XXVI.
Leggi Statarie.
Il Decreto del 10 giugno
1850 espone, che la
Legge Stataria del 22 febbraio 1849 ben fu firmata dai
signori Mazzoni, Romanelli e Mordini, - e dal Guerrazzi, il 2 marzo, abrogata,
- ma in conseguenza della protesta del Municipio fiorentino contro questo eccezionale
e riprovato sistema di Procedura. Gli altri Documenti dell'Accusa quasi
litteralmente concordano.
Certo io non nego, anzi
con grato animo ricordo avere io conferito sovente, intorno alle condizioni
della Patria, col signore Ubaldino Peruzzi, il quale, cedendo alle mie istanze
e a quelle di persone a lui amiche, accettò la carica di Gonfaloniere di
Firenze che, me proponente, S. A. gli commise. Lo reputai allora uomo probo e
di ottima mente, e non ho motivo per ricredermi adesso della concepita
opinione. Veramente i suoi consigli, come meritavano, accettavo; i soccorsi
suoi e del Municipio, che gli aveva promessi leali, mi davano animo a
durare nella opera perigliosa di tenere ordinato il Paese496; ma della Protesta del Municipio non seppi
niente, come quella che fu presentata nel 24 febbraio, quando stavo lontano da
Firenze, dove tornai il giorno 26 del medesimo mese497. Dai Documenti dell'Accusa si ricavano due
cose: che la
Deliberazione Municipale intorno alla Legge Stataria non era
pubblicata in virtù di altra Deliberazione Municipale; e che quantunque simile
sospensione si decretasse per la promessa ottenuta dal Governo di revocarla il
giorno dopo, pure nè il Governo credè conveniente revocare la Legge, nè il Municipio
pubblicare la Protesta498. Dunque non è vero, che indotto io dalle
Municipali Proteste la
Legge Stataria abolissi.
È vero soltanto, come
nel primo marzo, il Cavaliere Ubaldino favellando meco intorno alle ragioni
della Legge del 22 febbraio, io venni di mano in mano esponendogli i motivi pei
quali non l'aveva per anche abrogata: - siffatte Leggi, di leggieri io
consentiva, avere a durare poco, e piuttosto per incutere terrore, che per
mandarle ad effetto; ed oggimai per me la Legge del 22 il suo effetto avere partorito in
Firenze. Allora egli mi diè contezza delle Deliberazioni Municipali, e sempre
persistendo nella censura della Legge, e raccomandandone la revoca, si persuase
dei pericoli imminenti dai quali doveva difendere il Governo Provvisorio lo
Stato, sicchè promise fare opera che il Municipio aggiornasse la
pubblicazione delle sue rimostranze.
Però, nonostante che le
promesse il Cavaliere Ubaldino adempisse (Ubaldino Peruzzi, Gonfaloniere di
Firenze, sapeva allora, e non dubito che saprebbe anche adesso mantenere le sue
promesse, perchè onorato) intorno allo aggiornamento499, - convocati i Colleghi dimostrava loro, che io
di cotesta Legge non sapeva che farmi; e siccome taluno sembrava tentennare, io
gli domandai: «Se avrebbe sostenuto, egli Toscano, che soldatesche palle
rompessero il petto ad uomini toscani?» Alla quale interrogazione avendo con
subita vivezza ed atto di orrore risposto di no, allora io soggiunsi: «Dunque
in nome di Dio togliamola via.» E il 2 marzo l'abrogai, malgrado che nel giorno
stesso mi pervenisse la lettera del signor Gonfaloniere Peruzzi, con la quale
mi assicurava che il Municipio consentiva ad aggiornare la pubblicazione delle
sue Deliberazioni. Quindi anche qui erra l'Accusa, governata dal destino
nemico, che non le concede imberciarne pure una; ed è vero che io toglieva la Legge giusto in quel punto,
che in certo modo il Municipio non si opponeva a farla durare.
Si ritenga pertanto, che
fino al 2 marzo non solo dissuasi, ma volli che la Legge Stataria
durasse; e che nel 2 marzo, nonostante che paresse a taluno aversi a mantenere,
io instai ed ottenni di farla cessare. Ora dirò le ragioni per le quali non
l'abrogai al mio primo giungere a Firenze.
Il Circolo di Firenze
annunziava500 avere spedito
Commissarii nelle Provincie onde eccitare i Popoli ad accorrere alla Capitale,
per mandare ad effetto la proclamazione della Repubblica, già
decretata dal Popolo fino dal 18 febbraio, ed accettata dai Circoli e dai
Municipii toscani; in altri termini, a compire una rivoluzione per
rovesciare il Governo Provvisorio, e sostituirvene altro di loro fattura. Già
fino dal 23 febbraio comparivano indizii di vicina tempesta, e il Nazionale
gli aveva notati501.
Nel 27 febbraio due Compagnie,
una del Battaglione Italiano, l'altra di Volontarii Lucchesi, e molta mano di
Popolo, si fanno ai quartieri della Cavalleria a Pisa, e menano i soldati a
percorrere le vie della città, acclamando alla Repubblica502. Da Lucca muoveva una Deputazione a Firenze,
per costringere il Governo a proclamare la Repubblica, e unirsi a
Roma, a seconda di quanto venne annunziato col N. 465 dell'Alba503. Notabilissimo poi è il rapporto del
Consigliere di Prefettura Ciofi, il quale dimostra quali e quante sottili
astuzie adoperassero gli Arrabbiati, insinuando perfino essere desiderio del
Governo di parere sforzato ad abbandonare la via della legalità, e procedere
con la rivoluzione; sicchè anche Siena veniva da cima in fondo rimescolata,
per violentare il Governo, e dichiararsi per la Repubblica504. Fra i Documenti dell'Accusa occorre lettera
del Circolo popolare di Vicchio al Circolo del Popolo di Firenze, colla quale
si lamenta, che il ritardo di posta abbia impedito di mandare gente al convegno
in Firenze, su la Piazza
del Popolo, per proclamare la
Repubblica, e la
Unione con Roma505. A Pisa, invece di
scemare, il furore cresce di giorno in giorno, e si vuole ad ogni costo
piantare l'Albero, e costringere l'Arcivescovo a cantare il Te Deum506.
