XXVII.
Intorno all'Accusa della
soppressione del Consiglio generale Toscano, e della mutata forma delle
Elezioni.
Il Parlamento fu
soppresso dal partito prevalente, col Decreto promulgato nel giorno otto
febbraio sotto le Loggie dell'Orgagna alla presenza del Popolo, come nelle
pagine che venni in altra parte di questo scritto dettando fu largamente
provato.
Lo soppresse la stampa
repubblicana furiosissima e incalzante. Torniamo a gittare uno sguardo sopra nuovi
documenti di quella, e vediamo se davanti un tanto percuotere di ariete,
quando anco altro non fosse stato, avrebbe potuto il Parlamento sostenersi.
«La Costituzione e lo
Statuto scompaiono col Principe disertore: noi ricorderemo ai Deputati della
Toscana, ch'eglino, come Consiglio deliberativo, hanno compiuto l'opera loro......
Il Senato, grottesca parodia della ciarliera Camera dei Pari di Francia,
violatrice della Costituzione, di ogni mandato, di ogni sovranità; il Senato,
autorità unicamente fittizia, più non esiste in Toscana; egli altro non era che
una superfetazione del potere reale522; questo caduto, il
maggiorasco dell'Aristocrazia già cadente ha perduto ogni nerbo di vita, anzi
ogni vitalità costituzionale e deliberativa. Il nostro Senato, come quello di
Francia, rimarrà rimembranza più o meno ridicola, più o meno riprovevole,
secondo gli effetti che resulteranno dalle ultime sue sbadigliate
elucubrazioni. Il Senato, figlio accarezzato dello Statuto, è sepolto con
lui.» - (Alba del 9 febbraio 1849.)
«Oggi gridiamo
francamente al Governo di Toscana, ai Democratici di Toscana, quello che il
Popolo in questi dì domandò ai suoi reggitori, quello che scrisse su le
mura di tutte le vie di Firenze: Unione con Roma! Uno Stato solo di Toscana
con Roma.
«Dare indietro - sarebbe
tradimento, apostasia; sarebbe un volere sepolta la fede combattuta da tanti
dolori sotto le bandiere della prima vittoria.
«L'Assemblea Toscana è
disciolta.» - (Alba, 11 febbraio 1849.)
Il Nazionale del
10 febbraio 1849, più mite nelle frasi ma non meno assoluto nel concetto, così
si esprime riguardo alla Camera:
«I rimedii e gli
ordinamenti che potevano attendersi da mature deliberazioni delle Assemblee
Legislative, ora necessitano subito. Le Assemblee stesse nè giuridicamente
nè decorosamente possono continuare ad esistere: quando il Governo credesse
utile od opportuno di circondarsi di Assemblee deliberanti, dalla sua stessa
indole sarebbe costretto a interrogare la volontà del Paese per mezzo del
suffragio universale.»
E la Costituente Italiana
del 9 febbraio parla così più dittatorialmente al Governo Provvisorio:
«Innanzi a tutto ei deve
sgombrarsi la strada, concentrare in sè tutta la vita del Popolo, rompere
nettamente in faccia agli avanzi di un'epoca che ormai è rinnegata. Il
Consiglio generale dei Deputati è instituzione tale che, dopo il fatto d'oggi,
non ha più corso....; è inutile ordigno che, senza aggiungere forza, vizia
il carattere e lo spirito della rivoluzione.»
E non solo la stampa
repubblicana, ma quella eziandio che si chiamava conservatrice, e si diceva ed
era organo di frazione notabile e più moderata del Partito Costituzionale, si
univa a provocare lo scioglimento del Consiglio. E questa testimonianza io
consegno alla Storia, perchè, giudicando delle azioni umane, ne faccia tesoro.
«Oggi peraltro che un Governo Provvisorio è instituito, mal sappiamo intendere
che resti a farsi dai Rappresentanti. Senza parlare delle cessate ragioni del
loro mandato, giacchè in tempi di crisi politiche necessariamente rovina
ogni giuridico fondamento al Potere, inutile affatto ci sembra oggi ogni
loro azione. Però il Governo disciolga la Camera, e col principio accettato del suffragio
universale faccia nuovo appello al Paese, o i Deputati provvederanno al loro
decoro con una volontaria dimissione.» - (Conciliatore del 9
febbraio 1849.) - Nè già una volta sola, ma subito il giorno dopo
magistralmente, secondo il consueto: «a questo pensi il Governo sorto dalla
necessità del momento, onde non compromettere (sic) inutilmente la
tranquillità del Paese, che nuovamente consultato col suffragio universale
ha un modo legittimo di manifestare la sua volontà su la normale costituzione
dello Stato.» - (Conciliatore del 12 febbraio 1849.)
Pertanto, senza
discrepanza, universale urgeva allora la opinione pubblica per lo scioglimento
del Consiglio.
Forse taluno opporrà: -
E che ti faceva quello che quivi si bisbigliava? Dovevi lasciar dire le genti,
e stare fermo come torre. La stampa è stampa, nè ha virtù di prendere pel collo
un Ministro. - Anche in tempi ordinarii, la stampa è forza tale a cui sembra
piuttosto l'opporci efficace di quello che sia.
Vostro
saver non ha contrasto a lei;
Ella
provvede, giudica e persegue
Suo
regno.
Ed io allego la stampa
come organo di Partito trionfante; sicchè vedete che poco riparo le poteva fare
la gente. Gli uomini politici vengono mossi non solo dalla pressione presente,
bensì ancora dal presagio degli umori che i partiti presi siano capaci a
generare. I signori Fitz James, Dreux Brezé, De la Tour du Pin, Montauban, e
Mortemart, svisceratissimi del ramo maggiore di Casa Borbona, si accostarono al
trono di Luigi Filippo dichiarando solennemente nello agosto del 1830, questo
avere operato non già per diffalta di fede, a cui gentil sangue di Francia non
faceva mai mancamento, bensì per salvare la Patria dall'anarchia apparecchiata a divorare, e
da tale pensiero essersi trovati costretti con irresistibile violenza.
Il Parlamento, siccome
il Conciliatore accenna, cessava per necessità delle vicende accadute,
perocchè mancassero la ragione del mandato, e il modo di esercitarlo: la ragione,
non potendo estendersi, secondo la indole di qualsivoglia altro mandato, a cose
nè espressamente nè virtualmente contemplate; il modo, essendo venuta
meno la facoltà di operare co' Poteri indicati nello Statuto. Nella guisa
stessa che cadeva il Ministero per l'assenza della Corona, cadeva il
Parlamento, e con loro tutta la macchina governativa. Il Parlamento, giusta le
regole di Diritto Costituzionale, a cagione di questo successo non aveva
neanche bisogno di pronunzia per disciogliersi; era cessato ipso jure et
facto; e, dirittamente avverte l'organo che si vantava del Partito
moderato, il Conciliatore, non si sapeva comprendere nè in virtù di
quale fondamento giuridico, nè a qual fine continuasse a sedere.
Il Parlamento ancora si
disfece da sè stesso quando nella seduta dell'otto febbraio, secondo che a suo
luogo ho fatto conoscere, taluno dei suoi membri dichiarò, che, eletto il
Governo Provvisorio, intendeva cessati i suoi poteri; tale altro sostenne
mancare perfino di facoltà per eleggerlo; parecchi finalmente si astennero da
votare, o votarono come semplici cittadini. Come dunque mantenere in vita un
corpo che da sè stesso esibiva la sua fede di morte?
Il Parlamento disfece sè
stesso quando molti Deputati si assentarono, dimostrando col fatto che non
volevano prendere parte alle deliberazioni.
Con quale senno o
consiglio l'Accusa rimprovera avere sciolto il Parlamento, quando lo ritiene
esposto a violenze estreme?
Un poco di buona fede
anche per me: i Romani privavano dell'acqua e del fuoco i proscritti, ma non ho
mai inteso dire che i Romani, o Popolo altro qualunque, privassero alcuno della
buona fede; dunque se l'Accusa non mi vuole privare della buona fede, e va
persuasa di quanto scrive, o come può ella credere che il Parlamento avrebbe
voluto o potuto adunarsi dopo la giornata dell'8 febbraio?
No; il Parlamento, per
le regole costituzionali, a cagione dell'assenza della Corona, era cessato;
egli non poteva esercitare altramente il suo ufficio, privo di mandato per
istarsi al fianco di Governo impreveduto: e questo in diritto; - in fatto, non
voleva più adunarsi quando parte dei suoi membri disertava le sedute; non
poteva più adunarsi, quando dal suo seno sorgevano voci ad ammonirlo della sua
incapacità a perdurare; quando il Popolo lo aveva soppresso, e incalzava per la Unione con Roma; quando la
opinione universale gli urlava negli orecchi ch'era morto, e che dirittamente
pensò quando, con le sue proprie gambe, andò a farsi sotterrare.
Cause irresistibili
erano queste per confermare il Decreto di scioglimento, il quale non ebbe altra
virtù che constatare un fatto oggi mai compíto dalla mancanza di uno dei tre
Poteri costituzionali, e per la volontà del Partito trionfante.
Inoltre, l'uomo di Stato
che o per volontà propria, o per prepotenza di casi, si pone a capo di un moto
rivoluzionario per contenerlo e dirigerlo, non può mica fare come Diogene, il
quale pretendeva entrare in teatro quando gli altri tutti ne uscivano. Senno e
potenza consistono nello allentare il moto deviandolo a poco a poco: ora, senza
il Decreto che il Parlamento scioglieva e chiamava il Paese a deliberare
intorno alle sue sorti, non si sarebbe potuto in verun modo resistere alla
veemenza del Popolo, il quale instava per la Unione con Roma, e per la decadenza del Principe.
E quello che merita
considerazione maggiore si è, che senza questa provvidenza non si potevano, a
mio parere, aprire le porte del ritorno al Granduca. Ragioniamo, e vediamo se
il mio concetto è giusto.
Poichè la Corona, abbandonando il
Governo, aveva lasciato il Paese senza autorità, e il Partito Repubblicano,
valendosi della occasione, aveva preso il disopra; tre soli modi occorrevano a
ristabilire il Governo Costituzionale. Questi modi erano: 1° Armi straniere; 2°
Accidente interno; 3° Consenso universale.
