rinnuovarono dal Guerrazzi al Pigli gli ordini per una seconda Spedizione militare contro il Granduca, chiamando a soccorso le truppe e i talenti del Generale D'Apice che vi si ricusò.» - Perchè, dice il Decreto del 7 gennaio, fosse nelle ferme intenzioni della Rivoluzione procacciare ad ogni costo la partenza del Principe dalla Toscana.

La lettera al Pigli è così concepita: «Dalle annesse lettere che mi ritornerete, e che per difetto di tempo mando nell'originale, vedrete il pericolo che ci minaccia. Colla massima sollecitudine apparecchiate gente scelta che s'indirizzi verso Santo Stefano per la via del Littorale, ma per paese amico, e per ingrossarsi come palla di neve. D'Apice vi scriverà, e vi terrete ai suoi consigli. - 14 febbraio 1849

La dichiarazione del Generale D'Apice suona nel modo seguente: «Dirò con tutta verità, che allorquando mi trovava in Empoli ricevei lettera per parte del signor Guerrazzi, nella quale mi diceva lasciassi in Empoli porzione della truppa che io aveva sotto i miei ordini, e con altra mi dirigessi in Maremma, e mi pare precisamente a Grosseto. Ma poichè si trattava che cotesta Spedizione doveva farsi contro il Granduca, che allora era in Maremma, io ricusai incaricarmene

E raccomandando io scriveva al Paoli: «Scrivo a lei perchè capace d'intendere e di eseguire. Qui poco si fa, molto si parla. Cornacchie, non uomini. Leopoldo austriaco sta in Santo Stefano, organizza la reazione coll'empio pensiero di convertire Maremma in Vandea. Bisogna fare due cose: riunire quanta più forza si può: parte offrirne al Prefetto di Lucca, parte tenerne a disposizione del Governatore di Livorno. La causa della Toscana, e forse della Italia, dipende da queste misure, perchè da ogni buco può entrare acqua, cagione di naufragio. Rendete ragguaglio, per Dio, di quello che fate. Il Potere centrale deve essere informato di tutto

«Pigli (continua il Decreto del 10 giugno) raduna gente di ogni arma. La Cecilia la conduce; sparge proclami, ma non ottiene seguito, riunisce gente ai ribelli.

Questi apparecchi si accelerano, ma rimangono interrotti per dirigere il tumultuario armamento a Pietrasanta a comprimere un tentativo di restaurazione del Generale Laugier che dicevasi avere rialzato a Massa la bandiera del Principato, senza però abbandonare il disegno della cacciata del Principe

 

 

§ 1. Spedizione a Portoferraio.

 

L'Accusa stessa, poichè ha posto che i Circoli, coadiuvati dalle furiose declamazioni della stampa, presero a presentare petizioni per la cacciata del Principe, perchè m'imputa questi fatti? Perchè, come ha proceduto con altri meno di me pressurati, non mi scusa per quello che non mi riuscì impedire, e non mi ricompensa di una parola che non sia disprezzo per quanto operai? L'Accusa non può, e non lo tenta, attenuare il carattere della forza rivoluzionaria, adesso che nel pieno suo impeto punta sopra di me. La ritenga pertanto, com'ella medesima la qualificava, audace, impronta, sprezzante di ogni autorità, che leva il furore a virtù, la moderazione a delitto; la ritenga, com'ella stessa ce la racconta, cospirante in Toscana, anzi per tutta Italia, a rovesciare Monarchia e Statuto; in agguato di opportunità per invadere ogni cosa; opportunità che le venne offerta nello allontanamento del Granduca da Siena; la ritenga, come ella dice, ferocemente esultante per la strage di un Ministro reputato contumace ai voleri del Popolo: e tanto, se giusta, avrebbe dovuto bastarmi presso di lei.

Ma l'Atto di Accusa trova che gli eccitamenti, le improntitudini e l'esigenze (e si guarda di pronunziare violenze, perchè quando si volta a me la Fazione cangia natura) furono adoperate, a coartarmi dopo l'8 febbraio, e, senza precisare il tempo in cui ripresero, crede potere affermare in coscienza che non intervennero nel giorno 8, durante lo spazio necessario a commettere gli atti che, a suo parere, costituiscono il delitto di lesa maestà. In più parti di questa Memoria a chiara prova dimostrai lo assurdo di siffatto supposto: aggiungansi nuovi fatti e nuove considerazioni. L'Accusa stessa confessa che il Circolo, nel giorno 8, si costituiva in permanenza armato: e se meglio avesse voluto cercare pei Documenti da lei medesima raccolti, avrebbe trovato che il Circolo fiorentino si era costituito in permanenza fino dal 5, ed aveva creato una Commissione, per mantenersi in corrispondenza continua col Ministero260. È naturale pertanto che non se ne stesse con le mani alla cintola; che, se non dormiva il 5, molto meno si addormentasse l'8 febbraio, ma sì attendesse alacre e ardente a conseguire lo estremo suo fine. Ritenuto quello che dicono i Giudici del Decreto del 7 gennaio 1851, che fosse nelle ferme intenzioni della Rivoluzione procacciare ad ogni costo la partenza del Principe dalla Toscana, non può razionalmente negarsi che questi conati urgessero più veementi al primo scoppio che dopo. - Io leggo talora che mancano prove della coartazione; tale altra, che anzi la coartazione è esclusa; finalmente che le prove ci sono, ma non bastevoli. Questo linguaggio non solo perplesso, ma contradittorio, dei Documenti dell'Accusa, mentre gli scredita tutti, mi toglie abilità di conoscere lo stato della procedura; dacchè ognuno comprende che tra il provare poco e lo escludere la contrarietà è grande, come fra la luce e le tenebre. Non sarà privo di ammaestramento, e forse somministrerà subietto di amare riflessioni, esaminare per lo appunto il progresso in peggio degli Atti della Accusa.

Il Decreto del 10 giugno 1850 andante: «Attesochè, comunque il processo manifesti avere il Guerrazzi fatto sforzo di contenere in questa parte le sfrenate voglie della Demagogia (Processo a c. 69, 767, 2220, 2245, 2418.; Som. a c. 2498, 2510, 2513, 2615, 2761), ciò non pertanto, a perimere ogni elemento di civile imputazione, converrebbe giungere a provare luminosamente che tutti gli atti ostili, dei quali si fece autore, furono influenzati da una forza tale da impedire il retto uso della ragione e della libertà, almeno riguardo alla esecuzione dei malvagi disegni che inspiravano, e da coartarlo a non abbandonare quella posizione che poteva strascinarlo al delitto, ec. ec. ec

Qui sembra che prove ve ne sieno, ma non per tutti gli atti; come se la violenza politica che nasce da un Popolo in rivoluzione, sempre in atto, o in potenza, presente, e sempre delirante, sospettosa e furiosa, sia di natura transitoria, e instantanea, uguale alla violenza ordinaria che può usarsi da uno o più individui contro lo individuo; e come se non torni lo stesso aver la mano di un uomo sul collo, o udire il ruggito delle moltitudini giù in piazza.

Il Decreto del 7 gennaio 1851 crescendo: «Considerando - che comunque il Processo dimostri che il Guerrazzi, una volta salito al Supremo Potere, si adoperò, in qualche circostanza, a distogliere le più accese voglie della Demagogia; - ciò non pertanto il complesso degli atti autorizzava a ritenere che tutto ciò egli facesse per tenere fermo nelle sue mani il Potere di che, per modi riprovevoli, era giunto a impossessarsi; - e in ogni ipotesi, a perimere la civile imputazione degli atti criminosi dei quali certamente fu autore, dovrebbe esso provare luminosamente...» e segue come nel primo Decreto.

«Considerando che molti sono i fatti allegati dal Guerrazzi per far sentire il predominio assoluto e costante sopra di lui della Fazione; ma oltrechè questi fatti non sono d'importanza da stabilire una violenza irresistibile e continuata, il Processo somministra altri fatti, dai quali emerge la influenza personale su le turbe tumultuanti! - essendosi notato ch'egli dichiarò non averne timore! (pei Giudici di cotesto Decreto timore e paura sono tutta una cosa!) ed essendo egli riuscito, come racconta, a contenerle e comprimerle a vantaggio di privati cittadini....»

Qui i miei sforzi spariscono, e, in certo modo, si neutralizzano in virtù dei prodigiosi ragionamenti del Decreto.

Ora ecco l'Atto dell'Accusa del 29 gennaio 1851 che la stretta: «Ma la violenza coattiva, sia allo Individuo, sia al Collegio, non è provata, e resta anzi esclusa in quei primi giorni, e da quei primi atti nei quali e co' quali venne o consumarsi il delitto. Le posteriori improntitudini, insistenze, esigenze ec.» - E qui non solo vi sono piccole prove, non solo cessano o si neutralizzano le prove, ma vi sono prove in contrario. Davvero in questo modo io non ho veduto giuocare anche agli aliossi, non che con anime che pensano e sentono, e delle umane miserie profondamente si contristano.

 

Ben dovrebb'esser la tua man più pia,

Se state fossimo anime di serpi.

 

Io ignoro il deposto dei testimoni; vi furono, vi hanno ad essere, e mostreranno quanto singolare sia la nuova infermità trovata dall'Accusa della intermittenza rivoluzionaria. Ridotto ai miei soli ricordi, rammento che la Fazione dichiarò essersi arrogata il diritto di vigilare «fino dal 5 febbraio ogni mia azione, d'interpellarmi con la stampa, co' Circoli e co' petizionarii, di chiamarmi a severo rendimento di conto ogni giorno, ogni ora, ogni minuto261

Il Circolo nella sua protesta liberamente espose, che la decadenza del Principe e l'abolizione della monarchia fino dall'8 febbraio era stata nel voto, e nel grido di tutti262. Dai Giornali si ricava, come nel giorno 13 il Circolo mi mandasse una Deputazione per informarsi di quanto io sapeva, e di quanto operava263. Il Governo è dichiarato impotente a salvare il Popolo; s'egli non si muove alla cacciata del Principe, il Popolo farà da 264. Il Circolo fiorentino propone spedire armati da tutta la Toscana contro il Granduca: Firenze si dispone a mandare 1000 uomini265.

A tutto questo si aggiungano uomini sempre al mio fianco armati, fino dal giorno otto febbraio, nell'anticamera e pei corridoj, sicchè si rendeva difficile il passare; più spessi nei primi giorni, che dopo; commissarii dalla città, commissarii dalle Provincie266; individui ancora, che con brusca cera, così nelle sale, come per le vie, senza distinzione, di giorno o di notte mi fermavano, e m'interpellavano. Con gli scarsi Documenti che ho per le mani, mostrai pocanzi, essere state rammentate le deputazioni dei Circoli di Livorno, Arezzo, Prato e Pistoia: ho mostrato gli eccitamenti alle Provincie di accorrere per coartare il Governo, ma prima passassero nell'aula del Circolo fiorentino, per dare e ricevere conforto, per concertare istruzioni; ho esposto le lagnanze amare, le minaccie e le accuse contro il Governo, perchè per lo appuntino, e subito, non obbedisse; fu detto delle trame contro di me, della dichiarazione di tradurmi in giudizio, dell'aperta rampogna di traditore, della strage più e più volte minacciata. Quello, che Popolo e soldati facessero nei primi giorni del febbraio, esaminatelo nei Giornali del tempo.

E tutto questo pare poco alla Accusa! Di triplice acciaio deve avere ricinto il petto l'Accusa! Cotesto suo non è umano coraggio, o almeno di cotesti uomini antidiluviani, che potevano dire: «Col leone lottai mentre era fanciullo, e sebbene scherzassi, egli fuggì ruggendo dalle mie mani co' denti rotti267

Io trovo prova di quanto affermo in certo tentativo avventurato dal signor Marmocchi, per allontanare da il nugolo delle moleste deputazioni, e il nugolo più tristo degli sciagurati, che o per malizia propria, o aizzati da altri, accorrevano delatori di sospetti per istrascinare il Governo nelle vie rivoluzionarie, e porre le mani addosso ai designati cittadini.

«Firenze, 28 febbraio 1849. - Il Ministro dello Interno rende noto, ch'egli non riceve deputazioni di verun Circolo, od altro corpo morale, se non sono munite di speciale mandato in iscritto, che indichi chi le spedisce, e l'oggetto della missione268

Imperciocchè gente nefanda, nefande cose voleva; e, parve che ordinandole scritte, il pudore dovesse trattenere da porle in discussione, e ridarle in iscrittura. L'Accusa ha da essermi cortese di questo, che ordinando nel 28 febbraio cessassero, ciò significa che avevano incominciato innanzi; e se il Circolo, anzi i Circoli fino dall'8 febbraio si costituirono in permanenza per invigilare e dominare il Governo, dica nella sua coscienza chi legge, con quale verità si possano asserire queste tre cose a un punto, - che non ci sono prove, - che ve ne sono, ma non bastevoli, - che ci sono prove che escludono l'allegata violenza. Come queste tre cose possano stare insieme, non bisogna domandarlo a me; a me tocca udirle, e commentarle co' mesti giorni di carcere troppo più che bienne; e' vuolsi chiederne ai Magistrati, che le seppero accozzare insieme.

E come le referite cose precederono il 28 febbraio 1849, così lo susseguirono, non essendo mai riuscito di allontanare dal Governo le fervide istanze e i più fervidi petenti, per conseguire lo scopo che stava in cima di ogni loro pensiero.

Nel giorno stesso, e nel medesimo Monitore, il Ministro dello Interno rende noto pubblicamente: «che i Rapporti di Polizia, che i privati cittadini si degnano trasmettere per il pubblico bene, sieno inviati invece ai rispettivi Prefetti, ai quali soltanto spetta questo incarico, perchè, mentre è compreso di gratitudine per le premure che in tal modo i Cittadini mostrano pel Governo, non potrebbe convenevolmente corrispondervi

per questo cessarono le denunzie segrete, e le intimazioni ad arrestare i cittadini sospetti, che io con mille espedienti attesi ad eludere. I Rapporti di Polizia lo proveranno, e verrà dichiarato chi sieno coloro, che mi devono libertà, sicurezza; forse anche la vita. Di tanti mi basti allegarne uno, non per vana jattanza, molto meno per rimprovero, ma perchè di questo fatto si hanno a trovare negli Archivii le prove.

Spesse e insistenti Deputazioni del Circolo pretendevano che l'attuale Presidente del Consiglio dei Ministri signor Baldasseroni della pensione si privasse, e come cospiratore contro il Governo si traducesse in carcere. Stretto da tanta pressura, risposi stessero sicuri, avrei provveduto senz'altro. Rimasto solo col mio Segretario sig. Chiarini, lo interrogai intorno alla sua opinione, che a me non conviene riferire, perchè, trovandomi adesso ridotto in misero stato, parebbe viltà; basti che io la seppi tale da dovere esclamare: «Non sarà mai detto che io dia mano a perseguitare gente dabbene.» Però, onde oppormi con buon successo alla Fazione, scrissi lettere particolari al Prefetto Martini, onde segretamente s'informasse e con lealtà referisse. Di queste ricerche occorre traccia a pag. 501 dei Documenti dell'Accusa: «La persona spedita ieri a Usigliano di Palaia è tornata. Riferisce, che Baldasseroni è con la famiglia in villa Bertolla, e conduce vita ritirata, senza apparenza da ingerire sospetto di cospirazione. Domani con la posta dirò qualche cosa di più in particolare.» Non piacquero le notizie Martini; il Partito mandò suoi emissarii sul luogo a invigilare, è comecchè non ricavassero costrutto, pure tornarono ad assalirmi; onde io di nuovo mi rivolsi al Prefetto di Pisa; e questi sempre più confermando i suoi Rapporti, io mi adoperai così efficacemente, che giunsi a rimuovere cotesti arrabbiati dalla disonesta persecuzione. Le lettere responsive dell'ottimo signor Martini, tutte di suo carattere, furono, se non erro, dal Segretario Chiarini consegnate al Segretario Allegretti, affinchè le depositasse nello Archivio. - Il signor Barone Bettino Ricasoli volevasi ad ogni costo arrestato e processato; lui accusavano di cospirazione, eccitatore di sommosse, ricoglitore nel suo castello di Broglio di moschetti, e perfino di cannoni269. Questo signore aveva provato avverso, e però doveva essermi raccomandato maggiormente: almeno io penso, e sento così!.... Mandai persona a posta, fidata e discreta, e trovai che moschetti ne aveva, ma per la Guardia Civica, ed anche cannoni, ma di legno, innocente minaccia un giorno su i merli del Castello, adesso confinati in cantina, come vediamo tutto giorno accadere anche ad oggetti che cannoni di legno non sono, e lo hanno per bazza; e lui inconsapevole difesi da fastidii, e forse da gravi pericoli. Detenuto nel Forte San Giorgio per ordine della Commissione Governativa, di cui il Barone Ricasoli faceva parte, io volli contestargli questo fatto: pare che poco, anzi punto lo muovesse. Io ho reso bene per male, altri resero male per bene: certo i Signori della Commissione mi hanno fatto perdere tutto.... tutto, tranne la fama: essi poi non hanno perduto nulla!.... Ma io aveva promesso allegare uno esempio solo, e ne ho citati due.... troppo si produrrebbe lunga la storia, e tanto mi basti.

Rimane adesso ad esaminare, che cosa potessero i Circoli in quei tempi. I Circoli, nientemeno, si reputavano, ed erano padroni; il Governo aveva ad essere arnese passivo, ed esecutore docilissimo; altrimenti, fuori; oppure avrebbero fatto da loro. Avvi una testimonianza gravissima di quello che potesse allora il Governo, ed è del Ministro Inglese. Se fossero pubblicati i Dispacci di Benoît Champy Ministro di Francia, ne avremmo altra solenne conferma. Lord Hamilton scrive a Lord Palmerston, con lo scrupolo di fidato mandatario e con l'accortezza del diplomatico, affinchè il superiore si regoli nella sua politica. - Tanto meglio voglionsi ritenere esatte coteste informazioni, in quanto che, come ho avvertito, Sir Carlo Hamilton ne riferiva di vista. Ecco pertanto in quali termini egli si esprimeva: «Il Governo Provvisorio è obbligato però di sottomettersi a padrone supremamente dispotico, il quale ad ogni ora gli rammenta le catene con le quali lo tiene stretto, cioè il potere dei Circoli (clubs). queste formidabili assemblee governano il governo. È impossibile esagerare il terrore e la desolazione di questa bella città270

Il Ministro Hamilton, comecchè così vedesse e sentisse, pure non rifiniva raccomandarmi: «resistete, resistete; salvate il vostro PaeseBenoît Champy dava simili conforti; entrambi promettevano scrivere ai loro Governi lettere amplissime in lode degli sforzi da me sostenuti; il primo anzi assunse di fare rettificare in certi Giornali esteri, segnatamente nel Débats, gli erronei giudizii: entrambi offerivano, in qualsivoglia evento, protezione dei loro Governi, asilo nelle proprie dimore. In Toscana, Giudici miei concittadini, presenti, scienti forse più degli Esteri Ministri, mi rampognano e mi accusano, e non solo mi accusano, ma mi oltraggiano con insulti fabbricati nel 1800!

Un'altra persona domiciliata qui a Firenze, scrivendo nell'8 marzo a certo suo amico di Parigi, tale gli dava ragguaglio delle nostre condizioni: «I Ministri e il Comitato esecutivo - tutti sono obbligati a sottomettersi alla tirannide di una mano di Faziosi, che si fecero padroni di Firenze, quantunque la più parte non sia neppure nativa del Paese. Firenze è fatta convegno di tutti i seminatori di zizzanie della Penisola. Ridotti in Club, che porta nome di Circolo del Popolo, dettano leggi, promulgano decreti, ai quali il Governo ha da sottomettersi docilmente271.» Infatti il Giornale del Circolo così con parole ingenue ne raccontava la importanza e lo istituto:

«Essi sono un vero Magistrato (i Circoli) del Popolo, cui egli corre per tutti i suoi interessi, per tutti i suoi reclami e lagnanze, e vi trova tutte le simpatie per ottenere protezione. - (Popolano, 17 febbraio 1849.)

E quando in cotesto modo scrivevano, ero pur giunto a impedire che i Circoli dominassero interi; e la potenza loro scemava: si pensi un po' quanto potessero allora che mandavano commissarii in Provincia, e sopra ogni canto gli Oratori loro con accese parole aggiungevano legna al fuoco, le armi in pugno brandite tenevano.

Ora sotto la impressione di questi fatti si prendano a considerare i Dispacci dell'8 febbraio. -

Il primo delle 2 e 1/2, strappato a forza, porta seco evidentemente la prova della violenza immediata, avvegnachè vi si legga perfino la dichiarazione della decadenza del Principe, che sempre ho combattuta e impedita.

Nel secondo delle 5 e 10 minuti, è gittata la parola che accenna l'áncora di speranza, con la quale in quei fortunosi frangenti immaginava salvare il Paese: «Si rammentino tutti, che sarà proclamata presto la Costituente TOSCANA

Quando non occorressero altre prove, per conoscere che il Dispaccio dell'8 febbraio 1849, ore 6 p. m., fu imposto dalla violenza della Fazione trionfante, basterebbe questa sola, ed è che facendo scrivere il 14 febbraio 1849 (giorno della Spedizione a Santo Stefano) al Governatore di Portoferraio, lo ammoniva: «Se il Principe è partito, non è decaduto; lo Stato non è perciò venuto a mancare; le leggi non sono abolite ec272.» Ma importa inoltre riflettere alla inanità del medesimo. Generalmente, me non reputano stupido affatto: però, se la condizione mia non fosse stata in quel punto pericolosa così da farmi temere ogni obiettare fatale, se io avessi sperato, che tra i furibondi schiamazzi dei comandatori la Spedizione di Portoferraio potesse avere luogo consiglio, come non richiamarli a considerare «che ritenuta certa la partenza del Principe per Portoferraio, di due cose dovevano ammetterne una, o che il Principe vi fosse arrivato, o no? Se arrivato, o gli Elbani nol vogliono accogliere, e allora qual forza possono aggiungere a loro cento o duecento persone? Se lo hanno accolto, e quale urto mai vi augurate che facciano poche barche, contro fortezze giudicate insuperabili, e difese da molte centinaia di cannoni di grosso calibro? Non poche barche, ma intere armate male si avventurerebbero sotto le batterie del Falcone e della Stella. Dove poi non fosse arrivato, come si sosterranno le vostre barche, se venissero ad incontrarsi contro le fregate a vapore il Porco-Spino e il Cane Mastino, rinforzate dalla fregata a vela la Teti, e il vascello di primo ordine il Bellerofonte273? Ma queste, altre, erano riflessioni da potersi avventurare a quel tempo, alcuna. «A Portoferraio! a Portoferraiourlava la turba infellonita, e bisognò darle aperto il Dispaccio, che vollero portare alcuni di quella allo Ufficio del telegrafo. Come ci hanno testimoni i quali attestano, che nella mattina dell'8 febbraio il Niccolini diceva: «Noi siamo d'accordo, tranne col Guerrazzi... ma...», così non ne mancano altri co' quali egli confidandosi, nei primi giorni di cotesto mese infaustissimo, palesava: «andrebbe bene ogni cosa; solo resistere Francesco Domenico alle loro mire, ma gli avrebbero messo il cervello a partito

La storia moderna mi somministrerebbe esempii in copia per mostrare come in simili casi si comportassero uomini incanutiti fra guerreschi pericoli. Vi rammentate il 17 marzo del 1848 a Milano? Quando i deputati del Popolo lombardo si presentarono al conte O'Donell capo del Governo, per esigere da lui la sanzione di atti ostili all'Austria, negava forse? No; diceva: «Farò quello che voi volete, quello che voi volete. Sì, avete ragione, giù polizia, giù tutto274

E fu appuntato perchè non avesse resistito? Lo accusarono forse, perchè avesse acconsentito a buttare giù tutto? Ed io tutto non dissi che gittassero, e mi adoperai che ciò non facessero. Non incontrò tanto crudeli e poco assennati sindacatori, imperciocchè la sua resistenza, come di certo esizio per lui, così non avrebbe apportato profitto alcuno alla fortuna austriaca in quei giorni. Il sagrifizio della persona allora è lodevole, che, come nello esempio del Cavaliere d'Assas, gridando all'erta, ad onta della morte minacciata, si la sveglia al campo e si preserva dalla sorpresa: altrimenti è giudicato follia.

La discretezza, di cui per certo non mi norma l'Accusa, mi trattiene dallo esaminare la condizione di tutti coloro che si dichiararono coartati, e dal confrontare se le scuse che addussero e furono tenute buone, a paragone delle mie, dovessero più o meno gravi considerarsi: forse lo dovrò fare più tardi; - mi basti per ora uno esempio domestico.

Ferdinando Zannetti procedè sempre zelante delle libertà costituzionali: nel 12 aprile, io penso che più efficacemente degli altri alla restaurazione del Principato Costituzionale desse opera; e fu dei primi, che il Decreto a questo scopo tendente firmò: era Generale della Guardia Civica, e quindi stava in lui il comando della forza capace a schermirsi; egli conosceva i pericoli della Unione con Roma; egli sentiva quanto poco il Popolo, pure allora chiamato a libertà, fosse disposto a reggimento repubblicano; assennato com'è, prevedeva eziandio che il suo pronunziarsi per la Repubblica avrebbe potuto strascinare irreparabilmente il Governo; egli era stato testimone del mio rammarico espresso agli Ufficiali della Guardia Civica per la partenza del Principe, e dell'aspra lotta da me sostenuta perchè la Repubblica a furia dai violenti non si pronunziasse; e nondimeno, invitato dal Popolo, ebbe a gridare: Viva la Repubblica! Viva la Unione con Roma275! Quando il Popolo è preso da una passione, e i più fervidi di quello ti fanno cerchio dintorno, e schiamazzano, e gridano, chi mai resiste? Chi può resistere? Me poi il Popolo non calcava festoso, ma torbido; non invitava, ma minacciava; non arrendevole trovava, ma in quanto mi era dato con industria opponente. Gli arrabbiati della Fazione trionfante, padroni nei primi giorni di tutto, non si muovono dalle mie stanze, notte e giorno spiano gli atti, le parole e i pensieri.

E tutto questo sembra poco all'Accusa; anzi, ella, proprio in coscienza, crede che, invece di provare, escluda la prova della coartazione!

Io mi ricordo avere letto nei Giornali dei tempi certo discorso, o lettera di Giuseppe Mazzini ai suoi amici di Roma, nella quale gli ammoniva non volersi partire di Toscana, prima di avere conseguíto il suo intento. Ora (e spero che l'Accusa non mi vorrà smentire almeno in questo), io affermo che il concetto mazziniano fosse repubblicano276. - L'Accusa avverte, che la presenza del Principe in Toscana era pruno negli occhi ai Rivoluzionarii277. Qui dentro, Romani, che la Unione con Roma e la Repubblica agognavano; qui Lombardi, che nella Repubblica vedevano l'unica via per ritornare alla patria, ai domestici focolari, e alle gioie di famiglia; qui il lombardo signor Maestri, Inviato straordinario romano, forte del soccorso del Circolo, il quale, come il signor Rusconi si esprime, lottava quotidianamente per portare via di assalto la Unione con Roma. All'Accusa sembra che tutti questi elementi qui condensati escludano perfino la possibilità, che io mi trovassi nei primi giorni costretto a consentire quelle cose a cui non trovavo riparo, con la forza, con la opinione, con lo ingegno.

Che Dio benedica l'Accusa! Se si confronteranno i varii Dispacci scritti nel giorno 8 febbraio, dalla forma stessa del linguaggio, chiunque imparziale consideri, argomenterà la maggiore o minore coazione, che in quel momento pativo. Infatti nei Dispacci telegrafici scritti a dettatura sotto la immediata pressione, tu leggi d'ingratitudine e di nera perfidia: nel Dispaccio scritto al Governatore di Portoferraio si dice, che il Governo non può permettere al Granduca di rimanere in una parte della Toscana; che la sua presenza potrebbe causare perturbazione, e forse guerra civile; la cacciata diventa invito di assentarsi.