Per siffatti successi in
parte accaduti, e in parte facili a presagirsi, il Partito Costituzionale con
ardentissimi voti mi chiamava a Firenze; e i Faziosi, che prima avevano veduto
la mia partenza con sospetto, mandatemi le spie dietro, e finalmente smaniando
di paura, si erano ingegnati a farmi richiamare appena mosso; ora non volevano
che io ritornassi; anzi, mentre il Partito Costituzionale mi proseguiva di lode507, eglino decretarono, e su pei canti appiccarono
i cedoloni, che il Popolo non mi venisse incontro, o mi accogliesse
freddamente. Di vero, non s'ingannavano; imperciocchè, appena giunto a Firenze,
chiamato dal Popolo con altissime grida a mostrarmi, uscii sul poggiuolo del
Palazzo, dove arringando dissi, - che il Popolo non porgesse ascolto ai falsi
amici; sarebbe stata tirannide, non libertà, imporre a forza e a tumulto alla
Patria una forma di reggimento per la quale tutto il Popolo toscano aveva
diritto di pronunziare il suo voto; la
Legge si rispettasse, il Decreto dell'Assemblea eletta col
suffragio universale si attendesse. Nè i Giornali del Partito tacquero il male
concepito dispetto, chè l'Alba nel suo N° del 27 febbraio 1849
biasimando stampava: - «ma il Popolo sa quando e perchè applaudire, e ciò ne
dimostrano tanto gli evviva agli eccitamenti patriottici dello illustre
Cittadino, quanto il silenzio profondo con cui venne accolta la
dichiarazione di lui circa al ritardo nel proclamare la Repubblica, e nello
unirsi con Roma.» - E nella guisa che riportai a pag. 192 di questa
Apologia, ammonii gravemente il Prefetto di Pisa e il Governatore di Livorno,
con Dispaccio telegrafico del 27 febbraio delle ore 5 pom.
E subito dopo, il
Governo pubblicava in Firenze il Proclama, che nel Volume dei Documenti si
legge stampato alle pagine 573 e 851:
«Toscani!
Il Governo Provvisorio
ha convocato l'Assemblea Toscana, e i Deputati alla Costituente Italiana, col
voto di tutto il Popolo Toscano, affinchè decidano intorno alle sorti del
nostro Paese: questo fatto, assunto di faccia a tutta la Nazione, deve essere e
sarà mantenuto.
I principii dei
componenti il Governo attuale sono bastantemente noti, per non rimanere dubbii
sopra il partito che essi prenderanno nell'Assemblea Toscana, e nella
Costituente Italiana.
Il Governo intende che
sia interpellato il voto del Popolo, e si deliberi intorno cosa di tanto
momento con maturità di consiglio e libertà di scelta.
Chiunque presumesse
trascinare violentemente la
Patria, e con manifesta tirannide, fino di ora è considerato
traditore della Patria, per essere giudicato a norma della Legge del 22
febbraio 1849.
Al Governo fu commessa
dal Popolo e dalla Assemblea Toscana la custodia della Libertà e la difesa dei
diritti popolari; egli intende e vuole governare in benefizio della Libertà e del
Popolo, e combattere la tirannide sotto qualsivoglia aspetto si presenti.
Firenze, 27 febbraio
1849.»
G. Montanelli.
F. D. Guerrazzi.
G. Mazzoni.
L'aura popolare, che mi
tornava favorevole, soffocate per ora le calunnie di tradimento, mi dava animo ad
avventurare siffatti linguaggio e partito, cogliendo ogni occasione perchè lo
spirito pubblico, sicuro di non rimanere per prepotenza soverchiato, prendesse
coraggio a manifestarsi liberamente.
A Livorno i
provvedimenti praticati partorirono buono effetto, nonostante che il Circolo
non avesse tralasciato di spedirvi suoi mandatarii, come si ricava dagli stessi
Documenti dell'Accusa, e dai Giornali del tempo508;
e così a Pisa509, e così a Lucca510.
E badate, che per
trattenere il nuovo turbine, erano mestieri gagliardi partiti davvero,
imperciocchè più accese che mai venivano da Roma le ingiunzioni e le istanze,
che la Repubblica
di assalto si conquistasse; e il Farini, che talora (ma rado, una volta su
mille a farla grassa) imbrocca nel segno, penso che a ragione dica, come
Giuseppe Mazzini desse a Roma sollecita opera per costringere la Toscana a quella
unificazione, a cui è vero che ella non si voleva piegare, ma a cui, parimente
è vero, si sarebbe lasciata piegare per oscitanza, se altri non le infondeva
sentimenti di dignità, per disporre almeno co' voti e liberamente dei proprii
destini511.
