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Francesco Domenico Guerrazzi
Apologia della vita politica

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  • CONSIDERAZIONI GENERALI.
    • XXVII.   Intorno all'Accusa della soppressione del Consiglio generale Toscano, e della mutata forma delle Elezioni.
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XXVII.

 

Intorno all'Accusa della soppressione del Consiglio generale Toscano, e della mutata forma delle Elezioni.

 

Il Parlamento fu soppresso dal partito prevalente, col Decreto promulgato nel giorno otto febbraio sotto le Loggie dell'Orgagna alla presenza del Popolo, come nelle pagine che venni in altra parte di questo scritto dettando fu largamente provato.

Lo soppresse la stampa repubblicana furiosissima e incalzante. Torniamo a gittare uno sguardo sopra nuovi documenti di quella, e vediamo se davanti un tanto percuotere di ariete, quando anco altro non fosse stato, avrebbe potuto il Parlamento sostenersi.

«La Costituzione e lo Statuto scompaiono col Principe disertore: noi ricorderemo ai Deputati della Toscana, ch'eglino, come Consiglio deliberativo, hanno compiuto l'opera loro...... Il Senato, grottesca parodia della ciarliera Camera dei Pari di Francia, violatrice della Costituzione, di ogni mandato, di ogni sovranità; il Senato, autorità unicamente fittizia, più non esiste in Toscana; egli altro non era che una superfetazione del potere reale522; questo caduto, il maggiorasco dell'Aristocrazia già cadente ha perduto ogni nerbo di vita, anzi ogni vitalità costituzionale e deliberativa. Il nostro Senato, come quello di Francia, rimarrà rimembranza più o meno ridicola, più o meno riprovevole, secondo gli effetti che resulteranno dalle ultime sue sbadigliate elucubrazioni. Il Senato, figlio accarezzato dello Statuto, è sepolto con lui.» - (Alba del 9 febbraio 1849.)

«Oggi gridiamo francamente al Governo di Toscana, ai Democratici di Toscana, quello che il Popolo in questi domandò ai suoi reggitori, quello che scrisse su le mura di tutte le vie di Firenze: Unione con Roma! Uno Stato solo di Toscana con Roma.

«Dare indietro - sarebbe tradimento, apostasia; sarebbe un volere sepolta la fede combattuta da tanti dolori sotto le bandiere della prima vittoria.

«L'Assemblea Toscana è disciolta.» - (Alba, 11 febbraio 1849.)

Il Nazionale del 10 febbraio 1849, più mite nelle frasi ma non meno assoluto nel concetto, così si esprime riguardo alla Camera:

«I rimedii e gli ordinamenti che potevano attendersi da mature deliberazioni delle Assemblee Legislative, ora necessitano subito. Le Assemblee stesse giuridicamente decorosamente possono continuare ad esistere: quando il Governo credesse utile od opportuno di circondarsi di Assemblee deliberanti, dalla sua stessa indole sarebbe costretto a interrogare la volontà del Paese per mezzo del suffragio universale

E la Costituente Italiana del 9 febbraio parla così più dittatorialmente al Governo Provvisorio:

«Innanzi a tutto ei deve sgombrarsi la strada, concentrare in tutta la vita del Popolo, rompere nettamente in faccia agli avanzi di un'epoca che ormai è rinnegata. Il Consiglio generale dei Deputati è instituzione tale che, dopo il fatto d'oggi, non ha più corso....; è inutile ordigno che, senza aggiungere forza, vizia il carattere e lo spirito della rivoluzione

E non solo la stampa repubblicana, ma quella eziandio che si chiamava conservatrice, e si diceva ed era organo di frazione notabile e più moderata del Partito Costituzionale, si univa a provocare lo scioglimento del Consiglio. E questa testimonianza io consegno alla Storia, perchè, giudicando delle azioni umane, ne faccia tesoro. «Oggi peraltro che un Governo Provvisorio è instituito, mal sappiamo intendere che resti a farsi dai Rappresentanti. Senza parlare delle cessate ragioni del loro mandato, giacchè in tempi di crisi politiche necessariamente rovina ogni giuridico fondamento al Potere, inutile affatto ci sembra oggi ogni loro azione. Però il Governo disciolga la Camera, e col principio accettato del suffragio universale faccia nuovo appello al Paese, o i Deputati provvederanno al loro decoro con una volontaria dimissione.» - (Conciliatore del 9 febbraio 1849.) - già una volta sola, ma subito il giorno dopo magistralmente, secondo il consueto: «a questo pensi il Governo sorto dalla necessità del momento, onde non compromettere (sic) inutilmente la tranquillità del Paese, che nuovamente consultato col suffragio universale ha un modo legittimo di manifestare la sua volontà su la normale costituzione dello Stato.» - (Conciliatore del 12 febbraio 1849.)

Pertanto, senza discrepanza, universale urgeva allora la opinione pubblica per lo scioglimento del Consiglio.

Forse taluno opporrà: - E che ti faceva quello che quivi si bisbigliava? Dovevi lasciar dire le genti, e stare fermo come torre. La stampa è stampa, ha virtù di prendere pel collo un Ministro. - Anche in tempi ordinarii, la stampa è forza tale a cui sembra piuttosto l'opporci efficace di quello che sia.

 

Vostro saver non ha contrasto a lei;

Ella provvede, giudica e persegue

Suo regno.

 

Ed io allego la stampa come organo di Partito trionfante; sicchè vedete che poco riparo le poteva fare la gente. Gli uomini politici vengono mossi non solo dalla pressione presente, bensì ancora dal presagio degli umori che i partiti presi siano capaci a generare. I signori Fitz James, Dreux Brezé, De la Tour du Pin, Montauban, e Mortemart, svisceratissimi del ramo maggiore di Casa Borbona, si accostarono al trono di Luigi Filippo dichiarando solennemente nello agosto del 1830, questo avere operato non già per diffalta di fede, a cui gentil sangue di Francia non faceva mai mancamento, bensì per salvare la Patria dall'anarchia apparecchiata a divorare, e da tale pensiero essersi trovati costretti con irresistibile violenza.

Il Parlamento, siccome il Conciliatore accenna, cessava per necessità delle vicende accadute, perocchè mancassero la ragione del mandato, e il modo di esercitarlo: la ragione, non potendo estendersi, secondo la indole di qualsivoglia altro mandato, a cose espressamente virtualmente contemplate; il modo, essendo venuta meno la facoltà di operare co' Poteri indicati nello Statuto. Nella guisa stessa che cadeva il Ministero per l'assenza della Corona, cadeva il Parlamento, e con loro tutta la macchina governativa. Il Parlamento, giusta le regole di Diritto Costituzionale, a cagione di questo successo non aveva neanche bisogno di pronunzia per disciogliersi; era cessato ipso jure et facto; e, dirittamente avverte l'organo che si vantava del Partito moderato, il Conciliatore, non si sapeva comprendere in virtù di quale fondamento giuridico, a qual fine continuasse a sedere.

Il Parlamento ancora si disfece da stesso quando nella seduta dell'otto febbraio, secondo che a suo luogo ho fatto conoscere, taluno dei suoi membri dichiarò, che, eletto il Governo Provvisorio, intendeva cessati i suoi poteri; tale altro sostenne mancare perfino di facoltà per eleggerlo; parecchi finalmente si astennero da votare, o votarono come semplici cittadini. Come dunque mantenere in vita un corpo che da stesso esibiva la sua fede di morte?

Il Parlamento disfece stesso quando molti Deputati si assentarono, dimostrando col fatto che non volevano prendere parte alle deliberazioni.

Con quale senno o consiglio l'Accusa rimprovera avere sciolto il Parlamento, quando lo ritiene esposto a violenze estreme?

Un poco di buona fede anche per me: i Romani privavano dell'acqua e del fuoco i proscritti, ma non ho mai inteso dire che i Romani, o Popolo altro qualunque, privassero alcuno della buona fede; dunque se l'Accusa non mi vuole privare della buona fede, e va persuasa di quanto scrive, o come può ella credere che il Parlamento avrebbe voluto o potuto adunarsi dopo la giornata dell'8 febbraio?

No; il Parlamento, per le regole costituzionali, a cagione dell'assenza della Corona, era cessato; egli non poteva esercitare altramente il suo ufficio, privo di mandato per istarsi al fianco di Governo impreveduto: e questo in diritto; - in fatto, non voleva più adunarsi quando parte dei suoi membri disertava le sedute; non poteva più adunarsi, quando dal suo seno sorgevano voci ad ammonirlo della sua incapacità a perdurare; quando il Popolo lo aveva soppresso, e incalzava per la Unione con Roma; quando la opinione universale gli urlava negli orecchi ch'era morto, e che dirittamente pensò quando, con le sue proprie gambe, andò a farsi sotterrare.

Cause irresistibili erano queste per confermare il Decreto di scioglimento, il quale non ebbe altra virtù che constatare un fatto oggi mai compíto dalla mancanza di uno dei tre Poteri costituzionali, e per la volontà del Partito trionfante.

Inoltre, l'uomo di Stato che o per volontà propria, o per prepotenza di casi, si pone a capo di un moto rivoluzionario per contenerlo e dirigerlo, non può mica fare come Diogene, il quale pretendeva entrare in teatro quando gli altri tutti ne uscivano. Senno e potenza consistono nello allentare il moto deviandolo a poco a poco: ora, senza il Decreto che il Parlamento scioglieva e chiamava il Paese a deliberare intorno alle sue sorti, non si sarebbe potuto in verun modo resistere alla veemenza del Popolo, il quale instava per la Unione con Roma, e per la decadenza del Principe.