Che si avesse ricorso ad
armi straniere, non era pensiero che potesse cadermi nella mente; e neppure, io
m'induco a credere, in quella dell'Accusa: e dov'ella, ai giorni che corrono,
il contrario mi dicesse e giurasse, io la terrei spergiura. Infatti, due volte
abbiamo veduto ai tempi nostri il mondo armato ricondurre i Borboni in Francia,
e il mondo armato non bastò due volte a dare loro stabile fondamento, però che
il Popolo mantenne sempre vivo quel dolore nell'anima di sopportare il regno
come un giogo di umiliazione impostogli nel giorno della sventura dalla
superbia straniera; per la quale cosa, il tempo, invece di lenirlo, lo
inciprignì per modo che poi ne uscirono quegli effetti, che, pessimi pel
Principato, neppure pei Popoli si possono dire lieti. Nè questo esempio è
singolare nella Storia. In Inghilterra il voto del libero Parlamento aperse
durevoli e prosperose a Carlo II Stuardo le porte del ritorno al soglio
paterno; mentre Giacomo II, suo fratello, sovvenuto dalle armi di Francia, non
ricuperò il trono, e perdè irrevocabilmente lo amore degl'Inglesi523. Quando le armi straniere muovono ad aiutarti,
di rado avviene che nol facciano per solo comodo proprio; quando anche vi si
conducano un poco per benefizio tuo, nonostante il comodo loro sarà sempre
troppo la maggior parte: per la quale cosa esse ti tengono subietto, e ti
tolgono la riputazione di poterti reggere da te; onde per necessità ti poni in
perpetua tutela altrui. Da un lato acquisti fama e atteggiamento di debole,
dall'altro perdi la confidenza, perchè tu stesso mostri non ti volere o non ti
potere fidare; ed è il primo dannoso, il secondo senza rimedio. Ad ogni modo,
senza che io vi spenda intorno altre parole, la chiamata delle armi straniere
dagli uomini politici è reputata infelice consiglio negli Stati grandi, pessimo
nei piccoli. Solo può giustificarla la disperazione di ogni altro partito; ma a
questo estremo non eravamo noi, e sarà dimostrato in appresso. E poi, mi rimane
in cuore una speranza che consigli spontanei non abbiano fatto repudiare la
sapienza comune e le tradizioni avite; nè a farmela deporre mi costringe la
opposta apparenza, imperciocchè io conosca a prova quanto empia sia la virtù
della necessità politica, e solo menti affatto plebee possono giudicarla arte
fraudolenta di privato interesse.
E chi nel febbraio del
1849 avremmo potuto chiamare? Per avventura gli Austriaci? Ma nè sì sollecite
nè così infelici potevano presagirsi le sorti della guerra italiana; e in ogni
caso, io non poteva prevedere davvero che s'invocassero per ausiliarii quelli
che, salendo al Potere, trovavo, da tre Ministeri precedenti al mio, dichiarati
nemici. Tradizionale correva per Toscana tutta la fama che uomini
svisceratissimi della Monarchia e di senno antico, miei predecessori nel
Ministero, avevano sempre avversato la introduzione di armi straniere in
Patria, e di taluno si diceva eziandio che, piuttosto di consentirla, avesse
scelto rassegnare la carica. Avremmo chiamato i Piemontesi? Rammentisi senza amarezza,
e non per incolpare cotesti Popoli, speranza e decoro del nostro Paese, ma sì
taluno di coloro che in quel tempo gli resse, come meschine cupidità, in mal
punto messe in campo, facessero diffidare dei loro aiuti. Vorrei anche credere
di leggieri quello che ci assicurava il Ministro piemontese, intendo dire, le
molestie tutte non dipartirsi già dal Governo, ma sì dalla trista genìa
degli uomini zelanti che dimorava a Sarzana, se l'azione diretta del
Governo nel negozio dell'Avenza non mi costringesse a dubitarne. - Comunque
sia, Piemontesi o non Piemontesi, entrando su le nostre terre in sembianza
ostile, diventavano stranieri; e questo non sarebbe stato bene per noi, nè per
loro. Dunque, alle armi non domestiche, molto meno alle straniere, non dovevo
immaginare che si volesse nè che fosse bisogno ricorrere. E qui mi si conceda
che a mente tranquilla torni a lamentare la subitezza di Vincenzo Gioberti,
peccato ordinario delle indoli generose; però che io gli scrivessi nel 21
febbraio la Nota
referita nelle precedenti pagine proprio per porgergli l'addentellato onde
trovar modo a comporre prudentemente le cose italiane ogni giorno più ardue; ed
è da credersi che lo avremmo trovato. Piacque ai Cieli altrimenti!
Gli accidenti interni, o
rivoluzioni condotte per forza, senza sangue non si operano; male, se le forze
dei Partiti si equilibrano; peggio, se no. Feroce nel primo caso la guerra
civile; nel secondo ferocissima e spietata: imperciocchè allora vi si unisca la
paura; e di questo fu toccato altrove.
Nel caso nostro i
Faziosi nell'8 febbraio, e quelli che, senza parteciparne le opinioni, pure
aderivano a loro in quel momento di ebbrezza, non parevano la minorità;
ma sedato lo impeto, il Partito Costituzionale doveva riprendere il di sopra. E
posto ancora che fossero i più deboli, rimane sempre vero, ch'essi, come più
audaci e maneschi, dominavano lo Stato, e da un punto all'altro diventando
Governo era da aspettarci che ponessero in pratica il principio di vincere ogni
ostacolo con la forza, e col terrore mantenersi. Intanto la guerra civile si
manifestava da ogni parte con orribili indizii. Credei, e credo davanti a Dio e
davanti agli uomini, che il mio dovere m'imponesse impedire che i cittadini si
sbranassero, e questo, secondo le mie forze, ho procurato fare, e fino
all'ultimo ho fatto. Temperare i Partiti estremi onde non venissero al sangue,
mi parve principale scopo della missione alla quale la Provvidenza mi aveva
riservato. Se da un lato tentai reprimere i moti reazionarii e sovversivi la
società, dall'altro prevenni persecuzioni, vendette, e gli effetti
trucissimi della paura. Recuperare lo Stato col mezzo della guerra civile,
torna lo stesso che incendiare la casa per rientrarvi.
Il nostro Principe si
proclamava altamente nemico alla guerra civile: «Alcuni torbidi scoppiati nel
seno della Toscana mi consigliarono a chiamarvi intorno a me da ogni parte
dello Stato, e non già che l'animo mio soffrisse di promuovere la guerra
domestica, e di porre gli uni contro gli altri coloro che tutti sono
ugualmente miei figli.» - (Proclama di S. A. del 4 settembre 1849.) - E questo,
come vedremo, ha poi detto sempre. La guerra civile deve detestarsi da tutti, e
detestai; e così facendo, ho adempito ai miei doveri di cristiano e di
cittadino, e certamente corrisposto alle intenzioni del Principe.
Ripetere qui quanto già
dissi intorno alle ragioni dei tempi e agli umori dei Popoli, sarebbe
certamente sazievole: solo piacemi riferire adesso due esempii, il primo
antico, il secondo odierno, e ciò nello scopo che l'uno all'altro serva di
confronto. Sul principiare della Rivoluzione di Francia del 1789, il Popolo
concitato a sdegno contro certo Thommassin, da lui creduto incettatore, lo
chiama a morte; chiuso, per salvarlo, nella prigione di Poissy, l'onda del
Popolo batte fremente le porte del carcere. L'Assemblea, sollecita a riparare i
mali, manda uomini apposta per tutelarlo dalla furia delle moltitudini, e il
Vescovo di Chartres, anima di angiolo, con parole soavi di amore e di cristiana
carità si affatica a raumiliarle, e lo facea, se una voce proterva ad un tratto
non prorompeva in questo concetto: «Or vedete, Sauvage, perchè povero,
lasciarono perire; questo poi, perchè ricco, vogliono salvare.» Al tristo grido
il furore degli accorsi divampa, le imposte scassinate, volano in pezzi, già
fuori del carcere il misero prigioniero strascinano, le spade già di sinistra
luce balenano. Lo egregio Vescovo, non gli sovvenendo ormai partito migliore,
s'inginocchia, i Deputati dell'Assemblea lo imitano, e tutti insieme, non senza
lagrime, tendono supplichevoli le mani al Popolo, implorando la vita al
Thommassin. «No, - ha da morire;» risponde la turba. Nè anche adesso si
sgomenta il Vescovo: e «Voi cristiani siete» egli dice, «concedete dunque che
da cristiano muoia; bastivi uccidere il corpo, deh! abbia salva almeno
l'anima.» Allora il Vescovo riceve la confessione del meschino, e levata la
destra lo scioglie benedicendo dai suoi peccati; quindi aggiunge con voce
benigna: «Voi lo potete trucidare adesso.» Il Popolo si sente ammollire la
durezza del cuore; non osa: e il Thommassin è salvato.
Certa sera del marzo
1849 io mi riduceva al Palazzo Vecchio, quando posto il piè su la piazza scôrsi
moltitudine di Popolo imperversarvi dintorno; e un grido funesto mi percosse: «Li
vogliamo morti.» Accorrendo vidi come la Guardia Nazionale
ritrattasi nel quartiere avesse chiuso le imposte, con poco frutto però, chè la
calca facendo forza minacciava fracassarle; tempo non mi parve cotesto di
fermarmi a interrogare di che cosa si trattasse, nè gli arrestati qual nome si
avessero: uomini erano. Penetrato a stento nell'atrio dove mette capo
l'usciolino del quartiere, questo pure rinvenni custodito dalla moltitudine
sospettosa, e chiuso per di dentro: bussai più volte, ma non si attentavano
aprire; se non che avendo ravvisata la mia voce lo schiusero un poco, tanto che
io potessi entrare, e subito tornarono a chiuderlo dopo le spalle. Mi apparvero
davanti due giovani, morti giudicati alle sembianze; ignoto il primo, notissimo
il secondo, ch'era Tommaso Fornetti. Amicizia antica mi legava con la sua
famiglia, con la sua parentela, con lui, del mio Studio onorevole ed onorato
frequentatore; e se non fui io che feci ottenergli lo impiego di Segretario al
Ministero degli Esteri (chè di tanto non posso vantarmi), certo egli mi provò
in cotesta congiuntura caldissimo e non inefficace promotore. Quando la volontà
del Principe mi assunse al Ministero, egli si dimise dal segretariato,
dubitando forse non essere mantenuto, a cagione dello scrivere, che faceva nel
Giornale - Il Conciliatore, che per seminare zizzania pareva nato a
posta, ed in ciò ebbe torto; nè dopo cotesto atto non giustificato dal dubbio
che accenno, nè, a parere mio, da verun'altra ragionevole causa, mi era più
comparso davanti. «Se' tu, Maso?» gli dissi amorevole. «Ch'è stato?» - Ed egli
narravami, che essendogli occorso su pei canti certo Manifesto pieno di
atrocità, non aveva potuto tenersi e lo aveva strappato; ora trovarsi tratto
costà in presentissimo pericolo, perchè le imposte della porta minacciavano
cedere, e già i calcinacci per le reggi commosse violentemente cadevano. -
Allora ripresi: «Benedetto ragazzo, e chi t'insegna a metterti in questi
ginestraj! E mentre sudo acqua e sangue perchè la stadera non trabocchi, tu vai
a caricarla di nuovi pesi! Però tutto questo non vale nulla adesso: vieni e
tenterò di salvarti.....» Schiusa un tal poco la porta, raccomandai alle
Guardie Nazionali, che appena uscito mi formassero argine dietro, e poi presi
ambedue i giovani sotto le braccia; e «Su via coraggio» dissi loro, «andiamo.»