Se a inestimabile furore
si accendessero le menti degli Arrabbiati, lascio pensare a chi legge: si
assembrarono, urlarono, minacciarono, protestarono. Quanto fu stampato in
proposito riuscirebbe a riportarsi fastidioso; basti saperne questo, che il
Circolo di Firenze nel 27 febbraio, in solenne adunanza, decretò la seguente
protesta, la quale dai Giornali del tempo venne riportata, e con quali chiose
Dio ve lo dica per me:
«PROTESTA.
Il Circolo del Popolo di
Firenze
Abbenchè persuaso di
esser forte, per la opinione generale del Paese che si è ormai pronunziata,
colla adesione di tutti i Circoli e di gran parte dei Municipii, per la immediata
Unione con Roma, e la proclamazione della Repubblica; sicuro perciò che
starebbe pienissimamente in esso il mandare ad effetto con ogni successo la
propria deliberazione; - tuttavolta mosso da maggiore carità di patria, senza
cambiare le proprie convinzioni, e pronto a far render conto al Governo,
davanti alle Assemblee, del proprio operato, dichiara di astenersi dalla
dimostrazione annunziata pel 1° marzo, e ciò per remuovere anco il più
lontano probabile di farsi cagione di quella guerra civile, alla quale ne sfida
il Governo col suo Manifesto di questo giorno: ma nello astenersene protesta
solennemente contro il Manifesto istesso, inaudito nella istoria di ogni
rivoluzione. Imperocchè se la Legge Stataria si è veduta applicata dai Governi
assoluti contro i liberali, - giammai si vide un Governo libero e democratico
applicare leggi eccezionali contro uomini dello stesso Partito, che vogliono la
cosa istessa che il Governo dice volere.
Il Circolo decreta che la
presente Protesta, stata approvata per acclamazione, sia fatta immediatamente
di pubblica ragione.
Firenze, 27 febbraio
1849.»
Ora io domando ai miei
Accusatori e Giudici: doveva io lasciare che questi agitatori per violenza
operassero quanto stava in cima dei loro desiderii? Sì, o no? Accusatori e
Giudici comparsi fin qui, su via, parlate: - avvertite però, che, rispondendo
affermativamente, voi vi trovate a concordare co' più arrabbiati Faziosi, però
che anch'essi acerbamente mi mordessero, appunto come fate voi, per non averli
lasciati operare. E che Dio vi perdoni, Accusatori e Giudici comparsi fin qui,
quale altro spettacolo avete fino ad ora apprestato alle genti, oltre quello di
farvi vedere scalmanati e ciechi, affaticarvi di su e di giù a raccogliere
tutte le male erbe in due campi diversi, ma del pari faziosi, nemici a morte,
ma ugualmente anarchici, sia che mentiscano larva di Repubblica, o principesca?
Non è fra questi poli, che deve oscillare l'anima dei Giudici, nè in altri poli
qualunque; bensì stare ferma alla vibrazione delle scosse politiche le quali
spesso cambiano, sempre si acquietano.
Ed ecco perchè, vedendo
approssimarsi il turbine, per quattro giorni mantenni la Legge Stataria; nè
vi voleva meno, imperciocchè in quei giorni la Toscana fosse minacciata
da invasione estera, da guerra civile, e da reazioni interne512; e appena mi parve, almeno pel momento,
allontanarsi, instai onde venisse revocata. Lo universale mi reputò della Legge
annullatore, e questa opinione, nel modo che ho chiarito qui sopra, fu vera. Se
vuolsi sapere quello che i miei stessi avversarii pensassero in cotesta
occasione, può leggersi nella Nazione, Giornale piemontese al Governo
toscano infestissimo: «Il Governo toscano, che aveva per ridicola inspirazione pubblicata
la Legge Stataria,
ora l'ha ritirata, ed io credo per volontà del Guerrazzi; il quale si
sarebbe approfittato dell'assenza di M. per farlo» (e questo non era vero). « -
Giacchè, dovete pur saperlo, Guerrazzi è per singolarità il più assennato, e
il più moderato dei nostri padroni.» - (Alba, 14 marzo 1849. - Dalla
Nazione, N° 56, 7 marzo.)
Le mani erano di Esaù,
la voce di Giacobbe;
di Torino la stampa, lo scritto di Toscana; infatti apparteneva a certo
Professore fior di senno della Università di Pisa, che a me non importa
rammentare, e a lui io credo molto meno. Io poi ho voluto coteste parole
citare, unicamente in prova della opinione universale, e parmi non demeritata,
della mia temperanza. In quanto alla singolarità, che accenna lo Scrittore, dimostra
una cosa sola, ed è quanto sia temerario, per non dire disonesto, giudicare un
uomo, non ultimo finalmente del vostro Paese, o senza conoscerlo, o con la
itterizia delle vostre passioni addosso. Poveri infermi, il giallo non istà
negli obbietti che guardate, egli vi sta proprio negli occhi, - forse nel
cuore; e allora la vostra malattia sarebbe senza rimedio, - la quale cosa io
non vi auguro513.
E non per iattanza vana,
ma per difesa di me troppo a torto oltraggiato, io rammenterò come a quei tempi
gli uomini che le opinioni loro facevano pubbliche col Conciliatore, i
gravi mali deplorando, non sapevano, non dirò quale apportare, ma neppure quale
avvertire rimedio; e verso di me si volgevano confortandomi ad operare, secondo
che esperienza di storie veniva suggerendomi; se non che in cotesti casi
abbaruffati il senno cade vinto e il coraggio, i consigli generali non valgono;
ed anche fossero comparsi speciali, a cui consiglia non duole il corpo; ed
altro è dire: fa; ed altro è fare; e la favola del sonaglio, che i topi
deliberarono in collegio di appiccare al gatto, ce lo insegna ab antiquo.