E quello che merita considerazione maggiore si è, che senza questa provvidenza non si potevano, a mio parere, aprire le porte del ritorno al Granduca. Ragioniamo, e vediamo se il mio concetto è giusto.

Poichè la Corona, abbandonando il Governo, aveva lasciato il Paese senza autorità, e il Partito Repubblicano, valendosi della occasione, aveva preso il disopra; tre soli modi occorrevano a ristabilire il Governo Costituzionale. Questi modi erano: Armi straniere; Accidente interno; Consenso universale.

Che si avesse ricorso ad armi straniere, non era pensiero che potesse cadermi nella mente; e neppure, io m'induco a credere, in quella dell'Accusa: e dov'ella, ai giorni che corrono, il contrario mi dicesse e giurasse, io la terrei spergiura. Infatti, due volte abbiamo veduto ai tempi nostri il mondo armato ricondurre i Borboni in Francia, e il mondo armato non bastò due volte a dare loro stabile fondamento, però che il Popolo mantenne sempre vivo quel dolore nell'anima di sopportare il regno come un giogo di umiliazione impostogli nel giorno della sventura dalla superbia straniera; per la quale cosa, il tempo, invece di lenirlo, lo inciprignì per modo che poi ne uscirono quegli effetti, che, pessimi pel Principato, neppure pei Popoli si possono dire lieti. questo esempio è singolare nella Storia. In Inghilterra il voto del libero Parlamento aperse durevoli e prosperose a Carlo II Stuardo le porte del ritorno al soglio paterno; mentre Giacomo II, suo fratello, sovvenuto dalle armi di Francia, non ricuperò il trono, e perdè irrevocabilmente lo amore degl'Inglesi523. Quando le armi straniere muovono ad aiutarti, di rado avviene che nol facciano per solo comodo proprio; quando anche vi si conducano un poco per benefizio tuo, nonostante il comodo loro sarà sempre troppo la maggior parte: per la quale cosa esse ti tengono subietto, e ti tolgono la riputazione di poterti reggere da te; onde per necessità ti poni in perpetua tutela altrui. Da un lato acquisti fama e atteggiamento di debole, dall'altro perdi la confidenza, perchè tu stesso mostri non ti volere o non ti potere fidare; ed è il primo dannoso, il secondo senza rimedio. Ad ogni modo, senza che io vi spenda intorno altre parole, la chiamata delle armi straniere dagli uomini politici è reputata infelice consiglio negli Stati grandi, pessimo nei piccoli. Solo può giustificarla la disperazione di ogni altro partito; ma a questo estremo non eravamo noi, e sarà dimostrato in appresso. E poi, mi rimane in cuore una speranza che consigli spontanei non abbiano fatto repudiare la sapienza comune e le tradizioni avite; a farmela deporre mi costringe la opposta apparenza, imperciocchè io conosca a prova quanto empia sia la virtù della necessità politica, e solo menti affatto plebee possono giudicarla arte fraudolenta di privato interesse.

E chi nel febbraio del 1849 avremmo potuto chiamare? Per avventura gli Austriaci? Ma sollecite così infelici potevano presagirsi le sorti della guerra italiana; e in ogni caso, io non poteva prevedere davvero che s'invocassero per ausiliarii quelli che, salendo al Potere, trovavo, da tre Ministeri precedenti al mio, dichiarati nemici. Tradizionale correva per Toscana tutta la fama che uomini svisceratissimi della Monarchia e di senno antico, miei predecessori nel Ministero, avevano sempre avversato la introduzione di armi straniere in Patria, e di taluno si diceva eziandio che, piuttosto di consentirla, avesse scelto rassegnare la carica. Avremmo chiamato i Piemontesi? Rammentisi senza amarezza, e non per incolpare cotesti Popoli, speranza e decoro del nostro Paese, ma sì taluno di coloro che in quel tempo gli resse, come meschine cupidità, in mal punto messe in campo, facessero diffidare dei loro aiuti. Vorrei anche credere di leggieri quello che ci assicurava il Ministro piemontese, intendo dire, le molestie tutte non dipartirsi già dal Governo, ma sì dalla trista genìa degli uomini zelanti che dimorava a Sarzana, se l'azione diretta del Governo nel negozio dell'Avenza non mi costringesse a dubitarne. - Comunque sia, Piemontesi o non Piemontesi, entrando su le nostre terre in sembianza ostile, diventavano stranieri; e questo non sarebbe stato bene per noi, per loro. Dunque, alle armi non domestiche, molto meno alle straniere, non dovevo immaginare che si volesse che fosse bisogno ricorrere. E qui mi si conceda che a mente tranquilla torni a lamentare la subitezza di Vincenzo Gioberti, peccato ordinario delle indoli generose; però che io gli scrivessi nel 21 febbraio la Nota referita nelle precedenti pagine proprio per porgergli l'addentellato onde trovar modo a comporre prudentemente le cose italiane ogni giorno più ardue; ed è da credersi che lo avremmo trovato. Piacque ai Cieli altrimenti!

Gli accidenti interni, o rivoluzioni condotte per forza, senza sangue non si operano; male, se le forze dei Partiti si equilibrano; peggio, se no. Feroce nel primo caso la guerra civile; nel secondo ferocissima e spietata: imperciocchè allora vi si unisca la paura; e di questo fu toccato altrove.

Nel caso nostro i Faziosi nell'8 febbraio, e quelli che, senza parteciparne le opinioni, pure aderivano a loro in quel momento di ebbrezza, non parevano la minorità; ma sedato lo impeto, il Partito Costituzionale doveva riprendere il di sopra. E posto ancora che fossero i più deboli, rimane sempre vero, ch'essi, come più audaci e maneschi, dominavano lo Stato, e da un punto all'altro diventando Governo era da aspettarci che ponessero in pratica il principio di vincere ogni ostacolo con la forza, e col terrore mantenersi. Intanto la guerra civile si manifestava da ogni parte con orribili indizii. Credei, e credo davanti a Dio e davanti agli uomini, che il mio dovere m'imponesse impedire che i cittadini si sbranassero, e questo, secondo le mie forze, ho procurato fare, e fino all'ultimo ho fatto. Temperare i Partiti estremi onde non venissero al sangue, mi parve principale scopo della missione alla quale la Provvidenza mi aveva riservato. Se da un lato tentai reprimere i moti reazionarii e sovversivi la società, dall'altro prevenni persecuzioni, vendette, e gli effetti trucissimi della paura. Recuperare lo Stato col mezzo della guerra civile, torna lo stesso che incendiare la casa per rientrarvi.

Il nostro Principe si proclamava altamente nemico alla guerra civile: «Alcuni torbidi scoppiati nel seno della Toscana mi consigliarono a chiamarvi intorno a me da ogni parte dello Stato, e non già che l'animo mio soffrisse di promuovere la guerra domestica, e di porre gli uni contro gli altri coloro che tutti sono ugualmente miei figli.» - (Proclama di S. A. del 4 settembre 1849.) - E questo, come vedremo, ha poi detto sempre. La guerra civile deve detestarsi da tutti, e detestai; e così facendo, ho adempito ai miei doveri di cristiano e di cittadino, e certamente corrisposto alle intenzioni del Principe.

Ripetere qui quanto già dissi intorno alle ragioni dei tempi e agli umori dei Popoli, sarebbe certamente sazievole: solo piacemi riferire adesso due esempii, il primo antico, il secondo odierno, e ciò nello scopo che l'uno all'altro serva di confronto. Sul principiare della Rivoluzione di Francia del 1789, il Popolo concitato a sdegno contro certo Thommassin, da lui creduto incettatore, lo chiama a morte; chiuso, per salvarlo, nella prigione di Poissy, l'onda del Popolo batte fremente le porte del carcere. L'Assemblea, sollecita a riparare i mali, manda uomini apposta per tutelarlo dalla furia delle moltitudini, e il Vescovo di Chartres, anima di angiolo, con parole soavi di amore e di cristiana carità si affatica a raumiliarle, e lo facea, se una voce proterva ad un tratto non prorompeva in questo concetto: «Or vedete, Sauvage, perchè povero, lasciarono perire; questo poi, perchè ricco, vogliono salvare.» Al tristo grido il furore degli accorsi divampa, le imposte scassinate, volano in pezzi, già fuori del carcere il misero prigioniero strascinano, le spade già di sinistra luce balenano. Lo egregio Vescovo, non gli sovvenendo ormai partito migliore, s'inginocchia, i Deputati dell'Assemblea lo imitano, e tutti insieme, non senza lagrime, tendono supplichevoli le mani al Popolo, implorando la vita al Thommassin. «No, - ha da morirerisponde la turba. anche adesso si sgomenta il Vescovo: e «Voi cristiani siete» egli dice, «concedete dunque che da cristiano muoia; bastivi uccidere il corpo, deh! abbia salva almeno l'anima.» Allora il Vescovo riceve la confessione del meschino, e levata la destra lo scioglie benedicendo dai suoi peccati; quindi aggiunge con voce benigna: «Voi lo potete trucidare adesso.» Il Popolo si sente ammollire la durezza del cuore; non osa: e il Thommassin è salvato.