E trassi fuori risoluto con loro. Le Guardie Nazionali animose si posero e
pronte fra noi e la moltitudine arrabbiata. Già avevamo mosso cinque passi o
sei, quando, fra gli urli che c'intronavano le orecchie, se ne levò uno così in
tristezza come in fragore soperchiante agli altri, che gridò: «Perchè sono
Signori è venuto a salvarli; se fossero stati poveri potevano agganghire.»
Facciamo presto, raccomandava ai giovani, chè conosceva i goccioloni forieri
del rovescio, quando ad un tratto non ci potendo raggiungere ci lasciarono
andare dietro una pistolettata, la quale per ventura non colse noi, ma stracciò
uno orecchio al custode dello ufficio dell'Ambasciata inglese. «Facciamo
presto, chè non ci arrivi la seconda» raccomandai da capo; e sorressi i
pericolanti e li condussi in casa, facendo quello che tra gente di cuore si
costuma. Fornetti fu accolto dai miei familiari, che lo conoscevano ab
antiquo, come un parente di casa. Allora seppi l'altro chiamarsi Lenzoni,
ed essere figlio della illustre Donna, che tanto fu pia alla memoria di
Giovanni Boccaccio, di cui gl'ingrati concittadini ignorano perfino il
sepolcro; e quantunque io poco sia uso a dimostrarlo, mi sentii tutto commosso
della pietà di questo dabben figlio, che si preoccupava meno del pericolo
passato e della tremenda agitazione presente, che dell'angoscia della Madre
sua, se per sorte le fosse giunta notizia del caso, corrotta, come suole, od
aggravata dalla fama.
Non potendo consentire
che uscisse, lo consigliai a scrivere, e la lettera pervenne celere, quanto
l'amore del figlio e l'ansietà materna potevano desiderare. Nel partire,
ordinai ai miei di casa li tenessero sollevati; rinforzassero internamente le
porte, e non aprissero, badassero bene, a nessuno, se non udivano la mia voce.
La folla brontolando si sciolse, non però in modo che per buona pezza della
serata qualche capannello dei più pertinaci non rimanesse a imprecare e a
minacciare. A notte fitta, Ottavio Lenzoni venne pel fratello, e a lui, ricevute
e risposte convenevoli parole, liberamente lo affidai: Fornelli poi, quando
tempo mi parve, attaccata la carrozza, non senza calde raccomandazioni di
pensare a sua madre, e astenersi da commettere sè stesso a pericolo di vita,
feci accompagnare alla sua dimora.
Questi esempii mi è
parso dovere addurre per dimostrare a quanto sottile capello stia sovente
raccomandata la vita degli uomini, e la sicurezza pubblica, e più per fare
conoscere quali espedienti fossero i miei per tutelare la città e i cittadini: ora
io ammaestrato dall'amara esperienza del vivere fra gli uomini, comprendo
benissimo che il secolo ingrato il benefizio ricevuto dimentichi, ed anche che
acerbo lo sopporti; ma ricavare dal benefizio argomenti per nuocere a colui che
lo fece, oh! questo è orribile; - io per me non dubito punto bandire al mondo,
che chi tale costuma, avvelena la virtù nelle sue divine sorgenti.
E, orribile, orribile a
pensarsi, in questo modo appunto adoperò l'Accusa! - Se sia vero qui si
manifesta. - La mia Difesa allegava la violenza irresistibile sopra di me
esercitata, la necessità di cedere in parte per la comune salvezza, il molto
bene mercè mia procurato a vantaggio dei cittadini, contenendo o reprimendo le
turbe tumultuanti; e i Giudici, questi fatti accogliendo, ecco in qual modo gli
avvelenano: Appunto perchè il prevenuto Guerrazzi riuscì più volte, COME
RACCONTA, a contenere e a reprimere le turbe tumultuanti, in benefizio dei
cittadini, questo a chiara prova dimostra che a posta sua poteva governarle; e
se le poteva governare, ciò significa ancora che egli non ha dovuto
sperimentarle violente!!524
Voi lo vedeste come
talvolta mi riuscisse contenere le turbe tumultuanti.... mettendo in
repentaglio la mia vita per salvare l'altrui. Signore! Quanto era meglio che io
fossi morto, chè adesso non mi sentirei amareggiata l'anima, per le tante
infamie che ascolto!
Ond'è che ritornando al
mio ragionamento, dichiaro, che rimaneva il terzo espediente, il quale
consisteva nella restaurazione del Principato Costituzionale operata dal
suffragio universale. Questo mi parve non pure possibile, ma onorato partito, e
lo coltivai con ogni studio, al doppio fine d'impedire che il Paese rimanesse
stravolto dal turbine repubblicano, e di predisporlo a giudicare pacatamente
quello che fosse da seguitarsi o da aborrirsi.
Se i Rivoluzionarii si
fossero trovato a petto il Parlamento toscano senza autorità, privo di mandato,
sia a continuare un sistema che più non era, sia ad apparecchiare cose nuove;
tra sè discorde; già intimato a disciogliersi, anzi sciolto; senza fede in sè;
in parte repugnante, e in parte persuaso di essere inabilitato ad adunarsi; per
poco che uomo, non dirò intenda di politica, ma goda di quel comune discorso
della mente di cui qui tra noi vediamo dotati gli uomini più meccanici, conosce
come cotesto ostacolo ad altro non avrebbe servito, che a irritare gli animi
dei Settarii, i quali camminandogli sul corpo avrebbero di slancio proclamata la Repubblica.
Ora primo ammaestramento
di prudenza nelle popolari commozioni, è rimuovere le cause, che, contribuendo
ad inacerbirle, non sono poi capaci a reprimerle. Per lo contrario trovando i
Repubblicani convocata l'Assemblea per decidere liberissima la forma del
Governo secondo i canoni predicati da loro, rodevano un morso fabbricato dalle
proprie mani, e poco giovava ricalcitrare. Cotesto era guado che non si poteva
saltare senza lasciarvi cadere nel mezzo la reputazione di probità, privi della
quale non solo i Partiti, ma i Governi eziandio si disfanno irreparabilmente. -
Nella parte finale di questa scrittura sarà chiarito come anco in Inghilterra
non fu trovato espediente migliore a restaurare il Principato Costituzionale
del libero Parlamento. Vincenzo Gioberti ministro del Piemonte, scrivendo nel
28 gennaio 1849 al Ministro Muzzarelli di Roma, gli proponeva operare in guisa
che l'Assemblea Costituente romana decretasse in genere i diritti
costituzionali di Pio IX, e quindi con una Commissione eletta dal Papa questi
diritti si determinassero. Proposta di simile natura presso noi non avrebbe
incontrato alcuna delle difficoltà, alle quali per avventura poteva andare
soggetta nell'Assemblea Romana; imperciocchè in Toscana nulla era a definirsi,
e bastava ritornare al posto525.
L'Accusa ritiene, che
l'Assemblea Costituente toscana dovesse per necessità d'instituto procedere
avversa al Principato Costituzionale; e, come si vede, l'Accusa s'inganna.
Questo inganno nasce da difetto d'istruzione politica, però che appunto le
Assemblee Costituenti, essendo chiamate a dare forma di reggimento allo Stato,
non possono in prevenzione escluderne veruna; questo inoltre si fa manifesto
con lo esempio del consiglio di Vincenzo Gioberti, il quale per certo si
sarebbe astenuto da darlo alla Costituente Romana, se Costituente per necessità
significasse decadenza del Principato; anzi la prima Costituente in Francia, di
cui tutti i Partiti, non esclusi i Legittimisti, si onorano, nel 1789
compose lo Statuto costituzionale; finalmente questo inganno resulta eziandio
dal confronto della opinione dell'Accusa col testo della Legge del 6 marzo, che
contiene la norma della discussione e della deliberazione commesse
all'Assemblea Costituente Toscana: «se,
e come Toscana dovesse
unirsi con Roma.»
Il mio concetto, che,
come ho mostrato, era promosso dallo stesso Partito Costituzionale moderato,
ebbe plauso ancora fra i Repubblicani onesti; per la quale cosa anche lo scisma
della parte contribuì a farmi tenere fermo. In breve si vedrà con quale e
quanta forza urgentissimamente stringessero i Repubblicani più accesi a
impedire la convocazione dell'Assemblea Costituente, deridendola,
screditandola, e con ogni arte di astuzia, di ragionamento e di violenza,
perseguitandola. Già di questo toccai altrove quanto basterebbe a persuadere
ogni uomo onestamente discreto; ma io devo ricordarmi come da me si pretendano
prove limpidissime e fulminanti....
«Che Costituente o non
Costituente?» andavano vociferando gli smaniosi Settarii. «La Repubblica non ha
mestieri di essere proclamata; ella lo fu, e dai Popoli tutti; ed anche non ce
n'era bisogno, perchè è necessario forse un Decreto onde il Sole si levi da
Oriente, e spanda la sua luce su tutto il creato526?
No, Signori; adesso fa di mestiero la
Legge per inviare i Deputati all'Assemblea Romana, e basta.
Opporsi a questo è resistenza ai comandi del Popolo. Fin dall'8 febbraio nel
cuore e nel grido di tutti fu la Repubblica; in quello stesso giorno decretata
solennemente, dalla Toscana tutta confermata; ora per dirsi repubblicano il
Popolo dovrà aspettare la licenza dei suoi mandatarii, dei suoi sottoposti?»