Qui per avventura si obietterà: - e non potevate mandare contr'ordine segreto al Governatore di Livorno? - In qual modo spedirlo perchè giungesse a tempo? Per telegrafo forse? Allo Ufficio di Livorno era preposto tale, che prima di recapitare i Dispacci al Governo ne faceva copia alla Fazione. Tentai rimuoverlo, ma il Popolo tumultuante volle stesse fermo in Livorno; di vero egli serviva meglio lui, che il Governo. - Potevate mandare le lettere per la posta. - E chi se ne fidava? - Per messo particolare. - Non era agevole sottrarmi, nei primi giorni, alla incessante sorveglianza; e avrei trovato chi avesse voluto incaricarsene? E trovatolo, in quale estremo pericolo non avventurava lui con me stesso? Adesso non doveva trattenermi il medesimo dubbio, che in buon punto mi persuase a resistere alle sollecitazioni del Colonnello Reghini a Livorno? Più tardi, e quando credei poterlo fare senza danno, mandai persona a Livorno a chiarire i miei amici delle mie intenzioni, ma allora era impossibile. Pure via, tutto questo doveva arrischiarsi in negoziograve; arrisichiamo.... perchè? Per far pervenire il Dispaccio in mano di gente che lo avrebbero letto in piazza, alla presenza del Popolo!

Intanto, è vero che una frotta di furiosi intronava le orecchie gridando: «Bisogna cacciare il Granduca; Portoferraio sta per diventare la Terceyra di Toscana; di muoveranno trame, cospirazioni e guerra civile: egli è evidente: qui non vi ha mestiero indugio; bisogna provvedere, e subito; scrivasi al Governatore di Livorno, a quello di Portoferraio; da tutta Toscana si muovano gente. Il Popolo comanda questo e questo altro, e vuole essere obbedito, e subito: ora non hanno luogo discorsi, e guai a chi esita.» Lo sguardo torvo, lo scrollare minatorio del capo, le pugna percosse sopra la tavola non si rammentano; tacere allora, e obbedire, fu la mia parte, senza potere nemmeno fare osservare la inanità degli ordini. meno insensata parevami la lettera, ch'ebbi a mostrare scritta, al Governatore di Portoferraio, con minaccia di destituzione; avvegnadio se il Principe fosse sbarcato, protetto da quattro legni da guerra, non il Granduca era in potestà del Governatore, ma il Governatore del Granduca; e supposto che il Governatore si mantenesse parziale al Principe, la minaccia di destituzione avrebbe destato la sua ilarità278.

 

 

§ 2. Dimostrazione.

 

Aveva pensato in prima di porre a piè di pagina a guisa di note, e per ordine di data, i fatti narrati quotidianamente dai Giornali, onde confutare lo strano concetto dell'Accusa, che la violenza dei Faziosi mi lasciasse libero di operare tutti gli atti nei quali e pei quali venne a consumarsi la perduellione: ma considerando come questo partito genererebbe confusione e stanchezza, mi è parso bene raccoglierli tutti in un punto, affinchè servano come di Appendice al paragrafo della Spedizione all'Elba, e d'Introduzione a quella di Porto Santo Stefano. Però vuolsi avvertire una cosa, che molti fatti non occorrono rammentati dai Giornali, avvegnadio le violenze, i soprusi e le soperchierie non si raccontino; e rifletterne un'altra, che nei primi giorni i Faziosi, troppo più occupati a operare che a scrivere, tempo avevano modo di registrare per lo appuntino i gesti loro: sicchè operavano più, scrivevano meno. A questo, in parte, devono avere supplito i testimoni uditi dall'Accusa, e meglio suppliranno questi stessi più diligentemente ricercati, e i nuovi che saprà addurre la Difesa.

Nel giorno 8 febbraio abbiamo dai testimoni, ricercati dalla stessa Accusa, che il Niccolini, eccitando la gente a unirsi a lui per mandare a fine i suoi disegni, affermava: «ostare io solo.... ma!...» Ancora: che poco prima, o poco dopo di quel giorno stesso, ad altro testimone Niccolini medesimo confidava: «trovare resistenza in me.... ma che mi avrebbero messo giudizio

Ora dai Documenti dell'Accusa resulta che il Circolo di Firenze stette in permanenza fino dal 5 febbraio 1849. (pag. 193.) E questa permanenza venne di nuovo decretata, e con più rigore mantenuta nel giorno 8, il 20 febbraio era per anche sospesa. «Il Circolo... sempre in permanenza fino dal 8 corrente.» - (Popolano del 20 febbraio 1849.) - Che cosa potessero i Circoli non importa ripetere.

Della sospettosa Polizia del Circolo l'Accusa stessa raccolse prova, e la citerò più tardi; intanto osservate come fino dal declinare del gennaio egli procedesse a investigare sottilmente le cose, e le persone: «Il Circolo del Popolo nella sua seduta ordinaria del 28 gennaio deliberò di stabilire una inchiesta su i fatti avvenuti la notte del 27, e nominò una commissione composta di cinque membri del Circolo, a cui dirittamente furono porti i più estesi e precisi ragguagli intorno agli avvenimenti in discorso.» - (Frusta Repubblicana, 1 febbraio 1849.)

Quello che il Partito trionfante faceva e ordinava al Governo che facesse, si ricava dalla Costituente Italiana del 9 febbraio, organo, come sappiamo, della Emigrazione armata, fra gli accesi accesissima a precipitare lo Stato a Repubblica, per le ragioni chiarite in più parti di questa Apologia. «Non lasciate ricadere il Paese in un fatale letargo, non lasciate ch'ei si addormenti. Agitatelo, tenetene sempre desta e viva la vita! In ogni momento colla parola, colla presenza, cogli atti mantenetevi innanzi alla sua attenzione, ponetevi con esso in continua, incessante comunicazione di spiriti e di idee! Che da tutto e dovunque il Popolo conosca ch'ei non versa nelle condizioni ordinarie, bensì tra vicende agitate e pericolose, e anzichè cullarlo con facili lusinghe, gridategli sempre: all'erta! all'erta! Rammentatevi l'artefice che ha bisogno di aver sempre rovente il ferro per foggiarlo secondo la propria intenzione. Solo in questa intimità tra il Popolo e voi, solo dentro a quest'aura di rivoluzione e di entusiasmo sono possibili le forti cose, a operare le quali oggi voi foste chiamatiPadroni di tutto, è da credersi che non si rimanessero ai soli consigli commessi alle pagine infiammate del loro Giornale, ma sì alle parole aggiungessero lo esempio.

Se nel primo giorno il Circolo fiorentino facesse forza, e poi, uditelo un po' dal Giornale che ne registrava gli atti e i concetti: «Armi al Circolo del Popolo, legione sacra che stette sempre al primo posto ogni qualvolta occorse combattere i nemici del Paese, ogni qualvolta occorse spingere la bilancia delle nostre sorti che pendeva incerta....279» I vecchi consigli di violentare il Governo praticavansi. -

Voi desumete prova che nei primi giorni non mi era dato oppormi apertamente in nulla, dal rimprovero che mi muovono, il 15 febbraio, «di non volere dichiarare la Repubblica, perchè la Repubblica bandisce decaduto Leopoldo, e di ostare alla Unione con Roma per amore della autonomia toscana, della quale dieci giorni indietro vi mostravate poco curante.» Il giorno 8 mostrarsi poco curante era tutto quel più, ed anche non senza molto pericolo, che potesse farsi280.

«Voi non volete dichiarare Repubblica, perchè la Repubblica dichiara decaduto Leopoldo, e la decadenza di Leopoldo porterebbe intervento, invasione, abbassamento di stemmi inglesi e francesi, e tutte le diavolerie immaginabili.

Voi non volete per ora l'Unione con Roma, perchè l'Unione con Roma ci toglie l'autonomia toscana, di cui oggi vi mostrate tanto passionati, quando dieci giorni fa ve ne mostravate non curanti; e la distruzione di autonomia importando infrazione dei trattati di Vienna, importerebbe anch'essa intervento austriaco, invasione straniera e tutta la solita litania. Ma dunque che cosa volete?» - (Frusta repubblicana, 15 febbraio 1849)

Gli Emigrati Lombardi amaramente mi rampognavano nel 14 febbraio, che da sei giorni io non adémpia le grandi misure adoperi lo impeto di azione che mi avevano inculcato dalla prima ora della mia chiamata al governo. Consigli di gente armata, accesa di passione politica, smaniosa di ricuperare la Patria, convinta profondamente che per altra via non vi si ritorni, che sieno, dacchè l'Accusa non vuol capire, capite voi tutti che leggete queste pagine, e vedete con quanta giustizia di me si faccia lo strazio disonesto.

«Sei giorni sono trascorsi, e noi cercavamo indarno negli Atti del Governo quella coscienza delle grandi misure, quello impeto di azione, che dalla prima ora della sua esistenza gli avevamo inculcato.» - (Costituente Italiana del 16 febbraio 1849.)

E se l'Accusa volesse sapere quali ammonimenti mi dessero i Settarii, e come facessero a fidanza, e se mi lasciassero libero, altro non ha che fare, che leggere queste poche righe: «Fino dall'8 febbraio abbiamo detto agli uomini che le speranze del Popolo avevano inalzato al Governo: noi vi richiederemo conto strettissimo giorno per giorno, ora per ora, della opera vostra, e un minuto sprecato, è una colpa; e noi conteremo i vostri minuti281Vero è bene che chi scriveva dichiarava essersene astenuto, e in quanto a forse non profferiva bugia; però lo aveva fatto fare dalle Deputazioni incessanti dei Circoli, e dagli Assembramenti popolari.

E se all'Accusa prendesse così per genio vaghezza di conoscere quale potere i Giornali e i Circoli si fossero arrogato sul Governo, può, a tempo avanzato, vederlo in queste parole: «Noi però abbiamo conservato sopra tutti i vostri atti un diritto e un dovere; il dovere di vegliare su di voi; il diritto di provvedere a noi, se voi stessi nol fate282

Oda un po' l'Accusa che cosa il Circolo del Popolo, onnipotente, allora, intendesse istituita fino dal 10 febbraio; e neghi che se io non ero, ella avrebbe veduto il Tribunale rivoluzionario, e feroce, e insensato, e spietato, come.... come vediamo essere tutti i Tribunali nei giorni dell'ira di Dio.

«Un Comitato straordinario di Salute Pubblica sia immediatamente instituito. Sieno uomini provati a libertà, ad energia di cuore e di mente; abbiano pieni i poteri; sia rapido, estremo il giudizio: vigilino a vicenda il giorno e la notte; dispongano sempre di forze determinate e sicure. Sia lor cura scuoprire le fila intricate e lunghissime della reazione; e scoperte, con lo esempio della pena prevengano colpe e pene ulteriori. Tutto ciò noi domandiamo al Governo Provvisorio di Toscana, - lo domandiamo col linguaggio della necessità, con la coscienza ferma del diritto, con la volontà irremovibile del Popolo libero.» - (Popolano dell'11 febbraio 1849.)

E che la Unione con Roma, e per conseguenza, la Monarchia abolita, il Principe decaduto, la Repubblica proclamata, fossero non pure desiderii o voti, ma ordini imposti dalla Fazione trionfante, fino dal giorno otto febbraio, voi lo vedete a prova. «La Unione con Roma era per noi condizione della esistenza del Governo Provvisorio fino dal giorno otto febbraio; fino dal giorno in cui il Popolo restituito nel pieno possesso dei suoi diritti rovesciava per sempre un ordine di cose impossibile ormai.» - (Alba, 25 febbraio 1849.)

«Ieri abbiam detto al Governo Provvisorio di Toscana diritti e doveri. - Con franchezza gli abbiamo accennati: diremo con franchezza se verranno compiti. - Una verità oggi ripetiamo, una suprema verità: - il tempo preme, fate tesoro del tempo.

Abbiam detto ieri uniti con Roma, - oggi diciamo immediatamente uniti. I bisogni vincano le forme. - Cittadini! quando vi abbiamo affidati poteri assoluti, abbiamo ad essi posto il suggello di una condizione: l'Unione con Roma: avete accettati gli uni, avete dunque accettata l'altra; compitela.

Gli avvenimenti mutarono. La Repubblica Romana è proclamata. A voi incombe inviare tosto un plenipotenziario che rechi il saluto e l'omaggio di Toscana alla gloriosa sorella. A quest'ora l'avrete fatto: se no, perchè il ritardo?

L'Unione con Roma fu decretata, acclamata dal Popolo: restano a stabilirla nodi di legalità: stringeteli.

Trentasette Deputati erano già destinati alla Costituente nazionale. Questi si raccolgano prima in Costituente Toscana, - compiano la volontà del Popolo, sanzionino il patto di Unione, costituiscano lo Stato della Italia Centrale. Poi vadano a Roma rappresentanti nostri alla Costituente Italiana, e dal Campidoglio dettino a noi i decreti, comunichino a noi le speranze e i bisogni.

Ciò vi domanda il Popolo, - ciò vuole il Popolo. Poichè se dai bisogni, dalle speranze e dai fatti fu il tempo prevenuto, l'opera deve eguagliarlo non solo, ma superarlo eziandio. Meglio con l'opera d'oggi affrettare il domani. anzichè affaticarci a ricostruire sui frantumi di ieri283

E badate, che soli, più temibili erano i Lombardi, condotti in parte dallo stesso Ministero Capponi, ma Napoletani, Romani, e Romagnuoli crescevano l'ansietà, e la paura. Fino dall'8 febbraio la Fazione organizzò una Legione Romana; nel 12 del medesimo mese ne apparecchiò un'altra; il Popolo anch'esso si armò: «Questa sera una nuova Legione di Romani sta organizzandosi per offerire i suoi servigi al Governo. Anche il Circolo del Popolo sta ordinandosi in legione armata, per mettersi a disposizione delle autorità.» E mettersi a disposizione del Governo significava: attendesse a fare a modo del Partito Repubblicano; se no, guai!

Che cosa si proponesse fino dall'8 febbraio 1849, e che cosa gridasse tutto il Circolo del Popolo in permanenza, lo si legge nel 16 febbraio del Popolano: «Nell'adunanza di ieri sera il Circolo del Popolo fu invitato da un socio a ripetere con solenne dichiarazione quello che fino dal 8 febbraio era stato nel cuore e nel grido di tutti: la decadenza del Despota, e l'abolizione della Monarchia

«Qual bisogno ha oggi la Toscana di rimettere ad una Assemblea la decisione di un voto, il quale fu già deciso dal Popolo?... Il Popolo ha già deciso di essere unito con Roma, e Roma ha proclamato la Repubblica il giorno stesso di tale decisione.» - (Popolano del 15 febbraio 1849.)

E fino da Roma venivano le congratulazioni al Giornalismo toscano per avere insistito presso il Governo Provvisorio affinchè indissolubilmente si unisse con Roma. Altrove notammo, e qui giovi ripetere, Giornalismo di partito trionfante, che sia; e che cosa importassero le parole e le insistenze della Emigrazione Lombarda organizzata a corpo militare, e del Circolo armato.

Di buon grado riproduciamo le seguenti osservazioni del Giornale romano l'Epoca intorno alla pronta Unione della Toscana agli Stati Romani:

«Noi facciamo plauso al Giornalismo liberale di Toscana, il quale fin dal giorno di partenza del Granduca Leopoldo insistè presso il Governo Provvisorio, perchè si unisse subitamente e indissolubilmente col Governo della Costituente Romana. E questo fatto, se così vogliam chiamarlo, questo diritto, se meglio intendiamo di esprimerlo, era implicito nel mandato consegnato dal Popolo ai tre rappresentanti del Governo Provvisorio medesimo....

La Toscana in qual senso potrebbe ella adunare la sua Costituente? O a meglio dire, cosa potrebbe decidere questa Costituente che nel fatto non sia già deciso? O ella sceglie il Governo di Roma per effettuare la sua Unione; ed allora una parola, un atto fraterno non basta nei momenti attuali di tanta vitalità? O ella recede dalla Repubblica.... e in qual modo tanto trionfo avrebbe ottenuto colà il principio democratico?

No, non è possibile giammai. La Toscana è democratica, è repubblicana, e non da adesso. Lo è per tradizioni, lo è per sentimento. - Coraggio, uomini del potere! Tempo è di unione e di concordia una. Affrettando la fusione dei popoli delle due famiglie, voi affretterete la Costituente italiana e la Guerra.» - (La Costituente Italiana, 19 febbraio 1849.)

In quel medesimo giorno istituiscono Circoli parrocchiali per agire di concerto col Circolo generale: «E per accendere lo spirito pubblico, fu notato non essere via migliore che istituire subito, in ogni Parrocchia, Circoli parrocchiali da agire tutti di concerto col Circolo generale del Popolo fiorentino284Sicchè nel giorno 10 poterono armarsi i Faziosi in centurie per istimolarmi, dicevano essi; ma in fatti per dominare tiranni. «La mattina di sabato (10) fu vero scopo d'eseguire immediatamente la ordinata classazione in centurie e decurie, e di stimolare il Governo a volere lo armamento dei patriotti italiani. Fin d'allora fu aperto nel suo seno un corpo di guardia fisso, ove furono tenute esposte note di soscrizione per tutti i patriotti che, nei pericoli della patria, volessero impugnare le armi. Il sabato sera il Circolo era diviso in due parti: una parte discuteva, l'altra era sotto le armi.... Il Circolo e il corpo di guardia non si sono più chiusi. L'azione del Circolo ha dato un moto alla popolazione, che oggi è accorsa in folla a sottoporsi alle armi per sicurezza dell'ordine pubblico.... Tutti i Fiorentini in armonia hanno oggi mostrato che il Popolo poteva sfidare qualunque pericolo285

La continua guardia, la indefessa pressura si prova dai Documenti stessi dell'Accusa: «Fino dal 5 febbraio il Circolo fiorentino si è costituito in permanenza, ed ha creato una Commissione perchè stia in continua corrispondenza col Ministero286.» - Gl'inquisitori non si staccavano mai dal fianco, ordinavano, investigavano, riferivano, sospettosi sempre, pronti all'accusa.

Dal Circolo armato la città, in cotesti giorni, si perlustrava. «La perlustrazione della città non era neppure trascurata287.» e coteste armi sbigottimento e terrore nei cittadini incutevano, cosicchè al Governo, smarriti, si raccomandavano esigendo misure che avrebbero precipitato alla rovina, condizioni già piene di difficoltà, dalle quali, se prudenza e senno non giovavano a salvare, niente altro poteva. Pretesto a parecchi, motivo vero in molti di quel tremendo ribollire, era trovare modo efficace di combattere la guerra italiana; perciò tanto più arduo contrastarli, quanto meglio ne appariva lo scopo all'universale accettissimo; e nella seduta dell'11 febbraio, nel Circolo Popolare si dichiarava che: «.... la divisione dell'Italia avendo fatto finora il nostro infortunio, anche nell'ultima guerra di Lombardia contro gli Austriaci, la sola unione di tutte le forze italiane in un solo Governo, può scacciare il nemico straniero di seno alla patria. - I Principi non sono stati da tanto. L'Italia unita sola il potrà. - a ciò poter recare impedimento, notavano alcuni degnissimi sacerdoti, le minaccianti scomuniche di Pio IX288

il Circolo fiorentino si contentava, fino dai primi giorni del febbraio, raccogliere le proprie forze, ma eziandio riuniva quelle degli altri Circoli per difendere l'ordine repubblicano; il che agevolmente s'intende per imporre la Repubblica. «Il Circolo armato non potea fare a meno di ricercare agli altri Circoli, nel presente stato di cose, il numero di quelli Italiani, che, socii o non socii, fossero pronti a porgere il loro braccio alla difesa dell'ordine repubblicano. Il perchè fu ordinato di tosto scrivere in proposito289

E grande fu e penoso lo schermirsi dalle pretensioni di tôrre via i beni e i tesori sacri alle chiese, sopprimere gli ordini cavallereschi, e incamerarne la sostanza. Di ciò tu trovi traccia nei Giornali, fievolissimo eco di quanto a voce burbanzosamente ordinavano: «Secolarizzati tutti i beni ecclesiastici. Il monacume è tempo ormai che cessi da impinguarsi a spese della nazione.... Le chiese siano private di tutto il superfluo. Li antichi credenti onoravano Dio con altari di pietra e calici di legno, ec.

Soppressi tutti li ordini cavallereschi, ed incamerarne i tesori290

E vedete com'era libero io, quando, tutto giorno, i rappresentanti della Emigrazione Lombarda venivano a rammentarmi i loro proponimenti, e, le armi brandendo, mostravano come intendessero sostenerli: «Noi ci troviamo in momenti di supremo pericolo; non bisogna esitare oscillare sulla via che abbiamo eletta a percorrere, poichè la nostra salute è sola nell'azione rapida e vigorosa. - Lo verremo tutto giorno rammentando agli uomini a cui è fidato reggere i destini della Patria.

La reazione tenta qua e sollevare la testa; non rifugge da nissuna arte feroce e sovversiva, da nessuna passione, per quantunque bassa e antisociale, per giungere al suo scopo. Ella ha deciso riconquistare il potere fuggitole di mano attraverso al caos della anarchia, attraverso alla guerra civile: ella non rifuggirà dal comparirvi innanzi come vanguardia ed alleata alla invasione straniera.

La reazione stimola i ciechi istinti delle popolazioni più ignare della campagna, mette in atto la molla segreta della superstizione, si rafforza della influenza dei vasti possessi, della colleganza con un clero che abusa il facile dominio delle coscienze.

Ella ha sospinto il Granduca a Siena, lo ha consigliato alla fuga. Il Principe, docile alle sue insinuazioni, ha assunto di rappresentare la sua parte nel dramma sanguinoso della ricostruzione del dispotismo; ora tocca ai vecchi suoi sostenitori a sottentrare alla riscossa ed adempire alla propria.

Ma noi siamo preparati a riceverli e a rintuzzare convenientemente questa perfidia nuova, che lavora e cospira nel secreto, che getta i germi della divisione nel momento in cui l'Austriaco minaccia alle porte, che vuol renderci all'Austria, anzichè arrendersi a questa forza rinnovatrice e irresistibile, che avvia l'Italia verso un nuovo destino.

Stoltezza troppa ci hanno supposta i nostri nemici, e semplicità inaudita, se credettero persuaderci causa vera della fuga di Leopoldo essere state le paure della sua timorata coscienza291

E già fino dal giorno dieci febbraio 1849, se non adempio gli ordini imposti della fusione, mi si minaccia la vita: «In qualunque Governo è sacramento, ma in un Governo che fu decretato dal Popolo, e che solo per suo volere sussiste e comanda, è condizione di vita, è necessità ineluttabile. si dee, si può dire - Domani - a chi oggi non ha da vivere. - Domani, o non sarebbe più vivo lui, o nol sareste voi292

I soldati che rifiutavano prendere il giuramento, comecchè da me lasciati liberissimi di prestarlo o no, e di tornare, volendo, alle proprie case, sono vilipesi e percossi; avviso ai renitenti: «I pochi soldati che stamani si rifiutavano di prestare giuramento, uscendo di Fortezza, venivano accolti a fischi e sassate dal Popolo: essi tornano tutti contriti a domandare di prestarlo; ma non lo si concedeva loro, e, posti in luogo appartato, si dava loro agio di riflettere affinchè il voto fosse spontaneo e non estorto dalla paura293

«Ieri, 12 stante, le truppe prestarono giuramento al Governo Provvisorio toscano, salvo poche eccezioni. Coloro che recalcitrarono furono respinti in fortezza a furia di Popolo, ed i loro commilitoni ricusarono riceverli294

Avanti: perchè ogni uomo, anche a me più fieramente avverso, si persuada come potessi operare spontaneo io in mezzo al turbine rivoluzionario. E se si obiettasse che i Livornesi erano chiamati a Firenze dal Governo, risponderei ch'è vero, ma che, innanzi di partire da Livorno ammoniti come a Firenze si chiamassero contro i nemici interni, non già per dimostrazione politica295, essi avrebbero osservato il precetto, dove non fossero stati provocati dal Popolo e dal Circolo accorrenti.

«Ogni discussione del Circolo fu interrotta quando fu fatto il lietissimo annunzio del pronto arrivo dei Livornesi per la strada ferrata, con cinque cannoni, sessanta artiglieri e seicento uomini. Fra i clamorosi applausi fu scelta una deputazione per andare ad attenderli. Erano le 9 1/4 di sera (11); ma ad un tratto altre voci annunziarono un moto di Popolo che andava ad incontrarli; ed allora il Circolo tutto, tranne gli obbligati al seggio e gli armati, con moto spontaneo, si volse incontro ai Livornesi che furono salutati, in Borgo Ognissanti, col sublime grido di unione, di Viva la Repubblica italiana, a cui i fieri Livornesi non furono tardi a rispondere col medesimo grido. È indicibile la gioia di questo minuto popolo fiorentino al nome di Repubblica! Ciò mostra come in esso non si sieno mai spente le abitudini repubblicane, come dalle due infami dinastie dei Medici e degli Austriaci non se ne sono potute distruggere, in tre secoli, le memorie. E ciò porge la più salda speranza che in tutte le città italiane, vissute a Repubblica, i medesimi spiriti repubblicani abbiano, con egual forza e vigore, a risorgere. È però vero che se alcuno gridava semplicemente: Viva la Repubblica, non mancava chi subito avvertisse di aggiungere un altro grido: Italiana. Ciò mostra che se noi Italiani vogliamo la libertà municipale delle passate Repubbliche, fatti accorti che l'Italia non può vivere di fronte ai grandi Stati europei se non è unita in un solo Stato con Roma per sua metropoli, la Repubblica Italiana deve regolare le libertà municipali. Allora ogni città sarà libera, e l'Italia sarà un solo Stato con leggi a tutti gli Italiani comuni.

Nel suo passaggio in Piazza del Popolo, di faccia alla linea, fu notato il grido: Abbasso li Uffiziali codini, alludendo chiaramente a quelli che nelle Fortezze avevano tentato di spingere alla diserzione i soldati e di sciogliere l'esercito; al quale grido i nostri bravi italianissimi soldati prontamente risposero: Abbasso296

Il Circolo fiorentino fino dal giorno 11 febbraio 1849, col pretesto di avvantaggiare la opera del Governo Provvisorio, tira a le milizie; così togliendogli ogni mezzo di resistenza si apparecchia a proclamare la Unione con Roma e la Repubblica: «Fino dalla mattina dell'11 il Circolo aveva mandato un proclama a stampa nelle due Fortezze, da Basso e di Belvedere, per avvertire i soldati delle mene traditrici di alcuni loro Uffiziali. ciò fu senza effetto; perchè, nella sera, appena il Circolo, adunato in permanenza e armato, aperse la ordinaria discussione, molti militi, da bravi e buoni Italiani, sì dell'artiglieria che della linea, presentarono al Circolo una dichiarazione firmata ove proclamavano i loro patrii e italianissimi sensi, e la piena fede che avevano nel nuovo Governo, mostrandosi pronti a spargere il loro sangue per l'amatissima patria, l'Italia. Gli amplessi e i baci fraterni coronarono l'opera. Quindi fu fatto, discusso e dato loro un altro Indirizzo da recarsi in Fortezza agli altri fratelli della milizia, per sempre più riaffratellare tutti i cuori in un desiderio comune: la salvezza d'Italia297

L'Accusa m'incolpa (e si è veduto) di avere conferito impieghi ai rivoluzionarii; i rivoluzionarii fino dal 12 febbraio mi rampognano all'opposto per non averli ricevuti. Chi di loro ha torto, chi ragione? Ambedue torto, imperciocchè la passione ingombri la mente, e alla pacata disquisizione del giudizio sostituisca l'astiosa agonia di nuocere.

«Noi crediamo fermamente e con religione professiamo la massima che il nuovo Governo sia per dovere obbligato a collocare tutta l'autorità governativa e tutta l'autorità militare negli uomini che hanno saputo fare la rivoluzione, perchè altronde la rivoluzione repubblicana non è sicura. Tanto per loro massima298

L'Accusa sostiene, ch'e' fu un nonnulla combattere quotidiana battaglia, e spesso quasi vinto tornare a pertinace difesa, affinchè la Toscana nella Unione romana non precipitasse, e il Popolo prima intorno alle sue sorti, come padrone di , s'interrogasse, e decidesse. Gli Esuli Lombardi all'opposto non la pensavano così; tengono essere questo negozio supremo, e vi si affaticano intorno con tutti i nervi; di Assemblea non vogliono sentire parlare; àncora di salute ultima la Unione con Roma, donde uscirebbero la guerra, e le forze per poterla vincere. Quanto questo partito potesse avvantaggiare i loro disegni, io non compresi allora, e anche adesso giunsi a capirlo: non importa: essi lo pensavano, oltremisura smaniosi a conseguirlo.