Certa sera del marzo 1849 io mi riduceva al Palazzo Vecchio, quando posto il piè su la piazza scôrsi moltitudine di Popolo imperversarvi dintorno; e un grido funesto mi percosse: «Li vogliamo morti.» Accorrendo vidi come la Guardia Nazionale ritrattasi nel quartiere avesse chiuso le imposte, con poco frutto però, chè la calca facendo forza minacciava fracassarle; tempo non mi parve cotesto di fermarmi a interrogare di che cosa si trattasse, gli arrestati qual nome si avessero: uomini erano. Penetrato a stento nell'atrio dove mette capo l'usciolino del quartiere, questo pure rinvenni custodito dalla moltitudine sospettosa, e chiuso per di dentro: bussai più volte, ma non si attentavano aprire; se non che avendo ravvisata la mia voce lo schiusero un poco, tanto che io potessi entrare, e subito tornarono a chiuderlo dopo le spalle. Mi apparvero davanti due giovani, morti giudicati alle sembianze; ignoto il primo, notissimo il secondo, ch'era Tommaso Fornetti. Amicizia antica mi legava con la sua famiglia, con la sua parentela, con lui, del mio Studio onorevole ed onorato frequentatore; e se non fui io che feci ottenergli lo impiego di Segretario al Ministero degli Esteri (chè di tanto non posso vantarmi), certo egli mi provò in cotesta congiuntura caldissimo e non inefficace promotore. Quando la volontà del Principe mi assunse al Ministero, egli si dimise dal segretariato, dubitando forse non essere mantenuto, a cagione dello scrivere, che faceva nel Giornale - Il Conciliatore, che per seminare zizzania pareva nato a posta, ed in ciò ebbe torto; dopo cotesto atto non giustificato dal dubbio che accenno, , a parere mio, da verun'altra ragionevole causa, mi era più comparso davanti. «Se' tu, Maso?» gli dissi amorevole. «Ch'è stato?» - Ed egli narravami, che essendogli occorso su pei canti certo Manifesto pieno di atrocità, non aveva potuto tenersi e lo aveva strappato; ora trovarsi tratto costà in presentissimo pericolo, perchè le imposte della porta minacciavano cedere, e già i calcinacci per le reggi commosse violentemente cadevano. - Allora ripresi: «Benedetto ragazzo, e chi t'insegna a metterti in questi ginestraj! E mentre sudo acqua e sangue perchè la stadera non trabocchi, tu vai a caricarla di nuovi pesi! Però tutto questo non vale nulla adesso: vieni e tenterò di salvarti.....» Schiusa un tal poco la porta, raccomandai alle Guardie Nazionali, che appena uscito mi formassero argine dietro, e poi presi ambedue i giovani sotto le braccia; e «Su via coraggio» dissi loro, «andiamo.» E trassi fuori risoluto con loro. Le Guardie Nazionali animose si posero e pronte fra noi e la moltitudine arrabbiata. Già avevamo mosso cinque passi o sei, quando, fra gli urli che c'intronavano le orecchie, se ne levò uno così in tristezza come in fragore soperchiante agli altri, che gridò: «Perchè sono Signori è venuto a salvarli; se fossero stati poveri potevano agganghire.» Facciamo presto, raccomandava ai giovani, chè conosceva i goccioloni forieri del rovescio, quando ad un tratto non ci potendo raggiungere ci lasciarono andare dietro una pistolettata, la quale per ventura non colse noi, ma stracciò uno orecchio al custode dello ufficio dell'Ambasciata inglese. «Facciamo presto, chè non ci arrivi la seconda» raccomandai da capo; e sorressi i pericolanti e li condussi in casa, facendo quello che tra gente di cuore si costuma. Fornetti fu accolto dai miei familiari, che lo conoscevano ab antiquo, come un parente di casa. Allora seppi l'altro chiamarsi Lenzoni, ed essere figlio della illustre Donna, che tanto fu pia alla memoria di Giovanni Boccaccio, di cui gl'ingrati concittadini ignorano perfino il sepolcro; e quantunque io poco sia uso a dimostrarlo, mi sentii tutto commosso della pietà di questo dabben figlio, che si preoccupava meno del pericolo passato e della tremenda agitazione presente, che dell'angoscia della Madre sua, se per sorte le fosse giunta notizia del caso, corrotta, come suole, od aggravata dalla fama.

Non potendo consentire che uscisse, lo consigliai a scrivere, e la lettera pervenne celere, quanto l'amore del figlio e l'ansietà materna potevano desiderare. Nel partire, ordinai ai miei di casa li tenessero sollevati; rinforzassero internamente le porte, e non aprissero, badassero bene, a nessuno, se non udivano la mia voce. La folla brontolando si sciolse, non però in modo che per buona pezza della serata qualche capannello dei più pertinaci non rimanesse a imprecare e a minacciare. A notte fitta, Ottavio Lenzoni venne pel fratello, e a lui, ricevute e risposte convenevoli parole, liberamente lo affidai: Fornelli poi, quando tempo mi parve, attaccata la carrozza, non senza calde raccomandazioni di pensare a sua madre, e astenersi da commettere stesso a pericolo di vita, feci accompagnare alla sua dimora.

Questi esempii mi è parso dovere addurre per dimostrare a quanto sottile capello stia sovente raccomandata la vita degli uomini, e la sicurezza pubblica, e più per fare conoscere quali espedienti fossero i miei per tutelare la città e i cittadini: ora io ammaestrato dall'amara esperienza del vivere fra gli uomini, comprendo benissimo che il secolo ingrato il benefizio ricevuto dimentichi, ed anche che acerbo lo sopporti; ma ricavare dal benefizio argomenti per nuocere a colui che lo fece, oh! questo è orribile; - io per me non dubito punto bandire al mondo, che chi tale costuma, avvelena la virtù nelle sue divine sorgenti.

E, orribile, orribile a pensarsi, in questo modo appunto adoperò l'Accusa! - Se sia vero qui si manifesta. - La mia Difesa allegava la violenza irresistibile sopra di me esercitata, la necessità di cedere in parte per la comune salvezza, il molto bene mercè mia procurato a vantaggio dei cittadini, contenendo o reprimendo le turbe tumultuanti; e i Giudici, questi fatti accogliendo, ecco in qual modo gli avvelenano: Appunto perchè il prevenuto Guerrazzi riuscì più volte, COME RACCONTA, a contenere e a reprimere le turbe tumultuanti, in benefizio dei cittadini, questo a chiara prova dimostra che a posta sua poteva governarle; e se le poteva governare, ciò significa ancora che egli non ha dovuto sperimentarle violente!!524

Voi lo vedeste come talvolta mi riuscisse contenere le turbe tumultuanti.... mettendo in repentaglio la mia vita per salvare l'altrui. Signore! Quanto era meglio che io fossi morto, chè adesso non mi sentirei amareggiata l'anima, per le tante infamie che ascolto!

Ond'è che ritornando al mio ragionamento, dichiaro, che rimaneva il terzo espediente, il quale consisteva nella restaurazione del Principato Costituzionale operata dal suffragio universale. Questo mi parve non pure possibile, ma onorato partito, e lo coltivai con ogni studio, al doppio fine d'impedire che il Paese rimanesse stravolto dal turbine repubblicano, e di predisporlo a giudicare pacatamente quello che fosse da seguitarsi o da aborrirsi.

Se i Rivoluzionarii si fossero trovato a petto il Parlamento toscano senza autorità, privo di mandato, sia a continuare un sistema che più non era, sia ad apparecchiare cose nuove; tra discorde; già intimato a disciogliersi, anzi sciolto; senza fede in ; in parte repugnante, e in parte persuaso di essere inabilitato ad adunarsi; per poco che uomo, non dirò intenda di politica, ma goda di quel comune discorso della mente di cui qui tra noi vediamo dotati gli uomini più meccanici, conosce come cotesto ostacolo ad altro non avrebbe servito, che a irritare gli animi dei Settarii, i quali camminandogli sul corpo avrebbero di slancio proclamata la Repubblica.

Ora primo ammaestramento di prudenza nelle popolari commozioni, è rimuovere le cause, che, contribuendo ad inacerbirle, non sono poi capaci a reprimerle. Per lo contrario trovando i Repubblicani convocata l'Assemblea per decidere liberissima la forma del Governo secondo i canoni predicati da loro, rodevano un morso fabbricato dalle proprie mani, e poco giovava ricalcitrare. Cotesto era guado che non si poteva saltare senza lasciarvi cadere nel mezzo la reputazione di probità, privi della quale non solo i Partiti, ma i Governi eziandio si disfanno irreparabilmente. - Nella parte finale di questa scrittura sarà chiarito come anco in Inghilterra non fu trovato espediente migliore a restaurare il Principato Costituzionale del libero Parlamento. Vincenzo Gioberti ministro del Piemonte, scrivendo nel 28 gennaio 1849 al Ministro Muzzarelli di Roma, gli proponeva operare in guisa che l'Assemblea Costituente romana decretasse in genere i diritti costituzionali di Pio IX, e quindi con una Commissione eletta dal Papa questi diritti si determinassero. Proposta di simile natura presso noi non avrebbe incontrato alcuna delle difficoltà, alle quali per avventura poteva andare soggetta nell'Assemblea Romana; imperciocchè in Toscana nulla era a definirsi, e bastava ritornare al posto525.