Queste e più intemperanti cose dicevano; ma vedendo che facevano poco frutto,
come altrove accennai, ecco proporre nuova istanza. «Il Governo dichiari dunque
la decadenza di Leopoldo, e proclamando il principio di Repubblica e di Unione riservi
all'Assemblea Nazionale la sanzione dell'opera. Ancora una volta lo
Ricordiamo al Governo Provvisorio di Toscana, le oscillazioni non sono più
possibili, il Popolo non le vuole527.» Ed anche a questo
colpo insidioso fu riparato.
Di questo può andare
sicura l'Accusa, che non sorse voglia, non palpito del Partito Repubblicano,
che la stampa non raccogliesse; e non manifestazione che come ordine da
eseguire subito, - senza esitanza, - non fosse presentata dai Circoli, dai
Petizionarii, ed anche dai singoli cittadini.
L'Accusa ha scritto (e
mi giova insistervi sopra): - che cosa ha fatto il Guerrazzi? Al più, al più,
egli ha impedito che la
Repubblica si proclamasse fino alla convocazione
dell'Assemblea Costituente toscana. - Davvero? Ebbene, ricordati che io ti ho
domandato, e torno a domandarti adesso: sai tu che cosa si desidera per
ricondurre le menti deliranti nel diritto cammino? Sai tu quello, che in simili
condizioni riesce ordinariamente ad ottenersi impossibile? - Ed io, poichè, tu
Accusa, non sai o t'infingi non sapere rispondere, rispondendo per te dirò, e
lo dirò con un uomo di Stato, Storico e Pubblicista di grande celebrità: La
tranquillità, onde ogni uomo esamini con calma, e adoperi il suo giudizio a
considerare quella che a sè e al suo Paese convenga528. Ora la convocazione dell'Assemblea partoriva
appunto questo bene; per essa si acquistava il tempo necessario, affinchè gli
animi accesi, riposati dall'agitazione che gli affaticava, ponderassero quanto
fosse da evitarsi, e quanto da seguirsi; gli spiriti costituzionali, che
sbigottiti non ardivano mostrarsi, si ravvivassero; con varie pratiche i più
tormentosi perturbatori, sia che gli spingesse zelo focoso di convinzione o
freddo calcolo di pescare nel torbido, si allontanassero; il Paese insomma
risensasse, si riscuotesse, e recuperando le sue tradizioni smarrite, i suoi
costumi, le sue voglie, la sua maniera di sentire e di essere, ritornasse nella
carreggiata donde una scossa improvvisa lo aveva sbalzato.
La mia condotta fu
semplice; nè penso essermi mostrato impenetrabile come la Sfinge a Edipo: non
consentii alla parte repubblicana, nè alla Unione con Roma, per convincimento,
desunto da fatti e da giudizii, che la Toscana all'una cosa repugnasse e all'altra. Per
me, terrò sempre così disonesto, come insensato, precipitare per forza o per
inganno i Popoli colà dove si mostrano repugnanti ad andare; e se i Partiti
senza fede, di cui oggi è infelice instituto scrivere carte in contumelia
altrui, comprenderanno alfine, come si possa professare opinione discorde dalla
loro senza essere per questo traditore o codardo, penso che faranno meglio i
fatti loro; - ma predicando ai Partiti, prédico al deserto.
Il Procuratore regio
della Repubblica, signor Rusconi, scrive: «Che essendo mancato il Governo, il
Paese aveva diritto di essere governato, di provvedere alla propria
conservazione529,» - e qui sta bene; - «egli
era necessario ricorrere a quella fonte, che solo legittima ogni Governo,
interrogando il voto popolare. Un'Assemblea Costituente a suffragio universale
eletta, era la resoluzione più sensata che potesse adottarsi530;» - e questo è anche meglio. - Ora vorrei
sapere un po' dal signor Rusconi perchè, se questo andava bene per Roma, non
dovesse andare del pari bene per la
Toscana? Forse i Toscani non hanno diritto per essere
consultati prima di disporre di sè, o non hanno intelligenza per giudicare? Per
quale motivo ci vuole egli ridotti nella condizione dei minori, o dei maniaci?
In Roma le deliberazioni avevano a prendersi gravemente nell'Assemblea eletta
dal voto universale; qui, a furia di Popolo, anzi di una frazione di Popolo. A
Roma, perchè conoscevate gli umori della Nazione favorevoli ai disegni vostri,
gli rispettaste; qui, perchè li dubitaste contrarii, bisognava contentarci
degli schiamazzi; e chi esitava, si doveva eccitare; chi repugnava, atterrire;
anzi, diffamandolo come traditore, esporre alla cieca ira delle moltitudini
furibonde. E qui cesso, che più lungo discorso discrezione non consente.
Il signor de
Larochejaquelin, realista purissimo, rispondendo nel 30 agosto 1850 alla
Circolare del signor Barthélemy, ammonisce: «Non essere, come altri crede,
l'appello alla Nazione un atto rivoluzionario: all'opposto, deve reputarsi
invito alla medesima, perchè nella sua sovranità finisca l'era delle
rivoluzioni.» Alla quale opinione si accosta anche il signor De Montalembert,
che a quanto mostra non pare che si possa mettere fra i Repubblicani! - I
Costituzionali, comecchè moderati, non discordano; e lo abbiamo veduto nel
consiglio del Conciliatore.
Ma oltre che non se ne
potesse fare a meno per le ragioni copiosamente discorse, varie considerazioni
speciali vie più confortarònmi di ricorrere al voto universale.
I. La notizia di fatto
della propensione del Paese al Governo Costituzionale. - Assunto al Ministero,
persuadendomi che il primo dovere del Ministro consistesse nel bene applicarsi
a conoscere gli umori dei Popoli, ordinai, come in altra parte ho accennato, a
tutte le Autorità governative ed ai Gonfalonieri, mi rimettessero
circostanziate informazioni su lo stato religioso, morale, politico ed
economico dei Popoli da loro amministrati. Raccolti i Rapporti a diligenza del
Segretario signor Allegretti, furono disposti in quadri sinottici; e da questi
venne a resultare, come la grandissima maggioranza del Popolo Toscano alle
libertà costituzionali stesse contenta. Anche questi libri e questi Rapporti
domando, affinchè si conosca da quali motivi io fossi condotto nel consultare
il voto universale del Popolo.
II. L'opinione stessa di
S. A. - Quando nel primo colloquio, che io ebbi l'onore di tenere col Principe,
io gli feci lealmente avvertire, che la Costituente, nel modo
che dal medesimo era stata accettata, poteva esporlo a perdere la Corona, e che però la
materia meritava considerarsi due volte; il Principe rispose: averci
pensato, ed essersi anche a questo disposto, purchè fosse per benefizio del suo
Popolo; ma poco dopo soggiunse: - però io non temo la prova; la mia
famiglia ha beneficato la
Toscana; io mi sono ingegnato, per quanto era in me, imitare
gli esempii paterni, onde io non dubito che, consultato il voto del Popolo, sia
per riuscirmi favorevole. - E questo credo ancora io, soggiunsi, ma mi è
parso onesto avvertirlo.
Onde io piena la mente
di queste parole, commesso a dettare il Discorso della Corona per l'apertura
del Parlamento, che avvenne nel 10 gennaio 1849, scrissi con mano franca (come
quella, che consentiva al sentimento del cuore) la sentenza, la quale
pronunziata poi dai regii labbri empì di applausi e di esultanza la sala: «quando
mi assentiste il titolo di Padre io di lieto animo lo accettai, perchè
veramente mi sento affetto paterno per gli uomini, che sempre mi studiai, e
studio governare con amore. Se i presenti, e se i posteri mi confermeranno il
titolo di Padre del mio Popolo, sarà questa la più gloriosa ricompensa, che
abbia, mai saputo desiderare il Principe vostro531.» E il Conciliatore dell'11 gennaio così
commentava: «Queste semplici parole avranno un'eco nel cuore di tutti i
Toscani, e non saranno infeconde, perchè tutti sanno non esser queste una frase
officiale; e gli applausi, che scoppiarono unanimi appena furono udite dalla
bocca di un Principe, che non ha mai mentito, erano una conferma del vero, ed
un omaggio alla virtù.»
III. La opinione di
uomini per eccellenza conservatori. - Favellando talvolta dell'esito probabile
del voto universale con persone versate nei pubblici negozii, e segnatamente
col signor Senatore Fenzi, ricordo come questi mi affermasse che il Paese
consultato si sarebbe per certo chiarito propizio al Principato Costituzionale.
IV. Lo esperimento
fattone dal Governo Costituzionale di Carlo Alberto in Lombardia, dove,
malgrado i supremi sforzi di parte repubblicana, lo vedemmo uscire, con
mirabile concordia, secondo al Principato Costituzionale.
V. Le necessità, le
dottrine e le promesse, create, bandite e profferte dai Ministri, che furono a
un punto becchini del Governo Assoluto e pronubi del Costituzionale, dinanzi a
tutto il mondo. Mi porga docili le sue orecchie l'Accusa, e ascolti leggere
certo Decreto pubblicato qui in Firenze:
«Noi Leopoldo Secondo
ec.
«Al cessare dei
Ducali Governi di Modena e di Parma, i Popoli della Lunigiana, i quali, con
tanto dolore scambievole, eransi veduti separare dal Granducato,
manifestarono incontinente la volontà loro di ricongiungersi ad uno Stato cui
tante care memorie li collegavano.
«Eguale desiderio
dimostravano altresì le popolazioni degli Stati di Massa e Carrara, della
Garfagnana e degli ex-feudi di Lunigiana; le quali per la geografica loro
condizione, per i commercii, per le industrie del vivere e per le affezioni
furono mai sempre avvezze a considerare sè stesse come congiunte alla prossima
Toscana.
«Di questo comun
sentimento delle suddette popolazioni si fecero interpreti varii Governi
Provvisorii che si erano costituiti in quelle Città e Terre, e a cui si
volsero perchè fosse accolto l'universale loro proposito di essere aggregate al
Granducato.