«Lasciate dormire in pace le Assemblee Legislative; non evocatele adesso nel momento del pericolo, alla vigilia della guerra. A che mai un'Assemblea convocata a 34 giorni d'intervallo, un'Assemblea che dovrà precedere la Costituente, perchè chiamata a sanzionare la legge? Fate tesoro del tempo, non rimettete la vita del Paese a così lontana epoca; non date agio alla reazione di diffondere le malvagie influenze, non fate disperdere con lunghi conflitti elettorali quella forza che dovete tutta concentrare nella difesa dello Stato. Funesto esempio di debolezza potrebbe essere questo procrastinare, questo invocare una remota sanzione legale al potere, che il Popolo diede intero nelle vostre mani. Ben è dritto che l'Unione della Toscana colla Romagna, che voi ora proclamerete per impeto di volontà popolare, per suprema necessità di circostanza, abbia a risultare, anche qual forma temporaria, voto legalmente espresso dal Popolo. Ma in tal caso basterà promulgare all'atto dell'Unione la legge sulla Costituente Italiana, fare eleggere i 37 Deputati, spedirli a Roma, e ottenere dai Deputati Romani e Toscani insieme raccolti la prima sanzione di quella forma, che poscia dovrà essere sottoposta al supremo giudizio della Costituente di tutta Italia. E le elezioni devono essere compite in 10, in 8 giorni, in meno se pur si può, giacchè il tempo urge, e per poco che aspettiamo, i registri elettorali dovranno cambiarsi in ruoli di combattenti299

E poco più oltre sentite con quali insistenze c'intronavano le orecchie, e ce le facevano intronare dal Popolo; e nonostante, tutto questo parrà poco all'Accusa. Ma che dico io, parrà poco? Sembrerà al contrario, che sia nulla, anzi che sia prova di piena libertà, - se non superiore, almeno uguale a quella di cui nelle appartate stanze godevano i Giudici alloraquando bastava loro il cuore per dettare le pagine, che di me, della mia fama, e delle mie opere, fanno così acerbo governo!

«Noi rammentiamo con insistenza sempre più forte il debito che ha il Governo Provvisorio di rispondere con alacrità, con energia, ai supremi bisogni del Paese. La patria è in pericolo; questo è il grido che vogliamo risuoni continuamente alle orecchie dei governanti, questo sia il pensiero consigliatore d'ogni loro provvedimento. Gli avvenimenti incalzano, il tempo fugge rapidissimo; è d'uopo prevenire gli uni, economizzare, moltiplicare l'altro. Le rivoluzioni si compiono solo per virtù di ardimenti: osiamo, osiamo; affrettiamoci; l'avvenire è dei confidenti e degli audaci.

Una potenza somma d'attività è nel Popolo, l'entusiasmo. Non lasciamo che dorma inoperoso nei cuori, risuscitiamolo, facciamo che alla prima sua ebbrezza sottentri il coraggio dei forti propositi... è solo dalle intime fonti dell'anima commossa, agitata, che si traggono le virtù che fanno le nazioni.

Osate, osate, noi ripetiamo ai cittadini del Governo Provvisorio; siate quali il Popolo vi ha fatto, dittatori nell'ora del pericolo; abbiate la coscienza di questa forza ond'egli vi riveste e vi sorregge, non vi arrestate davanti alle temerità consacrate dalle estreme circostanze. Ogni titubanza, ogni indugio può tornare fatale, e la Patria ve ne chiederà un giorno strettissimo conto... Siate veramente governo di rivoluzione, organizzate a rivoluzione il Paese, non impedite con larve pericolose di legalità la vostra azione, bisognosa di prontezza e di vigore. Troppo furono finora funeste le lentezze ai poteri emanati dalle rivoluzioni; vi giovi, per Dio! l'esempio degli errori passati ad evitarne la prova.

Il voto del Popolo, la forza irresistibile delle cose, il bisogno di concentrazione e di potenza, chiedono oggi imperiosamente l'Unione della Toscana colla Romagna. Lo chiede 1'Assemblea Romana... Non esitate, non indugiate a risolvere; Romagna e Toscana non debbono da questo punto formare che uno Stato solo, nucleo della futura unità... I Toscani vogliono essere uniti in un solo Stato co' Romani... Dite dunque la solenne parola... È il Popolo che ve lo chiede; non temete d'usurpare sulla sua sovranità...

Noi lo ripetiamo ancora una volta ai cittadini del Governo Provvisorio: osate, osate; la salute della Toscana sta tutta da queste parole: Unione con Roma e convocazione della Costituente. L'istinto popolare, nel suo squisito buon senso, ha già precorso il vostro giudizio, e domanda questa Unione. Voi avete udito le sue grida di gioia e il suo saluto a quella Repubblica, nel cui nome ei vuol combattere e morire; voi potete e dovete sanzionare quel saluto e quelle grida. In nome dell'Italia, non esitate. L'ardimento vi renderà gloriosi; il dubbio potrebbe perdere la patria300.

E non è tutto ancora: nel 12 febbraio Popolo e Soldati invadono i cortili di Palazzo Vecchio e urlano: Repubblica! Per l'Accusa questa pure è prova esclusiva di coazione... Ma è di pietra, è di ferro, o di che cosa è mai cotesta Accusa? Veramente ella in durezza disgrada le sfingi di granito dello antico Egitto; non v'ha metallo, che possa rassomigliarsi a lei; io rimango sbalordito a tanta sovrumana costanza... Solo mi rassicuro alquanto pensando, che ella tale argomentava nel gennaio del 1851; posso io venirle senza tremore innanzi, e domandarle se nel febbraio 1849 ella avrebbe voluto, o potuto procedere come insegna nel gennaio del 1851? - No; ella non lo avrebbe potuto, voluto, perchè se le fosse bastato il cuore avrebbe pensato sopra tutto a salvare (in Dio confidando e nella sua coscienza) la Società che agonizzante le stava abbandonata fra le braccia.

«Alle ore tre pomeridiane, il Circolo accoglieva un numeroso drappello di militi d'ogni arma, che venivano ad affratellarsi. Poco appresso, dopo le calde accoglienze e gli applausi, il Circolo, con bandiere alla testa portate dai militi, moveva incontro ad altra schiera di militi, che attendeva da Santa Maria Maggiore; e tutti uniti al sublime grido di: Viva la Repubblica Italiana! e sempre ingrossando, si sono condotti fino nei cortili del Palazzo della Signoria, ad applaudire al Governo della nostra Repubblica. Poi sono andati con grande ilarità a cantare il De profundis all'aborrita dinastia, innanzi alla porta del Palazzo Pitti, fra le risa e gli applausi fino degli Anziani. Tre soldati, arrampicatisi ad una finestra, vi hanno collocato una bandierina rossa, fra le acclamazioni d'immenso Popolo. Quindi il corteggio ha salutato a Santo Spirito i Livornesi301, poi si è recato fuori di Porta San Frediano; e dal ponte di ferro e dalle Cascine è rientrato, per Porta al Prato, in mezzo alle faci, in città, ove percorrendo Borgo Ognissanti, Lung'Arno, Piazza del Popolo, Via Calzaioli e altre principali vie, si è, dopo tre ore di gioia repubblicana, sciolto tranquillamente302.» -

Questi fatti, notati dai Giornali nel giorno 13 febbraio, accadevano il 12; per la quale cosa, irridendomi (e l'ho notato anche altrove) il Popolano intorno alla mia lettera inserita nel Monitore gridava:

«La Toscana, e il suo Governo Provvisorio, hanno sentito questa sera la voce del Popolo, fragorosa e terribile come il tuono, empiere l'aria del grido: Viva la Repubblica! - La Toscana, e il suo Governo Provvisorio, hanno veduto come il Popolo sia maturo per la libertà, e quanto andassero errati coloro che lo dicevano ligio troppo ancora alle tradizioni del principato (e fra questi eranvi ancora gli oracoli del Giornale officiale il Monitore). - Toscana decida, e il Governo Provvisorio sanzioni tale decisione303

Vediamo adesso i fatti successi nel 13, e raccontati il 14. - Una Deputazione di Circoli fiorentini, ed un'altra di Popolo livornese, vengono tumultuariamente a impormi la Repubblica; io con le ragioni più efficaci che seppi mi schermiva, e li conforto ad aspettare. I Giornali subito mi pongono segno al feroce sospettare del Popolo commosso.

«Firenze, 13. - Una deputazione dei Circoli e del Popolo livornese, recatasi a Firenze, si presentò stamattina a Palazzo Vecchio, esponendo al Governo Provvisorio i desiderii di tutta la popolazione: venisse cioè proclamata la Repubblica, e tosto si unisse la Toscana a Roma, atterrandosi tutti i segnali di separazione fra le due Repubbliche. La Deputazione venne accolta dall'attuale Presidente del Governo, Guerrazzi, molto freddamente, e non potè ricavarne parola di promessa, essendo a suo dire da aspettarsi l'Assemblea, che viene convocata pel 15 marzo304

Il Circolo fiorentino manda Deputazioni al Governo, per essere ragguagliato intorno alle condizioni delle cose; intanto spedisce uomini armati di sua autorità contro Empoli.

«... Riferirono notizie che spinsero ad inviare deputazioni al Governo. Intanto fu reso pubblico, come una piccola spedizione del Circolo, composta di soli 20 uomini, guidati dal socio Spinazzi, avesse la prima e sola avuto l'ardire, frammezzo le voci minacciose che si spargevano, di spingersi verso Empoli.... La Deputazione ottenne dal Governo conferma delle cose già note, e migliori speranze pel seguente305

Inviando la seguente circolare a tutti i Circoli della Toscana, l'Alba apparecchia la rivoluzione repubblicana; il Popolano si leva con l'Alba, e la promuove caldamente.

«A voi che vi siete addossata una sì nobile missione nel regolare e manifestare i desiderii del Popolo da voi rappresentato, a voi spetta una generosa iniziativa in questi momenti, nei quali la patria nostra attende ansiosamente la salute invocata. A voi, giovani e forti creature del Popolo, sostenitori de' suoi dritti, ammaestratori de' suoi doveri, a voi il compiere al più presto l'opera di rigenerazione che incominciastebene. Sollecitate lo invio delle Deputazioni vostre a Firenze. Tutte abbiano uno scopo solo, una voce sola: Unione immediata con Roma. - A questo patto sta il Governo Provvisorio in Toscana. Il Popolo appose questa condizione, la consacrarono nell'Assemblea i Rappresentanti di tutta Toscana con unanime voto; altro non grida, altro non domanda Firenze: Unione con Roma. Questa è la calda preghiera, la volontà irremovibile di quanti amano Italia e lei vogliono prima che Toscana e Romagna e Sardegna, nomi di un tempo. - Voi, o membri dei Circoli Toscani, questo dovete ripetere, con la energia di uomini maturi a libertà, al Governo Provvisorio che accettaste con noi. - Questo unicamente voi dovete ripetere. - E le invocate legalità, che non basterebbero a salvarci dalla possibile e probabile invasione dell'Austria, cadano davanti all'urgenza del pericolo, alla volontà del Popolo toscano, al fremito che irrompe dal cuore di quanti vogliono che Italia sia. - Roma ci ha chiamati con una suprema parola, con una parola di fede schietta, d'amore ineffabile. - Toscani! Come vorrete rispondere a Roma? Le direte voi: per renderti lo addio, per stringerci a te, noi aspettiamo il 15 marzo? Ed allora quale sarà il giorno che attenderete voi, o Toscani, per assistere alla Costituente nazionale? - Deh, correte, o Rappresentanti dei Circoli, correte in nome di Dio! e presto, a Firenze! - Noi vi attendiamo con ansia indicibile, con inenarrabile affetto; noi vi apriremo le braccia, noi vostri confratelli nel sostenere pubblicamente i diritti del Popolo. E vi accoglieremo col giubbilo, con la riconoscenza di chi vede rifiorire una cara vita e minacciata e soffrente306

E per ben tre volte questo Proclama mandavasi per tutta Toscana, e con tali comenti lo accompagnavano:

«Questo indirizzo noi ripetiamo anche quest'oggi, e lo ripeteremo sempre finchè ne sia mestieri. - Preghiamo i Circoli Toscani a fare noto all'Uffizio dell'Alba lo invio delle loro deputazioni, o di spedirci copia dei loro Indirizzi al Governo Provvisorio in proposito della Unione con Roma. Noi li pubblicheremo immediatamente, ed avremo uno incoraggiamento di più a non ismettere in quella perseveranza, che, se ci suscita le velleità dei pochi, ci frutta d'altronde la simpatia di ogni buono Italiano, e il soddisfacimento della nostra propria coscienza307

Così un Governo fuori del Governo avevano creato i Settarii, e tutti infiammati in quei loro smaniosi spiriti, per venire a capo dei concepiti disegni, non badavano con accuse di ogni maniera, ed insinuazioni di tradimento a mettermi in mala voce del Popolo, ed anche, poichè docile benchè nelle mani loro non mi trovarono, a farmi capitare sinistramente.

I Comitati di pubblica sicurezza eletti dal Governo, screditati:

«Creansi Comitati di pubblica sicurezza, ma si compongono di elementi eterogenei, impossibili; ove al buono fa contrasto insormontabile il tristo, l'inerte allo energico, al liberale repubblicano il codino-tricolore308

Accusano il Governo, e perchè? Perchè la decadenza della Casa di Lorena non dichiara, un sospettoso timore per la Repubblica diffonde; perchè il Granduca e la sua famiglia lasciò fuggirsi dalle mani, e mandò a Empoli un uomo egregio, di temperato consiglio, ad assettare le cose. La maggiore colpa è per Empoli per avere tumultuato, il restante per noi per non avere spento il tumulto nel sangue. Il Popolo deve reprimere da gli eccessi del Popolo malvagio (e questo mena diritto allo scannare per le piazze); ma al Governo corre obbligo di mostrarsi rivoluzionario rovinando innanzi a suon di cannonate e moschettate. A mente riposata, e in tempi tranquilli, coteste più che vane jattanze sarebbero festevoli smargiasserie, ma non era così quando servivano a gittare olio e zolfo sur un fuoco che minacciava divorarne tutti.

«Ma il democratico Ministero, ma il Provvisorio Governo, volendo contentar tutti, non contenteranno nessuno: volendo salvar tutto, non salveranno nulla.

Non sono questi i tempi, sono i governi rivoluzionarii, i governi a Popolo, che permettere debbono alle fazioni politiche di avvalorarsi, di diffondersi col mezzo della impunità, e di far causa comune coi ladri e coi briganti. - Non è più la stagione di lasciare pazientemente perorare la causa della Dinastia Sabauda ad un Massimo D'Azeglio a Lucca, ad altri in altri luoghi.

Non vi basta, o uomini del Governo Provvisorio, non vi basta non volere proclamata la decadenza della Dinastia di Lorena, non vi basta lo insinuare un sospettoso timore per la parola Repubblica, non vi basta lo esservi lasciato sfuggire di mano l'ostaggio prezioso del Reale Arciduca e della sua famiglia che voleva oggi prestar mano, non ispegnendola in tempo, ad accendere la reazione?

Quando a voi si presentò una Deputazione empolese per invocare l'assistenza vostra contro l'impeto di una turba di masnadieri, che cosa faceste voi?... Inviaste uno dei più tiepidi fra gli amici vostri, il Manganaro, ottimo conciliatore di cose conciliabili, ma inetto a far marciare ad un passo disordine e tranquillità, moderazione di gastigo ed esorbitanza di colpa.

E il tumulto divenne aperta rivolta; la masnada, esercito; il danno che lieve saria stato riparare, divenne danno difficilmente riparabile.

A Empoli la maggior copia della colpa; - a voi il restante; giacchè se il vero Popolo deve sapere, occorrendo, da per stesso reprimere gli eccessi del Popolo malvagio, un Governo che vuol nome di democratico non deve aborrire da quello di rivoluzionario; e le rivoluzioni, per Dio, non si fanno a furia di sermoncini in piazza, ma coi fucili e coi cannoni309

Si mandano Deputazioni in Fortezza per giustificare i soldati che non erano comparsi allo appello; e ciò per onore della disciplina! E agli ufficiali trasognati, per cotesti singolari onori renduti alla soldatesca disciplina, invece di cacciare la gente contumace in prigione, toccava a farle di berretta e a dirle: brava! Nuovo argomento della forza che a quei giorni esercitavano i Circoli, e della necessità di obbedirli. Nel Circolo si parla della mia opposizione allo inalzamento dell'Albero; coteste brevi parole somigliano la nuvola nera pregna del fulmine: «Nella pubblica discussione di ieri sera (13) fu risoluto di spedire, per espresso desiderio dei militi e per onore della disciplina, una Deputazione ai comandanti delle due Fortezze di Firenze, perchè fossero giustificati tutti quei militi i quali non poterono rispondere all'appello serale per far parte delle pubbliche dimostrazioni in favore della libertà e della unità italiana, che occuparono il Popolo fiorentino nella giornata.

Dipoi, per la tanta affluenza di Popolo, convenne trasferire il Circolo negli ampii corridori del Convento di Santa Trinita. - Il soggetto che più trattenne la discussione fu l'Unione da farsi con Roma. Su di che non poteva esservi pensiero discorde. Solo parlossi di varii modi, ed ogni conclusione fu differita.

Fu ragionato ancora della erezione di un Albero della Libertà che nella sera era stato portato in Piazza del Popolo per piantarvelo. Fu udito come il Guerrazzi avesse dissuaso il Popolo310

Il Circolo tratta comporre una schiera repubblicana di 1,000 uomini, seguita da un tribunale, per iscorrere il Paese e giudicare i colpevoli; se ne rimane, per ora, a cagione dei tumulti empolesi repressi. Voi da ciò lo vedete; il Circolo si affatica a procedere come Governo separato: sola via a trattenerlo, e sventare le insidie per farmi segno ai sospetti e alle ire popolari, sta nel preoccupargli il passo su quanto egli minaccia imprendere fra mezzo agli orrori rivoluzionarii. «Visti i presenti casi della Patria, il Circolo si occupò della formazione intanto di una schiera di 1000 uomini eletti, di puro sangue repubblicano, da percorrere in tutti i sensi il Paese ovunque si manifestassero accidentalmente macchinazioni tedesche; schiera seguita da un tribunale per giudicare i colpevoli. Ma l'ultimazione dei ladronecci e degli scandali d'Empoli ne fece respingere, almeno per ora, la proposta311

Comecchè dei fatti che seguono occorra traccia nei Giornali posteriori al 14 febbraio, io gli riporto perchè appartengono ad epoca anteriore. Il Circolo fiorentino, avvisando i modi di cacciare il Granduca da Porto Santo Stefano, delibera: «Quindi fu trattato dei mezzi di scacciare il Despota dall'ultimo suo nido di Santo Stefano, e di avviare spedizioni popolari da tutte le città del presente Stato provvisorio, a fare una crociata verso quel punto, e percorrere il Paese affine d'infiammarlo e muoverlo tutto per la santa causa; e fu proposto che Firenze desse cominciamento a queste patrie spedizioni coll'inviare intanto 1000 uomini a Siena, italiani e repubblicani312

I Lombardi, uomini intendenti assai delle faccende politiche, a quanto il Governo in quei giorni operava costretto, non si acquietavano punto; non pareva loro che ei desse sicurezza di compimento finale; nulla per essi era fatto, se con la decadenza del Principe e la proclamata Repubblica non si varcava il Rubicone; appunto come adesso per l'Accusa è nulla non averlo passato, ed avere impedito che altri lo passasse! Ma la Emigrazione Lombarda, è da credersi che dei suoi interessi intendesse meglio nel febbraio del 1849 che non l'Accusa nel gennaio del 1851; quindi, mentre questa reputa lo accaduto fra l'8 e il 14 febbraio completo elemento di colpa, quella rampogna non lo contare niente, e dai sei giorni, cioè dal 9 febbraio in poi, cercare invano negli atti del Governo eseguito quanto essa era venuta ordinando. Finora dunque stetti in mano a Faziosi? - E ardite giudicare voi? Guardi tutto il Paese, e consideri se sono io, o se sono i miei Giudici quelli che devono essere giudicati.

«Questa è la condotta. questa è la missione che vi è tracciata, o cittadini del Governo Provvisorio? Adempitela, adempitela, per Dio! prima che i giorni fuggano, e con essi l'occasione e l'entusiasmo e la forza. Non siam noi sorti nel nome della Italiana Costituente, nel nome del dogma della sovranità nazionale? L'agitazione lunga non fu desiderio di unità, sforzo a ravvicinarsi delle diverse membra della Italia divisa?

Ebbene, che più tardare si doveva ad attuare questo principio di legalità incontestata, a convocare i Rappresentanti della Toscana alla nazionale Assemblea di Roma, e dichiararci solidarii e indivisibili della nuova vita proclamata dal Campidoglio? Perchè se tutte le fatiche della nostra Rivoluzione han per fine ultimo la compenetrazione ed unificazione assoluta di tutto il Paese che Appennin parte e l'Alpe e il mare circonda, perchè forti di questa missione salvatrice e italiana che vi fu confidata, non realizzare, non tradurre voi medesimi in fatto questo voto infallibile e universale? Ora che la legge d'oggi ha proclamato il principio della unità italiana, consacrandolo nella convocazione dei Deputati alla Costituente, perchè non lo iniziate e preparate nel fatto, proclamando l'Unione con Roma?

La legittimità del mandato da accordarsi ai rappresentanti italiani non avea bisogno della giustificazione di nessun atto precedente di provinciale pretesa sovranità. I Governi delle diverse provincie non hanno altro incarico che, proclamato il principio, assicurarne l'esercizio nella libertà e verità più intera: i Governi non possono che pubblicare una legge elettorale, la quale emana dal potere esecutivo ad essi provvisoriamente delegato. Imperocchè non fa d'uopo di nessuna legge per decretare il diritto che ha l'Italia di essere sovrana di stessa.

Voi dunque siete nella più stretta legalità, o cittadini del Governo Provvisorio, promulgando voi stessi la legge che chiami il Popolo a nominare i suoi mandatarii alla Costituente Italiana. E voi dovevate farlo, noi ne abbiamo ferma convinzione, voi lo dovevate sotto pena di apparire fiacchi e derisi in faccia a tutti coloro che vi hanno sfidato all'attuazione della vostra dottrina, in faccia a tutti quelli che, credenti in essa, vi hanno promesso il concorso della propria opera e delle proprie simpatie. Voi lo dovevate, perchè tra Leopoldo e l'Italia non è possibile l'alternativa, e la decisione s'impone invincibile da stessa.

Il Popolo, nel suo desiderio, si spinge innanzi alle lente e tranquille deliberazioni; esso attesta altamente le sue simpatie, vuol rompere le barriere municipali che lo dividono, e domanda con grido irresistibile universale: Unione con Roma. L'entusiasmo cresce e si propaga come generosa manifestazione del nuovo spirito italiano; questo voto incarnato nella convinzione di tutti, diventa istintivo, urgente bisogno. L'Unione con Roma è già in tutti i cuori, è già un fatto compiuto, una rivoluzione vittoriosa; al Governo Provvisorio di Toscana forse non resta che consacrare questo fatto, e, accettandolo, farsi interprete del pensiero comune. Ma al di sopra di questo movimento inconsapevole delle masse vi ha l'intelligente e sovrana Rappresentanza Nazionale. L'Unione con Roma, l'obbietto di questa commozione viva ed infiammata, non può essere che espressione temporanea del voto dei Popoli toscani, che essi sommettono docili e reverenti alla sentenza della Italiana Assemblea.

Sei giorni sono trascorsi dacchè Leopoldo è fuggito, la Toscana libera, il Governo investito della suprema dittatura.... L'entusiasmo, cagion prima ed unica dei miracoli, si diffondeva, affratellando gli animi, preparando la forza.... sei giorni sono trascorsi, e noi cercavamo indarno negli atti del Governo quella coscienza delle grandi misure, quell'impeto d'azione che dalla prima ora della sua esistenza gli avevamo inculcato313

Le mura di Firenze, nei giorni 14 e 15 febbraio, andavano coperte di questo avviso, che i Circoli bolognesi mandavano ai Toscani:

«Fratelli Toscani!

Il senno, l'ordine e l'energia che nel momento il più difficile della vita de' popoli voi dimostraste, ci hanno compresi di tanta maraviglia ed in uno di tanto entusiasmo, che non potemmo frenare più a lungo l'impeto dei nostri affetti, e palesarvi quanta sia la stima e quanto l'amore che a voi possentemente ci legano.

Fratelli! Se Leopoldo di Lorena vi abbandonava vilmente, il Dio, proteggitore de' Popoli, vi rimaneva e rimane a tutela; e, senza dubbio, un Nume misericordioso è coll'Italia nostra, perocchè è piuttosto unico che singolare l'esempio di genti, a cui tolto ogni freno di governo, siensi nullameno comportate con così alta sapienza da esterrefare perfino i più avversi e increduli al loro valore, al loro progresso.

Roma e Firenze subirono le medesime crisi; Roma e Firenze le attraversarono del pari impavide; Roma e Firenze si stringono fraternamente la mano associandosi ad un medesimo destino: adunque onore a Roma, onore a Firenze!

Fratelli! concordia e perseveranza, speme nel futuro, attività e non avventatezza, e trionferemo de' nostri nemici.

Prepariamoci alla pugna; e il primo nostro pensiero sia il riscatto delle misere terre lombardo-venete che piovono sangue, e della infelice Napoli che risuona lugubre di gemiti e di catene.

Già le Aquile latine dispiegano i loro vanni sul Campidoglio; già la spada di Ferruccio ruota sul capo dei tiranni: il Dio delle vendette sarà colla Italia nel giorno della lotta finale, ed Italia si erigerà alla perfine in Nazione.

La Costituente Italiana giudichi del nostro futuro. Viva la Costituente Italiana314

Eccitamento a muovere contro il Granduca: «Guardatevi un po' in seno. Il male più grave, quello che per ora fa d'uopo estirpare, per ora sta , e non altrove. sta Leopoldo d'Austria, e finchè esso sta in Toscana non vi può stare ordine, regime, libertà stabile e vera.

Che mi parlate voi d'austriaco intervento ai confini, quando l'intervento austriaco è sempre in casa?...315»

Nella citazione che segue leggiamo cose che male ci basterebbe l'animo compendiare; solo io prego chi legge ad avvertire la favella ebbra di superbia e di minaccia, foriera della rivoluzione, che già si spera trionfante, e la urgenza dei provvedimenti proposti da mandarsi ad esecuzione. Il Popolo in armi aveva ad ordinare, il Governo ad obbedire. Ecco, il dado è tratto; adesso staremo a vedere se meco si salva la civiltà, o se, me sopraffatto, la Rivoluzione allaga con la sua barbarie. - O voi, uomini di ordine, nudriti sempre dallo Stato, promossi alle cariche, insigniti di onori, voi osate domandarmi perchè io non fuggiva? Rispondete piuttosto a vostra posta voi: Perchè non vi stringevate animosi intorno a me per salvare la Patria e per impedire la decadenza del Principe? Perchè, dite, me lasciaste solo a lottare contro tanto sforzo rivoluzionario? Amici del Principe voi? Ah! voi lo abbandonaste allora; e voi adesso, con persecuzione che egli non vi comanda, che invano sperate gli possa essere accetta, senza verità, senza convinzione, senza coscienza, non dettando carte, ma tendendo agguati, con gelato furore, con l'astio della ingratitudine, con passioni malnate, che enumerare è ribrezzo, avventandovi contro cui dovreste rispettare, voi, - se dipendesse da voi, - lo rendereste odioso e crudele.... Ah! la pazienza ha un confine, e perdonate, o miei compatriotti, questo sfogo a chi si sente da ventotto mesi avvelenare il sangue più puro del suo cuore dai morsi di schifosi scorpioni.