Intanto la stupenda audacia della Fazione repubblicana persuadeva gli uomini
del Conciliatore, essere qualunque partito per attraversarla
intempestivo od esiziale; oggimai a reverire in pace l'altare della Libertà
rassegnavansi; unicamente a mani giunte supplicavano ad inalzare a canto a
quello l'altare della virtù; le quali parole, ridotte in casereccia favella,
significavano, che, per quanto amore portavo a Dio, dalle passioni fanatiche
prima, poi dalle violenti, e alla fine dalle cupide le persone loro, e i
poderi, e le case tutelassi. Ed io di cuore mi consacrava alla impresa, e certo
per volontà non mancai al debito mio; ho fatto quanto la mia natura dentro me
mi concedeva, e quanto fuori la veemenza degli accidenti mi consentiva. Se voi
credevate fare meglio, dovevate dirmelo allora, e venire a provare a quei
tempi; ma voi invece me pregaste, in me confidaste, chè di fare voi lo
esperimento mi parevate vaghi come i cani delle mazze. - Perchè dunque mi avete
tradito, e poi sempre e sempre calunniato; anzi, a quanti vennero a dirmi raca
traverso i fori del mio sepolcro con aperte palme applaudito? Parvi esemplare
questo? Parvi virtuoso? La coscienza è il Pubblico Ministero di Dio; e le sue
accuse, non contaminate da infelici passioni, suonano sempre giuste; - voi
interrogatela, intanto che io riporto le vostre parole:
«..... Le passioni non
hanno più freno; l'interesse è l'unico motore della più parte delle azioni, e
l'uomo sale imperturbato i gradini dell'ignominia, come una volta avrebbe
salito quelli della virtù.... Questi mali dei tempi nostri notiamo liberamente
aiutando il ragionamento col paragone dei tempi antichi, non a sfogo d'ire
private, ma sibbene a pubblico insegnamento. Quali rimedii fossero buoni a
ripararvi, male sapremmo indicare, sebbene di rimedii sia urgenza, se
vuolsi trarre un qualche utile frutto dai mutamenti dello Stato. Chi tiene oggi
il Governo della Toscana conosce al pari di noi questi mali; e scrivendo sulle
virtù degli Avi, non risparmiò il flagello di Nemesi alla codardia dei nipoti
degeneri. Operi dunque come lo consigliano conoscenza di tempi ed esperienza
di Storia. Noi non facciamo altro voto, se non quello di vedere inalzato
l'altare della virtù accanto a quello della libertà, onde abbiano culto ambedue,
quale si conviene a vergini Dee, che amano pellegrinare sorelle fra le sventure
e le follie degli uomini.» - (Conciliatore, 28 febbraio 1849.)
«Il Circolo Popolare di
Firenze aveva intimato il Popolo a proclamare la Repubblica oggi 1°
marzo. Il Governo Provvisorio fece allora intendere al Circolo, come unicamente
all'Assemblea, che tra pochi giorni sarà convocata, sia riserbato il votare
liberamente una forma di stabile Governo: la Repubblica proclamata
senza consiglio deliberato, non potere avere nè autorità per sè, nè reputazione
all'estero.
Il Circolo, peraltro,
non si appagava di queste ragioni, e persisteva nel primo proponimento. Allora
il Governo pubblicò un Proclama, nel quale applicava contro chiunque avesse
turbato con violenze la quiete pubblica il rigore delle Leggi Statarie. Il
Circolo protestò contro il Governo; ma in pari tempo promise astenersi da ogni
manifestazione.
Così terminò questo
incidente, che poteva avere gravi e dolorose conseguenze, e la giornata di oggi
sembra riuscire tranquilla.»
In questo modo il Conciliatore
del 1° marzo 1849, Giornale di quella tenerezza per me che tutti conoscono,
racconta il motivo pel quale di quattro giorni protrassi la durata della Legge
Stataria.
Avvertite cosa, che la
impronta Accusa non bada: io voglio dire come la Legge Stataria
fosse spada a due tagli, e guardasse a tenere in rispetto ogni maniera di
gente, qualunque partito professasse, o piuttosto fingesse, la quale con
sedizioso attentato la vita e la proprietà dei cittadini, o in altro modo
l'ordine pubblico sovvertisse; nè questo è già un mio ingegnoso trovato,
conciossiachè ricevesse manifesto commento dal fatto, dell'averla io quattro
interi giorni protratta per contenere la rivoluzione minacciata nel 1° marzo
1849.
E quando il Ministro
dello Interno propose, e il Presidente del Governo accettò di richiamarla in
vigore, io volli, che meno comparisse il concetto politico, e più fosse messo
in rilievo il sociale; e di vero, nei Considerandi, unicamente si
appella a tranquillità pubblica turbata da fatti, che formano brutto
contrasto con l'ordine pubblico generalmente mantenuto in Toscana; e meglio
si definisce nello Articolo IV, per moto reazionario che cosa s'intenda. Ai
caratteri che deve presentare, io penso che nessun cittadino mai potrebbe
astenersi da contribuire con tutte le forze a comprimerlo: «Moto reazionario,»
si dice, «è quello il quale per le cause onde procede, e pel fine cui è
diretto, e pel suo materiale carattere, possa ritenersi attentato contro il
Governo, o contro l'ordine stabilito, o contro la pubblica tranquillità.» Nè
qui rimasi, chè quantunque a me non ispettasse in cotesti giorni la Presidenza del Governo,
che veniva esercitata da Giuseppe Montanelli, pure volli conoscere i nomi degli
uomini deputati a comporre la
Commissione preposta alla esecuzione della Legge, e non resi
il foglio finchè non seppi che erano tutti probi e miti; tali insomma da
corrispondere alle intenzioni del Governo.