L'Accusa ritiene, che l'Assemblea Costituente toscana dovesse per necessità d'instituto procedere avversa al Principato Costituzionale; e, come si vede, l'Accusa s'inganna. Questo inganno nasce da difetto d'istruzione politica, però che appunto le Assemblee Costituenti, essendo chiamate a dare forma di reggimento allo Stato, non possono in prevenzione escluderne veruna; questo inoltre si fa manifesto con lo esempio del consiglio di Vincenzo Gioberti, il quale per certo si sarebbe astenuto da darlo alla Costituente Romana, se Costituente per necessità significasse decadenza del Principato; anzi la prima Costituente in Francia, di cui tutti i Partiti, non esclusi i Legittimisti, si onorano, nel 1789 compose lo Statuto costituzionale; finalmente questo inganno resulta eziandio dal confronto della opinione dell'Accusa col testo della Legge del 6 marzo, che contiene la norma della discussione e della deliberazione commesse all'Assemblea Costituente Toscana: «se, e come Toscana dovesse unirsi con Roma

Il mio concetto, che, come ho mostrato, era promosso dallo stesso Partito Costituzionale moderato, ebbe plauso ancora fra i Repubblicani onesti; per la quale cosa anche lo scisma della parte contribuì a farmi tenere fermo. In breve si vedrà con quale e quanta forza urgentissimamente stringessero i Repubblicani più accesi a impedire la convocazione dell'Assemblea Costituente, deridendola, screditandola, e con ogni arte di astuzia, di ragionamento e di violenza, perseguitandola. Già di questo toccai altrove quanto basterebbe a persuadere ogni uomo onestamente discreto; ma io devo ricordarmi come da me si pretendano prove limpidissime e fulminanti....

«Che Costituente o non Costituenteandavano vociferando gli smaniosi Settarii. «La Repubblica non ha mestieri di essere proclamata; ella lo fu, e dai Popoli tutti; ed anche non ce n'era bisogno, perchè è necessario forse un Decreto onde il Sole si levi da Oriente, e spanda la sua luce su tutto il creato526? No, Signori; adesso fa di mestiero la Legge per inviare i Deputati all'Assemblea Romana, e basta. Opporsi a questo è resistenza ai comandi del Popolo. Fin dall'8 febbraio nel cuore e nel grido di tutti fu la Repubblica; in quello stesso giorno decretata solennemente, dalla Toscana tutta confermata; ora per dirsi repubblicano il Popolo dovrà aspettare la licenza dei suoi mandatarii, dei suoi sottoposti?» Queste e più intemperanti cose dicevano; ma vedendo che facevano poco frutto, come altrove accennai, ecco proporre nuova istanza. «Il Governo dichiari dunque la decadenza di Leopoldo, e proclamando il principio di Repubblica e di Unione riservi all'Assemblea Nazionale la sanzione dell'opera. Ancora una volta lo Ricordiamo al Governo Provvisorio di Toscana, le oscillazioni non sono più possibili, il Popolo non le vuole527.» Ed anche a questo colpo insidioso fu riparato.

Di questo può andare sicura l'Accusa, che non sorse voglia, non palpito del Partito Repubblicano, che la stampa non raccogliesse; e non manifestazione che come ordine da eseguire subito, - senza esitanza, - non fosse presentata dai Circoli, dai Petizionarii, ed anche dai singoli cittadini.

L'Accusa ha scritto (e mi giova insistervi sopra): - che cosa ha fatto il Guerrazzi? Al più, al più, egli ha impedito che la Repubblica si proclamasse fino alla convocazione dell'Assemblea Costituente toscana. - Davvero? Ebbene, ricordati che io ti ho domandato, e torno a domandarti adesso: sai tu che cosa si desidera per ricondurre le menti deliranti nel diritto cammino? Sai tu quello, che in simili condizioni riesce ordinariamente ad ottenersi impossibile? - Ed io, poichè, tu Accusa, non sai o t'infingi non sapere rispondere, rispondendo per te dirò, e lo dirò con un uomo di Stato, Storico e Pubblicista di grande celebrità: La tranquillità, onde ogni uomo esamini con calma, e adoperi il suo giudizio a considerare quella che a e al suo Paese convenga528. Ora la convocazione dell'Assemblea partoriva appunto questo bene; per essa si acquistava il tempo necessario, affinchè gli animi accesi, riposati dall'agitazione che gli affaticava, ponderassero quanto fosse da evitarsi, e quanto da seguirsi; gli spiriti costituzionali, che sbigottiti non ardivano mostrarsi, si ravvivassero; con varie pratiche i più tormentosi perturbatori, sia che gli spingesse zelo focoso di convinzione o freddo calcolo di pescare nel torbido, si allontanassero; il Paese insomma risensasse, si riscuotesse, e recuperando le sue tradizioni smarrite, i suoi costumi, le sue voglie, la sua maniera di sentire e di essere, ritornasse nella carreggiata donde una scossa improvvisa lo aveva sbalzato.

La mia condotta fu semplice; penso essermi mostrato impenetrabile come la Sfinge a Edipo: non consentii alla parte repubblicana, alla Unione con Roma, per convincimento, desunto da fatti e da giudizii, che la Toscana all'una cosa repugnasse e all'altra. Per me, terrò sempre così disonesto, come insensato, precipitare per forza o per inganno i Popoli colà dove si mostrano repugnanti ad andare; e se i Partiti senza fede, di cui oggi è infelice instituto scrivere carte in contumelia altrui, comprenderanno alfine, come si possa professare opinione discorde dalla loro senza essere per questo traditore o codardo, penso che faranno meglio i fatti loro; - ma predicando ai Partiti, prédico al deserto.

Il Procuratore regio della Repubblica, signor Rusconi, scrive: «Che essendo mancato il Governo, il Paese aveva diritto di essere governato, di provvedere alla propria conservazione529,» - e qui sta bene; - «egli era necessario ricorrere a quella fonte, che solo legittima ogni Governo, interrogando il voto popolare. Un'Assemblea Costituente a suffragio universale eletta, era la resoluzione più sensata che potesse adottarsi530;» - e questo è anche meglio. - Ora vorrei sapere un po' dal signor Rusconi perchè, se questo andava bene per Roma, non dovesse andare del pari bene per la Toscana? Forse i Toscani non hanno diritto per essere consultati prima di disporre di , o non hanno intelligenza per giudicare? Per quale motivo ci vuole egli ridotti nella condizione dei minori, o dei maniaci? In Roma le deliberazioni avevano a prendersi gravemente nell'Assemblea eletta dal voto universale; qui, a furia di Popolo, anzi di una frazione di Popolo. A Roma, perchè conoscevate gli umori della Nazione favorevoli ai disegni vostri, gli rispettaste; qui, perchè li dubitaste contrarii, bisognava contentarci degli schiamazzi; e chi esitava, si doveva eccitare; chi repugnava, atterrire; anzi, diffamandolo come traditore, esporre alla cieca ira delle moltitudini furibonde. E qui cesso, che più lungo discorso discrezione non consente.

Il signor de Larochejaquelin, realista purissimo, rispondendo nel 30 agosto 1850 alla Circolare del signor Barthélemy, ammonisce: «Non essere, come altri crede, l'appello alla Nazione un atto rivoluzionario: all'opposto, deve reputarsi invito alla medesima, perchè nella sua sovranità finisca l'era delle rivoluzioni.» Alla quale opinione si accosta anche il signor De Montalembert, che a quanto mostra non pare che si possa mettere fra i Repubblicani! - I Costituzionali, comecchè moderati, non discordano; e lo abbiamo veduto nel consiglio del Conciliatore.

Ma oltre che non se ne potesse fare a meno per le ragioni copiosamente discorse, varie considerazioni speciali vie più confortarònmi di ricorrere al voto universale.

I. La notizia di fatto della propensione del Paese al Governo Costituzionale. - Assunto al Ministero, persuadendomi che il primo dovere del Ministro consistesse nel bene applicarsi a conoscere gli umori dei Popoli, ordinai, come in altra parte ho accennato, a tutte le Autorità governative ed ai Gonfalonieri, mi rimettessero circostanziate informazioni su lo stato religioso, morale, politico ed economico dei Popoli da loro amministrati. Raccolti i Rapporti a diligenza del Segretario signor Allegretti, furono disposti in quadri sinottici; e da questi venne a resultare, come la grandissima maggioranza del Popolo Toscano alle libertà costituzionali stesse contenta. Anche questi libri e questi Rapporti domando, affinchè si conosca da quali motivi io fossi condotto nel consultare il voto universale del Popolo.

II. L'opinione stessa di S. A. - Quando nel primo colloquio, che io ebbi l'onore di tenere col Principe, io gli feci lealmente avvertire, che la Costituente, nel modo che dal medesimo era stata accettata, poteva esporlo a perdere la Corona, e che però la materia meritava considerarsi due volte; il Principe rispose: averci pensato, ed essersi anche a questo disposto, purchè fosse per benefizio del suo Popolo; ma poco dopo soggiunse: - però io non temo la prova; la mia famiglia ha beneficato la Toscana; io mi sono ingegnato, per quanto era in me, imitare gli esempii paterni, onde io non dubito che, consultato il voto del Popolo, sia per riuscirmi favorevole. - E questo credo ancora io, soggiunsi, ma mi è parso onesto avvertirlo.

Onde io piena la mente di queste parole, commesso a dettare il Discorso della Corona per l'apertura del Parlamento, che avvenne nel 10 gennaio 1849, scrissi con mano franca (come quella, che consentiva al sentimento del cuore) la sentenza, la quale pronunziata poi dai regii labbri empì di applausi e di esultanza la sala: «quando mi assentiste il titolo di Padre io di lieto animo lo accettai, perchè veramente mi sento affetto paterno per gli uomini, che sempre mi studiai, e studio governare con amore. Se i presenti, e se i posteri mi confermeranno il titolo di Padre del mio Popolo, sarà questa la più gloriosa ricompensa, che abbia, mai saputo desiderare il Principe vostro531.» E il Conciliatore dell'11 gennaio così commentava: «Queste semplici parole avranno un'eco nel cuore di tutti i Toscani, e non saranno infeconde, perchè tutti sanno non esser queste una frase officiale; e gli applausi, che scoppiarono unanimi appena furono udite dalla bocca di un Principe, che non ha mai mentito, erano una conferma del vero, ed un omaggio alla virtù

III. La opinione di uomini per eccellenza conservatori. - Favellando talvolta dell'esito probabile del voto universale con persone versate nei pubblici negozii, e segnatamente col signor Senatore Fenzi, ricordo come questi mi affermasse che il Paese consultato si sarebbe per certo chiarito propizio al Principato Costituzionale.