«Salviamo la Patria, cittadini del Governo Provvisorio!... E per salvarla incominciamo dal proclamare in diritto, dal consumare in fatto la decadenza della Famiglia di Lorena dal trono di Toscana. Questa decadenza, questo diritto, questo fatto, se ne persuadano i Toscani, non è ancora consumato.

Cittadini del Governo Provvisorio, grande errore voi commetteste nel trascurare di proclamare il regime repubblicano e la Unione immediata con Roma il giorno stesso in che saliste al Potere. Cotesta vostra diffidenza nel senno e nella virtù del Popolo vi ha ora reso impotenti a salvarlo, giacchè ora a lui fa d'uopo salvarsi da stesso, proclamando ciò che voi, per ritegno o per paura, trascuraste di proclamare.

E il Popolo si salverà, il Popolo salverà la Patria!

Senza attendere la convocazione di troppo remota e lontana della toscana Assemblea Costituente, i rappresentanti di tutti i Circoli toscani, quelli dei principali Municipii, quelli della Guardia Cittadina e di qualunque altro corpo morale e politico toscano, accorreranno solleciti in Firenze allo invito che loro sarà mosso dal Circolo del Popolo. Quivi essi faranno di gran cuore ciò che voi non faceste, e il Circolo del Popolo avrà la gloria di avere, per la seconda volta, salvato la Patria pericolante....

Il Popolo provveda alla salute della Patria, scacciando il tiranno.

Il Governo provveda per parte sua, a riparare in parte al grave fallo commesso, richiamando nella Capitale sotto severe comminatorie tutti li aristocratici che se ne allontanarono allo allontanarsene di Leopoldo: - e ove essi ricusino, a gravi imposte sieno condannati, le quali, sparse nel Popolo bisognoso, lo riconfortino e lo aiutino a durare nella quiete e nell'ordine necessario in sì gravi momenti. Sia dal Popolo cacciata dall'ultimo suo nido la belva boema, e così appaia manifesta la volontà popolare anche in questo: e tutti i pretesti vengano rimossi ad una restaurazione principesca, che sarebbe distruzione di ogni conquista della democrazia.

Cacciata di Leopoldo d'Austria, per opera del Popolo.

Unione immediata con Roma, e promulgazione della Repubblica per opera dei suoi rappresentanti.

Questi sono i provvedimenti, cui è indispensabile il compiere entro il giro di poche ore.

Governo, all'opera! Popolo, alle armi316

Io ripeto, e lo ripeterò dieci volte e cento, che sono privo di Documenti officiali: pare a me, e parrà a tutti coloro che hanno senso di giustizia, atrocissima cosa essere, che mi si domandi conto dell'operato e mi si neghi la via di mostrare le ragioni dell'operato; e tanto più empirà il rifiuto di ribrezzo, quante volte si pensi che l'Accusa con mille occhi e con mille mani ha svolto, letto e riletto negli Archivii del Governo, per ricavarne argomento al suo assunto; e a me, ridotto ai miei soli occhi infermi, si ricusi desumerne quel tanto che valga a giustificarmi: e poi con serena fronte ardiscono dirmi: - difenditi! - E confidano, che altri creda la difesa concessa liberissima!

Non pertanto ridotto in tali angustie, ecco io ho spigolato, in campo che non è mio, prove che bastano per ismentire l'Accusa. Signore! ma perchè muovermi addosso con tante arti per farmi comparire colpevole? O come potè affermare l'Accusa, che non occorrono prove di coartazione nei primi giorni successivi all'infausto otto febbraio? Come sostenere, che all'opposto si trovano prove che ogni violenza escludono? Come la mano le resse scrivere, che alla decadenza del Principe, e alla proclamazione della Repubblica io non mi opposi, tranne che dopo la notizia della disfatta di Novara? Perchè l'Accusa dei testimoni cita quelli, che reputa dannosi, e scarta i favorevoli ricercati dalla Procedura? O a che mira l'Accusa? A qual mai fine tende? Per conto di cui ella lavora? Pel Principe no... dunque per cui? - Io tremo investigare... io raccapriccio indovinare per conto di chi lavora l'Accusa. - Certo questo pervertimento nello ufficio del Custode della Legge svela una infermità profonda nel corpo sociale, conciossiachè i Magistrati oggimai nulla più abbiano ad invidiare ai Sacerdoti di Teute.

Importa poi intorno alle allegazioni di questa parte dell'Apologia avvertire, che alcune narrano fatti i quali non si possono revocare in dubbio, corrette in qua e in di qualche inesattezza; altre parlano di dottrine, d'impulsi, e di provvidenze da prendersi. In quanto esse emanano dalla Costituente o dai Circoli, facilmente s'intende che equivalevano ad ordini da eseguirsi senza fiatare, però che venissero appoggiate con le armi da gente accesissima e disposta al mettere a sbaraglio la vita, pure di riconquistare la patria, e le paterne case, e tutto quanto all'uomo è più dolce quaggiù: in quanto si partono poi da altri Giornali, si consideri che se non coartavano direttamente, tanto più comparivano terribili suscitando sospetti, infiammando ire, e spingendo la plebe cieca a disfarsi con qualunque mezzi, e i violenti accettatissimi, del Governo costituito. Un po' più tardi mostrerò a prova come io fossi in grido di traditore, posto segno alla rabbia del Popolo.

 

 

§ 3. Spedizione al Porto Santo Stefano.

 

Delle cose fin qui discorse sommerò unicamente quelle che allo scopo di questo paragrafo si riferiscono. Nei giorni antecedenti al quattordici febbraio fu chiarito come due cose si facessero: 1a eccitamenti urgentissimi al Popolo e al Governo; 2a coazione a quest'ultimo, affinchè intorno al dimorare del Principe nel Porto Santo Stefano senza indugio alcuno provvedesse. Accusavasi il Governo ora di non avere seguíto il Granduca a Siena; ora di esserselo lasciato fuggire dalle mani; per ultimo, il Governo nemico espresso del Popolo predicavano, e fu qualificato perfino uguale a quelli con cui allora tenevamo guerra: nemici in Toscana, non fuori, dicevano, dovevansi cercare, finchè ci fermava stanza il Principe. Ma quello che mi pareva troppo più grave era lo eccitamento quotidiano, o piuttosto continuo, impresso al Popolo per ispingersi in massa contro Porto Santo Stefano; erano gli apparecchi dei Circoli a chiara prova raccolti non pure fuori del Governo, ma contro il Governo. Ben poco intendimento ci vuole a conoscere la opera indefessa dei Circoli per usurpare l'autorità e adoperarla in concetti diversi ai governativi, anzi in danno manifesto di quelli.

Proseguendo a trattare il doloroso tema, esporrò altre prove speciali in proposito, che sono venuto estraendo dai Documenti stessi dell'Accusa.... prugnole acerbe e scarse date dalle spine della siepe! - E qui si consideri la mia miseria, e si giudichi se è cosa non dico consentanea a giustizia, ma ai sentimenti primi di umanità, che dalla officina del nemico io abbia a prendere quelle sole armi ch'ella crede potermi concedere della difesa. - Le difese si compongono di fatti; ma se mi togliete il mezzo di poterli rintracciare, ordinare e accompagnare dei necessarii commenti, si rende manifesto che la difesa è negata. Le cose sono come elle sono, non quali si vorrebbero fare apparire, quantunque verso me neanche le apparenze si abbia voluto adoperare: avvilire e opprimere fu il truce programma di chi mi perseguita; miserabili furono i conati nell'uno intento e nell'altro; ma il secondo sta in loro potere, il primo no. Intanto rimarrà, e me ne dolgo, come uno sfregio in faccia alla civiltà toscana la memoria dello avermi posto senza pudore a canto di assassini e di ladri.... Ma io ho bisogno di mantenermi pacato; quindi, tronca a mezzo ogni amara considerazione, riprendo lo interrotto lavoro.

Nel Corriere Livornese del 12 febbraio trovo un documento in data dell'8-9-10 febbraio, dal quale si ricava che il Circolo Grossetano «adunatosi per urgenza, inviò una Commissione all'Alberese per invitare il Granduca a ridursi in Grosseto, nel caso si fosse allontanato da Siena per timore di Partiti, dove avrebbe goduto perfetta tranquillità, e consigliarlo al tempo stesso a tornare alla Capitale. La Commissione giunse all'Alberese dopo la partenza di S. A. per Santo Stefano, e allora colà si diresse. La Commissione di ritorno a Grosseto dichiara non avere potuto rilevare la intenzione del Principe di restare o di partire, e non sapere se a quella ora si fosse o no imbarcato. Il Circolo avvertito che si trattava di fuga, manda sollecitamente al Comitato di pubblica sicurezza di Grosseto due petizioni, richiedendo con la prima una continua vigilanza della persona del Principe, onde sapere se partiva, per dove, e con quali intenzioni; - con la seconda venisse stabilita una continua corrispondenza col Governo centrale di Firenze. - Il Circolo popolare avendo fondati sospetti che nei reali Presidii si tenti uno sbarco per una reazione, e verificato che tutto il littorale, non che i Forti di Porto Ercole, Santo Stefano e Palmanuova, sieno sprovvisti della guarnigione necessaria, - fu stabilito dirigersi al Comitato di pubblica sicurezza, affinchè di concerto con le Autorità governative stabilisca il pronto armamento del littorale, e dei Forti dei reali Presidii

Nel giorno dieci febbraio troppo più fiera notizia mi perviene da Livorno: i Deputati Grossetani essersi collegati con quei di Orbetello, Porto Ercole, Magliano, Talamone, e di altri luoghi, e tutti insieme avere deliberato, il Principe non potesse dovesse partire, al Vapore di prendere il largo s'intimasse, la reale famiglia a Monte Filippo si sostenesse317.

Alle ore 3 del giorno 11 febbraio, da Grosseto scrivono a Livorno: «L'attitudine di Grosseto è imponente per reprimere qualunque reazione da chiunque e da qualunque parte si manifestasse. Il voto dei patriotti, che tanti ne albergano qui, quanti in una grande città, è la indipendenza d'Italia. Il già Principe trovasi a Santo Stefano; tenta il vile di fare suscitare la guerra civile: è impossibile. La Maremma non sarà la Vandea, l'antica Valdichiana. La Maremma, e specialmente Grosseto, darà esempio luminosissimo di amore per la Italia: lo vedrete. Si attendono truppe per terra e per mare all'oggetto di snidare quel covo di uccelli rapaci dal Porto Santo Stefano318

E quattro ore prima, dallo stesso Porto Santo Stefano, mandavano: «Questo codardo Principe ex-Granduca di Toscana ha impedito al Pretore di pubblicare i Proclami del Governo Provvisorio, ed ha minacciato il paese con dire, che ha a sua disposizione cento pezzi di cannone. Egli tenta di far nascere la reazione, ma non ci riuscirà, per Dio! Questo è il tempo di fargli conoscere qual destino serbi la Italia ai Principi traditori come lui.... Noi confidiamo nel soccorso dei nostri fratelli di Grosseto, e nel Governo Provvisorio319

Intorno alle disposizioni delle genti maremmane, possiamo ricavarne conoscenza dalla lettera pubblicata dall'Accusa a pagine 833: «Gli animi sono ardenti, e vogliono finirla una volta per sempre con un ex-Principe traditore320;» e dall'altra pubblicata a cura dell'Accusa medesima a pagine 835 del volume citato: «Presto presto la Maremma si leverà come un solo uomo contro chi ha vilmente tradito la Italia

I Giornali andavano propagando: «Leopoldo d'Austria non ebbe vergogna di dire alla Deputazione del Circolo popolare di Grosseto - che Egli in questi ultimi tempi aveva ricevuto molti dispiaceri dai Grossetani. Quando la Commissione in adunanza solenne riferiva tali parole, il Popolo fremeva d'indignazione, e decretava fino d'allora che lo ex-Granduca era uno dei membri della Camarilla di Gaeta321

Dal Porto Santo Stefano, asilo periglioso del Granduca, ai Circoli corrispondenti scrivevano: «Sarebbe necessario, che il Governo adottasse pronta ed energica risoluzione, tentando un colpo ardito in quel nido di reali vipere, onde cacciarle lungi dalle nostre terre.322»

E perchè alla richiesta tenesse dietro lo effetto, muovevansi da Grosseto Deputazioni a Firenze, le quali ingrossate da quanti Faziosi stanziavano qui, armate di prepotenza e di audacia in virtù degli erudimenti del Circolo fiorentino, venivano a costringermi con ineluttabile pressura. Chi sia, che revochi al pensiero quale e quanta fosse la veemenza dei partigiani a cotesti giorni, e la Toscana fin dentro le viscere commossa da speranza, da terrore, e da furore di mettere le mani nel sangue, non reputerà esagerate le tinte colle quali ce li dipinge il Decreto del 10 giugno 1850.

Narrava taluno di Grosseto, il 16 febbraio, come: «La deputazione inviata al Governo Provvisorio...... fosse tornata con le più liete assicurazioni per parte del Governo, che la Maremma sarebbe coadiuvata nei suoi generosi sforzi di patriottismo con tutti i mezzi. - Molti egregi Maremmani si uniranno al D'Apice, e lo seguiranno nella sua importante missione323.» Ed altra testimonianza di queste Deputazioni ce la porge il Corriere Livornese del 23 febbraio: «Il Circolo popolare (di Grosseto) ha tenuto la sua seduta straordinaria per udire la relazione dei Deputati cittadini.... di ritorno dall'Assemblea tenuta dal Circolo Popolare di Firenze il 18!....»

Già fu chiarito a prova, i Circoli fatti omai governo distinto, e aspirando a diventare il solo, corrispondere inquieti e sospettosi fra loro; non pertanto occorre traccia nei Giornali del tempo come in questa occasione più operosi che mai si restringessero a operare.

Il Circolo di Orbetello, l'altro di Grosseto, corrispondono non pure col Circolo centrale di Firenze, ma con quello ancora di Livorno.

A comprendere la tremenda attività del Partito, che urgeva stringentissimo a prendere immediati provvedimenti, importa riferire parte della corrispondenza dei Circoli. Nessun Governo mai si auguri trovarsi tanto bene servito come i Circoli erano: io poi sovente all'oscuro di tutto; sicchè venendo a me i più impronti faccendieri di quello, smaniosi per notizie più fresche, e trovatomi ignaro perfino di quelle ch'essi sapevano, trascorrevano in rampogne acerbe di colpevole negligenza, e di peggio.

Da Santo Stefano, nel giorno 8 febbraio, all'Alba e agli altri Giornali mandano: a ore 2 p. m., l'arrivo del Granduca con parte della sua famiglia, e dei signori Sproni e Conticelli, su di una barca peschereccia partita da Talamone a mezzogiorno.

A ore 4 e 1/2, arrivo della Granduchessa col resto della famiglia. Albergo in casa Sordini, magazziniere del sale e tabacco. Sospetti di fuga.

Ore 8 e 9 p. m., arrivo di due staffette con dispacci.

9 febbraio, 9 ore p. m., arrivo della fregata inglese.

Da altra corrispondenza pervennero ai Circoli i minimi particolari, come: L'aspirante inglese posto a guardia del Granduca; la tristezza dei membri componenti la R. Famiglia; il cibarsi di S. A. di alcune gallette navigando da Talamone; l'arrivo di carrozze, equipaggi, segretarii e servi.

13 febbraio 1849. Il Granduca è sempre in Santo Stefano. Sparge danaro. Grossetani hanno rotto la strada che conduce a Santo Stefano. Le popolazioni maremmane tutte in armi, avverse al Granduca.

15 febbraio 1849, ore 12 m. Partenza del Ministro inglese. - Il Virgilio va a Ponente con due compagni di Sir Carlo Hamilton.

Ore 3 p. m. Istruttore dei Principini s'imbarca per l'isola del Giglio o per Gaeta, come sembra, per fissare un palazzo di dimora.

Ore 4 p. m. Visita delle LL. AA. al Can Mastino; voce che sieno partite, ma tornano a terra; pure si accerta, che poco più si trattengano.

16 febbraio, ore 7 a. m. Nella notte è arrivato dall'Alberese un Bestiaio con dispaccio pel Granduca.

Ore 9 a. m. Arrivo dell'Agente dall'Alberese con venti starne e un capriolo.

Ore 2 p. m. Fregata mette segnali.

Ore 4 p. m. Il Granduca va a bordo della Fregata Teti in compagnia del Comandante.

Ore 5 p. m. Arrivo di un espresso a spron battuto con dispacci pel Principe.

17 febbraio, ore 6 1/2 a. m. Leopoldo è sempre in Santo Stefano.

Ore 7 a. m. Arrivo del Porcospino.

Ore 6 p. m. Sembra che il Granduca voglia partire. Imbarca sul Can Mastino bauli, valigie ec. Ore 10 p. m. Seguita lo imbarco.

18 febbraio, ore 12 1/2 di mattina. Arrivano i Ministri di Francia e Spagna. Sono presenti quelli di Piemonte, Roma, Svezia, Prussia: si attende il Russo. - Stanno ancorati in porto Teti, Porcospino, Can Mastino. Sordini e Lambardi al fianco del Granduca. - Prete Baldacconi mandato a Siena per motivo segreto. Dama Palagi sviene alla lettura di certa lettera. Frequente convocare del Corpo Diplomatico. Imbarco e disbarco di arnesi. Incertezza di atti. Paese tranquillo.

Da altra corrispondenza:

Porto Santo Stefano, 14 febbraio. Porco-Spino parte per Napoli col carico dei danari l'11; torna il 12 col Can Mastino.

Staffette in questo giorno non sono arrivate.

Ore 6 p. m. Sul Virgilio arriva il Ministro Sardo. Servitore supposto del Ministro Inglese, è napoletano. Bellerofonte dicesi navigare per questi paraggi.

15 febbraio, ore 7 a. m. La notte senza staffette.

Altrove si troverà più completa e continua questa corrispondenza, dalla quale risulta quanto grandi fossero il sospetto della Fazione, ed anche la paura generatrice di partiti disperati; e quindi la vigilanza mantenuta su tutti e su tutto, alla quale riusciva impossibile che potessi sottrarmi io.

Ciò posto, ricerchiamo prima quali potevano essere, e quali di fatti erano le mie apprensioni, e poi esamineremo il contegno tenuto.

Primieramente, io opinava che S. A. avesse in animo di partire aspettando il benefizio del tempo, il quale, come dimostrerò a suo luogo, doveva riuscirgli favorevole, e somministrava l'unica via per conseguire lo intento in quella guisa ch'egli pure desiderava; mi confortavano a credere così le informazioni ricevute, di cui trovasi testimonianza nel Dispaccio diretto da lord Hamilton a lord Palmerston in data del 7 febbraio 1849: «Il Granduca.... mi chiede, che io voglia ordinare ad uno dei Vapori di S. M. di essere nel Porto di Santo Stefano domani sera, per ricevere esso e la sua famiglia sul bordo.... Non conosco se la intenzione del Granduca sia andare alla Elba, o no.» - (Collezione di Documenti citata). - Il Piroscafo tardò un giorno; invece della sera dell'8 arrivò in quella del 9. - Opinione universale fu che l'A. S. in Inghilterra o a Gaeta riparasse. Lo imbarco e lo sbarco delle masserizie dimostra l'animo perplesso a stare o a partire. Il Porto Santo Stefano poi non poteva essere lungamente stanza pel Principe e la sua R. Famiglia, atteso i disagi del luogo; i cariaggi, mancando locali capaci a ricettarli, stettero al sereno; casa Sordini era atta a tanti ospiti.

Nella notte dell'8 febbraio pervennero al Principe due staffette, in virtù delle quali io pensai che egli fosse consigliato a restare, nel presagio che la Toscana commossa con universale dimostrazione, Governo Provvisorio e Costituente rovesciando, lo richiamasse al trono.

In quanto ai disegni della Fazione, non vi era dubbio da accogliere; ad uno di questi due scopi ella tendeva con tutte le forze, o cacciare il Principe, o impadronirsene. L'animo mio ondeggiava combattuto da pensieri angosciosi. - Nonostante io esitava, e vinto dalla gravità dei casi rimanevami inerte. Ma quando da un lato i Circoli, le Deputazioni e il Popolo frementi d'ira, vennero ad accusarmi dicendo: «Che avete voi fatto da sei giorni a questa parte? Nulla. Voi ve la intendete co' nostri nemici; voi la rovina del Paese preparate e la vostra;» e dall'altro udivo: «Il Popolo farà da , il Governo è ormai impotente a salvarlo: egli nulla vuole conoscere, nulla sapere: si manderanno frattanto mille uomini armati a Siena; il Popolo sorgerà come un uomo solo: presto la Maremma sarà tutta in armi; gli animi ribollono ardenti e vogliono finirla....» con le altre più cose, che prego i lettori di rammentare, e dispensarmi dal travaglio di riferire da capo; coartato allora in guisa, che nessuno io penso abbia patito violenza pari alla mia, nel curvarmi sotto il giogo provvedo ai fieri eventi che presagivo probabili; e tale fu il mio consiglio: dissuadere i Popoli Maremmani da muoversi senza ordine del Governo, e indurli a sottoporsi al comando del Generale D'Apice; nel mentre che la imposta leva in massa sembro assentire, prescrivere che si adunasse gente eletta, usa alla disciplina, e sempre al Generale D'Apice nei suoi moti si sottomettesse; raccolta così una colonna di milizie ordinate, contenere le Popolazioni nei moti impetuosi, e impedire che la Fazione senza o contra il Governo si agitasse; intanto fare comprendere a S. A. che lasciasse tempo al tempo, e in altra parte attendesse quello che pure stava in cima dei suoi pensieri, ritornare senza spargimento di sangue a reggere mite popoli miti; in qualunque caso tenere apparecchiata una forza per tutelare la persona del Principe, e la sua famiglia, dal minacciato attentato d'impadronirsi di loro. Rammentisi che le Deputazioni maremmane non intendevano già coadiuvare, bensì essere coadiuvate; la quale cosa importa, che i Maremmani volevano formare la parte principale della impresa; rammentisi la strada grossetana tronca, e l'accusa di essermi lasciato sfuggire il Granduca dalle mani, e la deliberazione presa di ridurlo a Monte Filippo: rammentisi eziandio le popolazioni in arme avverse al Granduca, e la notizia che si leverebbero in breve come un uomo solo, e l'ardore di cui si mostravano prese, e il proponimento di finirla una volta per sempre con lui... E ritenuto tutto questo, ed altro ancora che non ricordo, domando s'egli era bene lasciare che cotesto assembramento di uomini esaltati si operasse? - I miei Giudici dunque non avrebbero pensato ad alcuna provvidenza al fine d'impedirne o reggerne i moti? Hanno mai avvertito i miei Giudici alle sventure, che dovevano temersi possibili dal mescersi di tante generazioni di uomini senza freno, e senza guida? - Balenò mai loro alla mente il fiero caso, ch'esse giungessero a impedire la partenza del Principe.... e quello, che è anche a imaginarsi più orribile, che lo sostenessero?

Accusa, Giudici, - che fin qui non mi avete giudicato, ma calunniato, - non parlo a voi. Voi irridete le mie parole, e a mezza voce mormorate il ritornello:

 

Lustre, mostre, ed arti per parere;

 

arti solite di chi doppio ha il cuore, con quello che seguita: - io parlo al Paese, che mi sarà più pio.

Consideriamo il Dispaccio al Governatore di Livorno: la sua data è del 14 febbraio; - dunque molto tempo dopo le coartazioni e le minaccie perigliose della stampa, dei Faziosi, del Circolo fiorentino e delle Deputazioni maremmane. Il Dispaccio parla di lettere che mi vengono poste sotto gli occhi; dalle quali espressioni si ricava, che una gente estranea, desumendone necessità di misure immediate, non mi lasciava neanche tempo a copiarle, onde senza dilazione si spedissero gli ordini. Dall'8 al 14 febbraio corre pure un bel tratto! Sei giorni: quanti appunto mi rinfacciavano essermi rimasto inerte. Nei tempi di rivoluzione sei giorni paiono, e veramente sono, una eternità. La stanza del Granduca al Porto Santo Stefano si conobbe presto; dunque finchè non mi violentarono, io stetti inoperoso. Anche qui occorre il caso, che parrebbe a un punto miserabile e festoso, ove non si conoscesse come tutti i Partiti giudichino con le mani su gli orecchi, e la benda su gli occhi: che i Repubblicani mi riprendono da una parte di non fare; l'Accusa dall'altra mi rimbrotta di aver fatto. Per questo i primi mi avrebbero tolta la libertà; la seconda mi mantiene prigione! Il Dispaccio del 14 febbraio trascrive, come quello dell'8 febbraio, taluna delle parole stesse che i Faziosi venuti ad estorcerlo vedemmo avere già adoperate: si apparecchi gente da ingrossarsi per via; ma però avverto che sia scelta; il quale avviso fu introdotto con intenzione di far comprendere che la gente buona fosse, e ad obbedire disposta. La frase però più meritevole di essere specialmente notata è la seguente, posta con cautela, come mi era concesso in quelle strette: D'Apice scriverà, e attenetevi ai consigli di lui; e questo importa: nessuno si muova senza ordine del Generale. - Lasciate, di grazia, lo inviluppo delle parole, che la temperie del giorno rendeva necessario, oppure ritenetele tutte, ma sotto la scorza ricercate il vero, e troverete prudente consiglio, non potendo fare a meno, essere stato quello di apprestare buona e cappata gente, che sotto gli ordini di Domenico D'Apice (soldato a cui per la sua temperanza nemmeno rifiuta lode l'Accusa) si tenesse pronta a fare riparo ai temuti infortunii.

E mio concetto fu, qualora il presagito assembramento si avverasse, spingere D'Apice a presidiare Grosseto, e quivi, recatasi in mano la somma del comando, reprimere le masse popolari dal trascorrere contro Porto Santo Stefano, e tenere fermo il Paese fino alla pronunzia del voto dell'Assemblea toscana.

Il Generale D'Apice, oppone l'Accusa, dichiara avere ricevuto lettera di mio, onde con parte della truppa si dirigesse a Grosseto; «ma poichè, egli aggiunge, si trattava che cotesta Spedizione doveva farsi contro il Granduca, che allora era in Maremma, io ricusai incaricarmene.» - A vero dire, richiamando la mia memoria su questo punto, posso affermare risolutamente senza timore di essere smentito, che tale non fu il dubbio esternato a me dall'onorevole Generale; sibbene la ripugnanza di trovarsi con poca truppa e male ordinata fra Popoli tumultuanti. Questo però non toglie punto, che dentro l'animo suo accogliesse anche l'altro che accenna; solo dico che si astenne da parteciparmelo; e dov'egli mi avesse aperto l'animo suo, conoscendo la fede dell'uomo, lo avrei chiarito del congetturare suo falso; per tutela, non per offesa del Principe, volerlo io incamminare a Grosseto, e commettergli in quella città si fermasse, ogni aggressione contro Porto Santo Stefano sventasse, i moti tumultuarii prevenisse, il Paese quieto fino alla pronunzia dell'Assemblea toscana, che malgrado le opposizioni intendevo convocare, mantenesse.

Dell'ordine dato, e della raccomandazione che nessuno senza comando del Generale si avesse a muovere, oltre al Dispaccio mandato il 14 febbraio al Governatore di Livorno; oltre alle parole della Deputazione Grossetana, che la gente si sarebbe aggiunta seguitando il D'Apice; oltre alla dichiarazione, che per muoversi attendevano le milizie ordinate, ne fanno aperta testimonianza questi Documenti che ricavo dal Volume stampato dall'Accusa: ex ore leonis, come Sansone, il mele. -

«Al Governatore di Livorno - Petracchi.

La mia colonna è sottoposta al Generale D'Apice, posso muovermi senza suo ordine.» - Pontedera, 13 febbraio 1849324.

Il medesimo al medesimo:

«Ieri sera circa le ore 11 arrivai a Pontedera, donde avvisai il Generale D'Apice del nostro arrivo, avvertendolo che sarei partito col treno delle 12 di questa mattina. Ero con la colonna sotto la Stazione pronto a partire quando un Dispaccio del Generale D'Apice mi ordinava di restare quaggiù.» - Pontedera, 14 febbraio 1849325.