Ai Giudici del Decreto
del 10 luglio 1850 basta l'animo di affermare: «Che tutto ciò fu fatto per
comprimere la reazione, la quale in sostanza altro non era, che un
desiderio di restaurazione.»
Ho avuto luogo di
notarlo altra volta: io pendo incerto se ingiurino più profondamente le offese
o le difese dei Magistrati, i quali dettero opera fin qui a questa scandalosa
procedura; fatto sta, che esorbitanti suonano coteste parole, ed io, e quanti
facciano studio del Principato Costituzionale, dobbiamo considerarle non meno
alla dignità della Corona, che al Paese, vituperevoli. E poichè mi accorgo che
qui tra noi pochi fanno la parte loro, a me piace e giova fare la mia,
protestando altamente dal profondo del carcere per la dignità della mia Patria
e del Principato Costituzionale, contro tanto disonesta sentenza.
Da simili proposizioni
due conseguenze sono da trarsi, ed è la prima, che male giudicherà di me
chiunque ritenga l'enormezze dell'Agro Aretino atti devoti alla causa del Principato
Costituzionale; la seconda, che nefando desiderio, e degno della universa
riprovazione è quello, che perduti uomini, ossa di trucidati e ceneri di case
arse ammucchiando, vi piantassero sopra la bandiera dello assolutismo. - Lo so,
per ventura pochi, e nondimeno per onta della civiltà nostra anche troppi,
vivono uomini fra noi a cui basterebbe il cuore di mostrare l'ossuario dello
Agro Aretino, come la
Svizzera addita adesso con orgoglio l'ossuario di Morat, e
non solo lo pensano, ma in isvergognate pagine lo scrivono.... Ah! stracci la
coscienza pubblica coteste pagine, testimonianza di giorni di lutto per la
nostra Patria.... le arda, e le disperda, perchè davvero mai ceneri più
esecrabili furono gittate in balía dei venti.
Perchè non avete raccontato
i fatti che condussero il Governo a decretare la Legge Stataria per
le Campagne Aretine? Eranvi ignoti forse? No, voi gli sapete. Forse ne andavano
smarrite le traccie? No, si trovano negli Archivii ministeriali, e voi ad una
ad una avete sfogliate le carte (che adesso presumete contendere a me),
assistente uno ufficiale del Ministero. Bene io leggeva cotesti miserandi
Rapporti, per cui tutto sconfortato, al tocco dopo la mezzanotte dei 24
marzo 1849, mandava per Dispaccio telegrafico al Governo di Livorno:
«La campagna di
Arezzo è in preda al brigantaggio e allo assassinio. I Pulicianesi hanno dato
l'assalto a Castiglion Fiorentino. Vedete s'è tempo adesso di dimostrazioni514.»
Quello che non avete fatto
voi (e ve ne correva santissimo il dovere) farò io, o piuttosto lascerò che
faccia Adriano Mari, non avvocato ma storico diligente, e rimesso così, che
alla sua narrazione potremmo piuttosto aggiungere alcuni tratti più dolorosi
(dalla quale parte io volentieri mi assolvo), che emendarla come esagerata:
«Riandate colla mente i
fatti che precederono la emanazione di quelle Leggi. L'assalto di Prato e la
morte degli aggressori sotto le mura di quella città, l'incendio delle Stazioni
della strada ferrata, le aggressioni e le offese ai tranquilli cittadini sulle
pubbliche vie, gl'insulti alle Guardie Nazionali, la violazione del domicilio e
gli oltraggi ad onorevoli magistrati ed a pubblici officiali, erano fatti
criminosi, che non uscivano dalla categoria dei veri e proprii delitti
comuni. E quando nella repressione di tali eccessi avete la causa
proporzionata, lo scopo certo e immediato, come andare
sospettando uno scopo supposto e remoto? Come è lecito argomentare per via
di congetture un'altra intenzione, e ciò per trovare rei di alto
tradimento? Gl'incendii delle Stazioni, gli oltraggi alla Guardia Nazionale, le
violenze, le rapine, erano forse espansioni d'affetto al Principe, e di
attaccamento al Governo Costituzionale? I moti di Puliciano e Laterina non
erano diretti a impedire la decretata mobilizzazione della Guardia Civica?
Gli abitanti di Castiglion-Fiorentino, qualunque fosse la loro opinione
politica, non presero tutti le armi a respingere l'assalto dato
dagl'insorgenti? Non temevano tutti che si rinnuovassero i tristi avvenimenti
del 1799, e le esorbitanze commesse al grido di - Viva Maria, - per cui
nell'Agro Aretino quella sacra invocazione divenne quasi sinonimo di violenza e
rapina?