«Ma parve a Noi riceverle
solamente in protezione e in tutela, non consentendo l'animo nostro ad una
formale aggregazione, consapevoli, come Noi siamo, che ampliare lo Stato non è
per Noi altro che accrescere la gravezza dei doveri, l'adempimento dei quali fu
sempre l'unica ambizione nostra; e non volendo per modo alcuno preoccupare
quel generale ordinamento delle italiane cose, che insieme provvegga al comun
bene della Nazione, e al particolare delle famiglie di che essa è composta.
«Dovemmo però
bentosto conoscere che uno stato incerto e mal fermo era dannoso e increscevole
a quei Popoli, i quali, parte per universali acclamazioni, parte per via
di assemblee popolari congregate a questo fine dai respettivi Governi
Provvisorii, tornarono a più fortemente esprimere il voto di essere
stabilmente uniti e parificati coi Popoli che la Provvidenza ebbe
affidati alle Nostre cure.
«E fu da ciò a Noi
dimostrato, esserci imposto di soddisfare a quel giusto e benevolo desiderio
loro; il quale, mentre attendeva ad accrescere e munire per via di un
politico legame quegl'interessi scambievoli che mai non poterono esser
distrutti dalle separazioni di signoria, conduceva più efficacemente a
coordinare le riunite forze a quello scopo comune e supremo, al quale ora
deve intendere tutta insieme la
Nazione.
«Animati pertanto da
eguale affetto per gli antichi e per i nuovi figli, e nella fiducia di
promuovere, quanto è in Noi, quel bene d'Italia il quale primeggia fra i nostri
pensieri; e perciò convinti di far cosa che sì per questo riflesso, sì per i
vantaggi che ne vengono allo Stato, debba essere di soddisfazione alla Toscana
e alle Assemblee che la rappresentano;
«Sul parere ec.
«Ci siamo determinati di
pienamente aderire agli espressi voti con aggregare, conforme aggreghiamo,
al Granducato, gli Stati di Massa e Carrara, e i Territorii della Lunigiana e
Garfagnana, ordinando che ci siano proposti nel più breve tempo i modi
convenienti ad introdurre in essi le leggi ed instituzioni governative ed
amministrative del Granducato, onde le Popolazioni dei medesimi sien fatte
partecipi di tutti i diritti che spettano ai Toscani.
«Volendo però, che l'adesione
nostra, e quindi l'aggregazione da noi decretata, non sia per interporre
alcun ostacolo alle future sorti d'Italia, e che nessuno, comunque non
prevedibile, evento pregiudichi mai la volontà e gl'interessi dei sopraddetti a
Noi carissimi figli, dichiariamo fin d'ora che nel nazionale ordinamento
che con quest'atto avemmo in animo di promuovere, e cui professiamo di volere
ora per allora conformarci, mentre sosterremo quanto è in Noi questa unione
vantaggiosa del pari alle due parti che la formavano, intendiamo che per
qualunque siasi caso contrario resti preservata ai Popoli, che a Noi ora si
aggiungono, quella naturale libertà, per cui possano in ogni evento provvedere
a sè medesimi, e di essi non venga disposto altrimenti senza il loro consentimento.
Dato in Firenze li 12
maggio 1848.
LEOPOLDO.
Il
Presidente Cempini.
Visto per l'apposizione
del sigillo
Il Ministro della
Giustizia B. Bartalini.»
L'Accusa fa le stimate,
ed esclama: «Possibile? Dev'essere apocrifo!» No, Accusa mia, egli è tratto dalla
Gazzetta di Firenze del 15 maggio 1848, e fu in cotesti tempi, come
tanti altri lenzuoloni suoi fratelli, impastato su i muri a farvi la parte
della rosa: nasce, languisce, muore, - e non ritorna più. Non dubitare, Accusa,
ch'egli è un Decreto sottoscritto, condizionato nelle regole, e messo negli
Archivii, dove a te sarà passato di occhio; e ti compatisco, perchè non si può
avere avvertenza a tutto, specialmente quando si vuole fare presto, e non
lasciare (come in altri paesi si costuma) per anni e anni i poveri detenuti a
sentirsi morire nelle carceri con rovina irreparabile della educazione dei
figliuoli, della domestica economia, - di tutto: non siamo mica in terra di
Turchi, la Dio
mercede; altrimenti prima di giudicarli, poveretti, sarebbero condannati, e di
che tinta! - Queste cose, a memoria di uomo, non si sono viste in Toscana, e le
non si hanno a vedere. - Onesta Accusa, poichè così bene ti scorgo disposta,
riprendi in mano cotesto Decreto, e nota come sei proposizioni normali vi si
trovino consacrate solennemente.
1° Legalità dei
Governi Provvisorii approvata. 2° Facoltà dei Popoli, per disporre di sè
stessi, confermata. 3° Dovere nei Principi di aderire al voto dei Popoli
bandito. 4° Promessa di aderirvi sempre pubblicata. 5° Costituente
italiana, allo scopo di attendere al nazionale ordinamento, annunziata e
promossa. 6° Guerra dichiarata scopo supremo e comune di tutta la Nazione.
Lo vedi, Accusa, Io
lascio giudicare proprio a te, se cotesto Decreto non contenga per necessità di
queste due cose l'una, o lo impulso della rivoluzione da farsi, o la
testimonianza della rivoluzione già fatta. Qui, qui e non altrove, cerca e
trova, Accusa mia, non pure il germe e il fiore, ma il frutto ch'è segno delle
tue imputazioni. E se questo facevasi nel 12 maggio 1848, o come presumi che
non si continuasse a fare nel febbraio 1849? E se questo operavasi da un
Governo Costituzionale, come poteva astenersene un Governo nato dal
perturbamento dei Poteri Costituzionali? E se questo un Governo ordinato
bandiva per disordinarsi, come un Governo disordinato doveva ripudiarlo per
ordinarsi? Se il Ministero del maggio 1848 così provvide per seminare la
rivoluzione, o perchè il Governo Provvisorio non potè praticare per contenerla e
per reprimerla?
Gli speculatori della
Rivoluzione francese non senza verità ne attribuiscono parte alla
rappresentanza del Figaro, della Folle Giornata, e della Madre
colpevole di Beaumarchais: o pensiamo un po' quali portentosi effetti
dovevano partorire le parole del Decreto del 12 maggio 1848 sopra menti
affannate da stupenda concitazione: zolfo e olio sul fuoco!
La dottrina dei fatti
compíti distrugge la pretensione del diritto: chi raccoglie il retaggio dei
primi, male si affatica a sostenersi sul secondo; il principio dell'autorità, e
quello del voto popolare, non sono redini da stringersi in una stessa mano;
procedere dall'uno o dall'altro, secondo che torna, è consiglio pessimo, a
praticarsi impossibile. Quando, tra gli altri fatti, le Potenze stipulanti i
Trattati di Vienna approvarono la separazione del Belgio dall'Olanda, e dello
Egitto dalla Porta, distrussero virtualmente cotesti Trattati. Sofisma è
ricorrervi, come adesso fanno i Diplomatici, cavillo forense e nulla più; e
siccome senza forza i sofismi non reggono, così potrebbero attenersi risoluti a
quella che di presente possiedono, senza beccarsi i geti con un fantasima di
diritto a cui nè credono essi, nè nessuno altro crede. - Il Guizot, per
giustificare la conferma di cotesta separazione, addusse lo esempio di due
travi cascate per vetustà dal tetto della fabbrica, che bisogna lasciare
giacenti a terra. Ora questo esempio non ispiega nulla; e la esperienza insegna
diffidare degli uomini che, usi sempre a procedere con formule rigorose di raziocinio,
ad un tratto ti balzano su con paragoni e parabole; imperciocchè questo voglia
dire che essi proprio non hanno più in fondo al sacco un pugno di ragione per
farne un discorso che valga.
Perchè nella famosa
storia dei successi avvenuti dal 1848 in poi, con tanto studio di verità dettata
dall'Accusa e dagli altri che la precederono nel nobile arringo, simili a un
punto e diversi, come si addice a fratelli; perchè, dico, il Decreto del 12
maggio è taciuto? Perchè l'Accusa lo cuopre, pietosa figlia, camminando a
ritroso, come se si trattasse delle vergogne del Patriarca Noè? Gran
comodo sarebbe quello di potere cancellare dalla memoria altrui i ricordi dei
fatti successi, con la facilità stessa con la quale taluni cancellano dalla
propria anima ogni sentimento di gratitudine e di pudore. Io però rammento
questo Decreto, non già per cavarne motivo di biasimo ai Ministri onorandissimi
che allora sedevano nei Consigli della Corona, ma sì per proseguirli della lode
che meritano. Imperciocchè per esso mi si faccia manifesto, come uomini i quali
logorarono massima parte della vita nello esercizio di dottrine diverse da
quelle che comunemente si professavano allora, sapessero, prudentissimi,
piegando dinanzi alla politica necessità, l'animo ai tempi accomodare;
quantunque, per avventura, tutte le cose, di cui è pregno il Decreto allegato,
potessero, nel 12 maggio 1848, parere un po' troppe anche a me.
E avvertite che, circa
quel torno, a Presburgo ancora, tutte le domande degli Ungheresi concedevansi;
il Bano Jellachich e il Patriarca Rajaesis che avevano impreso ad osteggiare i
Magiari, quegli dalla parte di Croazia, questi dalla Servia, disapprovavansi,
destituivansi, di alto tradimento a Vienna accusavansi; ed ei lasciavano
dire. E questo ancora dimostra quanto elastica, molteplice, proteiforme
e barometrica sia l'accusa di alto tradimento.