Dove gli ordini per la Spedizione del Porto Santo Stefano fossero stati spontanei, io non avrei certo aspettato dal giorno 9 febbraio, in cui seppi l'arrivo di S. A. in quel Porto, al diciassettesimo a sopportare mossa la colonna Guarducci per Rosignano. Gli ostacoli frapposti perchè non fosse mandato ad esecuzione quanto i Faziosi imponevano, appariscono evidenti da questo: la colonna Guarducci nel 16 febbraio si trovava in Empoli326: «La colonna Guarducci era già partita prima del mio arrivo a Empoli.» Il giorno 17, rimandata a Livorno, s'incamminava per la via littorale verso Maremma; e non ha guari ho detto: io non l'avrei sopportata mossa il 17 febbraio; imperciocchè senza ordine del Generale D'Apice, a cui era sottoposta, mio, di veruno altro Membro del Governo Provvisorio, si fosse posta in marcia. Il Popolano, che da stesso s'intitolava Monitore del Circolo Fiorentino327, ed era informatissimo di quanto accadeva, annunzia la partenza del battaglione Guarducci per Maremma, ma non sa avvertire per comando di cui, a qual fine328. Riscontro sicuro che Guarducci non ebbe comando dal Generale da me, è questo: che da Empoli non lo avremmo respinto a Livorno, ma sì da Pisa su per la Via Emilia incamminato a Grosseto. - Altra prova che di arbitrio del Governatore era lo invio del Maggiore Guarducci in Maremma, è considerare come questi non trasmetta i suoi rapporti al Generale D'Apice o al Governo superiore, ma renda ragguaglio dell'operato unicamente al Governatore329. Ancora: il Governo non poteva intendere col Dispaccio del 14 al Governatore di Livorno, che questi spedisse il Battaglione Guarducci, però che lo avrebbe fatto direttamente da . Con questo ho voluto dimostrare che, per me, il Battaglione fu trattenuto fino al 17 febbraio; che da noi non fu comandato di marciare alla volta di Maremma; e che il Governo di Livorno, il quale volle, seppe eziandio incamminarlo immediatamente dove il Governo superiore non lo incamminava. Altra prova che eravamo andati trattenendo la gente dallo accorrere in Maremma, è l'ordine trasmesso il 14 stesso, al Battaglione Petracchi, di stare fermo a Pontedera, ed incontrarvelo sempre nel 17 febbraio. In cotesto giorno il suo Comandante non corrisponde più col Generale come gli correva obbligo, bensì col Governatore di Livorno, a cui manifesta il suo pensiero di partire il giorno appresso per Maremma, non già in virtù di ordine ricevuto330; il Governatore di Livorno, usurpando le funzioni del Generale D'Apice, comanda senza superiore concerto, e di sua autorità, il ritorno del Battaglione Petracchi331.

Dunque rimane provato che D'Apice non mosse per Maremma, anzi rifiutò muoversi; che il Battaglione Guarducci, trattenuto fino al 17 in Empoli, e nel giorno stesso rimandato a Livorno, si avviò per Maremma non pure senza ordine del Governo, ma contro la volontà del Governo; e finalmente che il Battaglione Petracchi tenuto da noi fermo fino al 17 in Pontedera è richiamato a Livorno dal Governatore, che ormai si arroga autorità a disporre le cose a suo senno.

Altro riscontro di consigliato impedimento occorre confrontando la seguente corrispondenza. Il Governatore Pigli domanda con Dispaccio telegrafico del 17 febbraio 1849, ore 11, m. 5 pom., al Maggiore Petracchi: «Per ordine del Governo Superiore domattina circa le 11» (e non era punto vero) «deve essere eseguita una spedizione di Militi cittadini per oggetto importante. Se ella, senza nuocere alla missione che l'è meritamente affidata, credesse far parte con la sua colonna di detta spedizione, o di mandarne almeno porzione, la prego prevenirmi col mezzo del telegrafo nel caso affermativo

Parmi pressochè inutile notare come, se il Governo avesse voluto servirsi di questa forza, avrebbe trasmesso direttamente gli ordini, non già pel mezzo del Governatore: infatti, se non per altro, per economia di tempo, era ragionevole che il Dispaccio restasse a Pontedera, e non si spingesse a Livorno per ritornare poi a Pontedera: parmi del pari superfluo ricordare come per avviarsi verso Grosseto il Petracchi da Pontedera non avesse mestieri di condursi a Livorno: finalmente nemmeno mi tratterrò ad avvertire una cosa, che, come troppo ovvia, salta agli occhi dei più idioti; ed è, che avendo voluto spingere gente in Maremma, poco importava la condotta del Generale D'Apice, dacchè più tardi il Governatore Pigli, quando ebbe sotto la sua potestà il Battaglione Guarducci, ve lo diresse.

Solo mi giovi richiamare l'attenzione di chi legge su questo, che nel fine di rendere frustraneo l'ordine estorto, nei giorni 14 e 15 febbraio, come dimostrano gli stessi Documenti dell'Accusa332, fu comandato al Petracchi di non si muovere senza ordine del Generale D'Apice, e, otto ore dopo lo invito a lui fatto dal Governatore Pigli, io sospettando di qualche trama, fui cauto di richiamarlo a Firenze. «Il Presidente del Governo Provvisorio al Comandante Antonio Petracchi. - Firenze, 15 febbraio 1849, ore 8 a. m. - Venga subito a Firenze. Prenda una carrozza. Risposta subito333Sicchè, ritenuti nelle nostre mani i battaglioni Petracchi e Guarducci, il primo a Pontedera, il secondo a Empoli, di gente scelta e disciplinata, o che presentasse almeno simulacro di disciplina, donde e chi potesse raccogliere il Governatore di Livorno, in verità non si comprende.

L'Accusa insiste allegando lo invio dei 12 Municipali a Grosseto, e degli Artiglieri nazionali e di linea, i quali dalla lettera del Prefetto Massei, riportata nei Documenti dell'Accusa a pag. 321, ricaviamo sommare a 14, e così in tutti a 26! - Ma io non ho trovato ordine alcuno da me, da altri, trasmesso al Governatore Pigli perchè muovesse di arbitrio neppure una persona; e questo Governatore molte cose faceva a modo suo, più molte si accingeva a farne; e moltissime poi ne dava ad intendere. Poco sopra avete osservato come egli avvisasse Petracchi della Spedizione che doveva essere eseguita la mattina del giorno 15, prima delle ore 11, e non fu vero; nella lettera del 14, riportata in nota qui sotto, annunzia al Prefetto di Grosseto lo invio dei 26 uomini; aggiunge, che nel veniente giorno partirebbero da Livorno due compagnie di Guardie Nazionali, e non fu vero; nello stesso giorno 15 afferma altre forze militari provenienti da Firenze capitanate dal Generale D'Apice costà sarebbonsi dirette, e non fu vero: da Firenze per lo contrario partì l'ordine che stessero ferme334.

Il disegno di formare in Livorno un centro di Governo Repubblicano, nello intento di rovesciare il Governo Provvisorio, vedremo farsi mano a mano più chiaro che c'inoltreremo a discutere le imputazioni dell'Accusa. Essa dice: ma voi impediste le corrispondenze al Principe, e mandaste persone armate a Cecina per intraprenderle. Io nulla impedii. Il Circolo Grossetano ricorrendo co' suoi emissarii al Governatore di Livorno, presso cui trovava più facile ascolto, insisteva per questo provvedimento. Il Governatore, sempre più emancipandosi, prende le misure che reputa convenienti, e poi ne avvisa il Governo:

«Signor Ministro. Persone autorevoli di questa città mi hanno fiduciariamente fatto supporre che dal Fitto della Cecina, villaggio posto sopra la strada maremmana, transitino di frequente degl'individui diretti a Porto Santo Stefano, i quali, per la loro indole sospetta, sarebbero meritevoli di tutta la sorveglianza governativa. Essendomi sembrata cosa di somma importanza lo attivare senza indugio questa sorveglianza, la quale può condurci ad utilissimi resultati, sono sceso nella determinazione di fare la Spedizione per quella località di venti cittadini armati, i quali, di fatti, nelle ore pomeridiane di oggi partono a quella volta capitanati e diretti dal nominato Giovanni Scotto. L'ufficio che eglino debbono esercitare quello si è di vigilare e tenere di occhio le persone transitanti per detta ubicazione, spingendo le loro indagini, nei casi di dubbio e sospetto, fino alla perquisizione, ed effettuandone, occorrendo, anche l'arresto. Per fare fronte alle spese necessarie al mantenimento dei componenti la detta Spedizione, è stata, per mio ordine, prelevata dalla Cassa di questa Dogana la somma di L. 500, su le quali ho fatto una anticipazione di zecchini 12 al rammentato Giovanni Scotto. Affrettandomi a renderle conto, signor Ministro, di questa misura, che ho creduto dover prendere per urgenza, starò in attenzione delle sue istruzioni in proposito ec. - 13 febbraio 1849. - C. Pigli

Dall'altra parte il Prefetto di Grosseto avvisava il Circolo di Grosseto, avere deliberato di operare in guisa che i Dispacci attinenti alla Corte Granducale si fermassero. In simili angustie ai signori Marmocchi e Allegretti non era dato disfare, senza manifesto pericolo, quello che ormai aveva il Governatore compíto; e per altra parte, considerando le sciagure a cui sarebbero andate sottoposte le persone partecipi della corrispondenza se le lettere fossero pervenute in mano degli arrabbiati, mi sembra che dirittamente si consigliasse dai predetti Signori, ordinando al Prefetto di Grosseto procedere con prudenza e saviezza per l'adozione delle misure necessarie ad assicurare la esecuzione del divisato progetto335.

E che tale dovesse essere la intenzione dei signori Marmocchi e Allegretti nessuno potrà negare, e forse, se interrogato, lo avrà già detto il signor Segretario Allegretti compilatore dei Dispacci allegati. A me giovi affermare che io, non pure non concorsi a impedire la libera corrispondenza a S. A., ma all'opposto, per quanto stette in me, gliela schiusi. A Sir Carlo Hamilton, che me ne fece istanza, detti carta amplissima perchè lo lasciassero passare liberamente; e non solo questa carta io gli affidai, ma consenso espresso a quanto intendeva proporre.

Ed ecco quanto egli aveva in mente proporre, e mi affermò avere proposto. Spontaneo, o, come credo piuttosto, di concerto con personaggi cospicui della città nostra, egli restringendosi meco mi confessava volere tentare l'animo dell'A. S. a deporre i fastidii del molesto Governo, rassegnandolo al suo reale Primogenito; e mi ricercava, nel caso che il suo consiglio venisse accolto, se avrebbe potuto ripromettersi la mia adesione. Io risposi quello che ora non dubito manifestare: parermi il Popolo troppo acceso adesso; essere di mestieri liberarlo prima dagli stimoli urgenti e incessanti; poi dargli tempo a riaversi dal delirio; per questi argomenti egli sarebbe tornato per certo alla devozione antica; in quanto a me, tranne la momentanea esaltazione, crederlo, anzi saperlo bene affetto al Principato; la più parte dei Toscani desiderare le libertà costituzionali, e di queste chiamarsi contenta; per siffatta mia convinzione, confermata dai Rapporti officiali e da particolari notizie, potere egli ritenere per fermo, che avrei di buon grado aderito a tutto quanto tornasse di vantaggio al Paese, onorevole per me. Sir Carlo tornando mi riferiva bene avere del suo proponimento tenuto motto a S. A., ma, rinvenuto il terreno poco arrendevole, essersi trattenuto dallo insistervi sopra. Motivi di convenienza, che anche in mezzo ai pericoli e alle provocazioni della intemperantissima Accusa reputai mio dovere osservare, mi persuasero ad astenermi da esporre questi fatti, finchè Lord Giorgio Hamilton visse, e Sir Carlo dimorò in Firenze. Adesso poi che il Signore ha richiamato alla sua pace l'onorevole ed egregio Lord Giorgio, e Sir Carlo si condusse altrove, penso potere, senza offesa della delicatezza, manifestare simili trattati, e prego con fervorosa istanza il nobile Baronetto, dovunque si trovi, se mai gli perverranno nelle mani queste dolenti pagine, a rendere pubblica testimonianza in faccia della Europa se sieno i miei labbri mendaci, o se anche in questa parte esprimano la verità336.

Altro esempio, che il Governatore Pigli faceva da , lo troviamo nello avere pagato lire diecimila al Petracchi per la Spedizione a Portoferraio, senza ordine del Governo, anzi senza pure avvisarlo. Di vero, agevole cosa è comprendere come cotesta Spedizione per diffalta di danaro non avrebbe avuto luogo, e il Governatore per certo doveva avvertire, che non gli essendo provvisti i mezzi necessarii, non poteva mandarla ad esecuzione, le facoltà sue estendersi a disporre dei pubblici danari; e questo per lui potevasi avvertire subito per telegrafo, non già aspettare al 10 febbraio quando le cose erano fatte. - Così tra il mandare Dispacci, e rispondervi, sarebbe scorso tempo sufficiente a sedare gli spiriti accesi, persuaderli della inanità di cotesto moto, e indurli forse a desistere337.

Altro esempio dello arbitrario operare del Governatore Pigli ci viene offerto dalla Spedizione fatta dal medesimo, fino dall'11 febbraio, alla Isola del Giglio, della Spronara, per vigilare persone sospette, e pubblicare Proclami, della quale avvisa il Governo unicamente nel giorno tredici successivo338; e sì, che anche su questo, se per via telegrafica non poteva informarci intorno ai particolari delle cose, gli era agevole notificarcene la somma. Nel maggiore uopo ci lasciava per taluni giorni senza avviso delle operazioni che gl'importava palesarci ormai compíte, comecchè di altre per minuto ci ragguagliasse; ed egli medesimo il confessa: «La rapida e incessante successione degli eventi, e le cure che ne conseguitano, assorbono così il mio tempo da non lasciarmi agio a quell'ordinato e quotidiano ragguaglio che avevo impreso, e che riannoderò come prima mi sia concesso, limitandomi di presente a darle conto dei casi più gravi, e delle più importanti misure339

Il Rapporto del 14 febbraio incomincia con la protesta medesima: «Neppure oggi mi è dato riprendere la interrotta narrazione degli avvenimenti attuali, bastandomi appena il tempo e le forze di accennare di volo i più notevoli ed importanti340

L'Accusa sostiene che, ricusato dal Generale D'Apice il comando della Spedizione pel Porto Santo Stefano, il Governo lo confidava al Pigli, il quale tosto incamminò La Cecilia per la Maremma verso Porto Santo Stefano. Contradizioni, e peggio: l'una cosa, l'altra. La Cecilia per ordine del Governatore di Livorno, non già spedito dal Governo o da me, precede la Colonna Livornese, e va per mettersi a capo delle Guardie Nazionali della Maremma; poi fa una giravolta, pubblica Proclami, nessuno gli retta, e torna maledicendo ai Maremmani. Il Governatore non ebbe mai altra commissione, tranne quella di adunare gente scelta, e dipendere dagli ordini del Generale D'Apice. A D'Apice fu proposto il comando delle forze nel caso che si avesse dovuto spedirle a Grosseto; egli non accettò lo incarico, e a nessuno altro venne conferito giammai. Chi sostiene diversamente, a chiare note si sappia ch'ei calunnia, all'atroce intento di nuocere contro la verità manifesta. Infatti, quando ebbe questo ordine il Pigli, che l'Accusa fabbrica nella sua officina? prima, o dopo il 14 febbraio? Prima no, conciossiachè pel Dispaccio incriminato del 14 la gente scelta doveva apparecchiarsi, e dipendere dal Generale D'Apice, e per le prove superiormente addotte ne dipendeva; dopo nemmeno, dacchè, oltre il Dispaccio del 14, per frugare che abbia fatto, l'Accusa non ha potuto rinvenirne altro. Qui dunque si tratta, io lo ripeto, di calunnia, non già di accusa341.

Ma la presente materia merita di essere più sottilmente considerata, onde si faccia luce maggiore nella ragione degli uomini e dei tempi. Coloro che volevano strascinare il Paese al compimento della rivoluzione, sfiduciati d'incontrare nel Governo arrendevolezza, si volsero a quelli che meglio parvero disposti a secondarli; e fra questi venne lor fatto incontrare, più accesi degli altri, Carlo Pigli e La Cecilia; noi li vedremo collegati avversare il Governo, tentare ogni via di usurpare il Potere per promuovere la Repubblica, e per altra parte noteremo indirizzarsi a loro uomini perversi con orribili proposte. Alfine l'uno è deposto dall'ufficio, l'altro avviato fuori del Paese.

La Cecilia crebbe avverso a me: delle sue qualità morali non parlo, chè a me nulla è noto che onorevole non gli sia; favello dell'uomo politico. Io presto ebbi a conoscerlo irrequieto e dominato, più che da altro, da certo spirito torbido che lo agitava a fare e a disfare342. I Livornesi, i quali, più che altri non estima, aborrono i commuovimenti inani o pericolosi, spesso venivano o mandavano a lamentarsi meco di lui, e mi pregavano trovare modo ad accomiatarlo onestamente. La corrispondenza officiale ha da porgere di questo piena testimonianza; in suo difetto, ne occorre traccia nel mio Dispaccio telegrafico al Governatore di Livorno del 19 novembre 1848: «I reclami contro La Cecilia crescono di momento in momento. Invitisi venire a Firenze per conferire col Ministero.» Egli prima mi tenne caro; quando poi mi conobbe avverso alla Repubblica, prese a inimicarmi con molta acerbezza nel Corriere Livornese che tolse a dirigere: però nel 7 marzo stampa su l'Alba, Giornale devoto a parte repubblicana, essersi ritirato da cotesta Direzione per la stupida servilità dei tipografi proprietarii del Giornale. I tipografi gli rispondevano: «Non essersi già ritirato, ma averlo essi licenziato, e averne avuto motivo non dalla stupida servilità loro, ma dalle sue continue incoerenze, avendo fatto subire in breve tempo al Giornale cento variazioni e colori diversi: ora adulando il Governo in cose che nessuno lodò, anzi biasimò (come nel Discorso della Corona per l'apertura delle Camere!), ora facendogli una opposizione alla quale la opinione pubblica ripugnava343Mandato a Roma da Montanelli come Console toscano, in breve renunzia e torna in Livorno. Qui domina Pigli, e lo governa a suo senno: va, viene, capovolge ogni cosa; si accompagna a tutti i conati per istrascinare il Governo a proclamare la Repubblica, ed unirsi, senza indugio, con Roma. Quando mi verranno consegnate le carte della mia amministrazione, confido potere ordire più completa storia; - costretto a valermi delle carte dell'Accusa, a nuocere copiose, a salvare parche, mi si presenta nel primo di marzo 1849 un Dispaccio, dal quale si argomenta come La Cecilia si affaticasse a conseguire qualche grado superiore nello esercito, ed io rispondo: «Gli ufficiali delle milizie sono destinati, e La Cecilia guasterebbe ogni cosa. A Pistoia lo Ufficiale superiore sarà Melani colonnello, a San Marcello Razzetti maggiore; non facciamo confusione. Riguardo ai mezzi, bisogna regolare le cose in maniera che lo impiego della fortuna pubblica si faccia rigorosamente, e possa darsene sempre esatto conto. Entrerà nelle previsioni del Governo mandare un quartier-mastro pagatorePigli risponde: La Cecilia non essere eletto a comandare truppe, solo a precederle fino a Lucca, onde provvedere ai bisogni delle nostre colonne, e averlo inviato i Maggiori Guarducci e Petracchi; stasera o domattina aspettarsi reduce in Livorno344. All'opposto ricaviamo dai Documenti che La Cecilia il Generale comandante le Milizie toscane non cura, molto meno il Governo, bensì col Governatore di Livorno unicamente corrisponde; in quel giorno stesso egli lo avvisa non avere trovato cavalli da treno, e fra le altre cose, che alle due partirà per Lucca. Un poco più tardi: avere passato in rivista la compagnia di Pisa, e, dopo altre notizie, domanda l'approvazione del Governatore.

Barli, comandante di Piazza a Pisa, per telegrafo avverte: essersi presentato il signor Colonnello La Cecilia con una Circolare del Governatore di Livorno, che lo autorizza a presentarsi alle Autorità Civili e Militari, per essere assistito in ogni sua operazione a reclutare Volontarii, e cavalli per l'artiglieria nazionale; avergli domandato quanta cavalleria fosse disponibile in questa Piazza; domandare istruzioni per non intralciare le operazioni di cotesto Dipartimento345.

Sicchè quanto fosse vero, che Petracchi e Guarducci avessero inviato la Cecilia, e non il Governatore, di qui apparisce espresso. Per queste notizie accorgendomi come ormai volesse stabilirsi un Governo di fatto Repubblicano a Livorno, di cui Pigli avesse ad essere la mente, e La Cecilia la spada, mando al Governatore:

«Lo invio del La Cecilia è uno dei soliti spropositi; domanda artiglieria, cavalleria, e altro da Pisa. Tu hai azione dentro il tuo Dipartimento, fuori no; non puoi farlo senza mandare sottosopra ogni cosa. Per Dio, così rovina la impresa. Dite il vostro bisogno. Dite come potete provvedere per voi, e come deve aiutarvi il Governo centrale. - Manderemo ufficiali a posta. Il Comandante di Pisa, come è naturale, non sa che fare. Si richiami La Cecilia con bel garbo346.

Pigli per gratificarsi i Volontarii livornesi, promette di propria autorità venti crazie al giorno di paga. Avverto, che questo negozio sconvolge da cima in fondo lo esercito, imperciocchè tutti pretendono paga uguale; per rimediare, suggerisco far credere che la differenza della paga ricevano dal Municipio; scongiuro non prendano misure senza concerto nostro; altrimenti, quando più la disciplina e la organizzazione abbisognano, ci casca addosso il caos347. La Cecilia, apprendendo che l'ordine del Pigli intorno alla cavalleria non verrà eseguito, gli scrive parole concitate contro il Governo superiore348. Pigli risponde insistendo non avere egli inviato La Cecilia... «Che debbo farci?» egli aggiungeva: «gl'imbarazzi sono molti349!» Questa parevami, ed era, duplicità manifesta. Da lunga pezza io era informato delle disposizioni di Carlo Pigli ostili al Governo, dello studio posto da lui a radunare un partito gagliardo in Livorno, della sua professione nuovamente repubblicana, del suo accontarsi co' più ardenti di cotesta parte, non meno che dello agitarsi perpetuo del La Cecilia. Certo mio parente, che di me, troppo spesso fiducioso più che non conviene, prendeva amorevole cura, sorprende e mi reca lettere, inviate da un Frugoni di Lerici, capitano di mare, e proprietario di bastimenti, a La Cecilia, con le quali gli proponeva alla ricisa di ammazzarmi come traditore, e surrogare lui a me, Pigli a Mazzoni come uomo inetto; si lasciasse Montanelli, finchè non si trovasse meglio. Dai Documenti raccolti per opera dell'Accusa resultano le prove di questi fatti, i quali vengono per altri riscontri confermati in processo. Spedito Marmocchi a Livorno a investigare le cose, così riferisce nel 5 marzo: «Non ho scritto fino ad ora, perchè ora solamente ho un concetto preciso delle cose in questa città. Ho sentito molte persone di opinione diversa. Vado per la diagonale e vado bene. La cosa principale per la quale sono qua è una ridicolezza. Pigli è lo stesso amico di prima, sincero e ardente. La differenza è nella salute, perchè io l'ho trovato veramente decaduto. Si regge mercè lo spirito, e considererebbe siccome gran favore la sua licenza, o almeno una gita di riposo nel suo paese per un mese. Bisogna dare un collocamento conveniente a La Cecilia. In tutti i modi, subito. Non ha il seguito che credete, no, ma manca l'antica amicizia, e di gran cuore se ne andrebbe. Quel di Lerici è un fatuo; non è nulla; vorrebbe vendere al Governo Provvisorio alcuni bastimenti, ecco la chiave di tutto. Il Popolo livornese è sempre eroico e grande; è anche moderato. La Repubblica non è proclamata. Siamo qui come a Firenze su questo proposito, con la differenza, che Firenze è una selva di alberi, e qui non ve ne sono che tre o quattro soli. Volete si tolgano di Piazza, e si portino in Chiesa fino al giorno che l'Assemblea decreti definitivamente la Repubblica? Livorno aderisce, e Firenze non sarebbe così docile. Vedete dunque che cosa è Livorno350

Il Rapporto del Marmocchi non poteva persuadermi: comunque vogliasi tenere in poco conto la vita, pure sentirti dire, che il disegno di ammazzarti è cosa da nulla, non garba ad un tratto; e il successo venne dimostrando, che Marmocchi per soverchio di dolcezza neanche nelle altre cose si era apposto al vero. Ad ogni modo risposi: non potere offerire altro ufficio, che di secondo segretario a Parigi; però poco dopo aggiungevo, che se l'uomo meritava congedo, non capivo perchè si avesse a impiegare; ed avvertisse che la mansuetudine, quando è troppa, rovina351. Marmocchi replica: La Cecilia accettare; egli essermi ancora molto amico, ma disgraziato; non potere dirmi tutto per telegrafo; venire La Cecilia a Firenze: pregarmi riceverlo, in considerazione della lunga amicizia; nessuno credere a tradimento; quel di Lerici essere fatuo come lo scrittore della Frusta repubblicana; la passata intrinsechezza con La Cecilia avrebbe fatto vedere con dolore la presente severità; esultare gli amici ch'egli partisse, ma non derelitto da me; bene altri nemici avere il Governo; trovarsi chi traendo argomento dalla miseria corrompe la plebe; mi manderebbe nella notte uno di questi facinorosi incatenato a Firenze352. Qualche ora più tardi nello stesso giorno, aggiungeva avere veduto il Gonfaloniere, il quale si rallegrava col Governo per la misura presa relativamente a La Cecilia, e la opinione pubblica commendarla353.

Nonostante scrissi per via telegrafica: «desiderare non vederlo; fosse trattenuto, potendo, in Livorno354pure egli venne, ed io lo accolsi con volto sereno e mente pacata; e dopo avergli posta davanti gli occhi la lettera del Frugoni, lo interrogai, che cosa avrebbe fatto nel caso mio. Rispose non essere in sua potestà impedire allo stolto che favellasse secondo la sua stoltezza; e siccome questa mi parve convenevole scusa, tacqui; non ugualmente bene poteva scolparsi intorno alla guerra mossa contro il Governo per istrascinarlo di viva forza alla Unione con Roma, e a proclamare la Repubblica, o rovesciarlo. «Orsù via, partiti di Toscana,» gli dissi. «e tutto è posto in oblioPartì per Livorno menando a lungo la partenza, finchè crescendo le manifestazioni di anarchia, aombrate dal pretesto della Repubblica nel 14 marzo, contemporaneamente al richiamo del Governatore a Firenze per via telegrafica, scrissi a Livorno: «S'inviti La Cecilia a partire subito, anche per terra, per Genova, donde recarsi al suo destino. Qualora non volesse appagare questi nostri desiderii, noi l'avremmo per tradita amicizia. Gli si partecipi il Dispaccio355.» Allora si condusse a Genova; e quivi si andò indugiando sotto vario colore, finchè i successi della guerra gli dettero campo di presentarsi come utile alla difesa del Paese.

Da Genova nel 27 marzo mi scrisse La Cecilia la lettera che leggiamo a pagine 222 dei Documenti dell'Accusa; in questa ei parla di errori commessi dai Comandanti piemontesi nella battaglia di Novara; poi propone due mezzi di difesa, di cui il primo sarebbe stato plausibile per quello che in tempi antichi e moderni ne hanno scritto peritissimi uomini di guerra; il secondo avventuroso e impossibile. Di questa lettera giova riportare la frase che accenna al pertinace proposito di fare sempre a suo modo: «Insomma se nulla si conclude qui tra oggi e domani, io torno; mi metterai in prigione, ma devo, ma voglio dividere le vostre sorti

 

Non tali auxilio, nec defensoribus istis

Tempus eget! -

 

La Cecilia non era uomo da dire le cose e non farle; piuttosto prima le compiva, poi le diceva. Di vero il giorno seguente eccolo a Massa, donde m'invia la lettera in data del 28 marzo 1849, nella quale si propongono tre progetti: il contenuto in altra lettera, che io non ricordo, ove non fosse taluno degl'indicati nella lettera del 27; il di seppellirci tutti sotto le rovine delle nostre città; il di fare offrire la corona al figlio del Granduca; questo ultimo mezzo repugna di molto, egli scrive, ma il Paese vorrà difendersi? E tanto basti per dimostrare come io provassi contrario La Cecilia nel periodo del Governo Provvisorio, da quando mi mostrai reluttante ad appagare i desiderii di parte repubblicana.