Nel vero, io domando
agli onesti di qualunque Partito: - Se una turba forsennata vi avesse aggrediti
nel vostro domicilio, vilipesi e malmenati, siccome accadde ad alcuni
gonfalonieri non d'altro rei che di aver presso loro i ruoli della Guardia
Nazionale; se vi avesse minacciato di morte non per altra cagione, che per
avere in qualità di pubblici funzionarii eseguite incumbenze inerenti al vostro
ufficio, siccome occorse al cancelliere Bandini, e al medico fiscale dottor
Sebastiano Fabroni; se fosse rimasto ucciso o ferito un parente, un amico
vostro, costretto suo malgrado a partecipare a un tumulto e a dare l'assalto a
una Terra, come fecero con sacca e scuri515
sotto le mura di Castiglion-Fiorentino; se dentro quella Terra, ingiustamente
aggredita, abitato avessero le vostre famiglie; se là fossero state le cose
vostre più care: avreste o no desiderato di essere soccorsi e protetti dal Governo
di fatto con mezzi validi e proporzionati? E, se a tempi e cose eccezionali
occorrevano eccezionali provvedimenti, avreste voi desiderato che la forza
inviata al ristabilimento dell'ordine fosse abbandonata a sè stessa, o
piuttosto guidata da una suprema autorità che ne vigilasse la disciplina, ne
frenasse e riparasse immediatamente le intemperanze e gli arbitrii? Avreste voi
desiderato, che questa autorità spettasse, anzichè ad uomo fazioso, a cittadino
onesto e specchiato?... Chi è veramente imparziale, torni col pensiero a quei
tempi, a quei luoghi; interroghi il suo cuore, e pronunzi.
Laonde non può cader
dubbio sulla necessità di quelle misure eccezionali. Nè i meno discreti
vorranno rimproverare il Romanelli di avere opinato come il Conciliatore,
che sosteneva i principii di onesta e moderata libertà; e che tuttavia col nome
di Statuto continua a difendere a palmo a palmo il terreno delle
istituzioni liberali.» - «516 Qualunque possano essere
(diceva in quei tempi il Conciliatore) le divergenze nelle idee e negli
affetti, che sempre, ed ora più che mai, in questa disgraziata Italia sono
stati occasione di discordie e di debolezze, vi sono due punti nei quali è
d'uopo intenderci e convenire, cioè:
Il bisogno di salvare la
dignità del Paese da qualunque specie di prepotenza straniera;
Il bisogno di salvare
l'ordine interno dai danni dell'anarchia, qualunque sia la bandiera a cui nome
si volesse provocarla.
Predichiamo la
concordia, perchè vi sono tali cose in questione, nelle quali nessuno potrebbe
transigere, e per le quali è debito sacro a tutti accorrere alla difesa. Avremo
sempre una parola di biasimo per chiunque si mostri indifferente ai mali della
Patria; protesteremo contro ogni specie di violenza da qualunque parte e per
qualunque cagione essa muova.» -
«Tuttavia supponete, che
le insurrezioni di Puliciano e di Laterina tendessero a ristabilire il governo
granducale. Ciò non è vero; ma supponete che dal processo apparisse. Potreste
mai da questo argomentare, che fosse precisamente e univocamente contrario al
ristabilimento di quel governo ciò che fu fatto per impedire e comprimere le
insurrezioni tendenti a quello scopo? Il fine non giustifica tutti i mezzi;
a buon fine può essere inteso un mezzo non buono; e chi si oppone al mezzo
iniquo non è per questo che sia avverso al fine buono. Così
l'opporsi alle parziali insurrezioni, e con esse alle violenze, alle rapine, e
alla guerra civile, è referibile a ciò che il mezzo ha di cattivo in sè stesso;
ed è abusiva interpretazione il supporre, che il Ministro facesse per
avversione al fine ciò che era diretto a frenare un mezzo cattivo517.»
Eh! male accorti e
sciagurati che siete, i villani con la scure e col sacco, a cui
medita su le ragioni dei tempi, sono indizio pessimo di male profondo. - Quando
le sole passioni di fanatismo religioso o di fanatismo politico ardono i petti
mortali, copia di sangue allaga la terra; e se gl'imperversati mettono le mani
nel bene degli altri, e' lo fanno meno per avvantaggiare sè, che per
danneggiare altrui. Ora, difetto di provvidenze economiche, o motivo altro
qualunque, che a me non giova in questo momento indagare, ha generato per le
nostre campagne un nugolo di gente conosciuta col nome di pigionali, contadini
senza podere, incerti del domani, assediati dalla dura necessità, corrotti dai
vizii, come tutte le cose cattive fecondi, trascorridori del comunismo, a cui,
più che altri non pensa e urgentissimamente, importa provvedere. Se io dica il
vero, ecco, queste carceri infami, dove voi potete patire che io rimanga
chiuso, ve ne fanno testimonianza; vedetele: esse traboccano di accusati, la
più parte villani, e la più parte ladri. Dal 1848 già di due terzi crebbero i delitti.
Il bilancio del Ministero di Giustizia e Grazia minaccia diventare il più grave
di tutti, attesa la spesa delle carceri. Piena la prigione di Volterra. piena
l'altra di San Gimignano; la nuova prigione aggiunta a questa mia si è empita
con foga pari a quella con la quale la inclita gioventù nostra empirebbe la
platea dei Teatri, quando si mostrasse in iscena o la Cerrito o la Taglioni, o quale altra
femmina attaccata a paio di gambe più famose. Vedete voi: possedete abbondanza
di ladri da empire le vostre carceri, senza avere bisogno di farvi morire con
lenta tise i dabbene uomini; ma fate voi... poichè così vi giova... solo
guardatevi da dire quello che non pensate, e soprattutto poi da stamparlo, onde
la torma dei famelici non impari, che acclamando il nome di un Principe o di un
Santo possa, non pure senza biasimo, ma con lode amplissima, professare
religione e politica con l'accetta e col sacco!