Nè gioverebbe punto
all'Accusa, qualora si risolvesse a mettere in causa meco (il che non credo che
voglia fare, almeno per ora) i signori Cempini, Bartalini, e gli altri del
Ministero Toscano del 12 maggio 1848, dimostrare come cotesto Ministero non
subisse «forza tale da impedire il retto uso della ragione e della libertà,
e da coartarlo a non abbandonare la posizione che poteva strascinarlo a
pubblicare il Decreto allegato;» però che cotesti Giureconsulti egregi, e
uomini di Stato gravissimi, l'ammonirebbero dicendo: - «Accusa, Accusa, tu
dovresti sapere che altra è la coazione che cade sopra uomo privato, altra
quella che cade sopra uomo pubblico. La prima deve presentare i caratteri
indicati dal gregge dei forensi, quantunque, anche in questa parte, sia ufficio
del discreto, e soprattutto onesto Giudice, considerare non solo la coazione in
sè stessa, ma eziandio le varie maniere con le quali si fa manifesta, e le
diverse qualità degli uomini sopra i quali ella venne esercitata. Tale per nota
d'infamia sbigottisce, che di ferro non cura; e questo va avvertito nel calcolo
della imputabilità delle azioni incriminate. La necessità politica poi,
nell'uomo pubblico, consiste, nei tempi di pericolo, nell'abbracciare quei
partiti che, secondo la religione della propria coscienza e la virtù del suo
intelletto, egli reputa più acconci a procurare il maggior bene o il minore
male possibile allo umano consorzio, di cui gli venne confidato il governo. Il
Ministro che abbandona il posto davanti alla irrompente anarchia; il Ministro
che soffre esposte ai ferri dei feroci le gole degli amici, - ed anche dei
nemici; il Ministro che lascia sobbissare il Paese per mettersi in salvo col
suo fagotto, è a mille doppii più infame della sentinella che diserta il posto
alla presenza del nemico; però ne sente più profonda la pena, chè la Storia lo marchia in
fronte, e lo manda argomento d'ira e di disprezzo alla memoria dei più lontani
nepoti. Voi, Giudici, guardate bene di notare per lesa maestà quelle
azioni, che, non fatte, frutterebbero dai Popoli l'accusa di tradita umanità.»
- Così (parmi udirli) direbbero i lodati Giureconsulti e Ministri all'Accusa, e
direbbero bene.
VI. La prova, che,
consentendo la Corona,
ne avevamo fatta in parecchi paesi della Lunigiana, e segnatamente pel negozio
dell'Avenza, dove, comecchè il Governo Piemontese instasse calorosamente, tutti
(chè due voti non fanno opposizione) si dichiararono pel nostro Principe.
Per la quale cosa io
penso potere affermare, che difficilmente si procede, nelle faccende politiche,
con sicurezza maggiore di quella che avessi io quando alla necessità del
suffragio universale assentiva. Tanto meno ingratamente mi vi disponeva, in
quanto che erami noto come il Sacerdozio, avverso alla Costituente Italiana,
non trovasse niente a ridire alla Costituente Toscana532.
E mal consiglio fu
impedire, o effetto della consueta inerzia non andare e non mandare gente a
deporre il voto, chè, in questo modo operando, l'Assemblea unanime, o quasi
unanime, e nella sua prima Seduta, avrebbe restaurato il Principato
Costituzionale, vinto ogni ostacolo che a me rese il compimento del mio disegno
difficile, e con benefizio del Paese grandissimo. E questo appunto massimamente
temevano.
Nonostante però che
molti elettori si astenessero, ed altri si facessero astenere (il che fu male),
e malgrado che molti eletti costituzionali rifiutassero il mandato (il che fu
peggio), non fallì il mio presagio, e la maggioranza favorevole alla
Costituzione si ottenne. Ma la composizione di questa maggiorità richiese tempo
e cure, perchè moltissimi Deputati erano ignoti al Governo, ed io non ben noto
a loro; bisognò tastarli prima nelle Conferenze, e la maggiorità non potè vincere
di slancio, come quella che non andava copiosissima di nomi universalmente
autorevoli; tentennò a decidere, sbigottita dai clamori della minorità
smaniosa, dagli schiamazzi della stampa, dalle insinuazioni perfide, ch'eglino
erano stati chiamati a sigillare il tradimento del Governo.
Dimostrazione storica.
Vogliano ricordarlo
sempre i lettori, compongo una Difesa. Non mi abbandonino; mi seguano, io gli
scongiuro, benigni, tenendo la mente rivolta a due cose: non trattarsi adesso
di eleganze di testura o di eloquio, bensì di aggirarmi per la matassa
arruffata dell'Accusa rompendone ad uno ad uno gl'inamabili fili.... Che Dio vi
benedica! O che volete voi, che cammino sia il mio, se, dov'ella leva l'orma, a
me tocca mettere il piede? E poi, badate a questa altra, che l'Accusa crede,
nel suo portentoso cervello, ritenere che la Fazione violentasse tutti e tutto fino al
mezzodì circa dell'8 febbraio; poscia cessasse ad un tratto onde lasciarmi
abilità di commettere spontaneo e liberissimo tutti quei fatti, che nella sua
opinione costituiscono il reato di crimenlese; e riprendesse in ultimo il suo berretto
e le sue furie, nel maligno intento, che lo imperversare posteriore non
iscemasse di uno atomo la mia colpa davanti all'Accusa. Le violenze della
Fazione; secondo la veridica storia dell'Accusa, si comportarono per lo appunto
come le acque del Mare Rosso, quando sotto la verga di Moisè rimasero spartite,
e stettero a guisa di muraglia, a destra e a sinistra533, perchè io potessi entrare nel mare della Lesa
Maestà a piedi asciutti. Veramente cosiffatte partizioni senza verga di Moisè
non succedono; ma l'Accusa portentosa crede ai portenti in mio danno, ed anche
ne opera.
Sì, certo ne opera;
imperciocchè non la vedemmo noi nell'ordine dei mesi mettere marzo prima di
febbraio, e sostenere che i miei sforzi per impedire la decadenza del Principe
e le sue sequele, incominciati fino dall'8 febbraio, fossero impressionati
dagli eventi sinistri della guerra, di cui ci pervenne la desolata notizia nel
26 marzo 1849? In questo modo è taumaturga l'Accusa.
Adesso pertanto io
penso, che se la convocazione dell'Assemblea fosse stata cosa capace di
promuovere i disegni della Setta, sia naturale credere, che questa l'avrebbe
favorita con tutti i nervi; invece, abbiamo già veduto in parte, e più
particolarmente vedremo adesso, screditarla, e perseguitarla: udremo minaccie,
sentiremo furori. - L'Accusa nondimeno contrasta, e dice, che ciò non conduceva
ad altro, che a prorogare di qualche giorno la decadenza del Principe; e i
Settarii all'opposto urleranno, che nello indugio sta il pericolo, e la morte.
L'Accusa da un lato incolperà fabbricarsi, con artificii diabolici, per me la Repubblica; i Settarii,
dall'altro, urleranno lo spirito repubblicano, per miei trovati infernali,
evaporato. Faziosi tutti, e tutti procedenti ciechi, appassionati ed ingiusti.
L'Assemblea Costituente
è screditata;
si dimostrano i pericoli del differire; si suppongono ragioni nel Governo che
non addusse, e si confutano con argomenti diretti ad atterrire. Si dichiara
espresso, che la forza ha distrutte le passate Assemblee, e disfarà anche
questa.
«Il Governo Provvisorio
per procedere con ordine e con legalità ha cominciato a convocare pel dì 15
marzo una nuova Assemblea Legislativa toscana, sulla base del suffragio
universale diretto.
Prescindendo dalla
difficoltà che adesso presenta una convocazione d'uomini tali, quali occorrono
per sostenere i diritti del Popolo: prescindendo dal riflesso che nei Comuni
piccoli, ove le opinioni sono meno avanzate, meno desto lo spirito pubblico,
piccoli di mente e di cuore saranno necessariamente i Deputati prescelti da un
Popolo ignaro e semplice, facilmente accessibile alle seduzioni e ai
traviamenti; prescindendo dalla pericolosa e ambigua esitanza del provvisorio,
a cui dà origine tale disposizione; prescindendo da tutto ciò, qual uopo mai vi
era di essa?....
Il Governo Provvisorio,
o, a meglio dire, il Partito Democratico, è sicuro o non è sicuro di avere
forza bastante per far prevalere il proprio diritto, dappoichè disgraziatamente
niun diritto in fatto prevale senza la forza?
Il Governo Provvisorio e
il Partito Democratico sembra che di tal forza siano sicuri, giacchè per tutta
ragione, a chi obietta esser facile che alla prossima Assemblea appariscano
persone dell'antico calibro, rispondono che quella forza la quale rovesciò le
altre Assemblee rovescerà, occorrendo, anche questa.
Ora noi non sappiamo
comprendere, come si possa volere creare colla probabilità di dovere distruggere;
non sappiamo comprendere perchè per ottenere un voto forse incerto, ma che ha
apparenza di legalità, si debba rimettere una decisione che urge, una decisione
da cui pendono le sorti, non di Toscana sola, ma di tutta Italia; si debba non
tener conto della forza presente, che grande è oggi, ma che domani, ed ogni dì
che passa, può menomarsi; si debba non tener conto prezioso dello entusiasmo
del Popolo, che oggi è acceso, ma che intiepidito, ammorzato che sia per vane
formalità, per temporeggiamenti paurosi, può spengersi irremissibilmente, nè
dare più buon frutto di sè534.»
Il voto universale
pertanto metteva paura alla Fazione, ond'è che viene chiarito per vero, ch'essa
sentiva non le tornerebbe favorevole, e che ricorrere a quello nello universale
scompiglio era atto di riordinamento, non già di disorganizzazione.
L'Assemblea viene
qualificata come impaccio alla Rivoluzione; - acerbe rampogne si muovono per
averla proclamata, e minaccie laddove non vogliasi ritenere la Rivoluzione fatto
compiuto; - reazione politica, pretesto alle rapine della cupidità, e della
miseria; - nobili paventano le vendette e i saccheggi del Popolo; - errore del
Governo di convocare l'Assemblea Costituente toscana; - per questo, e per altri
pretesi falli ripreso perfidamente, come quelli che potevano cagionare
effusione del sangue cittadino; - da capo sospetti insinuati contro gli
ufficiali civili e militari, e Governo pressurato non pure a dimetterli, ma a
punirli; - Popolo commosso ad avventarsi contra di loro.
«O voi vi fidate nelle
forze del Popolo, - ripeto, - o non vi fidate. Se vi fidate, l'Assemblea è
pericolosa. Ad ogni modo l'Assemblea è un impaccio che par gittato dinanzi alla
Rivoluzione, come si getta uno sterpo fra le gambe a chi corre, perchè inciampi
e cada.
Voi dite averla
convocata, nella speranza che l'Assemblea mandataria di tutta la Toscana acqueti ogni
tentativo di reazione, e riesca la espressione del voto generale.