Ora continuo esponendo i fatti attinenti a Carlo Pigli Governatore di Livorno; diventato, più che capitano, mancipio della Fazione demagogica, ormai egli non ha più potenza di fare il bene e d'impedire il male. Cotesta egregia Patria di cima in fondo compariva guasta. Il Governo, assentendo ai consigli del signor Marmocchi, pensa scambiare la Guardia Municipale di Livorno con quella di Firenze; e chiamata qui la prima, purgarla e spartirla in altre compagnie. Inoltre, ai suggerimenti del Ministro della Guerra Tommi compiacendo, accorda che il primo Battaglione di Linea si spedisca a Livorno, e quivi si riordini mediante un campo da stabilirsi nelle campagne littorane356. Annunziando io queste provvidenze a Livorno, aggiungo: «Il Popolo attenda vigilante le disposizioni del Governo ormai disposto a procedere con severa giustizia contro tutti i perturbatori, e nemici delle libertà, sia civili che militari357.» Queste parole ai caporali della Fazione erano savor di forte agrume; nell'anarchia confidando, per soverchiare il Governo, ecco s'industriano a lavorarlo di straforo, mettendo male biette tra il Popolo. «Badate, dicevano, a non lasciare partire la Guardia Municipale Livornese, e sostituirla dalla Fiorentina, però che questa sia qua mandata per opprimere la libertà358.» In quanto al Battaglione di Linea avviato a Livorno, si guardassero dal Colonnello Reghini, a cui avevano commesso di trarre a palla sul Popolo, come già aveva fatto sul Popolo pistoiese359. Il Popolo si commuove, e circondato il Palazzo del Governatore in numero di 4,000 persone, domanda a morte il Colonnello; altri urlano che si cacci in carcere. «Il Governatore, narra il signor Reghini nel suo Rapporto, si addimostrò sgomento, varii dei suoi spaventati, perchè circuito il Palazzo, e l'anticamera invasa da turbe, che esaltate chiedevano la mia persona in loro possesso, e i moderati gridavano venissi posto alle segrete360. Ed io, ben contento di secondare la volontà del Popolo indignato (non so perchè), esortai ad essere dal Popolo stesso condotto in segrete, dove giunsi molto a stento: ma coadiuvato dai buoni che mi fecero corona, mi restò lontano lo stiletto, si ottenne di gettarmi a terra.» Io rimasi fieramente percosso per tanto vituperio, imperciocchè il Governatore dovesse nel suo Palazzo, come in asilo inviolabile, custodirlo, mai consentire, se non che calpestando il proprio petto, cotesti furibondi giungessero al petto del Colonnello. Avvertito per telegrafo, adoperando la destrezza persuasa dalla gravità dello accidente, senza intermissione rispondo: «Importa grandemente sia fatto il processo ai soldati di cotesto reggimento che si ribellarono. A ciò è necessario il Rapporto del Reghini. Bisogna mettere il Reghini in libertà onde faccia cotesto Rapporto. Non accendasi il Popolo già acceso. Si lasci fare al Governo; ha i suoi fini, e vuole essere libero per il bene della libertà. Dicasi al Reghini, che il Governo penserà a lui. Si risponda subito361.» Il giorno seguente, soccorrendo al mal capitato Colonnello, insisto: «Esatte informazioni ci persuadono a conservare Costa-Reghini; però non si vorrebbe urtare la Popolazione. Il Governo vorrebbe formare un campo in prossimità di Livorno, e quindi riordinare il reggimento. Reghini rimarrebbe a riorganizzarlo, e sembra essere adattatissimo per questo. Procuri che la Popolazione applauda a questo progetto, e ci renda intesi dello effetto delle sue premure. Comprende la necessità della prestezza.362»

Ancora nel medesimo giorno 10 marzo: «Intorno al Reghini, sarà collocato. Del reggimento sarà fatto un campo. Forza, tranquillità, coraggio e gravità; - e forse riusciremo.... forse, perchè i tempi ingrossano; e disfacendo tutto, nulla si fabbrica363

Il Generale D'Apice, giunto a Firenze, scriveva al Governo Provvisorio la seguente lettera, la quale non abbisogna di comento:

«Ieri al mio arrivo in questa città, seppi che il signor Costa-Reghini Colonnello del Reggimento Infanteria di Linea, fu immeritamente insultato dal Popolo di Livorno, e poi vilmente abbandonato ai suoi persecutori, dalla prima Autorità costituita in quella città, dal Governatore, presso cui il detto signor Colonnello si era rifugiato. - Un tal fatto è talmente grave, che io lo considero come una vera offesa fatta allo esercito, che ho in questo momento l'onore di comandare. Come capo dunque di questo esercito, e nell'interesse del servizio, credo mio stretto dovere dirigermi alla giustizia del Governo, perchè un'ampia e pubblica soddisfazione sia data allo esercito, e al signor Colonnello Costa-Reghini, elevando questo al posto di Generale di Brigata, e dimettendo dal suo posto il signor Governatore di Livorno. Qualora il Governo non credesse a proposito di accedere alla mia richiesta, lo prego in risposta di volere degnarsi spedirmi la mia dimissione dal servizio364

In tutto questo negozio io procedeva d'accordo col Generale, parendomi fosse pur giunta occasione di potere alla fine allontanare Carlo Pigli da Livorno, e precidere i disegni di coloro che agognavano alla estrema demagogia. - Invano il Colonnello Reghini scrive, averlo voluto libero il Popolo livornese, e accompagnato dal Governatore, e da parecchi Uffiziali della Guardia Nazionale, fra plausi e banda essere stato condotto al Palazzo Governativo; invano dichiara, per questo modo adempirsi l'ordine del Governo che lo voleva fino da ieri l'altro posto in libertà, ordine non ancora eseguito per timore di collisioni, non tutti i Circoli andando d'accordo nella mia liberazione365; invano informa per via telegrafica il Ministro della guerra: «Sono in libertà per acclamazione popolare e generalissima. La mia confusione è grande: vorrei dimostrare al Popolo la mia gratitudine, al Governo la mia devozione; supplico la di lei ministeriale autorità, essermi interpetre, come lo è stato, a mio sommo vantaggio, il signor Governatore Pigli366

Io ben conobbi cotesta essere mala toppa allo strappato, e conoscevo a prova di che cosa sapessero cotesti Dispacci imposti dai presenti, e da loro prima letti, e poi mandati; però nel 13 marzo 1849, allo intento di superare le resistenze, conforto il Generale D'Apice a tenere il fermo nel domandato congedo: finalmente nel Consiglio le provvidenze da me proposte si mettono a partito, e si vincono; allora senza porre tempo fra mezzo, nel giorno 13 marzo, alla ora prima pomeridiana, mando per telegrafo a Livorno: «Il Governo invita il Governatore di Livorno a venire in giornata a Firenze, per conferire insieme su cose importantissime367Arrivato a Firenze alle 7 pomeridiane, alle 9 si ordina al Colonnello Costa-Reghini: «È pregato a portarsi domani col primo treno a Firenze. Il Generale D'Apice lo vedrà appena arrivato368;» e alquante ore trascorse, di nuovo, alle 3 antimeridiane del giorno 14 marzo, intímo a La Cecilia la partenza immediata, sotto minaccia, che avremmo lo indugio per tradita amicizia, come già in altro luogo opportuno fu debitamente notato.

A ben comprendere quanta industria fosse posta da me per indebolire la parte che strascinava il Paese alla demagogia, e quanta difficoltà incontrassi nella perigliosa impresa, prezzo della opera è sospendere alquanto questo racconto, e continuare quello che spetta alla Guardia Municipale.

La Guardia Municipale corrotta e governata da taluni che trovavano il proprio conto a mostrarsi smaniosi libertini, mercè la diligenza fatta, viene a Firenze, ed è stanziata a Santa Maria Novella. Qui noi attendevamo a mandare ad esecuzione il disegno di cui già tenni proposito, allorchè, avendolo i più audaci subodorato, si ribellano con minaccie di morte: ordinai si trasportassero due cannoni, e al Quartiere, intimati prima i pacifici a separarsi dai rivoltosi, si appuntassero. Però essi non ne aspettarono la vista, e più che di passo trassero alla Porta San Frediano incamminandosi verso Livorno, dove tolleravansi o di leggieri erano scusati. Il Dispaccio del 10 marzo così ammonisce il Governatore: «Accade un fatto gravissimo che dev'essere ad ogni costo, intenda bene, ad ogni costo represso. Una parte della Municipale di Livorno si è ribellata. Prima, nel Convento di Santa Maria Novella, aveva fatto mostra di difendersi; poi è uscita da Porta San Frediano, e non si sa dove siasi diretta. Verrà forse a Livorno. Prenda, con la massima segretezza e con vigore, le misure onde venga arrestata. Si concerti con Frisiani e con altri Ufficiali di testa. L'avviso a tempo, onde a tempo provveda. Non intende il Governo mezzi termini pietà. Se mostriamo mollezza per la Guardia Municipale, è finita: invece di difensori avremo un branco di assassini369.» Il Maggiore Frisiani raggiunge le Guardie ribellate a Pisa, con ordine di tradurle da capo a Firenze sotto scorta; si sottomettono, ma implorano andare a Livorno, e non tornare alla Capitale presso il Governo Provvisorio. Frisiani non si reputando facultato (come invero non era) ad arbitrare, viene per ordini370.Le Guardie promettono aspettarne arrestate il ritorno; i Maggiori Frisiani e Magagnini mallevano per loro; fa lo stesso Mastacchi; se non che le Guardie, mutato consiglio, dai Quartieri di San Martino si recano, nella sera del giorno 12 marzo, alla Stazione della strada ferrata, e quivi per amore o per forza intendono volere essere trasportate a Livorno371. Il Governo, sentinella perduta dell'ordine, alacremente commette al Governatore: «L'arrivo dei Municipali a Livorno è fatto gravissimo, e tale da cimentare la pubblica sicurezza. Se forza non rimane alla Legge, il Governo è d'uopo che si dimetta, e con esso cadano tutti i funzionarii pubblici per dare luogo ad uomini facinorosi che condurrebbero a irreparabile ruina il Paese372. È necessario pertanto che cotesti ribelli sieno per forza o per arte arrestati e disarmati. Procurate con ogni mezzo che ciò si ottenga. il Governo penserà in giornata a darvi le istruzioni in proposito. Se in un corpo, che tutto deve imporre con la forza morale, si lasciano introdurre germi d'immorale dissoluzione, io non so più qual forza resti al Governo per fare eseguire le Leggi; qual tutela resti al Popolo della propria sicurezza. Uno esempio è necessario. I cinquanta militi municipali venuti costà non appartengono più al corpo. Restituite con un atto di coraggio la fiducia che deesi avere dal Popolo nella Guardia Municipale, e che le mancherebbe, qualora questi sciagurati, indegni di appartenervi, andassero anche questa volta impuniti. I Maggiori Magagnini, il Frisiani, e il Mastacchi hanno cimentato la loro parola in questo affare. Agiscano; chè altrimenti ne va del loro onore. Ogni buon Livornese deve vergognarsi di convivere nelle stesse cerchia e di chiamarsi concittadino di uomini così indisciplinati e ribelli come sono cotesti Municipali373.» La pubblica indignazione levandosi a danno loro, altri non potè assumerne le parti di protettore e avvocato; figli di predilezione erano essi, ma sul momento fu mestieri abbandonarli, bensì con fiducia poterli restaurare dello smacco largamente ed in breve. Il Governatore, verso le ore due pomeridiane del giorno 13, annunzia i Municipali disarmati essere stati tradotti in Fortezza; «chiedere intanto essere autorizzato a inviarli a Pisa per essere ivi custoditi e giudicati; implora molta indulgenza e sollecita, non senza però il più ampio apparato di Giustizia374.» Fu il richiamarlo risposta. La Fazione sentendosi percossa, prorompe in aperte minaccie; Pigli torna a Livorno; una parte del Popolo tumultua, e intende impedirne la partenza375; ma egli ormai privato del comando, increscioso a molti per le sue avventate parole, a parecchi ancora dei suoi partigiani caduto novellamente in fastidio pel non degno abbandono del Colonnello Reghini, comprende essere migliore partito per lui abbandonare Livorno riducendosi a Firenze: quello che vi venisse a fare lo dichiarano i Documenti officiali dell'Accusa; egli venne a osteggiare il Governo, nelle Assemblee e fuori, istando ardentissimo perchè la Repubblica e la Unione con Roma si proclamassero.

Nel giorno 14 marzo stavano radunati nella mia stanza i signori Montanelli, Mazzoni, Pigli, Reghini, e D'Apice, a cui Reghini su la prima giunta aveva esposto per filo e per segno com'erano andate le cose. Io invitai il Colonnello a contestarle in presenza al Governatore; ma egli, si peritasse per gentilezza, o per altro motivo, si andava tuttavia schermendo: allora lo confortai a favellare senza ritegno; poichè la sua sentenza adesso suonava diversa dalla manifestata testè.... nella stessa mattina al suo Superiore. Egli, fattosi animo, confessava essere stato abbandonato pur troppo alla furia popolare dal signor Pigli, e nel venire tratto giù per le scale avere creduto arrivata la estrema ora per lui. Il Pigli si scusava affermando avere adempito a quanto era in potestà sua di fare. Congedati il Generale e il Colonnello, gli palesai aperto non lo potere più oltre conservare in Livorno; e siccome i miei Colleghi assentivano al detto, egli si piegò a dimettersi ponendo innanzi certe sue pretensioni di pecunia, le quali lasciai che altri regolasse con lui, contento ch'egli dal governo di Livorno ad ogni modo cessasse.

La Guardia Municipale ebbe a venire in Firenze e sottomettersi; a Livorno proposi una Commissione governativa composta dei signori Fabbri, Pappudoff, e Manganaro376. Certo, Luigi Fabbri fu soldato prestantissimo, e dei primi della guerra della Indipendenza; e spesso (chè spessissime volte col fine di bene inculcarlo nella mente degl'ignavi ascoltatori ei lo disse) con l'orgoglio che ogni concittadino sente in cuore pei forti detti e pei generosi gesti dei suoi compatriotti, lo udii, e ben mille altri meco lo udirono ripetere le parole con le quali, tutto infiammato, usciva nella Seduta del 23 gennaio 1849: «Tra questi v'è un uomo, e sono io, che, all'istante nel quale fu dichiarata la guerra, prese le armi, e, senza diffondersi in vane parole o in semplici grida sulle pubbliche piazze, o in esagerati concetti per istrappare l'applauso dal sentire generoso del Popolo, ha pugnato nella guerra della Indipendenza, ed ha affrontato la morte; e non solo ha affrontato la morte lasciando teneri figli ed amata consorte, ma adesso dichiara, in presenza a tutto questo onorevole Consesso, che ritornando le armi nostre su i campi lombardi, sarà pronto di nuovo a cingere la spada377.» - Ma non per questo allora poi fu Repubblicano il Fabbri, e, se ne avesse bisogno, gliene potrei far fede; e il signor Pappudoff nemmeno, comecchè amico delle oneste libertà. In quanto a Giorgio Manganaro, basti dirne questo: che la parte faziosa lo ebbe ad oltraggiare con la brutta minaccia: «Devi fare come il Pigli, o ti butteremo dalla finestra378

Tutte queste cose io volli dire seguitatamente, affinchè si comprendesse come, amici Pigli e La Cecilia una volta, meco una volta concordi per sostenere e promuovere gl'interessi del Principato Costituzionale toscano379, poco oltre l'8 febbraio, acconsentendo ad altre persuasioni, gli avessi prima segreti, poi alla scoperta avversarii. Da Firenze in prima si estorcono commissioni onde al Governatore di Livorno sia fatta abilità di eseguire, con nome e credito governativi, ufficii contrarii alla mente del Governo; a suo arbitrio estenderli; a norma degli ordini di tale che in quei giorni troppo più di me poteva, ed era obbedito, applicarli; indi a breve, nemmeno gli ordini si aspettano o si cercano; e già in Livorno spunta costituito il Governo, che, passandomi sul corpo, si augura la Repubblica, la Unione con Roma, e la Decadenza del Principe proclamate. Così vedremo con quanta diligenza e pertinace volere da una parte, difficoltà e pericolo dall'altra, pervenni di mano in mano a contenere la Setta, che dello intero Popolo toscano piccola parte, ma prepotente di audacia e di gagliardía, mentre attende cupidissima a sospingere il Paese nella Repubblica, non si accorge precipitarlo fra gli orrori rivoluzionarii nell'anarchia.

Secondo l'ordine dell'Accusa succede la lettera scritta nello stesso giorno 14 febbraio a Tommaso Paoli, consigliere della Prefettura di Pisa, la quale, comecchè dettata nelle condizioni medesime di tempo e di luogo, forza è che si giustifichi con le ragioni addotte in proposito del Dispaccio al Governatore Carlo Pigli. E dove si ricerchi argutamente la materia, tu vedi in cotesta lettera espressa la traccia di pressura attuale. Invero, ricordisi quanto nel § della Dimostrazione provai con la testimonianza dei Giornali, voglio dire le Deputazioni dei Circoli una succedentesi all'altra nel giorno 13 febbraio, e con quanta mansuetudine oggimai è manifesto, per essere ragguagliate di quanto sapeva e operava; e allora si comprenderà come, per ischermirmi dall'accusa di negligenza (e insinuavasi tradimento), rimproverato, rimprovero di essere lasciato privo di novità. Ancora: il linguaggio che correva su per le bocche degli uomini in quei tempi, ed usavasi nelle scritture, nelle petizioni dei Circoli, ed in quel punto si favellava dalle persone che mi stavano al fianco, forza è che trapassi nel Dispaccio, siccome nel Dispaccio dell'8 febbraio fecero passaggio le parole: «il Principe è decaduto;» e oggimai per mille documenti è provato com'io questa decadenza conflittassi e impedissi. Finalmente, quantunque commosso dalla presenta perturbazione, bene ordino radunarsi uomini, ma parte inviarsi a Lucca, e parte tenerne a disposizione del Governatore di Livorno, il quale a sua volta aveva a dipendere dal Generale D'Apice, come fu dimostrato di sopra.

Ora l'Accusa (ma di siffatti studii non si occupano le Accuse) se avesse desiderato chiarirsi, poteva mettere a parallelo degli atti che incolpa, altri atti che pure ella raccolse nel suo Volume, e confrontando avrebbe acquistato la conferma (dove facesse mestieri) della patita coazione. E innanzi tratto io pongo il Dispaccio mandato allo stesso Consigliere Paoli, dove lo avviso della infermità sopraggiuntami, ed in bel modo lo conforto a procedere prudentemente e con temperanza grandissima, a impedire ingiurie ed offese, a rendere amabile la libertà proteggendo tutti, e conservando il diritto ordine fecondatore del vivere civile380. - Di molto maggiore importanza apparisce l'altro Dispaccio del pari indirizzato al Consigliere Paoli:

«A buono intenditore poche parole. - Armatevi - armatevi - armatevi. - Esaltate i soldati; - non abbiamo bisogno del giuramento, - ma pure se lo prestano meglio che mai.

Bisogna che diate forza al Partito democratico di Lucca.

Non si precipiti nulla in quanto a Repubblica.

Perchè tutta Toscana ha da esprimere il suo voto.

Perchè Francia e Inghilterra, stando così, proteggono da invasione straniera; - se no, abbassano le armi, e abbandonano il Paese: giudizio dunque. Partecipi agli amici, non che al Prefetto, se crede

E sapete voi quando io dettava cotesto Dispaccio? Il 13 febbraio 1849 nelle ore pomeridiane, e per tal modo poco tempo innanzi che per me si scrivesse il Dispaccio incriminato. Voi lo vedete adunque: intorno al giuramento non metto sollecitazione veruna, anzi dichiaro non averne bisogno; raccomando impedirsi la Repubblica; ammonisco intorno ai pericoli non mica transeunti, bensì permanenti, e tali da non iscomparire da un giorno all'altro dove sconsigliatamente si proclamasse; tra siffatte disposizioni dell'animo mio manifestate nel 13 febbraio, ponete le strette e le violenze, che in parte vennero raccolte nel § della Dimostrazione; e si abbiano anche i più diffidenti prova non dubbia della sofferta pressura. Le discrepanze, o meglio le contradizioni fra il Dispaccio del 13 e l'altro del 14 febbraio, somministrerebbero di leggieri materia a lungo discorso: io però amo il lettore di per stesso le senta, piuttosto che andargliele ad una ad una enumerando partitamente io.

Per quanto in queste angustie mi è dato, ricorderò alcuni pochi atti, onde il paragone sempre più riesca convincente. Nel giorno 8 di febbraio 1849, instituisco una Commissione, perchè provveda alla custodia dei mobili tutti appartenenti al Granduca, ond'egli (se la fama mi porge il vero) ebbe a dire a Sir Carlo Hamilton, delle cose sue non avere perduto la più piccola; nel 9, alla domanda (ed era minaccia): «nasce dubbio nel Pubblico, che la proclamazione del Governo Provvisorio Toscano abbia fatto cessare le attribuzioni dei pubblici funzionariirispondo sollecito dopo pochi minuti: «il dubbio non è fondato; stieno al posto; chè il mandato dura finchè non sia revocato381.» Chiunque attende a mutare forma di Governo, non ne conserva la organizzazione e gli ufficiali; ma quella immediatamente disfa, questi licenzia. Nel 10, riavutomi alcun poco dallo sbigottimento, malgrado la decadenza del Principe proclamata dal Popolo l'8 febbraio, e malgrado che io pure fossi costretto a scrivere quella parola in quel giorno, annunzio:

«Cittadini. - Abbandonato il Paese a stesso, noi fummo dal Parlamento toscano e dal Popolo eletti custodi della pubblica sicurezza. Fermo proponimento nostro è mantenerla, e difenderla. I Cittadini cui preme la Patria si stringano intorno a noi. Chiunque con fatti o detti attenta alla salute pubblica, commette scandali, ed eccita la guerra civile, sarà considerato traditore della Patria, e come tale punito. - Firenze, 10 febbraio 1849

Il giorno seguente, osando di più, il Governo dichiara: suo primo dovere consistere nel mantenere la pubblica sicurezza; in quanto alle sorti toscane, aversi queste a decidere dalla intera Nazione col mezzo dei suoi Deputati; rispetterebbe allora il Governo le volontà del Popolo sovrano: - con le quali sentenze davo ad intendere senza ambage, che tutto quanto era stato deliberato da parte del Popolo a Firenze io riteneva per irrito, e come a cosa di nessun valore ricusavo sottopormi: la universa Toscana, debitamente interrogata, disponesse di :

«Dopo che la Toscana fu priva di uno dei tre Poteri dello Stato, fu eletto dal Popolo, e confermato dal libero voto delle Assemblee, un Governo Provvisorio. Primo ed ultimo dei doveri di questo doveva essere la tutela dell'ordine pubblico. A tanto dovere non mancherà mai questo Governo, finchè gli bastino tutte le sue cure, e tutto stesso.

Ai Toscani poi tutto il diritto, e il dovere insieme di decretare la forma che ha da prendere lo Stato. Quando i Deputati eletti liberamente per universale suffragio avranno espresso la volontà loro, il Governo Provvisorio darà primo lo esempio della più perfetta obbedienza ai voleri del Popolo Sovrano. - Firenze 11 febbraio382

Finalmente il giorno 14 di febbraio, il giorno stesso del Dispaccio incriminato, faceva scrivere dal Segretario Marmocchi al Governatore di Portoferraio: «sa peraltro che se il Principe è partito, non è decaduto383

Nel giorno 10 febbraio, considerando la miseria a cui la partenza del Principe riduceva i suoi familiari, e compiacendo ai desiderii di lui, decreto:

«Tutti i Cittadini che fin qui appartenevano al servizio del Principe, riceveranno provvisoriamente la loro pensione a carico della Depositeria Generale, finchè il Governo non abbia trovato il modo di sistemarli convenientemente

Nel giorno 11 febbraio, così imponendo i proconsolari ordini della Setta, decreto, che il regio Palazzo della Crocetta sia destinato ad ospedale degl'Invalidi; più tardi, si è veduto, i novelli Municipali vanno di proprio arbitrio a rinnuovare ai Custodi la minaccia dei veterani di Augusto ai possessori degli agri italici: veteres migrate coloni; ma segretamente dispongo non s'innuovi384. Nel giorno 11 febbraio, ricercato il Governo dal Governatore di Livorno, se i soldati mossi da quella città per Firenze avessero a proclamare la Repubblica, risponde: chiamarsi pel mantenimento dell'ordine, non già per dimostrazioni politiche, le quali dovevano all'opposto con ogni studio prevenirsi385. E qui mi sia concesso notare, onde si conosca quanta sia stata la umanità mia, e la cura indefessa, perchè nefande discordie tra la famiglia toscana non insorgessero, o insorte appena posassero, la esortazione rivolta nel medesimo giorno al Governatore Pigli: «Si raccomanda la buona condotta passando per Empoli. Si rammentino, che gli Empolesi, momentaneamente traviati, sono fratelli386

, quantunque poco faccia alla materia in questo punto discorsa, io mi asterrò da riportare un Dispaccio telegrafico da me dettato il 16 febbraio, relativo ai Veliti. - O voi non degni soldati di questo corpo onorevole, e da me onorato, che veniste a inacerbirmi il carcere di San Giorgio dicendomi improperii sotto le cieche finestre, o minacciando traverso le porte, io non voglio rammentarvi, che per me, assentendo ai desiderii vostri, dagl'ingratissimi ufficii di Polizia foste rilevati; e neppure, che sopra ogni altra milizia Toscana otteneste prerogative, e soldo; queste cose accennerebbero, per avventura, a provocare la vostra riconoscenza; ed io ve ne dispenso. Leggete, vi scongiuro, più che con gli occhi col cuore, il mio Dispaccio del 16 febbraio, ed imparate che cosa sieno amore di cittadino e carità di Cristiano. - Avvertito, da Pontedera, come alcuni Veliti per timore di minaccia fuggissero via, così gravemente ammoniva:

«Invece di accomodare, arruffate. Qui i Livornesi hanno fatto pace co' Veliti; a Pontedera gli minacciano; sicchè questi fuggono. I Veliti sono il miglior corpo che abbiamo. Bisogna che voi gli richiamiate, e subito fate pace, e sincera. Con questi modi prevedo guai grandi. Siamo tutti fratelli; se non l'amore, ci stringa il pericolo comune387

Quando lo insulto si posa sopra le labbra del soldato, il valore leva le tende dall'anima sua.

Correva il giorno 12 febbraio, quando una moltitudine di Popolo, traendo a furia su la Piazza del Granduca, si accinse a piantare l'Albero della Libertà, e con infiniti schiamazzi chiedeva il Governo, affinchè l'atto approvasse, e lodasse. Mi presentai solo, e solo mi attentai a contrastarlo, e lo chiamai prepotenza diretta a costringere gli altri Toscani, i quali forse lo avrebbero consentito, ma non erano presenti per farlo: appartenere al libero voto di tutto il Popolo toscano, radunato in Assemblea il 15 del futuro marzo, decidere su la forma del Governo388. - Quale concepisse rancore la Fazione assai dimostrammo, e più dimostreremo, se Dio ci aiuta; però nonostante le mie parole, tornava più tardi, e lo volle piantato sotto i miei occhi, quasi in dispregio di me. Siete chiariti adesso, che sempre, tutto quello che desiderava non fatto, mi riusciva impedire? L'Accusa impenitente sussurra: lustre per parere; opere volpine per istare apparecchiato ai successi futuri. Sta bene; ma egli è forza convenire, che mentre provvedevo alle probabilità future, correvo temerario il pericolo di rimanere oppresso nelle contenzioni presenti: e questo io non vorrei rinfacciare l'Accusa per non avere fatto, ma vorrei, che un cotal poco più onesta ella fosse nel darmi merito per averlo fatto io.

meno importa allegare in mia difesa il Decreto dei Commissarii da inviarsi nelle Provincie, che compilato dal sig. Mordini, firmai il 14 febbraio, avvegnachè in esso non si faccia pur motto di Repubblica, di altro attenente a forma di Governo, bensì di risvegliare i sensi generosi della Nazione, mettere a profitto i mezzi sparsi in tutto il Paese, facilitare il fornimento delle Guardie Nazionali, lo scriversi dei Volontarii alla milizia; raccogliere insomma in uomini, in bestie, in danari, e in arnesi, quel più che la diligenza loro avesse potuto ottenere dai Municipii toscani.