IV. Lo esperimento fattone dal Governo Costituzionale di Carlo Alberto in Lombardia, dove, malgrado i supremi sforzi di parte repubblicana, lo vedemmo uscire, con mirabile concordia, secondo al Principato Costituzionale.

V. Le necessità, le dottrine e le promesse, create, bandite e profferte dai Ministri, che furono a un punto becchini del Governo Assoluto e pronubi del Costituzionale, dinanzi a tutto il mondo. Mi porga docili le sue orecchie l'Accusa, e ascolti leggere certo Decreto pubblicato qui in Firenze:

«Noi Leopoldo Secondo ec.

«Al cessare dei Ducali Governi di Modena e di Parma, i Popoli della Lunigiana, i quali, con tanto dolore scambievole, eransi veduti separare dal Granducato, manifestarono incontinente la volontà loro di ricongiungersi ad uno Stato cui tante care memorie li collegavano.

«Eguale desiderio dimostravano altresì le popolazioni degli Stati di Massa e Carrara, della Garfagnana e degli ex-feudi di Lunigiana; le quali per la geografica loro condizione, per i commercii, per le industrie del vivere e per le affezioni furono mai sempre avvezze a considerare stesse come congiunte alla prossima Toscana.

«Di questo comun sentimento delle suddette popolazioni si fecero interpreti varii Governi Provvisorii che si erano costituiti in quelle Città e Terre, e a cui si volsero perchè fosse accolto l'universale loro proposito di essere aggregate al Granducato.

«Ma parve a Noi riceverle solamente in protezione e in tutela, non consentendo l'animo nostro ad una formale aggregazione, consapevoli, come Noi siamo, che ampliare lo Stato non è per Noi altro che accrescere la gravezza dei doveri, l'adempimento dei quali fu sempre l'unica ambizione nostra; e non volendo per modo alcuno preoccupare quel generale ordinamento delle italiane cose, che insieme provvegga al comun bene della Nazione, e al particolare delle famiglie di che essa è composta.

«Dovemmo però bentosto conoscere che uno stato incerto e mal fermo era dannoso e increscevole a quei Popoli, i quali, parte per universali acclamazioni, parte per via di assemblee popolari congregate a questo fine dai respettivi Governi Provvisorii, tornarono a più fortemente esprimere il voto di essere stabilmente uniti e parificati coi Popoli che la Provvidenza ebbe affidati alle Nostre cure.

«E fu da ciò a Noi dimostrato, esserci imposto di soddisfare a quel giusto e benevolo desiderio loro; il quale, mentre attendeva ad accrescere e munire per via di un politico legame quegl'interessi scambievoli che mai non poterono esser distrutti dalle separazioni di signoria, conduceva più efficacemente a coordinare le riunite forze a quello scopo comune e supremo, al quale ora deve intendere tutta insieme la Nazione.

«Animati pertanto da eguale affetto per gli antichi e per i nuovi figli, e nella fiducia di promuovere, quanto è in Noi, quel bene d'Italia il quale primeggia fra i nostri pensieri; e perciò convinti di far cosa che sì per questo riflesso, sì per i vantaggi che ne vengono allo Stato, debba essere di soddisfazione alla Toscana e alle Assemblee che la rappresentano;

«Sul parere ec.

«Ci siamo determinati di pienamente aderire agli espressi voti con aggregare, conforme aggreghiamo, al Granducato, gli Stati di Massa e Carrara, e i Territorii della Lunigiana e Garfagnana, ordinando che ci siano proposti nel più breve tempo i modi convenienti ad introdurre in essi le leggi ed instituzioni governative ed amministrative del Granducato, onde le Popolazioni dei medesimi sien fatte partecipi di tutti i diritti che spettano ai Toscani.

«Volendo però, che l'adesione nostra, e quindi l'aggregazione da noi decretata, non sia per interporre alcun ostacolo alle future sorti d'Italia, e che nessuno, comunque non prevedibile, evento pregiudichi mai la volontà e gl'interessi dei sopraddetti a Noi carissimi figli, dichiariamo fin d'ora che nel nazionale ordinamento che con quest'atto avemmo in animo di promuovere, e cui professiamo di volere ora per allora conformarci, mentre sosterremo quanto è in Noi questa unione vantaggiosa del pari alle due parti che la formavano, intendiamo che per qualunque siasi caso contrario resti preservata ai Popoli, che a Noi ora si aggiungono, quella naturale libertà, per cui possano in ogni evento provvedere a medesimi, e di essi non venga disposto altrimenti senza il loro consentimento.

Dato in Firenze li 12 maggio 1848.

LEOPOLDO.

Il Presidente Cempini.

Visto per l'apposizione del sigillo

Il Ministro della Giustizia B. Bartalini

L'Accusa fa le stimate, ed esclama: «Possibile? Dev'essere apocrifo!» No, Accusa mia, egli è tratto dalla Gazzetta di Firenze del 15 maggio 1848, e fu in cotesti tempi, come tanti altri lenzuoloni suoi fratelli, impastato su i muri a farvi la parte della rosa: nasce, languisce, muore, - e non ritorna più. Non dubitare, Accusa, ch'egli è un Decreto sottoscritto, condizionato nelle regole, e messo negli Archivii, dove a te sarà passato di occhio; e ti compatisco, perchè non si può avere avvertenza a tutto, specialmente quando si vuole fare presto, e non lasciare (come in altri paesi si costuma) per anni e anni i poveri detenuti a sentirsi morire nelle carceri con rovina irreparabile della educazione dei figliuoli, della domestica economia, - di tutto: non siamo mica in terra di Turchi, la Dio mercede; altrimenti prima di giudicarli, poveretti, sarebbero condannati, e di che tinta! - Queste cose, a memoria di uomo, non si sono viste in Toscana, e le non si hanno a vedere. - Onesta Accusa, poichè così bene ti scorgo disposta, riprendi in mano cotesto Decreto, e nota come sei proposizioni normali vi si trovino consacrate solennemente.

Legalità dei Governi Provvisorii approvata. Facoltà dei Popoli, per disporre di stessi, confermata. Dovere nei Principi di aderire al voto dei Popoli bandito. Promessa di aderirvi sempre pubblicata. Costituente italiana, allo scopo di attendere al nazionale ordinamento, annunziata e promossa. Guerra dichiarata scopo supremo e comune di tutta la Nazione.

Lo vedi, Accusa, Io lascio giudicare proprio a te, se cotesto Decreto non contenga per necessità di queste due cose l'una, o lo impulso della rivoluzione da farsi, o la testimonianza della rivoluzione già fatta. Qui, qui e non altrove, cerca e trova, Accusa mia, non pure il germe e il fiore, ma il frutto ch'è segno delle tue imputazioni. E se questo facevasi nel 12 maggio 1848, o come presumi che non si continuasse a fare nel febbraio 1849? E se questo operavasi da un Governo Costituzionale, come poteva astenersene un Governo nato dal perturbamento dei Poteri Costituzionali? E se questo un Governo ordinato bandiva per disordinarsi, come un Governo disordinato doveva ripudiarlo per ordinarsi? Se il Ministero del maggio 1848 così provvide per seminare la rivoluzione, o perchè il Governo Provvisorio non potè praticare per contenerla e per reprimerla?

Gli speculatori della Rivoluzione francese non senza verità ne attribuiscono parte alla rappresentanza del Figaro, della Folle Giornata, e della Madre colpevole di Beaumarchais: o pensiamo un po' quali portentosi effetti dovevano partorire le parole del Decreto del 12 maggio 1848 sopra menti affannate da stupenda concitazione: zolfo e olio sul fuoco!

La dottrina dei fatti compíti distrugge la pretensione del diritto: chi raccoglie il retaggio dei primi, male si affatica a sostenersi sul secondo; il principio dell'autorità, e quello del voto popolare, non sono redini da stringersi in una stessa mano; procedere dall'uno o dall'altro, secondo che torna, è consiglio pessimo, a praticarsi impossibile. Quando, tra gli altri fatti, le Potenze stipulanti i Trattati di Vienna approvarono la separazione del Belgio dall'Olanda, e dello Egitto dalla Porta, distrussero virtualmente cotesti Trattati. Sofisma è ricorrervi, come adesso fanno i Diplomatici, cavillo forense e nulla più; e siccome senza forza i sofismi non reggono, così potrebbero attenersi risoluti a quella che di presente possiedono, senza beccarsi i geti con un fantasima di diritto a cui credono essi, nessuno altro crede. - Il Guizot, per giustificare la conferma di cotesta separazione, addusse lo esempio di due travi cascate per vetustà dal tetto della fabbrica, che bisogna lasciare giacenti a terra. Ora questo esempio non ispiega nulla; e la esperienza insegna diffidare degli uomini che, usi sempre a procedere con formule rigorose di raziocinio, ad un tratto ti balzano su con paragoni e parabole; imperciocchè questo voglia dire che essi proprio non hanno più in fondo al sacco un pugno di ragione per farne un discorso che valga.