E noi vi rispondiamo con
le parole medesime che stanno scritte sul Rapporto della Convenzione Nazionale
francese del 1793: - Quando la
Nazione è in piedi, che cosa sono i Rappresentanti che
seggono nelle Assemblee? -
Oggi voi potreste, da
voi e col Popolo, sedare e distruggere ogni reazione. - Ma domani, quando
Leopoldo avrà ragunato a sè d'intorno i suoi fidi, quando questi avranno
destramente seminato l'oro inglese, quando le baionette austriache saranno alle
frontiere, credete voi poter sedare con eguale agevolezza la reazione? - Vi
credete voi più potenti in faccia alla forza e alla violenza, unica ragione a
cui si debba ora affidare l'arbitrio delle nostre sorti? - vi credete voi più
potenti, ripeto, con 120 uomini di tutti i colori, di tutte le opinioni, che
non con migliaia di gente del Popolo, tutti di un solo colore e di una sola opinione?
- E credete voi che cotesto Popolo, ove non abbia più fede in voi, ove, col
temporeggiare e col respingerlo. lo abbiate reso diffidente di voi e di sè
stesso, credete voi che esso vorrà starsi pago della decisione dei vostri 120
Rappresentanti, e non piuttosto riterrà le proprie decisioni come un fatto
compiuto, nel modo istesso che voi oggi sembra non vogliate ritenere per fatto
compiuto la Rivoluzione?
A noi, cittadini del
Governo Provvisorio, vel diciamo col cuore sulle labbra, non fa nullamente spavento
la reazione: solo ci fa spavento lo indugio. La reazione oggi non è di
politica; è reazione di miseria, è reazione d'ignoranza, non è reazione di fede
monarchica. La pretesa Vandea di Empoli non è che una lega di vetturini: la
questione politica in Empoli, se bene l'approfondate, non è che una pretensione
di antichi e stolti romori contro la strada ferrata. Leopoldo d'Austria può
forse domani aver seguaci e satelliti molti in Toscana, per effetto d'oro, di
promesse, di calcoli, di raggiri: oggi, - persuadetevene, o cittadini, - esso
ne ha pochi, o, meglio dire, non ne ha alcuno. I suoi nobili stessi gridano al
tradimento: lo maledicono per averli lasciati in abbandono, per averli esposti,
dicon essi, alla animavversione del Popolo, con cui si sono compromessi per sua
cagione, e da cui temono vendette e saccheggi.
I suoi impiegati di
null'altro curansi che dello stipendio, godono nell'ozio, e si augurano che la
manna duri a cadere, senza avere la pena di chinarsi a raccoglierla.
In quanto ai partigiani
della idea monarchica, essi saranno sempre ostili alla democrazia, regni
Leopoldo o non regni: la loro reazione è così sicura, com'è sicuro il regno
delle tenebre accanto a quello della luce, com'è l'ombra inevitabile seguace
del corpo.
L'antagonismo dei Partiti
non è reazione; e se aspettate, o cittadini del Governo Provvisorio, il 15
marzo, perchè tutte le opinioni sieno ad un livello, tutte le esigenze si
chiamino sodisfatte, e di un volere unico e solo si cuopra Toscana, come il
manto funereo cuopre un corpo fatto cadavere, prorogate in tal caso la vostra
vana Assemblea al giorno del giudizio finale, e convocatela nella gran valle di
Giosafat: colà forse, colà soltanto saremo tutti di un color solo, e di una
sola opinione.
Il massimo errore, fin
qui commesso dal Governo Provvisorio toscano, è per noi la convocazione di
un'Assemblea Toscana, oggi che l'Assemblea può e debbe chiamarsi unicamente
Italiana, e unicamente risiedere a Roma; oggi che le esigenze della legalità
debbono far luogo alle esigenze della necessità, il regime dell'ordine a quello
della Rivoluzione: Rivoluzione permanente, sistematica, accanita, entusiasta,
popolare, repubblicana, contro lo straniero, e contro chi perora la causa dello
straniero: - i tardigradi, li opportunisti, i moderati...» con quel più, che
viene riportato nella nota 1 a
pag. 436 di questa Apologia.
..... Ma di tutti questi
errori nei faremo grazia al Governo Provvisorio toscano, ov'egli si affretti a
fare ammenda del principale: ov'egli proclami la immediata Unione con Roma, e
conseguentemente il regime repubblicano, amministrato da un Governo
Provvisorio, finchè la
Costituente Italiana di una Repubblica consistente di cinque
milioni di rivoluzionarii e di due Popoli non faccia una Repubblica di 24
milioni di cittadini, e di una sola nazione535.»
Non vi è mestiero di
Assemblea, il voto del Popolo ha già deciso. - Governo è spinto ad unirsi con
Roma, e subito. - Il provvisorio non s'intende, nè si cura; vuolsi la Repubblica. - Il
Governo è d'accordo con gli Austriaci, e apparecchia la invasione
straniera se non procede come a Rivoluzionario conviene, e non consente il
Principe sia dichiarato decaduto e la Repubblica proclamata. Quante mortalissime
insidie cosiffatte insinuazioni contenessero in sè nel furore dei tempi, non vi
è discreto uomo, che di per sè senz'altra chiosa profondamente non senta.
«Qual bisogno ha oggi la Toscana di rimettere ad
una Assemblea la decisione di un voto, il quale fu già deciso dal Popolo? - Il
Popolo ha già deciso di essere unito con Roma, e Roma ha proclamato la Repubblica il giorno
stesso di tal decisione. Or come pretendereste di stare uniti a Roma, se
l'Assemblea Toscana non si pronunciasse per la Repubblica?...
E se ciò avvenisse,
quali impacci non creereste, provocando una seconda Rivoluzione, che vi potete
risparmiare, prevalendovi della prima così bene avviata? Essere uniti con Roma,
vuol dire essere Repubblicani; e voi pretendete intanto che ci possiamo gridare
uniti con Roma, ma che non ci dobbiamo dire Repubblicani. Permetteteci,
cittadini del Governo Provvisorio, che vi diciamo apertamente, cotesto
argomento essere un argomento ad bestiam, e che voi ci raffigurate il
principe Amleto di Danimarca, mentre dice a sè stesso: To be, or not be,
that is the question; e di cotesta questione non sa trovare il verso per
uscirne a bene.
Essere o non essere, - questa è la
quistione. Or quando per essere basta il dire noi siamo, non
sappiamo capacitarci perchè si debba dire noi saremo, col rischio di non
essere mai!
Infiniti sono i rischi che
minacciano il Governo Provvisorio. -
Leopoldo d'Austria fuggì
fidando nella reazione: fuggì nella certezza che i suoi fedelissimi sudditi non
comporterebbero la lontananza delle adorate sembianze del loro padrone; fuggì,
perchè il Partito reazionista vide essere cotesto l'ultimo colpo, il colpo
disperato per far trionfare una causa che essi medesimi vedevano perduta. - Se
Leopoldo d'Austria fosse fuggito nel semplice scopo di sottrarsi ad una
sanzione cui consentire non poteva il suo animo timorato, se fosse fuggito
unicamente per sottrarsi ad una scomunica, se fosse fuggito lealmente e da buon
cittadino, da buon cittadino avrebbe incominciato a deporre quel potere, che ei
credesi aver ricevuto per grazia divina, ed alla cui influenza, al cui
prestigio egli affidò le ultime sue speranze, - le speranze di ricostituire un
trono dispotico sulla guerra civile e sulla anarchia.
Quest'ultimo scopo
soltanto fu quello che ricercò Leopoldo lo Austriaco: ed ove egli vada fallito,
sieno pur certi i Toscani, sia certa l'Italia che, non avendo la reazione
trionfante, avremo li Austriaci sostenitori del Trattato di Vienna, i quali
verranno a riporre sul trono un sovrano che per amore non vi fu voluto riporre.
Ora, se schiacciammo la reazione, perchè, o Governo Provvisorio, non volete che
schiacciamo li Austriaci?... Perchè volete che abbiamo l'una latente e
permanente, li altri in minacciosa prospettiva?...
E voi sembrereste nol
volere, se recedeste dallo scendere prontamente ad energiche e violente misure,
a provvedimenti solidi e rivoluzionarii.
Voi sembrereste, per
taluno, quasi non volere, ricusando ancora di dichiarare decaduta dal trono la
famiglia di Lorena, ricusando di proclamare immediatamente il regime
repubblicano, oggimai inteso e gradito da tutti meglio assai di quello che nol
sia il provvisorio536.»
Non si deve convocare
l'Assemblea, perchè si corre pericolo di addormentare la Rivoluzione nella
fredda legalità delle formule. Impegno del Popolo quando me pose al Governo
dello Stato, fu la Unione
d'Italia con Roma.
«Uomini che abbiamo
voluto al Potere, in nome di Dio non esitate! Leopoldo di Lorena è in Toscana
tuttavia. La Inghilterra
fa bordeggiare le sue navi davanti ai nostri porti sguarniti. Il Piemonte nella
professione di fede del ministro Gioberti dichiara non accomunarsi co'
Repubblicani, agli unitarii, ai sognatori. Il Papa in Concistoro segreto
domanda ec...... Uomini del Governo Provvisorio, non presentite l'uragano? Voi
non osate ferire nel cuore la diplomazia europea, e ferite in cambio il cuore a
voi stessi, e vi mettete a pericolo di addormentare una Rivoluzione nella
fredda legalità delle formule ec. - Ora la Repubblica è una
necessità cui la stessa Diplomazia non può intimarvi di disobbedire, poichè
non potete davanti al Popolo rinnegare l'impegno che vi ha collocati al
reggimento della cosa pubblica: la formazione di uno Stato solo con Roma. Voi
sapete di doverlo a Firenze, a Toscana, a Roma, alla Italia. Ma voi dite di consultare
l'Assemblea di cui ieri l'altro rettificaste la missione col chiamarla
Costituente.
E se questa Assemblea,
nata dal campo di quelle elezioni fra le quali la reazione combatte l'ultime
prove, se questa Assemblea non intendesse la missione sua, e riuscisse
Assemblea unicamente Toscana? E ciò potrebbe accadere.
Se prima d'essere
raccolta, il cannone tedesco tuonasse l'allarme dalle gole degli Appennini, o
le flotte interventrici occupassero i vostri porti? E ciò potrebbe accadere.
Se un giorno fossimo
costretti a domandarvi conto di questa arrendevolezza ai protocolli stranieri,
di questa momentanea, eppur dannosa esitanza, fra il vecchio ed il nuovo?
Oggimai abbiamo compiuto
l'opera nostra, e vi abbiamo avvertiti. Governo Provvisorio di Toscana, bando
alle esitazioni: abbiate coscienza della vostra forza, perchè il Popolo è con
voi; siate geloso della vostra responsabilità, perchè la Italia vi giudica537.»