Altri esponga le ragioni
del diritto: io assentendo ad una voce che si confonde co' palpiti del mio cuore,
vi dico che patria carità imponeva alla trista illuvie si ponesse o almeno si
tentasse porre sollecito riparo. Nobilissime suonano in proposito le parole di
Lionardo Romanelli; ed io le cito a causa di onore: «Non ha cuore di uomo il
cittadino che rimane indifferente ai mali minacciati al proprio paese, e che,
potendoli prevenire o mitigare, si astiene per basse paure, per umani rispetti,
e per vile egoismo518.»
Ora poi è prezzo della
opera udire le immanità del truculento Commissario. Quinci innanzi non si
rammenteranno più gli annegamenti di Nantes, nè le lionesi stragi; la fama di
Carrier, di Fouchè, di Lebon e di altri maladetti da Dio, si oscura: nacque in
Toscana chi tutti questi leverà di nido. - Lionardo Romanelli con le istruzioni
del Governo partiva; e quando gli fossero mancate, andava seco la sua anima
veramente cristiana. Arrivato a Montevarchi, prima di tutto prescrive che non
si facciano arresti irregolari senza gli ordini dei Pretori di San Giovanni e
di Montevarchi; e poichè nonostante il suo comando, durante la notte, si
sostengono alcuni, egli accorre e gli libera. Procedendo, ammonisce i soldati,
che le opinioni rispettinsi, soltanto i tumulti e le violenze reprimansi;
ordina sia ritenuto uno, colpevole di violenze commesse a Pergine e alla Pieve
Presciana. Nel punto d'investire Puliciano, gli abitanti gli mandano deputati
per pace, ed ei gli accoglie; alla erezione dell'Albero della Libertà in
Puliciano contrasta; procura si catturino quattro, perchè designati come
fautori della baruffa di Laterina da un ferito ch'ebbe a subire l'amputazione
di un braccio.
La Commissione straordinaria ecco
instituisce le sue procedure. - Per questa volta cadonmi le braccia; il barbaro
ed eccezionale processo già già le sue vittime divora; voltatevi proprio
ad Arezzo, per rabbrividire alla vista di strazii obliati in Toscana.
1a Procedura.
- Per tumulto suscitato a Cortona, sotto pretesto di mancanza di pane, e di
rincaro del sale; uno degl'imputati fu condannato a un anno di casa di forza;
e un altro a sei mesi.
2a Procedura.
- Per ispionaggio, e ragguagli menzogneri a carico della Colonna mobile, allo
scopo di commuovere a offesa di lei gli uomini del contado; rimandato per
incompetenza.
3a
Procedura..... - interrotta per la mutazione del Governo519.
E qui finisce tutto. -
Come tutto? E i multati dove sono? - Non vi sono. - E gli Aretini passati dalle
soldatesche palle, dove giacciono essi? - In nessun luogo; sono tutti vivi. -
Ma se i Giudici del Decreto del 10 giugno 1850 hanno scritto, e stampato, che la Legge Stataria del
23 marzo 1849 non rimase lettera morta520!
- Che volete che io vi dica? andatelo a domandare a cotesti Giudici benedetti,
che cosa abbiano inteso significare: in quanto a me, me ne lavo le mani.
«Con decreto de' 7
aprile successivo, emanato dal Guerrazzi nella qualità di Capo del Potere
Esecutivo, questa Legge fu estesa a tutte le Terre, Borghi e Villaggi del
Granducato.» - Così prosegue l'Accusa.
E questo è falso.
Io non estesi la Legge
del 23 marzo a tutte le campagne del Granducato assolutamente, ma sì condizionalmente
a quelle terre, borgate o campagne, dove sotto mentiti pretesti si
commettono attentati contro la tranquillità pubblica, e la sicurezza delle
persone. Costretto, per pubblica salute, a firmare Legge da me
perpetuamente aborrita, posi diligentissima cura a ben dichiarare come io
piegassi a farlo, unicamente in vista di delitti comuni:
«Il Capo del Potere
Esecutivo provvisorio toscano:
«Quando il Governo
ritirò la Legge
del 22 febbraio p. p., sperò che la benignità sua non sarebbe scambiata con la
debolezza, e fosse tornata proficua al Paese la virtù del perdono. Ora poichè,
sotto mentiti pretesti, in alcune campagne e borgate si commettono attentati
contro la tranquillità pubblica, e la sicurezza delle persone, il
Rappresentante del Potere Esecutivo toscano, per conseguire lo intento
dichiarato nella sua Notificazione del 1° aprile corrente,
«Decreta quanto
appresso:
«Art. 1º La Legge Stataria del
23 marzo 1849, attivata per il Compartimento di Arezzo, e la Commissione Militare
con essa istituita, saranno applicate in tutte le Terre, Borghi e
Villaggi dello Stato, in cui si verificassero gli attentati disordini
definiti allo Art. IV di detta Legge.
«Art. 2°. Tosto che per
Rapporti o per altre notizie, pervenute al Ministero dello Interno, si abbia
cognizione di qualche fatto della indole surriferita, la Terra, il Borgo, Comunello o
Villaggio in cui sia accaduto, verrà subito militarmente occupato dalla Colonna
mobile.
«Art. 3º Le spese della
occupazione, una volta che sia stata ordinata, saranno sempre e in qualunque
caso sopportate dalla Comunità, Borgo, Comunello o Villaggio, che vi avranno
dato causa, salvo ad essi il diritto di rivalsa contro gli autori dei
disordini, coerentemente alle disposizioni espresse nell'Art. 3° della Legge
anzidetta.