Ora tutte queste paionmi prove evidentissime della mia reluttanza a operare cosa che tornasse ostile al Principato Costituzionale, però che da me pendesse unicamente consumarne l'abolizione; e se questa allora e poi contrastai, stupido concetto è pretendere, che al punto stesso io la provocassi e volessi.

 

pentere e volere insieme puossi,

Per la contraddizion che nol consente. (Dante, Purg., III.)

Lo dice anche il Diavolo, ch'è pure il Procuratore Regio nell'altro mondo!

Appartiene, per ordine di data, a questa sede del nostro discorso la lettera che l'Accusa senza altro impaccio afferma da me spedita al conte Del Medico; ne favellerò in altra parte: intanto importa fino d'ora avvertire, ch'ella non è punto una lettera mandata, bensì semplice nota posta sotto la missiva di cotesto Delegato: il che suona troppo diverso. E qui pure, se non per ragione di data, per connessità di materia, dovrei esporre i motivi delle note, che si afferma di mio carattere scritto sotto le lettere del 12 e 17 febbraio 1849, la prima del Consigliere di Prefettura, la seconda del Prefetto di Grosseto; ma poichè esse vengono governate da altra serie di fatti, io penso con migliore consiglio favellarne dove di questi fatti terrò ragionamento. Chiuderò piuttosto, prima di passare ad altro, col proseguire la storia dei sospetti e degli eccitamenti contro la mia persona, mossi dalla Fazione dei demagoghi dai primordii del Governo Provvisorio fino a questi tempi, e poi purgandomi dall'accusa della persecuzione esercitata contro i Sacerdoti.

Nel 9 febbraio, a nome della Fazione, intimasi il Governo a spogliare gli abbienti del superfluo, e a distribuirlo fra il Popolo; ai colligiani, alle femmine, agl'impiegati tolga le pensioni mal date e peggio ricevute, e subito, perchè già in qualunque Governo sarebbe sacramentale dovere, ma in quello che regge, dura, vive e respira per volontà di Popolo, è condizione di vita, necessità. dica domani, no: domani potreste non essere più vivi...389

Della inquieta polizia dei Circoli somministrano prova i Documenti dell'Accusa in data dell'11 febbraio, con l'ordine di vigilare i palazzi, e la taberna di alcuni cittadini390.

Nel giorno 13 febbraio, la Emigrazione Lombarda minaccia prossima l'accusa davanti il Popolo, per la colpevole inerzia con la quale avevo poltroneggiato fin 391.

Nel 14 il Monitore del Circolo, me e i miei colleghi bandisce Governo austriaco, se, dubitando, indugiamo più oltre a proclamare la decadenza del Principe392.

Nel giorno stesso, pel medesimo Monitore rimango avvertito che il mio mal sonno di tre giorni (la Emigrazione Lombarda vedemmo, che lo calcola di sei) mi tornerebbe fatale, avvegnachè io giuocassi della mia testa393.

La mia opposizione al piantare l'Albero è denunziata al Circolo, da quello con parole crucciose avvertita, e minacciosamente dal suo Monitore propalata394.

Con pari cruccio, e pericolo anche maggiore, la Emigrazione Lombarda avvisa il collegio repubblicano essere stata da me freddamente accolta la Deputazione venuta a instare, affinchè la Repubblica senz'altro indugio si proclamasse395.

Scellerata cagione di sangue, me furibondi designano alla pubblica vendetta, perchè relutto a dichiarare la Repubblica, la decadenza del Principe, e la Unione con Roma396.

Questi, ed altri tali, erano dardi avventati ad hominem, dacchè, bene o male che il credessero, demagoghi e Repubblicani pensavano essere io impedimento unico a conseguire il termine estremo degli sforzi loro397, senza il quale, assai più esperti dell'Accusa, tenevano non avere conquistato nulla, e riposta ogni cosa in compromesso. L'Accusa, tetragona ai colpi di paura, scriveva, dentro la sua stanza, nel gennaio del 1851, a canto al fuoco, gli usci diligentemente serrati: - lievi prove di coazione sono coteste, anzi non sono prove, e, meglio meditandovi sopra, piuttosto sono prove escludenti qualsivoglia violenza! - Ma, Dio eterno, che cosa pretenderebbe l'Accusa? che io, in prova della violenza patita, le portassi davanti la mia testa mozza come Beltramo da Bornio398? Atroce patto ella pone alla sua fede, se non si contenta di altro che di gole squarciate, e di cuori fessi! L'Accusa non tace che alla prova del cataletto...

Le manifestazioni di animosità della parte repubblicana, a me particolari, sono venuto con prove espresse raccontando durante il mio Ministero, e nei primi giorni del Governo Provvisorio; vedremo a mano a mano crescere in breve, e prorompere alfine in manifesta accusa di traditore.

Da me altri non aspetta (e non mi sento tale da farne) proteste di devozione serotina: io parlo piuttosto con la coscienza del testimone, che con lo zelo del difensore. Però, innanzi tratto, dichiaro, ch'eletto a tutela della pubblica sicurezza, io non solo non mi reputerei colpevole di avere adoperato contro i Sacerdoti, secondo i meriti loro, ma all'opposto mi terrei colpevole per essermene astenuto. Forse i Sacerdoti presumono esercitare il privilegio del delitto? Chi questo crede, gl'insulta. La santità del carattere e lo istituto sublime impongono loro augumento di carichi, ed essi lo sanno, non già dagli assunti doveri gli assolvono. Cristo senza sacrilegio può essere tolto a segnacolo di fazioni contrarie; egli sente misericordia di tutti; per chi piange, ed anche per chi fa piangere. Monsignore D'Affre, inclito martire della fede cristiana, quando si avventurò tra i furori della battaglia cittadina, non andava già a rafforzare questa parte o quella; finchè cristiani uomini gli uni contro gli altri combatterono, egli gridò: - «forsennati! forsennati!» e li conteneva; quando cadevano, egli gemè: - «infelici!» e gli andava soccorrendo; quando fu piagato di mortale ferita, ei li chiamò: - «figliuoli!» e li benedicea. - Chi davanti a Sacerdoti siffatti non s'inchina? - I Sacerdoti commettitori di scandali e di risse, già più Sacerdoti non sono; la Chiesa, pel carattere che rivestono, bene domanda sia proceduto contro loro con certi riguardi, ma essa prima e più severa di tutti acerbamente gli accusa. Ciò premesso, io dichiaro, non avere mai dato ordine che si arrestassero Sacerdoti. Mentre fui Ministro dello Interno, feci chiamare, come altrove ho notato, alcuni Preti ed alcuni Frati, e gli ripresi del poco amore che portavano alla Patria, del costume pessimo, e dello sviarsi dietro a cose umane che non ispettavano loro, con iscapito grande delle divine a cui erano unicamente commessi; non però gli arrestai, in altro li volli mortificati. Durante il Governo Provvisorio non adoprai modi diversi; anzi, ricordo come certa volta presentatisi avanti il Ministro dello Interno alcuni Sacerdoti, udii riprenderli, perchè si mostrassero avversi alla Costituente, e andassero dissuadendo la difesa del Paese; e dico averli uditi riprendere, dacchè non erano stati punto chiamati per ordine mio, e nello ufficio del Ministro io penetrava a caso. Senza profferire parole, in disparte ascoltai le discolpe loro; poi fattomi presso ad uno che al sembiante mi parve più giovane degli altri: - «Io non so, Reverendo, incominciai ponendogli la mano destra sul braccio, io non so, Reverendo, perchè voi non dobbiate amare la Patria; anzi non so perchè voi non la dobbiate amare più di noi.» E il degno Sacerdote con atti e parole vivaci rispose: «Io amo il mio Paese al pari di ogni altro. Rispetto alla Costituente Italiana, la mia coscienza mi vieta aderirvi; ma in quanto a difendere la mia Terra dalle invasioni straniere, da Sacerdote le affermo, che prenderei l'arme, e verrei a farlo io stesso.» - Allora gli strinsi la mano, e conchiusi: «E tanto basta, mio degno Sacerdote,... tanto basta.» - Quando mi verrà concesso esaminare gli Archivii, ritroverò il nome e la condizione del Prete399. -

Superiormente alla tristizia dei tempi, trovarono in me i Sacerdoti continua ed efficace tutela. Di ciò provare mi porge abilità la cortesia dell'Arcivescovo di Firenze, il quale, da me richiesto, mi rimetteva la copia autentica della lettera che io gl'indirizzava il 2 aprile 1849:

«Monsignore.

Io vorrei pregarla, Monsignore, ad avere la compiacenza di significarmi se V. S. Rev.ma intende per le imminenti solennità celebrare in Firenze.

Nel mentre che io vado persuaso che V. S. Rev.ma si penetrerà di quanta pace e di quanta consolazione sarebbe la sua presenza in mezzo al suo ovile, mi permetterei aggiungere le mie preghiere caldissime onde ciò abbia effetto.

So bene che V. S. Rev.ma non si tratterrebbe punto nello esercizio delle sue sacre funzioni per sospetto che potesse concepire; pure vada convinto, che finchè duri nello arduo uffizio che mi fu confidato, saprò e vorrò mantenere severamente la reverenza che si deve a tutti gli Ecclesiastici in generale, e in particolare alla sua degna persona.

Di Lei, Mons.re Reverend.mo

(L. S.) Li 2 aprile 1849

Devot.mo

Guerrazzi

 

E già io gli aveva dirette altre due lettere in risposta alle sue, con le quali mi domandava protezione per lo esercizio delle sue episcopali prerogative. Quantunque egli abbia smarriti gli originali, non ha mancato il degno Arcivescovo, con esempio di rettitudine generoso, non per anche imitato da tutti quelli nei quali io maggiormente confidava, di sovvenirmi nelle dure strette in cui mi trovo con lo aiuto delle sue reminiscenze, come si conosce dal seguente attestato:

«Attesto per la pura verità, che nel tempo da me trascorso alla Badia di Passignano, dopo le tristi vicende che mi costrinsero ad abbandonare questa Capitale, oltre una terza lettera già da me rilasciata dietro richiesta delle Autorità Giudiciarie, io ne ricevei pure altre due direttemi dallo stesso signor Avv. F. D. Guerrazzi, in allora Capo di quel Governo Toscano, nelle quali, con espressioni le più ossequiose e rispettose, mi diceva ch'egli approvava pienamente le misure da me prese di relegare all'Alvernia i due Sacerdoti *** *** come propagandisti di dottrine eterodosse, e mi protestava che sarebbe stato sempre deferente all'Autorità Episcopale, promettendo, fintantochè egli fosse stato a capo del Governo, favore, protezione e sostegno pel libero esercizio della medesima.

Non avendo io tenuto conto di dette due lettere, e venendomi esse richieste dallo stesso signor Avv. F. D. Guerrazzi per interesse della sua difesa, ho stimato mio dovere di manifestarne il sentimento, e rilasciarne il presente certificato.

In fede ec.

Dal Palazzo Arcivescovile di Firenze,

(L. S.) Li 11 marzo 1851.

Ferdinando Arcivescovo di Firenze

E queste sono nobili parole: in prigione non posso devo fare più lungo sermone. Allora la lode è turpe per cui la profferisce, e senza onore per cui la riceve, quando possa sospettarsi che muova da viltà o da paura. Miseria non ultima del carcere, dove il biasimo ti viene ascritto a furore, la lode ad abiezione. La virtù nella comune estimativa del mondo sta abbracciata con la fortuna.

E, non diverso dall'Arcivescovo di Firenze, il Vescovo di Milto Ordinario a Livorno, con lodevole premura porgeva anch'egli testimonianza di averlo io sostenuto, affinchè in negozio dilicato l'autorità sua fosse obbedita.

«I Signori *** *** presentandosi come incaricati del signor Avvocato F.-D. Guerrazzi mi richiedono di uno attestato, che stia a constatare qualmente il medesimo mentre dirigeva il Ministero dello Interno si prestò ad appoggiare la mia Autorità di Ordinario in emergente dilicato, interessante la moralità e la coscienza, ed io non posso ricusare un tale attestato, in quanto che è vero, che in circostanza come sopra fui dal suddetto signor Guerrazzi utilmente coadiuvato. Ed in fede

(L. S.) Livorno, 26 luglio 1851.

Girolamo, Vescovo di Milto

 

già si creda, che senza mio sommo pericolo fossero i soccorsi, che, secondo l'obbligo mio, dava allo Episcopato per lo esercizio delle sue legittime prerogative, e la preghiera al fiorentino Arcivescovo, che con la presenza e i riti la religione commossa confermasse. Un cartello infame fu affisso nel giorno terzo o quarto di aprile all'Albero della Libertà, piantato in Piazza del Duomo, e fatto remuovere vi ricomparve più volte, il quale diceva così: «Due traditori (il primo era io, il secondo Monsignore Arcivescovo) si sono dati la mano per tradire il Paese; si muova il Popolo, e si dia la meritata pena, prima che gli scellerati disegni sieno compiti.» A vero dire io non ebbi mai l'onore di favellare con lo Arcivescovo; ma non importa; noi cospiravamo insieme per tradire il Paese. In quanto al soggetto cui accenna l'attestato di Monsignore Vescovo di Milto, mi dichiarò mortalissima guerra; scriveva lettere ortatorie perchè mi si spingessero contro come a un verro di macchia, perchè traditore della Patria, venduto ai tiranni, col corredo delle consuete ribalderie, che i ribaldi costumano. La Polizia sorprese una di queste lettere, e svelò come anch'egli partecipasse alle trame del Frugoni di cui ho parlato a pag. 369 di questa Apologia. Longanime come è mia natura, non uso a tremare, e per paura offendere, tardo a muovermi quanto più in grado di accompagnare il baleno del volere col fulmine del fare, io mi restrinsi a spedire la lettera intrapresa del tristo Prete a Manganaro, ordinandogli di depositarla negli Archivii della Polizia, e sorvegliare, e sfrattare il Frugoni400.

Ma tornava al benevolo disegno della Accusa raccontare di Preti imprigionati e di Arcivescovo offeso, me annuente o impotente. Ciò non pensava il Vescovo di Livorno, e molto meno lo Arcivescovo di Firenze, che a me ricorrevano per protezione in tempi anche più torbidi, e la ebbero, però che io con tutti i nervi mi vi adoperassi. Ma che importa questo? Ciò che si dimostra lo Arcivescovo non avere mai pensato, pensa l'Accusa; e non solo lo pensa, ma lo rimprovera, e ne forma subietto d'imputazione.

L'Accusa fonda il rimprovero: sopra taluni ordini spediti l'8 febbraio 1849, dove leggonsi l'espressioni: «Si vuole ovunque mantenuta la pubblica tranquillità, ed energicamente represso ogni tentativo reazionario contro lo attuale ordinamento, se vi fosse tanta stoltezza da tentarlo. I Parrochi in ispecie, e Preti in generale, debbono rigorosamente guardarsi, e ove costoro, o chiunque altro, si cogliessero in fallo, sieno irremissibilmente carcerati e processati sopra una lettera del 19 febbraio che dice: «Se trova Preti renitenti o traditori, è tempo finirla; si arrestino questi indegnissimi figli della Patria e di Cristo, e si mandino legati a Firenze. Non ammettiamo esitanza, dubbio, od osservazione in contrario: sotto la responsabilità sua, si leghino e mandino in Firenze

Mi rifarò dal documento secondo. Le osservazioni, che questa lettera ignoravasi a cui fosse mandata; se spedita; da cui scritta; e da cui firmata, - conciossiachè le firme del signor Montanelli e mia non appaiono di nostro carattere, e il corpo della lettera neppure, come neanche di persone addette alle Segreterie, di familiari nostri; tutte queste osservazioni, almeno per quello che sembra, hanno persuaso l'Accusa a dubitare un tantinetto intorno alla autenticità di cotesto documento: però io mi stringerò a dichiarare in istil breve e succinto, che di questa carta io non devo dire nulla. Per qual motivo poi, con mille altre di pari natura, l'abbiano stampata nel Volume, pende il giudizio incerto. Alcuni sostengono, che la Istruzione dapprima si avvisasse apparecchiare il caos, onde i Giudici poi, quasi divini, dicessero: «si faccia luce,» e luce si facesse; - altri opinano, che ella intendesse fornire un saggio della intelligenza e della prestanza di taluni impiegati toscani; e si maravigliarono perchè il Volume dei Documenti non fosse spedito, con tante altre rarità, alla Esposizione di Londra.... ma, spicciandosi, sarebbero sempre a tempo; - altri, altra cosa dichiarano. Intanto stampano lo Indice, ottima giunta alla buona derrata, perchè accuratamente compilato, con diligenza elzeviriana corretto, sicuro nelle indicazioni; per sugosi sommarii, e soprattutto precisi, veramente esemplare;... questa opera inclita in ogni parte armonizza401! - Favelliamo di altro. E quanto espressi sul documento secondo dovrebbe giovarmi anche pel documento primo, dacchè non sia scritto firmato da me, sibbene dal solo Segretario signor Allegretti. Ma il Segretario Allegretti, ricercato con lettera intorno alle ragioni del Dispaccio, risponde per lettera quello, che già abbiamo letto a pag. 289 di questa Apologia. Quando il signor Segretario sarà richiamato, come diritto vuole, non dubito punto nella rettitudine sua, ch'egli vorrà rammentarsi come mostrando nel volto dolore, gli domandassi che avesse, ed avendomi manifestato la repugnanza sua a scrivere disposizione siffatta intorno ai Parrochi, io gli rispondessi: «ed ella non la metta.» Se non che altri intervenne, e disse con impeto: «che importa a lei? Faccia il suo dovere, e obbedisca.» Ma queste cose non importa sapere all'Accusa.

Il Manifesto alla Europa afferma che il Governo non mandò armati a cacciare S. A. da Porto Santo Stefano, e, tranne alcuni pochi Municipali, nessuno; e dichiarò eziandio non essere mai stato instaurato in Toscana il Governo Repubblicano. Questo trovammo a prova essere vero esattamente, se ai Municipali aggiungi i quattordici artiglieri, quantunque rispetto a me non sapessi degli uni degli altri. Però non vuolsi revocare in dubbio che le voci corressero diverse dal vero, siccome vediamo per ordinario accadere; se per forte mano vogliasi intendere la colonna Guarducci, ella, come chiarii, era spedita da me, da altri del Governo, e veniva nel giorno 18 richiamata a Livorno, e rivolta verso il contado lucchese; se per capi stranieri D'Apice e La Cecilia, il primo non si mosse da Empoli, e ricusò il comando; a La Cecilia non fu commesso dal Governo ufficio di sorta, leggo avere operato cosa alcuna, tranne bandire proclami, proporsi di capitanare le milizie civiche della Maremma, e, non rinvenuto il terreno molle, data una gira-volta, tornarsi a Livorno prima del 20 febbraio. Il cannone di Orbetello bene salutò la Repubblica, ma la Repubblica in Toscana non era; per la quale cosa il Manifesto alla Europa non ismentendo (come inesattamente scrive il Procuratore Regio del Tribunale di Prima Istanza di Firenze, a pag. 23 della sua Requisitoria) le cannonate di Orbetello, disse a ragione erroneo il supposto, che la Toscana, decretata la decadenza del suo Principe, si fosse costituita a reggimento repubblicano.

E perchè si conosca a prova quanto il mal genio dello errore abbia presieduto a questa opera infelice della Magistratura toscana, noterò come il Regio Procuratore rammentato adduca a conferma di un fatto vero una prova falsa. Veri gli spari di cannone ad Orbetello il giorno 20 di febbraio; non vero, che ne faccia fede il Dispaccio, allegato dalla Requisitoria, di Carlo Pigli; ed è evidente. Il Dispaccio del Pigli apparisce dettato il 22 febbraio a ore 5, m. 45 pom., e dice: «ieri a Grosseto e a Orbetello fu grandemente festeggiata la Repubblica con sparo di artiglierie ec.;» lo ieri del 22 pare quasi sicuro (a meno, che non lo voglia contrastare il signore Paoli) che sia il 21: però, stando a questa prova, il Procuratore Regio del Tribunale di Prima Istanza di Firenze ci vorrebbe dare ad intendere, che S. A. sentisse nel 20 febbraio i colpi di cannone sparati il 21!!! Ma queste le sono baie.

 

Verum ubi plura nitent in carmine, non ego paucis

Offendar maculis.....

 

Nonostante, quando si agita del sangue e della fama di un uomo, uno scrupolo più di coscienza non parrebbe che potesse guastare la ricetta.

Onde sieno completi gli schiarimenti sul Manifesto alla Europa, dirò che fu composto sul principiare del marzo. Ora, mantenendo viva (come sarà provato fra poco) la Legge Stataria in Firenze per prevenire uno sconvolgimento in senso repubblicano, chi scrisse cotesta carta, la quale comparisce vergata da mano non mia, per certo reputò nella sua prudenza necessario, e lo era, insinuarvi qualche parola vaga la quale trattenesse gli arrabbiati da darsi alla disperazione; imperciocchè i disperati tutti sieno temibili; i politici poi, tremendi: e questo vedemmo, e tutto giorno vediamo. Niccolò nostro lasciò ai Partiti un buono insegnamento, di cui, se volessero seguitarlo, questi potrebbono avvantaggiarsi non poco; ed è: - che bisogna contentarci del vincere, e schivare lo stravincere. - io avrei potuto contrastare coteste frasi senza venire ad aperta rottura coi Colleghi, mettendo da capo a repentaglio ogni cosa; molto più se si avverta, che il Partito Repubblicano durava sempre abbastanza gagliardo da consigliare il mantenimento della Legge Stataria per contenerlo; e dall'altra parte, che incominciando a stringere il tempo della convocazione dell'Assemblea, urgeva per me tentare il provvedimento supremo di riporre in mani toscane la sorte della Toscana; il quale con buona fortuna (altri dirà, se con senno ed ardire) mi venne fatto operare col Decreto del 6 marzo. Io non mi sentiva uomo, per poche parole senza costrutto, mettermi in avventura di sconciare le cose. Come poi devansi giudicare la parole espresse in simili angustie, vedremo nella ultima parte di questa Apologia, dove riporterò la opinione di uomini di Stato, e di Storici reputatissimi, intorno a casi non pure somiglievoli, ma quasi identici.

Più tardi della Spedizione di Lucca: - frattanto importa notare come la colonna Guarducci, la quale non oltrepassò Rosignano, fosse richiamata, e celeremente spedita verso il contado lucchese. si opponga, come l'Accusa fa, ciò non essere stato spontaneo, bensì per ovviare a maggiore pericolo; no: dicasi piuttosto, che dopo avere in cento modi attraversate le Spedizioni maremmane, io colsi il primo pretesto per mandarle a vuoto. So bene, e a mie spese, che con le Accuse non si fa a fidanza; però intendo dimostrare quanto dico. - La commissione di apparecchiare gente scelta per Maremma, io dava sforzato il 14 febbraio, e la colonna Guarducci senza ordine o avviso del generale D'Apice, mio, potè incamminarsi per Rosignano il giorno 17 di febbraio; ma per tornare e volgersi verso il contado lucchese, non le si concede mettere tempo fra mezzo; richiamata il 18 a Livorno, da Livorno nel 18 parte402. Ancora: - io dai Volontarii indisciplinati aborrivo, e precisamente in questa occasione, così scrivevo nel 22 febbraio da Lucca al signor Mazzoni, presidente di settimana: «Volontarii, non importa; se prendono ingaggio, va bene, perchè allora si disciplinano, e possono partire; sciolti da qualunque freno, mandano sottosopra ogni cosa403, e lo vedo a provaSicchè di loro, così com'erano indisciplinati, non sapeva che farmi. Infatti, parte furono inviati in Val di Serchio, perchè lungo il littorale giungessero a Viareggio; parte, senza ordine, sceso il Colle di Chiesa, si spinsero fino al ponte del Macellarino, con presentissimo pericolo di rimanere tagliati fuori404; finalmente, con ispreto degli ordini del Generale, vollero trascorrere fino a Pietrasanta; sicchè D'Apice protestò, che se non indietreggiavano essi, egli non avanzava, per la quale cosa mi avventurai solo fino costà, ingegnandomi con parole ora di preghiera, ora di rimprovero, a farli retrocedere405. I Volontarii che vogliono operare a modo loro, sono impedimento, non forza; le popolazioni li temono ed odiano; le milizie ordinate li disprezzano, ed essi rendono a tutti pan per focaccia, con ingiurie e soprusi. Però di Volontarii a Lucca non vi era bisogno; e se fu detto, e' si fece per istornarli dalla Maremma; il maggiore uopo di forze, almeno per testimonianza di persona autorevole, era colà, e non altrove; dacchè, partito il Principe, cessava il pretesto di agitarsi in suo nome. Infatti Cesare Laugier, malgrado che il Granduca sul partire da Porto Santo Stefano lo nominasse suo Commissario in Toscana, a cagione della sua partenza, ritenne cotesto Decreto di nessun valore; e le parole contenute nel chirografo, che nel 22 febbraio 1849 egli mi dirigeva da Massa, lo dichiarano espresso: «La partenza del Principe in terra straniera sciolse il Laugier da ogni scrupolo. Credutosi svincolato dal giuramento, pensò il miglior mezzo, per evitare lo spargimento di sangue, retrocedere nelle posizioni da cui era partito

 

 

 






p. -

260 «Il nostro Circolo non dorme, e cura quanto può gl'interessi

dei fratelli, che gli sono carissimi. Ha già fatto uno indirizzo al Ministero

per rimproverarlo di non avere seguito il Granduca, e domandare

il suo ritorno in Firenze. Si è poi costituito in permanenza, ha

creato una commissione perchè sia in corrispondenza continua col

Ministero, e cinque commissarii ec. - Firenze, 5 febbraio 1849.» - (Documenti

dell'Accusa, pag. 193.)



261 Vedi sopra.



262 Popolano del 16 febbraio 1849.



263 Popolano del 14 febbraio 1849.



264 Popolano del 16 febbraio 1849.



265 Popolano del 15 febbraio 1849.



266 «Domenica giunsero varie Deputazioni dalle principali Provincie col grido di Repubblica sulle labbra.» - (Popolano del 20 febbraio 1849.)



267 Caino, Mistero. Atto 1.



268 Monitore del 1 marzo 1849.



269 A pagg. 102, 105-109 dei Documenti dell'Accusa si trovano traccie

del fiero sospetto in cui era venuto il Barone Ricasoli. L'Archivio

del Ministero conserva le altre carte.



270 Sir George Hamilton to viscount Palmerston.

 

«Florence, February 27, 1849.

.... They (Provisional Governement) are obliged however to submit to a most despotic master, who hourly reminds them of the chains by which they are held in submission, viz the power of the clubs. These formidable assemblies govern the Governement. It is impossible to exaggerate the terror, the poverty and desolation reigning in this fair city.), - (Correspondence affecting the affairs of Italy. Part. IV, pag. 174. London, Printed by Harrison and Son.)



271 Galignani's Messenger. March, Friday, 16, 1849. «A letter from Florence of the 8 March says, etc.»



272 Di questa lettera, quantunque porti la firma di Marmocchi, fu somministrato il concetto da me, come sovente soleva fare; e forse si custodisce nello Archivio. - Documenti dell'Accusa, pag. 298.



273 Era notorio allora, ed il Governo non lo ignorava poteva ignorarlo, che grossi legni inglesi incrociassero nelle acque toscane. - Vedi il Corriere Livornese del 9 febbraio, e il Nazionale del 10 e 12.