Perchè nella famosa storia dei successi avvenuti dal 1848 in poi, con tanto studio di verità dettata dall'Accusa e dagli altri che la precederono nel nobile arringo, simili a un punto e diversi, come si addice a fratelli; perchè, dico, il Decreto del 12 maggio è taciuto? Perchè l'Accusa lo cuopre, pietosa figlia, camminando a ritroso, come se si trattasse delle vergogne del Patriarca Noè? Gran comodo sarebbe quello di potere cancellare dalla memoria altrui i ricordi dei fatti successi, con la facilità stessa con la quale taluni cancellano dalla propria anima ogni sentimento di gratitudine e di pudore. Io però rammento questo Decreto, non già per cavarne motivo di biasimo ai Ministri onorandissimi che allora sedevano nei Consigli della Corona, ma sì per proseguirli della lode che meritano. Imperciocchè per esso mi si faccia manifesto, come uomini i quali logorarono massima parte della vita nello esercizio di dottrine diverse da quelle che comunemente si professavano allora, sapessero, prudentissimi, piegando dinanzi alla politica necessità, l'animo ai tempi accomodare; quantunque, per avventura, tutte le cose, di cui è pregno il Decreto allegato, potessero, nel 12 maggio 1848, parere un po' troppe anche a me.

E avvertite che, circa quel torno, a Presburgo ancora, tutte le domande degli Ungheresi concedevansi; il Bano Jellachich e il Patriarca Rajaesis che avevano impreso ad osteggiare i Magiari, quegli dalla parte di Croazia, questi dalla Servia, disapprovavansi, destituivansi, di alto tradimento a Vienna accusavansi; ed ei lasciavano dire. E questo ancora dimostra quanto elastica, molteplice, proteiforme e barometrica sia l'accusa di alto tradimento.

gioverebbe punto all'Accusa, qualora si risolvesse a mettere in causa meco (il che non credo che voglia fare, almeno per ora) i signori Cempini, Bartalini, e gli altri del Ministero Toscano del 12 maggio 1848, dimostrare come cotesto Ministero non subisse «forza tale da impedire il retto uso della ragione e della libertà, e da coartarlo a non abbandonare la posizione che poteva strascinarlo a pubblicare il Decreto allegato;» però che cotesti Giureconsulti egregi, e uomini di Stato gravissimi, l'ammonirebbero dicendo: - «Accusa, Accusa, tu dovresti sapere che altra è la coazione che cade sopra uomo privato, altra quella che cade sopra uomo pubblico. La prima deve presentare i caratteri indicati dal gregge dei forensi, quantunque, anche in questa parte, sia ufficio del discreto, e soprattutto onesto Giudice, considerare non solo la coazione in stessa, ma eziandio le varie maniere con le quali si fa manifesta, e le diverse qualità degli uomini sopra i quali ella venne esercitata. Tale per nota d'infamia sbigottisce, che di ferro non cura; e questo va avvertito nel calcolo della imputabilità delle azioni incriminate. La necessità politica poi, nell'uomo pubblico, consiste, nei tempi di pericolo, nell'abbracciare quei partiti che, secondo la religione della propria coscienza e la virtù del suo intelletto, egli reputa più acconci a procurare il maggior bene o il minore male possibile allo umano consorzio, di cui gli venne confidato il governo. Il Ministro che abbandona il posto davanti alla irrompente anarchia; il Ministro che soffre esposte ai ferri dei feroci le gole degli amici, - ed anche dei nemici; il Ministro che lascia sobbissare il Paese per mettersi in salvo col suo fagotto, è a mille doppii più infame della sentinella che diserta il posto alla presenza del nemico; però ne sente più profonda la pena, chè la Storia lo marchia in fronte, e lo manda argomento d'ira e di disprezzo alla memoria dei più lontani nepoti. Voi, Giudici, guardate bene di notare per lesa maestà quelle azioni, che, non fatte, frutterebbero dai Popoli l'accusa di tradita umanità.» - Così (parmi udirli) direbbero i lodati Giureconsulti e Ministri all'Accusa, e direbbero bene.

VI. La prova, che, consentendo la Corona, ne avevamo fatta in parecchi paesi della Lunigiana, e segnatamente pel negozio dell'Avenza, dove, comecchè il Governo Piemontese instasse calorosamente, tutti (chè due voti non fanno opposizione) si dichiararono pel nostro Principe.

Per la quale cosa io penso potere affermare, che difficilmente si procede, nelle faccende politiche, con sicurezza maggiore di quella che avessi io quando alla necessità del suffragio universale assentiva. Tanto meno ingratamente mi vi disponeva, in quanto che erami noto come il Sacerdozio, avverso alla Costituente Italiana, non trovasse niente a ridire alla Costituente Toscana532.

E mal consiglio fu impedire, o effetto della consueta inerzia non andare e non mandare gente a deporre il voto, chè, in questo modo operando, l'Assemblea unanime, o quasi unanime, e nella sua prima Seduta, avrebbe restaurato il Principato Costituzionale, vinto ogni ostacolo che a me rese il compimento del mio disegno difficile, e con benefizio del Paese grandissimo. E questo appunto massimamente temevano.

Nonostante però che molti elettori si astenessero, ed altri si facessero astenere (il che fu male), e malgrado che molti eletti costituzionali rifiutassero il mandato (il che fu peggio), non fallì il mio presagio, e la maggioranza favorevole alla Costituzione si ottenne. Ma la composizione di questa maggiorità richiese tempo e cure, perchè moltissimi Deputati erano ignoti al Governo, ed io non ben noto a loro; bisognò tastarli prima nelle Conferenze, e la maggiorità non potè vincere di slancio, come quella che non andava copiosissima di nomi universalmente autorevoli; tentennò a decidere, sbigottita dai clamori della minorità smaniosa, dagli schiamazzi della stampa, dalle insinuazioni perfide, ch'eglino erano stati chiamati a sigillare il tradimento del Governo.

 

 

Dimostrazione storica.

 

Vogliano ricordarlo sempre i lettori, compongo una Difesa. Non mi abbandonino; mi seguano, io gli scongiuro, benigni, tenendo la mente rivolta a due cose: non trattarsi adesso di eleganze di testura o di eloquio, bensì di aggirarmi per la matassa arruffata dell'Accusa rompendone ad uno ad uno gl'inamabili fili.... Che Dio vi benedica! O che volete voi, che cammino sia il mio, se, dov'ella leva l'orma, a me tocca mettere il piede? E poi, badate a questa altra, che l'Accusa crede, nel suo portentoso cervello, ritenere che la Fazione violentasse tutti e tutto fino al mezzodì circa dell'8 febbraio; poscia cessasse ad un tratto onde lasciarmi abilità di commettere spontaneo e liberissimo tutti quei fatti, che nella sua opinione costituiscono il reato di crimenlese; e riprendesse in ultimo il suo berretto e le sue furie, nel maligno intento, che lo imperversare posteriore non iscemasse di uno atomo la mia colpa davanti all'Accusa. Le violenze della Fazione; secondo la veridica storia dell'Accusa, si comportarono per lo appunto come le acque del Mare Rosso, quando sotto la verga di Moisè rimasero spartite, e stettero a guisa di muraglia, a destra e a sinistra533, perchè io potessi entrare nel mare della Lesa Maestà a piedi asciutti. Veramente cosiffatte partizioni senza verga di Moisè non succedono; ma l'Accusa portentosa crede ai portenti in mio danno, ed anche ne opera.

Sì, certo ne opera; imperciocchè non la vedemmo noi nell'ordine dei mesi mettere marzo prima di febbraio, e sostenere che i miei sforzi per impedire la decadenza del Principe e le sue sequele, incominciati fino dall'8 febbraio, fossero impressionati dagli eventi sinistri della guerra, di cui ci pervenne la desolata notizia nel 26 marzo 1849? In questo modo è taumaturga l'Accusa.

Adesso pertanto io penso, che se la convocazione dell'Assemblea fosse stata cosa capace di promuovere i disegni della Setta, sia naturale credere, che questa l'avrebbe favorita con tutti i nervi; invece, abbiamo già veduto in parte, e più particolarmente vedremo adesso, screditarla, e perseguitarla: udremo minaccie, sentiremo furori. - L'Accusa nondimeno contrasta, e dice, che ciò non conduceva ad altro, che a prorogare di qualche giorno la decadenza del Principe; e i Settarii all'opposto urleranno, che nello indugio sta il pericolo, e la morte. L'Accusa da un lato incolperà fabbricarsi, con artificii diabolici, per me la Repubblica; i Settarii, dall'altro, urleranno lo spirito repubblicano, per miei trovati infernali, evaporato. Faziosi tutti, e tutti procedenti ciechi, appassionati ed ingiusti.

L'Assemblea Costituente è screditata; si dimostrano i pericoli del differire; si suppongono ragioni nel Governo che non addusse, e si confutano con argomenti diretti ad atterrire. Si dichiara espresso, che la forza ha distrutte le passate Assemblee, e disfarà anche questa.

«Il Governo Provvisorio per procedere con ordine e con legalità ha cominciato a convocare pel 15 marzo una nuova Assemblea Legislativa toscana, sulla base del suffragio universale diretto.

Prescindendo dalla difficoltà che adesso presenta una convocazione d'uomini tali, quali occorrono per sostenere i diritti del Popolo: prescindendo dal riflesso che nei Comuni piccoli, ove le opinioni sono meno avanzate, meno desto lo spirito pubblico, piccoli di mente e di cuore saranno necessariamente i Deputati prescelti da un Popolo ignaro e semplice, facilmente accessibile alle seduzioni e ai traviamenti; prescindendo dalla pericolosa e ambigua esitanza del provvisorio, a cui origine tale disposizione; prescindendo da tutto ciò, qual uopo mai vi era di essa?....