«Art. 4º Il Ministro
Segretario di Stato ec.
«Guerrazzi.»
Vediamo quale fosse
questa mia Notificazione del primo aprile:
«Toscani! - Finchè l'Assemblea
Costituente toscana non abbia deliberato le sorti politiche del Paese, il Rappresentante
del Potere Esecutivo, volendo non essere minore della fiducia in lui riposta
dal Popolo, dichiara ch'egli procederà severissimo contro ogni attentato o
d'individui o di partiti, diretto contro la quiete e sicurezza pubbliche, e la
indipendenza che deve restare inviolata al voto dell'Assemblea.» - Vedi Monitore
del 2 aprile.
Io vorrei sapere un po'
che cosa provoca la rampogna dell'Accusa in questo mio Decreto. Il
provvedimento in sè stesso? o il modo col quale venne adoperato? o il fine
politico? o le conseguenze che ha partorito? Se non si distingue, male
s'incolpa, e peggio possiamo difenderci. Chi ama pescare nel torbo, contamina
le acque; io vo' che si chiariscano. Supposto che all'Accusa fastidisca il
provvedimento in sè stesso, dirò, che quando la salute della Società venga
minacciata da pericolo estremo, furono i partiti straordinarii adoperati
sempre, ed anche lodati; a patto però che il pericolo sia vero, non mentito per
arte, o sognato per paura, e le misure eccezionali durino poco, si applichino
con discrezione, e soprattutto si ponga mente a questo, che invece di rimediare
ai mali umori, non gl'intristiscano e rendano per ira concentrata, e per profondo
odio, insanabili. Di provvisioni straordinarie, pensai che nello aprile del
1849 potesse correre da un punto all'altro necessità per cause comuni, e per
cause politiche. Per cause comuni, - perchè sbigottito io considerava il corpo
sociale propendere a disciogliersi con inestimabile celerità; e se mi
opponessero che altri pure pervenne a tenerlo fermo senza siffatti rimedii, io
prima di tutto risponderei, dubitare assai che questo siasi ottenuto in modo
sicuro, perchè il proverbio insegna, che le case salde non si puntellano, e di
puntelli io qui ne vedo molti, anzi troppi; e poi a reggerlo vi furono
adoperate forze, le quali erano state per altro uso disposte; ancora, che fu
fatto uso di forze da ogni previsione nostra lontane; e finalmente non somministrare
a confortarci motivo i delitti comuni dal 1848 in poi cresciuti di
due terzi, con giusto timore che qui il mal progresso non sia per fermarsi.
Rispetto a cause politiche, - perchè la esperienza dimostra che da un lato i
Partiti vinti, prima di morire, ordinariamente prorompono in atti disperati e
feroci; i vittoriosi, per consueto, in atti superbi e bestiali. In quanto al
modo col quale la Legge
Stataria venne applicata, ho già chiarito come non abbia
fatto piangere nessuno; onde quando ogni altra lode mi venga a mancare, io non
avrò perduto la gloria, che avventurandomi nelle vicende politiche desiderai
conservarmi illesa, e che a Pericle moribondo parve doversi anteporre ad ogni
altra, intendo dire, di non avere messo per colpa mia in gramaglia nessuno521. Se poi si volesse biasimarne il fine, a meno
che non si pretenda che io dovessi rimanermi come Nerone a cantare su la torre,
mentre andava a fuoco e a fiamma il Paese, io non so con quanto o senno o
coscienza mi vogliano riprendere; e per quello che concerne il fine politico, è
di evidenza intuitiva che la
Legge del 7 aprile fosse arme apparecchiata contro l'estreme
violenze dei Faziosi. Invero, se l'Assemblea io sapeva che stesse per
deliberare la Repubblica,
quali timori erano questi miei? Non cadevano paure, imperciocchè i Faziosi ne
avrebbero acceso i falò, e levate al cielo le grida. I sospetti non versavano,
nè potevano versare, che su questo: o che i Deputati a dare il voto per la
restaurazione si peritassero, o che per improntitudine di Partito la
deliberazione dell'Assemblea si volesse a forza, come minacciavano, cancellare.
Intorno alle conseguenze
rammento, che la Corte
Regia di Lucca col Decreto del 4 giugno non solo si astenne
da improbarle come delittuose, ma come prudenti le commendò. Nè per me
volendosi, o potendosi addurre ragioni che valessero oltre quelle contenute nel
Decreto allegato, torno, come ogni buon cittadino deve fare, a piangere
amaramente su lo spettacolo, che nello stesso paese, - sotto le leggi medesime,
- a breve distanza, - nella causa medesima, - giudicando lo adempimento della
stessa misura, - ciò che per alcuni Giudici fu argomento di lode, per altri
possa esserlo, non dico di biasimo, ma (ed empie di orrore!) di capitalissima
accusa.
Però di queste tre Leggi,
la prima non mi riguarda, e non fu mandata mai ad esecuzione; e mantenuta da me
per impedire che per prepotenza di Faziosi, la forma Repubblicana, la decadenza
del Principe, e la Unione
con Roma s'imponessero, dispersa appena cotesta bufera fu da me abrogata; la
seconda, comunque da me non firmata, intesi che alla repressione di delitti
comuni di pessima indole principalmente mirasse, non avvertita la maschera
sotto la quale presumevano andare impuniti; la terza accenna a delitti comuni,
e si propone per iscopo di assicurare la libera votazione dell'Assemblea nel
vitale partito, se e come Toscana avesse ad unirsi con Roma.
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