274 Pepe, Histoire des Révolutions d'Italie, pag. 36. - Bruxelles.

Cesare Vimercati, officiale di marina austriaco, nella sua Italia ne' suoi confini e l'Austria ne' suoi diritti, ovvero Rivoluzione e guerra del 1848, a pag. 39, così ci racconta pure questo fatto. «Il Vice-Presidente allora prometteva sulla sua parola che gli avrebbe soddisfatti; ma il Popolo, sapendo per esperienza quanto valevano le promesse, infuriava gridando: lo vogliamo in iscritto; ed un tal Cernuschi facendosi avanti obbligava O' Donell a sottoscrivere diversi ordini che venivano tosto pubblicali per la città, e che qui riportiamo:

 

Milano, 18 marzo 1848.

 

Il Vice-Presidente, vista la necessità assoluta per mantenere l'ordine, concede al Municipio di armare la Guardia Civica.

Firmato: Conte O' Donell.

 

La Guardia della Polizia consegnerà le armi al Municipio immediatamente.

 

Conte O' Donell,

 

La Direzione di Polizia è destituita, e la sicurezza della città è affidata al Municipio.

 

Conte O' Donell



275 Questa sera fummo spettatori d'una di quelle dimostrazioni che rivelano tutta la bontà nativa del Popolo, la soave arrendevolezza dell'animo suo.

Il Popolo e la Guardia Nazionale disposti in ordine, a suon di tamburo, preceduti da splendide bandiere, si recavano a salutare dei loro voti, dei loro applausi e dell'antico affetto, il nuovo Generale della Guardia Nazionale di Firenze, il professore Zannetti. La scena fu lieta e commovente ad un tempo: l'amore delle moltitudini trasfuso nell'evviva prolungato e universale: la rispondenza dell'acclamato rivelata con parole tenere, appassionate, interrotte dalla interna agitazione: l'ora, il luogo, e la solennità della festa, d'una familiarità popolare.....

Il professore Zannetti..... l'uomo eminentemente italiano, rinnovava la promessa alla patria di volerla difendere contro tutti i nemici interni ed esterni col baluardo del proprio petto, del proprio sangue. Diceva esser degno il Popolo di governarsi da stesso, di raggiungere la più filosofica forma di governo, la Repubblica, quando sappia contenersi nelle vie dell'ordine, dell'armonia, della fratellanza. La Guardia Nazionale non dover mai apparire altrimenti che in tutela della libertà: l'esercito stanziale, gli altri corpi dello Stato, il Popolo tutto concordare con essa al santissimo fine. E la Toscana decretare i suoi destini con tranquillo giudizio, secondo il voto universale.

Il Popolo applaudiva a queste parole, interrompendole della sua approvazione; applaudiva agli abbracci fraterni dati come simbolo dell'amplesso generale dal professore Zannetti ad un Ufficiale della Guardia Nazionale, ad un altro della milizia.

Suggellava in quel momento un patto infrangibile d'amore e d'alleanza coll'esercito, colla Civica antica, colla sorgente e rinnovata Guardia Nazionale. Poi, ad una semplice preghiera del Generale, si disperdea, procedendo alle grida di: Viva Zannetti, Viva la Repubblica, Viva l'Unione con Roma.

Tali sono le tendenze e le volontà del Popolo che si rivelano ad ogni istante, in qualunque occasione. Noi non sappiamo perchè gli uomini del Governo e quelli che sono da esso preposti sembrino paventare questa salutare espansione del Popolo, e s'industrino a rattenerla. Vanno ripetendo l'ordine, l'ordine, l'armonia. E chi più del Popolo la sente, la coltiva, l'apprezza? Vanno instillandogli che egli non abbia a usurpare una soverchia potenza, facendosi rappresentanza del concetto di tutti, e quasi gl'indicono di porre un freno agli interni aneliti, che sono la prima rivelazione della verità. E chi più del Popolo non l'ha da gran tempo compresa questa verità; di lui che in luogo del monopolio dei privilegiati, ha domandato e domanda il libero esercizio della sovranità universale? Lo spediscono dolcemente alle case con raccomandazione di calma taciturna, quasichè l'aperto grido alla luce del cielo in questo stadio di vita convulsa e interrotta, - d'organismo politico disfatto e rinnovantesi, - non fosse un sintomo, una prima e necessaria manifestazione dell'avvenire!

Noi estimiamo, noi apprezziamo sopra tutti il distinto carattere, le splendidissime doti dell'egregio Zannetti. L'accento paterno e italiano dell'animo suo trova le vie del nostro cuore come quelle del Popolo. Lo preghiamo solamente a non lasciarsi trarre dal concetto dell'armonia fino a quello della profonda quiete, dall'idea della rispettata legalità fino ad un prolungato e mortale silenzio; - perocchè egli sa come noi e più di noi, quanto nobili e sante sieno le ispirazioni del Popolo accompagnate agli evviva per l'illustre cittadino.» - (Costituente Italiana del 15 febbraio 1849, - Popolano e Alba del medesimo giorno.)



276 Nel Galignani's Messenger del marzo 1849, si legge, in certa lettera datata da Firenze: «after spending some time at Florence in attempting to effect the fusion of Tuscany with Rome, he at length repaired to Rome



277 Io sono stato lunga pezza meco stesso esitante se avessi dovuto citare la opera di Luigi Carlo Farini, come quella, che va deturpata di molte, e potrei dire infinite macchie. Vi ha chi godrebbe, che concitato a sdegno, non ingiusto forse, pei molti errori dettati sul conto mio, e più pel difetto del riguardo, che ogni onesto aver deve a cui versa in pericolo, io gli facessi rabbuffo tale da intronargli la testa. Appunto perchè questo spettacolo si cerca, e si vuole, non si ha da dare; e volta mite la parola a Luigi Carlo Farini, gli dico: «tu hai peccato molto; se per leggerezza, mi appello da te male informato a te bene informato: anco verso gl'Imperatori adoperavasi questa formula, e non l'avevano a male, e tu sai che da Filippo dormente sendo interposto appello a Filippo svegliato, il re multò stesso nei danni della iniqua sentenza; tu, confido, per carità patria, e per onore al tuo nome, vorrai esser minore del Macedonio; dove poi, e questo repugno credere, te avesse mosso o tristizia di mente malvagia, o viltà di anima venduta, allora io dovrei contristarmi per la Patria, e per te.» Intanto fra i suoi errori, cui a me piace credere involontarii, non ha potuto negare queste verità: «... Il Mazzini era giunto il stesso che il granduca partiva da Siena, e vi era stato accolto con grande festa. Egli si era dato a predicare l'unificazione con Roma, che non voleva chiamar fusione; parola a lui ed a' suoi esosa, la quale voleva dire lo stesso, ossia non aveva significato pratico, perchè gli uomini ed i popoli non si fondono come i metalli per calor di libertà e artificio di eloquenza, gli Stati si unificano per decreto di assemblee. Ma il Guerrazzi non voleva l'unificazione, e pochissimi erano in Toscana che la volessero; del che gli stessi ufficiali del governo facevano testimonianza: sicchè anche in Toscana il Maestri milanese, legato della Repubblica Romana, faceva poco frutto... Il Mazzini non riesciva a governare coll'autorità sua, colle pratiche e le grida de' suoi, i negozii politici della Toscana. Modesto egli al sembiante, come ostinato di volontà, desiderava sovra ogni altra cosa fare della Toscana una provincia della Repubblica Romana: ma questo concetto coperto sotto la pomposa parola d'unificazione non andava a versi del Guerrazzi, del Consiglio di Stato, pur dei cittadini più segnalati per liberali caldezze.» Quello che seguita intorno a Montanelli e a Mordini non è vero; e finalmente! «... A Roma egli (il Mazzini) sollecita opera a costringer di Toscana a quella unificazione, a cui la non si voleva piegare, e vi narra che tutti i Toscani ne hanno desiderio, sebbene sappia il contrario; e perora e studia perchè si compia



278 Il mio Difensore mi narra, come l'Accusa per escludere la violenza si fondi sopra il deposto di due testimoni; e chi sono eglino? Due Custodi del Ministero. E perchè due soli, e gli altri esclusi? Perchè questi due come conservati in impiego reputò l'Accusa degni di fede, i dimessi non parvero sicuri. Badino bene i Ministri ai Custodi che si mettono dintorno, procurino di tenere strette le chiome alla Fortuna, perchè il pericolo, che corrono di vederseli mutati in delatori, e in peggio, è grande davvero. - Ma i Custodi hanno contro il fatto, il senso comune, copia di testimoni più intelligenti e più degni; e finalmente intorno alla violenza relativa il Dispaccio della Spedizione di Portoferraio niente possono deporre perchè essi dichiarano avere lasciato il posto alle 23 ore, ovvero alle ore 4 e 1/2 pom., e il Dispaccio in discorso fu scritto alle 6 pom.



279 Popolano del 9 febbraio 1849.



280 Avverti che i Giornali sono scritti il giorno avanti della loro pubblicazione: così l'Articolo Firenze 14 è pubblicato il 15 febbraio.



281 Alba, 4 marzo 1849.



282 Alba, 11 febbraio 1849.



283 Alba, 12 febbraio 1849.



284 Popolano del 12 febbraio 1849.



285 Vedi Documenti dell'Accusa, pag. 193.



286 Ivi.



287 Popolano del 12 febbraio 1849.



288 Ivi.



289 Popolano del 13 febbraio 1849.



290 Popolano del 12 febbraio 1849.



291 Costituente Italiana del 12 febbraio 1849.



292 Popolano del 10 febbraio 1849.



293 Popolano del 12 febbraio 1849.



294 Il Nazionale del 14 febbraio 1849.



295 «Il Governo chiama i militi livornesi contro i nemici interni, e non per una dimostrazione politica. Ella prenderà tutte le misure onde questo non segua. Presentemente la città è in calma.» - (Dispaccio telegrafico al Governatore di Livorno, 11 febbraio 1849, in risposta al Dispaccio telegrafico del medesimo Governatore, che interrogava: «Si sa che Roma ha proclamata la Repubblica; non sarebbe bene insinuare a questi militi di proclamare essi pure la Repubblica venendo a Firenze? Su questo particolare attendo ordini precisi.» - Vedi Documenti, pag. 481.) - Confrontisi questa domanda con la lettera dello stesso Governatore del 9 febbraio 1849, segnatamente con le parole: «Prevenuto dello arrivo di G. Mazzini atteso su le prime ore del giorno scorso, e consapevole dei timori che si avevano di un pronunziamento in senso repubblicano, volsi ogni cura a prevenirlo, e tutto disposi onde l'illustre Italiano meco prima che al Popolo avesse colloquio, augurandomi averlo concorde o che le cose procedessero senza danno nella santa causa comune ec.» - (Documenti, pag. 306.) Donde si fa manifesto come non vi fosse trama di sorta per rovesciare la Monarchia, secondochè fantastica l'Accusa; gli ordini del Governo avversassero la Repubblica, e Mazzini a Livorno sopraggiungesse a caso; la Costituente fosse messa innanzi per arrestare la tumultuaria proclamazione della Repubblica, e finalmente che Mazzini a Firenze, mutato consiglio, non tenne il patto.



296 Popolano del 13 febbraio 1849.



297 Popolano del 13 febbraio 1849.



298 Ivi.



299 Costituente Italiana del 13 febbraio 1849.



300 Costituente Italiana, del 13 febbraio 1849.



301 Dunque Livornesi non vi erano mescolati?



302 Popolano del 13 febbraio 1849.



303 Popolano del 13 febbraio 1849.



304 Costituente Italiana del 14 febbraio 1849.



305 Popolano del 14 febbraio 1849.



306 Popolano del 14 febbraio 1849.



307 Alba, 16-17 febbraio 1849.



308 Popolano del 15 febbraio 1849.



309 Popolano del 14 febbraio 1849.



310 Popolano del 14 febbraio 1849.



311 Popolano del 13 febbraio 1849.



312 Popolano del 16 febbraio 1849.



313 Costituente Italiana del 16 febbraio 1849



314 Il Popolano del 15 febbraio 1849.



315 Frusta Repubblicana del 15 febbraio 1849.



316 Popolano del 15 febbraio 1849.



317 Documenti dell'Accusa, pag. 308.



318 Documenti dell'Accusa, pag. 825.



319 Ivi.



320 Popolano del 17 febbraio: «(12 detto) - Le popolazioni maremmane sono tutte in armi, e su questi luoghi l'ex-Granduca non può sperare nessun favore.» - Popolano del 21 febbraio: «(16) - Gli animi sono ardenti, e vogliono una volta finirla con un ex-Principe.....»



321 Popolano del 14 febbraio 1849.



322 Corriere Livornese del 14 febbraio 1849.



323 Corriere Livornese del 17 febbraio 1849.



324 Documenti, pag. 161.



325 Documenti, pag. 160 e 415.



326 Documenti, pag. 162. Dispaccio telegrafico del 16 febbraio.



327 Documenti dell'Accusa, pag. 326. «Il Popolano continuerà sempre ad essere il Monitore del Circolo del Popolo di Firenze.» (Popolano, 6 febbraio 1849.)



328 «Questa mattina (17 febbraio) a ore 10 a.m. circa è partito da Livorno per Maremma un battaglione di Volontarii livornesi comandato dal maggiore Guarducci.» - (Popolano del 18 febbraio 1849.)



329 Documenti dell'Accusa, pag. 300. Rapporto Guarducci a C. Pigli da Rosignano, del 18 febbraio 1849.



330 «Faccia subito partire per Pontedera i Cavalleggieri; e li dia ordine che si mettino sotto il mio comando, perchè domani penso partire per la Maremma.» -  17 febbraio 1849.



331 «Petracchi a Guerrazzi: - Ricevo in questo momento un Dispaccio dal Pigli che dice: Torni immediatamente. È vero, si tenta un colpo a Pietrasanta, ma non riuscirà. Nulladimeno è necessario che i buoni Livornesi sieno in Livorno. - Cosa devo fare? ho bisogno d'istruzioni, e sollecitamente.» - 18 febbraio 1849, ore 11 a. m.

Mazzoni, non io, il medesimo ordine a Petracchi, ma dopo.

«Petracchi a Pigli: - In questo momento ricevo un Dispaccio dal Presidente Mazzoni, che mi ordina partire per Livorno.» - 18 febbraio 1849, ore 12, m. 45.

Dunque Pigli ordinava prima, e indipendentemente dal Governo.



332 Pag. 161, 165, 415.



333 Documenti dell'Accusa, pag. 166.



334 «Ill. sig. Prefetto.

Mando a Grosseto, come il Governo superiore mi ordina, 12 Municipali guidati da un Tenente, e alquanti Artiglieri nazionali, e di linea. La prevengo, che domattina a qualche ora partiranno da Livorno 2 Compagnie di Guardia Nazionale dirette a Santo Stefano, e che nello stesso giorno di domani procederanno nella stessa direzione altre forze militari provenienti da Firenze, e capitanate dal Gen. D'Apice, - È inutile ec. - Livorno 14 febbraio 1849, ore 11 di sera. - Pigli



335 Documenti, pag. 295.



336 In proposito di corrispondenze qui cade in acconcio raccontare come (e il modo ignoro, ma anche da ciò si argomenti se convenisse andare cautelati) il Circolo del Popolo intraprendesse un plico diretto da Gaeta al sig. Boiti impiegato nella Posta delle lettere di Livorno, e recatolo al Governo instò perchè lo Ufficiale si destituisse. Doleva grandemente tanto a me, che al buono Adami, piegare sotto la dura legge, ma e' fu forza pel momento subirla. Il sig. Consigliere Ronchivecchi, curatore del giovane, sollecito degl'interessi di quello e della famiglia cui apparteneva, poco bene provveduta a sostanza, raccomandava il giovane nello impiego si restituisse; ed io risposi subito, che volentieri, imperciocchè non era stato remosso per noi, bensì dalla prepotenza della Fazione soverchiante; però bisognare, che alcun poco di tempo passasse onde non fare un peggio; al fine, quando mi parve capitato il destro, reintegrai il sig. Boiti nello ufficio con grande contentezza della sua famiglia e del sig. Ronchivecchi, il quale parmi venisse due volte, ma certamente una, per conferire meco su questo negozio, e ringraziarmi. - Di questo fatto, della umanità di riceverlo, dell'ottima mente a soddisfarlo, e dei discorsi intorno la violenza che la Fazione esercitava sul Governo, chi meglio può testimoniare del sig. Consigliere Ronchivecchi? - Così mi adoperava io a preservare da ogni offesa della Fazione la famiglia degl'impiegati; e se me salutassero allora una seconda Provvidenza, pensatelo voi!... Ma in quel tempo l'ora della ingratitudine non era suonata.



337 Rapporto del Governatore del 9 pervenuto al Governo il 10 febbraio: (Documenti dell'Accusa, pag. 306.) «.... cui concedo - munizioni da bocca e da fuoco, non che lire 10,000 tolte dalla Cassa della Dogana e delle quali sarà reso conto, mentre d'altronde negarle sarebbe stato un contrastare per diffalta di mezzi al conseguimento del fine».



338 Rapporto del 13 febbraio 1849. Documenti dell'Accusa, pag. 309.



339 Detto Rapporto.



340 Documenti dell'Accusa, pag. 309.



341 I Documenti dell'Accusa, a pagine 320, contengono la prova contraria a quanto immagina l'Accusa. Il Governatore Pigli nel 21 febbraio 1849 chiede di aggiungere una colonna di 100 Volontarii ai Municipali mandati ad Orbetello, facendoli condurre dal sig. La Cecilia. Questo Documento pertanto dimostra: Che il Governatore La Cecilia avevano ricevuto incarico di Spedizione alcuna, perchè altrimenti il Pigli non aveva bisogno di essere autorizzato a mandare 100 Volontarii; Che il Governatore bene era stato commesso a ragunare gente scelta, non già a spedirla, molto meno a darle capi di sua volontà; Che la proposta era mossa per avventura allo scopo che non gli venisse rampognato il fatto come uno dei soliti spropositi; quale era stato lo arbitrario, comecchè poco dannoso, invio di La Cecilia in Maremma.



342 1: Dell'ingegno di Gio. La Cecilia, decisamente antipatico a qualunque subiezione, ostinato a fare a modo suo, e a confondere ogni ordinamento, mi porge prova certa lettera rinvenuta tra le mie carte in Livorno. Il Municipio mi aveva incumbensato della organizzazione della Guardia Civica; io consentiva, compiacendo al voto del Popolo, incumbensare La Cecilia di talune attribuzioni: questi le usurpa tutte, e subito; anzi arriva perfino a pubblicare notificazioni col mio nome senza pure consultarmi! Il Gonfaloniere mi mandava la lettera seguente, che io partecipava a La Cecilia con la nota che vi si legge a tergo: sono testimoni informati del fatto Fabbri e Baganti, ed altri parecchi:

 

«Illustriss. Signore

Leggo nella Notificazione o Avviso di questo giorno, che le forme per la elezione degli Uffiziali, sotto-Uffiziali ec., devono essere indicate dal Municipio; ciò è contrario alla Notificazione del 9 settembre, poichè in essa vien detto che in tutto quello che non è contemplato nel presente Regolamento s'intende supplito dalla legge e dagli ordini in vigore relativi alla Guardia Civica Toscana.

Ora non trovandosi nulla in proposito su detta Notificazione mi sembra che si debba tenere il sistema antico delle schede ec. per quanto lungo, e nojoso.

Le sono rispettosamente

Di VS. Ill. Dalla Comunità di Livorno, il 27 settembre 1848.

Devotis. Servitore

Avv. L. Fabbri Gonfaloniere.

 

All'Ill. Sig. Avv. F.-D. Guerrazzi Livorno

(In margine) «A. C.

Non è mia colpa tutto questo apparato di solennità, ma del Diplomatico Baganti. - L. F.»

(A tergo) «Come rispondere alla qui aggiunta? Questa Notificazione di stamani io non l'ho neppure vista. - E ciò dipende sempre perchè voi organizzatori disorganizzate ogni cosa, repugnando fare sempre capo a un centro. Io taccio per non parere geloso di prerogative; ma voi siete imbroglioni per eccellenza. Non sono io incaricato con Petracchi della Guardia Civica? Dunque perchè mandi tutti i fogli in Comunità? anzi ve li porti tu stesso? Perchè fai Notificazioni in mio nome senza che pure le legga? Così non va BENE.

F. D. G.»



343 Corriere Livornese del 9 marzo 1849.



344 Documenti, pag. 498.



345 Ivi.



346 Documenti, pag. 426.



347 Documenti, pag. 427.



348 Ivi.



349 Documenti, pag. 496.



350 Documenti, pag. 499.



351 Documenti, pag. 428. Dispacci telegrafici del 5 marzo 1849.



352 Documenti, pag. 499.



353 Documenti, pag. 500.



354 Documenti, pag. 429.



355 Documenti, pag. 433.



356 «Concertate il mutamento della Municipale di Livorno con Firenze, e subito qui la ridurremo. Create le altre due Compagnie, o date promessa d'imminente formazione.» (Dispaccio telegrafico del 5 marzo 1849. Documenti, pag. 428.) - «Consigli di prudenza hanno fatto inviare il primo reggimento in città amicissima. Piace il disarmo.» - (Dispaccio telegrafico dell'8 marzo. Documenti, pag. 430.)



357 Medesimo Dispaccio.



358 «Sulla voce della partenza della Municipale Livornese per Firenze, alcuni del Popolo hanno mormorato, che i Fiorentini venivano qua per opprimere la libertà.» - (Dispaccio telegrafico del Marmocchi 6 marzo 1849. Documenti, pag. 500.)



359 «Perchè ad arte si era sparso, che io veniva incaricato di far fuoco sul Popolo, come già (dicevasi) avevo io fatto sul Popolo pistoiese.» - (Rapporto del Tenente Colonnello Reghini al Generale D'Apice, del 9 marzo 1849. Documenti, pag. 69.)



360 Si noti che ricorrevano al solito rimedio adoperato in simili frangenti per tutelare la vita minacciata dei cittadini.



361 Dispaccio telegrafico del 9 marzo 1849. Documenti, pag. 430.



362 Documenti, pag. 430.



363 Documenti, pag. 431.



364 Lettera del Generale D'Apice. Documenti, pag. 70.



365 E questo dimostra quanto tuttora potessero i Circoli.



366 Dispaccio telegrafico del 12 marzo 1849. Documenti, pag. 502.



367 Dispacci telegrafici. Documenti, pag. 433.



368 Ivi.



369 Documenti, pag. 431.



370 Dispacci telegrafici. Documenti, pag. 432.



371 Dispacci telegrafici del Prefetto Martini, e del Comandante di Piazza Barli. Documenti, a pag. 432 e 503.



372 Perchè non fuggivi? - domandano ora i Giudici. - Allora, io domando a loro, avreste voi interrogato così?



373 Dispacci telegrafici del 13 marzo 1849. Documenti, pag. 433.



374 Documenti, pag. 503.



375 Vedi Documenti, pag. 506-507.



376 Dispaccio telegrafico del 18 marzo. Documenti, pag. 437.



377 Documenti dell'Accusa, pag. 787.



378 Documenti dell'Accusa, pag. 530.



379 Il lettore benevolo avrà in mente: La sentenza contenuta nella lettera di Carlo Pigli diretta a me l'11 ottobre 1848: «Noi vogliamo la Costituzione sincera, e la strada di ogni civile progresso sgombra da ogni impaccio di vile egoismo Il Rapporto del medesimo, 9 febbraio 1849, il quale, dietro le mie istruzioni contenute nel Dispaccio telegrafico del 31 gennaio 1849, si affaticava a impedire che Mazzini provocasse la gente a tumultuaria Repubblica: «Prevenuto dello arrivo di Giuseppe Mazzini atteso su le prime ore del giorno scorso, e fatto consapevole dei timori che si avevano di un pronunziamento repubblicano, volsi ogni cura a prevenirlo, e tutto disposi onde l'illustre Italiano meco prima che al Popolo avesse colloquio, augurandomi averlo concorde a che le cose procedessero senza danno alla santa causa comune.... Convocai presso di me lo Stato-Maggiore della Guardia Civica ed i migliori patriotti, tra i quali D'Apice, La Cecilia, ed Antonini, sempre tacendo la causa delle mie inquietudini, finchè, affrettata la venuta di Mazzini in Palazzo, nello intendimento di porre a profitto la sua influenza, svelai il segreto e le mie vedute, alle quali egli ed ogni altro aderirono..... Mazzini comunicò la fuga del Principe, e tosto grida di gioia e di Repubblica proruppero; ma egli proseguendo dominò così le menti, da tutti ridurre concordi ad acclamare la Costituente.» (Documenti dell'Accusa, pag. 38, 305, 307.) - Accusa, Giudici decidenti, fin qui o come avete fatto a sostenere, che alle più stemperate voglie della Fazione io mi opponessi tardi, - dopo le sorti infelici della guerra italiana, - ai conforti del Ministro Inglese? - Accusato accuso; io vi traduco davanti il Tribunale della coscienza pubblica, mio giudice e vostro, e v'intimo a giustificarvi delle vostre imputazioni.



380 «Carissimo. Vi scrivo di letto dove ho dovuto rifugiarmi. La lama rode il fodero; ma qualche Santo aiuterà. Piacemi il vostro ardore, ma ricordate che bisogna avere prudenza e gravità grandissime.... Grande è il carico che abbiamo sopra le spalle, ma non inferiore all'animo nostro, e consiste nei rendere amabile la libertà, mostrando com'essa sia principio di ordine troppo diverso dal Varsoviano ec.» - 11 febbraio 1849.



381 Dispacci telegrafici nei Documenti dell'Accusa, pag. 413, 480.



382 Monitore Toscano dell'11 febbraio 1849.



383 Documenti dell'Accusa, pag. 547.



384 Documenti, pag. 281. Non si conosce dai Documenti dell'Accusa la data di questa deliberazione, ma certo deve avere tenuto dietro al Decreto pressochè immediatamente.



385 Documenti, pag. 414.



386 Documenti. Dispaccio telegrafico dell'11 febbraio 1849, o. 5, m. 25.



387 Documenti, pag. 167.



388 Monitore del 12 febbraio 1849.



389 Documenti, pag. 329.



390 Documenti, pag. 107.



391 Costituente del 13 febbr. 1849.



392 Popolano del 14 febbr. 1849.



393 Documenti, pag. 330.



394 Popolano, 14 febbraio 1849.



395 Costituente, 14 febbraio 1849.



396 Popolano, 15 febbraio 1849.



397 Rusconi, opera citata.



398 Io vidi certo, ed ancor par ch'io 'l veggia,

Un busto senzo capo andar, sì come

Andavan gli altri della trista greggia.

E il capo tronco tenea per le chiome

Presol con mano, a guisa di lanterna.

Dante, Inferno, XXVIII.



399 Il nome di questo Sacerdote mi cade adesso in mente: lo citerò testimone.



400 La lettera a Giorgio Manganaro amico mio, e prestantissimo uomo, dice:

«Amico

Vedi lettera di Prete birbo: sorveglia se vi è Frugoni, e si cacci via. - Sai tu, che ci è di nuovo? La Cecilia mi propone di dare la Toscana al Piemonte, e andare a Roma per intrigare in proposito. Vedi fede! Questa lettera si depositi negli Archivii della Polizia

Guerrazzi

(La lettera non ha data; dal marchio postale sembra impostata il 5 aprile 1849.)



401 Dicono, che questa rarità costi da 3000 scudi di stampa! Pater, ignosce illis, - con quello che seguita. Ma via, quando la finanza è gaia, si può spendere a soddisfare qualche capriccio.



402 Dispacci telegrafici. Documenti, pag. 483.



403 Documenti, pag. 287 e 488.



404 Documenti dell'Accusa, pag. 285, 287, 488, 845.



405 A questo fatto accennano le parole della mia lettera del 23 febbraio riportata nei Documenti a pag. 847: «Stamani mi sono mosso da Camajore col Generale D'Apice, e sono arrivato a Pietrasanta. Poco dopo, è arrivata la Colonna condotta dal Maggiore Petracchi; la quale, preso un poco di ristoro, si dirige immediatamente verso Viareggio. Qui attendo il Generale D'Apice





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