Il Governo Provvisorio, o, a meglio dire, il Partito Democratico, è sicuro o non è sicuro di avere forza bastante per far prevalere il proprio diritto, dappoichè disgraziatamente niun diritto in fatto prevale senza la forza?

Il Governo Provvisorio e il Partito Democratico sembra che di tal forza siano sicuri, giacchè per tutta ragione, a chi obietta esser facile che alla prossima Assemblea appariscano persone dell'antico calibro, rispondono che quella forza la quale rovesciò le altre Assemblee rovescerà, occorrendo, anche questa.

Ora noi non sappiamo comprendere, come si possa volere creare colla probabilità di dovere distruggere; non sappiamo comprendere perchè per ottenere un voto forse incerto, ma che ha apparenza di legalità, si debba rimettere una decisione che urge, una decisione da cui pendono le sorti, non di Toscana sola, ma di tutta Italia; si debba non tener conto della forza presente, che grande è oggi, ma che domani, ed ogni che passa, può menomarsi; si debba non tener conto prezioso dello entusiasmo del Popolo, che oggi è acceso, ma che intiepidito, ammorzato che sia per vane formalità, per temporeggiamenti paurosi, può spengersi irremissibilmente, dare più buon frutto di 534

Il voto universale pertanto metteva paura alla Fazione, ond'è che viene chiarito per vero, ch'essa sentiva non le tornerebbe favorevole, e che ricorrere a quello nello universale scompiglio era atto di riordinamento, non già di disorganizzazione.

L'Assemblea viene qualificata come impaccio alla Rivoluzione; - acerbe rampogne si muovono per averla proclamata, e minaccie laddove non vogliasi ritenere la Rivoluzione fatto compiuto; - reazione politica, pretesto alle rapine della cupidità, e della miseria; - nobili paventano le vendette e i saccheggi del Popolo; - errore del Governo di convocare l'Assemblea Costituente toscana; - per questo, e per altri pretesi falli ripreso perfidamente, come quelli che potevano cagionare effusione del sangue cittadino; - da capo sospetti insinuati contro gli ufficiali civili e militari, e Governo pressurato non pure a dimetterli, ma a punirli; - Popolo commosso ad avventarsi contra di loro.

«O voi vi fidate nelle forze del Popolo, - ripeto, - o non vi fidate. Se vi fidate, l'Assemblea è pericolosa. Ad ogni modo l'Assemblea è un impaccio che par gittato dinanzi alla Rivoluzione, come si getta uno sterpo fra le gambe a chi corre, perchè inciampi e cada.

Voi dite averla convocata, nella speranza che l'Assemblea mandataria di tutta la Toscana acqueti ogni tentativo di reazione, e riesca la espressione del voto generale.

E noi vi rispondiamo con le parole medesime che stanno scritte sul Rapporto della Convenzione Nazionale francese del 1793: - Quando la Nazione è in piedi, che cosa sono i Rappresentanti che seggono nelle Assemblee? -

Oggi voi potreste, da voi e col Popolo, sedare e distruggere ogni reazione. - Ma domani, quando Leopoldo avrà ragunato a d'intorno i suoi fidi, quando questi avranno destramente seminato l'oro inglese, quando le baionette austriache saranno alle frontiere, credete voi poter sedare con eguale agevolezza la reazione? - Vi credete voi più potenti in faccia alla forza e alla violenza, unica ragione a cui si debba ora affidare l'arbitrio delle nostre sorti? - vi credete voi più potenti, ripeto, con 120 uomini di tutti i colori, di tutte le opinioni, che non con migliaia di gente del Popolo, tutti di un solo colore e di una sola opinione? - E credete voi che cotesto Popolo, ove non abbia più fede in voi, ove, col temporeggiare e col respingerlo. lo abbiate reso diffidente di voi e di stesso, credete voi che esso vorrà starsi pago della decisione dei vostri 120 Rappresentanti, e non piuttosto riterrà le proprie decisioni come un fatto compiuto, nel modo istesso che voi oggi sembra non vogliate ritenere per fatto compiuto la Rivoluzione?

A noi, cittadini del Governo Provvisorio, vel diciamo col cuore sulle labbra, non fa nullamente spavento la reazione: solo ci fa spavento lo indugio. La reazione oggi non è di politica; è reazione di miseria, è reazione d'ignoranza, non è reazione di fede monarchica. La pretesa Vandea di Empoli non è che una lega di vetturini: la questione politica in Empoli, se bene l'approfondate, non è che una pretensione di antichi e stolti romori contro la strada ferrata. Leopoldo d'Austria può forse domani aver seguaci e satelliti molti in Toscana, per effetto d'oro, di promesse, di calcoli, di raggiri: oggi, - persuadetevene, o cittadini, - esso ne ha pochi, o, meglio dire, non ne ha alcuno. I suoi nobili stessi gridano al tradimento: lo maledicono per averli lasciati in abbandono, per averli esposti, dicon essi, alla animavversione del Popolo, con cui si sono compromessi per sua cagione, e da cui temono vendette e saccheggi.

I suoi impiegati di null'altro curansi che dello stipendio, godono nell'ozio, e si augurano che la manna duri a cadere, senza avere la pena di chinarsi a raccoglierla.

In quanto ai partigiani della idea monarchica, essi saranno sempre ostili alla democrazia, regni Leopoldo o non regni: la loro reazione è così sicura, com'è sicuro il regno delle tenebre accanto a quello della luce, com'è l'ombra inevitabile seguace del corpo.

L'antagonismo dei Partiti non è reazione; e se aspettate, o cittadini del Governo Provvisorio, il 15 marzo, perchè tutte le opinioni sieno ad un livello, tutte le esigenze si chiamino sodisfatte, e di un volere unico e solo si cuopra Toscana, come il manto funereo cuopre un corpo fatto cadavere, prorogate in tal caso la vostra vana Assemblea al giorno del giudizio finale, e convocatela nella gran valle di Giosafat: colà forse, colà soltanto saremo tutti di un color solo, e di una sola opinione.

Il massimo errore, fin qui commesso dal Governo Provvisorio toscano, è per noi la convocazione di un'Assemblea Toscana, oggi che l'Assemblea può e debbe chiamarsi unicamente Italiana, e unicamente risiedere a Roma; oggi che le esigenze della legalità debbono far luogo alle esigenze della necessità, il regime dell'ordine a quello della Rivoluzione: Rivoluzione permanente, sistematica, accanita, entusiasta, popolare, repubblicana, contro lo straniero, e contro chi perora la causa dello straniero: - i tardigradi, li opportunisti, i moderati...» con quel più, che viene riportato nella nota 1 a pag. 436 di questa Apologia.

..... Ma di tutti questi errori nei faremo grazia al Governo Provvisorio toscano, ov'egli si affretti a fare ammenda del principale: ov'egli proclami la immediata Unione con Roma, e conseguentemente il regime repubblicano, amministrato da un Governo Provvisorio, finchè la Costituente Italiana di una Repubblica consistente di cinque milioni di rivoluzionarii e di due Popoli non faccia una Repubblica di 24 milioni di cittadini, e di una sola nazione535

Non vi è mestiero di Assemblea, il voto del Popolo ha già deciso. - Governo è spinto ad unirsi con Roma, e subito. - Il provvisorio non s'intende, si cura; vuolsi la Repubblica. - Il Governo è d'accordo con gli Austriaci, e apparecchia la invasione straniera se non procede come a Rivoluzionario conviene, e non consente il Principe sia dichiarato decaduto e la Repubblica proclamata. Quante mortalissime insidie cosiffatte insinuazioni contenessero in nel furore dei tempi, non vi è discreto uomo, che di per senz'altra chiosa profondamente non senta.

«Qual bisogno ha oggi la Toscana di rimettere ad una Assemblea la decisione di un voto, il quale fu già deciso dal Popolo? - Il Popolo ha già deciso di essere unito con Roma, e Roma ha proclamato la Repubblica il giorno stesso di tal decisione. Or come pretendereste di stare uniti a Roma, se l'Assemblea Toscana non si pronunciasse per la Repubblica?...

E se ciò avvenisse, quali impacci non creereste, provocando una seconda Rivoluzione, che vi potete risparmiare, prevalendovi della prima così bene avviata? Essere uniti con Roma, vuol dire essere Repubblicani; e voi pretendete intanto che ci possiamo gridare uniti con Roma, ma che non ci dobbiamo dire Repubblicani. Permetteteci, cittadini del Governo Provvisorio, che vi diciamo apertamente, cotesto argomento essere un argomento ad bestiam, e che voi ci raffigurate il principe Amleto di Danimarca, mentre dice a stesso: To be, or not be, that is the question; e di cotesta questione non sa trovare il verso per uscirne a bene.

Essere o non essere, - questa è la quistione. Or quando per essere basta il dire noi siamo, non sappiamo capacitarci perchè si debba dire noi saremo, col rischio di non essere mai!

Infiniti sono i rischi che minacciano il Governo Provvisorio. -

Leopoldo d'Austria fuggì fidando nella reazione: fuggì nella certezza che i suoi fedelissimi sudditi non comporterebbero la lontananza delle adorate sembianze del loro padrone; fuggì, perchè il Partito reazionista vide essere cotesto l'ultimo colpo, il colpo disperato per far trionfare una causa che essi medesimi vedevano perduta. - Se Leopoldo d'Austria fosse fuggito nel semplice scopo di sottrarsi ad una sanzione cui consentire non poteva il suo animo timorato, se fosse fuggito unicamente per sottrarsi ad una scomunica, se fosse fuggito lealmente e da buon cittadino, da buon cittadino avrebbe incominciato a deporre quel potere, che ei credesi aver ricevuto per grazia divina, ed alla cui influenza, al cui prestigio egli affidò le ultime sue speranze, - le speranze di ricostituire un trono dispotico sulla guerra civile e sulla anarchia.