Più veemente il medesimo
Giornale nel 17:
«Questa Unione che fino
dal primo giorno della Rivoluzione fu il voto esplicito, insistente,
imperioso del Popolo fiorentino; questa Unione, che fu ad un tempo la ragione
suprema della creazione di un Governo Provvisorio toscano, e la condizione
prima, assoluta, imprescindibile della sua esistenza, ha già acquistato le
simpatie delle provincie sorelle; ed al grido di Unione proclamato a Firenze,
rispondeva un'eco potente, irresistibile, da ogni parte della Toscana. Ieri
erano i Circoli di Livorno che inviavano deputazione al Governo per invitarlo a
proclamare l'Unione immediata con Roma. Oggi sono i Circoli di Arezzo, di
Prato, di Pistola, di tante altre città che ripetono lo invito, la domanda, la
istanza medesima, o con indirizzi o con commissioni speciali. E il Governo
accomiata le Deputazioni, mette agli atti gl'Indirizzi, e risponde non essere
ancora tempo di esaudirli, non potersi precipitare gli eventi, doversi
attendere il responso dell'Assemblea del 15 marzo.
Ma il Popolo insiste
nelle sue esigenze, forte nella coscienza dei proprii diritti, e confortato
dalle istanze fraterne, con cui i Popoli di Roma e di Romagna gli stendono le
braccia. Ogni giorno un nuovo fatto, una nuova dimostrazione viene in conferma
della volontà costante, immutabile, del Popolo nostro, in riprova della sua
maturità alle libere istituzioni repubblicane, le quali una soverchia
diffidenza delle sue forze, o una soverchia diffidenza delle proprie, ricusa
acconsentirgli se non a brevi e tenuissimi sorsi.»
Però che, come dagli
sparsi Documenti si ricava, il grande spino al cuore era la paura che Toscana
tutta con politica probità consultata non si dichiarasse per la Repubblica; ed anche
qui se ne incontrano vestigii: «Che cosa fareste della vostra Assemblea
ove si dichiarasse ostile, e giudicasse inopportuna e immatura la Repubblica? - Allora
voi la rovescereste, - voi dite, - la rovescerebbe il Popolo conscio dei suoi
diritti, e deciso a farli ad ogni costo rispettare. Or bene: fate conto, ch'ei
l'abbia già rovesciata cotesta benedetta Assemblea, e non ne parliamo più, e
figuriamocela seppellita. Che bisogno ci è, di grazia, di rappresentanti del
Popolo, quando il Popolo è in piazza pronto a rappresentarsi da sè stesso538?»
Se io non erro mi sembra
provato, che l'Assemblea fosse massimamente odiata dalla Setta repubblicana, sì
perchè col differire temeva andassero disperse le esaltazioni degli spiriti,
siccome appunto ad ogni specie di ebbrezza vediamo accadere, e sì perchè il
voto universale sentiva certamente contrario ai suoi desiderii. Del pari fu
visto come dal giorno otto febbraio con ogni maniera argomenti, urgentissimi
sforzassero per avere Repubblica a furia di Popolo proclamata; come mi si fosse
posto al fianco un uomo «capace di sviscerare fino l'ultimo dei pensieri del
dittatore toscano539,» e quotidianamente
in lotta meco per poterla spuntare; questo dicono i ricordi dei tempi, questo
tutti i libri confermano; eterna rampogna è questa, che mi gettano in faccia i
Repubblicani; che più? questo apertamente le carte stesse dell'Accusa palesano,
e nondimeno l'Accusa ha la fronte di scrivere: «il mio sforzo essersi ridotto in
qualche contingenza, perchè la Repubblica non venisse troppo presto attuata540.» Comecchè non vi abbia mestiero di ulteriore
dimostrazione, pure per chiarire in qual modo anche dai Documenti stessi
dell'Accusa resulti la prova della continua opposizione mia all'esigenze della
Setta, giovi innanzi tutto rammentare il Proclama che iniziava il Governo
Provvisorio, avvegnachè per quello sia fatto palese quali fossero la sua
missione ricevuta, i suoi fini, e i mezzi per conseguirli541.
Fino da cotesto giorno otto
annunziava rimesso alla decisione dell'Assemblea Toscana il giudizio
delle sorti nostre542. Nell'11 informato il
Governo della congiura ordita nel seno delle Conventicole di prorompere e
imporre la Repubblica a forza, bandiva il Proclama del 12 febbraio543.
E nel 13, quando si
volle piantare l'Albero della Libertà sotto i miei occhi, dichiarai espresso:
«appartenere al libero voto di tutto il Popolo Toscano convocato in Assemblea
il 15 del futuro mese di marzo decidere su la forma del Governo544.» Nel giorno stesso commettevo discretamente al
Consigliere Paoli, che si astenesse da porgere e da accettare eccitamenti per
la Repubblica545. - E qui ricordiamo di
passaggio all'Accusa di considerare, se sia o no importante acquistare tempo
nelle rivoluzioni. Quel Popolo, che nel 12 febbraio piantava l'Albero, nel 12
aprile lo spiantava: - e si compiaccia avvertire da capo eziandio, che nè in
tutto, nè sempre pervenni a contenere la moltitudine, poichè, nonostante il mio
aperto contrasto, degli Alberi qui e altrove ne fu alzata una selva; e se
quante si contavano mani a trattare alberi si fossero potute avere a trattare
armi nazionali, il nostro Paese sarebbe lieto, che ora è tristo. La Circolare
mandata nel 16 febbraio ai Gonfalonieri del mio alacre provvedere porge
splendida testimonianza546. Quando il Principe
abbandonò il suolo toscano, e le milizie del Generale Laugier o sbandate
vagavano o al Governo Provvisorio si sottoponevano, e il Partito reazionario
aveva ricevuto tale battisoffiola per cui stava cheto come olio, pauroso dei
danni estremi, è agevole immaginare la pressura dei Settarii! Non era tempo
quello di dichiararsi? Forse temevo della battaglia di Novara, forse presagivo
futuri infortunii, e fra questi dubbii ed auspizii esitavo? Eh! Dio mio, se il
giorno delle nozze dovesse prognosticarsi quello delle esequie, invece di
menare balli per gli sponsali, canterebbero l'uffizio dei morti. Il Niccolini,
il quale, come raccontai altrove, mi si era messo ai fianchi per commuovermi
sotto milizie e popoli onde mi costringessero a proclamare la Repubblica per
via di tumulto, arringata la turba, sospinse una mano di Lucchesi a venirmi incontro
incappucciata di certi strani berretti vermigli, e a gridare smaniosa: Repubblica!
Repubblica! Come io loro favellassi domandatelo all'Accusa. Ella nei suoi
Documenti ne riporta uno di mio, dove leggiamo impresse queste parole: «Il
Governo ha assunto il carico di mantenere tranquillo il Paese finchè
l'Assemblea Nazionale non decida delle sue sorti: questo intende fare con ogni
suo sforzo supremo, e questo farà547.» E tale Proclama, o
Bando ch'e' si voglia chiamare, era pubblicato nel 26 febbraio 1849, un mese
innanzi la triste notizia della rotta novarese, come l'Accusa dichiara; e se la
turba coteste mie dimostrazioni accogliesse docile, doveva l'Accusa
investigare; e se non lo voleva investigare, nemmeno in oltraggio al vero e in
onta alla santità del suo uffizio doveva affermarmi onnipotente conduttore
delle moltitudini. In Firenze si raddoppiò la piantata degli Alberi, si
suonarono campane, si spararono archibugi, si levò tale e tanto schiamazzo, che
io per me credo, che se avessi allora avuto l'onore di tenermi accanto
consigliera l'Accusa, mi avrebbe scongiurato dicendo: «Piegate ai tempi;
prendete nappa rossa, e gridate Repubblica!» Peccato, che io non avessi tolta
l'Accusa per mia consigliera a quei tempi548.
Ed in quel giorno i Commissarii,
che, me invano opponente, si condussero a Firenze, sapete che cosa venivano a
leggermi in faccia con turbato sembiante? «Che quel mio contegno fu visto con
maraviglia e dolore, perchè può giovare alla reazione, può porgere ai nemici
interni ed esterni mille argomenti, con cui sedurre e fare traviare la parte
meno colta del Popolo, specialmente delle campagne, sparlando della
Repubblica, e facendola credere dal Governo ripudiata549.»
Ed io con efficaci
parole e co' recenti fatti mi purgava prima della calunnia di traditore, che
stupidamente quanto perfidamente uomini faziosi insinuavano contro di me; gli
scongiuravo a proseguirmi della consueta benevolenza: - stessero sicuri, da me
null'altro volersi, non altro procurarsi, che il bene della mia Patria; dovere
di cittadino e fede di Magistrato impormi di consultare il Paese intero in cosa
nella quale ne andava della salute di tutti i cittadini; - e poichè gli ebbi
fatti capaci della rettitudine delle mie intenzioni, confortai i Colleghi a perdurare
nella mia sentenza, sicchè quel giorno stesso fu pubblicato il Proclama, che si
legge a pag. 504 di questa Apologia.
Nel 2 marzo 1849
abrogando io la Legge Stataria del 22 febbraio 1849, promulgata me assente, non
trascurai rammentare - «l'accordo universale di riservare alle Assemblee la
funzione del voto popolare intorno alle forme del nostro reggimento550.»
Le altre contese
sostenute vengono riportate nelle pagine, che in breve succedono. - Troppo
lungo epilogo dello esposto fin qui, tornerebbe certamente tedioso; basta
spremerne il sugo in due proposizioni: 1a Il Parlamento Toscano non
fu sciolto, ma il Governo ne constatò la morte temporaria, perchè allora non
avrebbe potuto, nè voluto sedere; sarebbe stato cagione di perturbamento, e non
di ordine. 2a L'Assemblea Costituente Toscana fu convocata al doppio
scopo, d'impedire la decadenza del Principe, e il bando della Repubblica a
furia di una parte minore del Popolo Toscano audace per la inerzia e per lo
sbigottimento della maggioranza, non che pel miscuglio di uomini non toscani; -
di raccogliere libero intorno alla forma del reggimento e alla persona del
Principe il voto del Popolo tutto, il quale per le cose dimostrate, giusta le
previsioni della umana prudenza, era sicuro che si sarebbe espresso pel
Principato Costituzionale, e per la casa erede di Leopoldo I precursore di
civili libertà.
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