Quest'ultimo scopo soltanto fu quello che ricercò Leopoldo lo Austriaco: ed ove egli vada fallito, sieno pur certi i Toscani, sia certa l'Italia che, non avendo la reazione trionfante, avremo li Austriaci sostenitori del Trattato di Vienna, i quali verranno a riporre sul trono un sovrano che per amore non vi fu voluto riporre. Ora, se schiacciammo la reazione, perchè, o Governo Provvisorio, non volete che schiacciamo li Austriaci?... Perchè volete che abbiamo l'una latente e permanente, li altri in minacciosa prospettiva?...

E voi sembrereste nol volere, se recedeste dallo scendere prontamente ad energiche e violente misure, a provvedimenti solidi e rivoluzionarii.

Voi sembrereste, per taluno, quasi non volere, ricusando ancora di dichiarare decaduta dal trono la famiglia di Lorena, ricusando di proclamare immediatamente il regime repubblicano, oggimai inteso e gradito da tutti meglio assai di quello che nol sia il provvisorio536.»

Non si deve convocare l'Assemblea, perchè si corre pericolo di addormentare la Rivoluzione nella fredda legalità delle formule. Impegno del Popolo quando me pose al Governo dello Stato, fu la Unione d'Italia con Roma.

«Uomini che abbiamo voluto al Potere, in nome di Dio non esitate! Leopoldo di Lorena è in Toscana tuttavia. La Inghilterra fa bordeggiare le sue navi davanti ai nostri porti sguarniti. Il Piemonte nella professione di fede del ministro Gioberti dichiara non accomunarsi co' Repubblicani, agli unitarii, ai sognatori. Il Papa in Concistoro segreto domanda ec...... Uomini del Governo Provvisorio, non presentite l'uragano? Voi non osate ferire nel cuore la diplomazia europea, e ferite in cambio il cuore a voi stessi, e vi mettete a pericolo di addormentare una Rivoluzione nella fredda legalità delle formule ec. - Ora la Repubblica è una necessità cui la stessa Diplomazia non può intimarvi di disobbedire, poichè non potete davanti al Popolo rinnegare l'impegno che vi ha collocati al reggimento della cosa pubblica: la formazione di uno Stato solo con Roma. Voi sapete di doverlo a Firenze, a Toscana, a Roma, alla Italia. Ma voi dite di consultare l'Assemblea di cui ieri l'altro rettificaste la missione col chiamarla Costituente.

E se questa Assemblea, nata dal campo di quelle elezioni fra le quali la reazione combatte l'ultime prove, se questa Assemblea non intendesse la missione sua, e riuscisse Assemblea unicamente Toscana? E ciò potrebbe accadere.

Se prima d'essere raccolta, il cannone tedesco tuonasse l'allarme dalle gole degli Appennini, o le flotte interventrici occupassero i vostri porti? E ciò potrebbe accadere.

Se un giorno fossimo costretti a domandarvi conto di questa arrendevolezza ai protocolli stranieri, di questa momentanea, eppur dannosa esitanza, fra il vecchio ed il nuovo?

Oggimai abbiamo compiuto l'opera nostra, e vi abbiamo avvertiti. Governo Provvisorio di Toscana, bando alle esitazioni: abbiate coscienza della vostra forza, perchè il Popolo è con voi; siate geloso della vostra responsabilità, perchè la Italia vi giudica537

Più veemente il medesimo Giornale nel 17:

«Questa Unione che fino dal primo giorno della Rivoluzione fu il voto esplicito, insistente, imperioso del Popolo fiorentino; questa Unione, che fu ad un tempo la ragione suprema della creazione di un Governo Provvisorio toscano, e la condizione prima, assoluta, imprescindibile della sua esistenza, ha già acquistato le simpatie delle provincie sorelle; ed al grido di Unione proclamato a Firenze, rispondeva un'eco potente, irresistibile, da ogni parte della Toscana. Ieri erano i Circoli di Livorno che inviavano deputazione al Governo per invitarlo a proclamare l'Unione immediata con Roma. Oggi sono i Circoli di Arezzo, di Prato, di Pistola, di tante altre città che ripetono lo invito, la domanda, la istanza medesima, o con indirizzi o con commissioni speciali. E il Governo accomiata le Deputazioni, mette agli atti gl'Indirizzi, e risponde non essere ancora tempo di esaudirli, non potersi precipitare gli eventi, doversi attendere il responso dell'Assemblea del 15 marzo.

Ma il Popolo insiste nelle sue esigenze, forte nella coscienza dei proprii diritti, e confortato dalle istanze fraterne, con cui i Popoli di Roma e di Romagna gli stendono le braccia. Ogni giorno un nuovo fatto, una nuova dimostrazione viene in conferma della volontà costante, immutabile, del Popolo nostro, in riprova della sua maturità alle libere istituzioni repubblicane, le quali una soverchia diffidenza delle sue forze, o una soverchia diffidenza delle proprie, ricusa acconsentirgli se non a brevi e tenuissimi sorsi

Però che, come dagli sparsi Documenti si ricava, il grande spino al cuore era la paura che Toscana tutta con politica probità consultata non si dichiarasse per la Repubblica; ed anche qui se ne incontrano vestigii: «Che cosa fareste della vostra Assemblea ove si dichiarasse ostile, e giudicasse inopportuna e immatura la Repubblica? - Allora voi la rovescereste, - voi dite, - la rovescerebbe il Popolo conscio dei suoi diritti, e deciso a farli ad ogni costo rispettare. Or bene: fate conto, ch'ei l'abbia già rovesciata cotesta benedetta Assemblea, e non ne parliamo più, e figuriamocela seppellita. Che bisogno ci è, di grazia, di rappresentanti del Popolo, quando il Popolo è in piazza pronto a rappresentarsi da stesso538

Se io non erro mi sembra provato, che l'Assemblea fosse massimamente odiata dalla Setta repubblicana, sì perchè col differire temeva andassero disperse le esaltazioni degli spiriti, siccome appunto ad ogni specie di ebbrezza vediamo accadere, e sì perchè il voto universale sentiva certamente contrario ai suoi desiderii. Del pari fu visto come dal giorno otto febbraio con ogni maniera argomenti, urgentissimi sforzassero per avere Repubblica a furia di Popolo proclamata; come mi si fosse posto al fianco un uomo «capace di sviscerare fino l'ultimo dei pensieri del dittatore toscano539,» e quotidianamente in lotta meco per poterla spuntare; questo dicono i ricordi dei tempi, questo tutti i libri confermano; eterna rampogna è questa, che mi gettano in faccia i Repubblicani; che più? questo apertamente le carte stesse dell'Accusa palesano, e nondimeno l'Accusa ha la fronte di scrivere: «il mio sforzo essersi ridotto in qualche contingenza, perchè la Repubblica non venisse troppo presto attuata540Comecchè non vi abbia mestiero di ulteriore dimostrazione, pure per chiarire in qual modo anche dai Documenti stessi dell'Accusa resulti la prova della continua opposizione mia all'esigenze della Setta, giovi innanzi tutto rammentare il Proclama che iniziava il Governo Provvisorio, avvegnachè per quello sia fatto palese quali fossero la sua missione ricevuta, i suoi fini, e i mezzi per conseguirli541.

Fino da cotesto giorno otto annunziava rimesso alla decisione dell'Assemblea Toscana il giudizio delle sorti nostre542. Nell'11 informato il Governo della congiura ordita nel seno delle Conventicole di prorompere e imporre la Repubblica a forza, bandiva il Proclama del 12 febbraio543.

E nel 13, quando si volle piantare l'Albero della Libertà sotto i miei occhi, dichiarai espresso: «appartenere al libero voto di tutto il Popolo Toscano convocato in Assemblea il 15 del futuro mese di marzo decidere su la forma del Governo544.» Nel giorno stesso commettevo discretamente al Consigliere Paoli, che si astenesse da porgere e da accettare eccitamenti per la Repubblica545. - E qui ricordiamo di passaggio all'Accusa di considerare, se sia o no importante acquistare tempo nelle rivoluzioni. Quel Popolo, che nel 12 febbraio piantava l'Albero, nel 12 aprile lo spiantava: - e si compiaccia avvertire da capo eziandio, che in tutto, sempre pervenni a contenere la moltitudine, poichè, nonostante il mio aperto contrasto, degli Alberi qui e altrove ne fu alzata una selva; e se quante si contavano mani a trattare alberi si fossero potute avere a trattare armi nazionali, il nostro Paese sarebbe lieto, che ora è tristo. La Circolare mandata nel 16 febbraio ai Gonfalonieri del mio alacre provvedere porge splendida testimonianza546. Quando il Principe abbandonò il suolo toscano, e le milizie del Generale Laugier o sbandate vagavano o al Governo Provvisorio si sottoponevano, e il Partito reazionario aveva ricevuto tale battisoffiola per cui stava cheto come olio, pauroso dei danni estremi, è agevole immaginare la pressura dei Settarii! Non era tempo quello di dichiararsi? Forse temevo della battaglia di Novara, forse presagivo futuri infortunii, e fra questi dubbii ed auspizii esitavo? Eh! Dio mio, se il giorno delle nozze dovesse prognosticarsi quello delle esequie, invece di menare balli per gli sponsali, canterebbero l'uffizio dei morti. Il Niccolini, il quale, come raccontai altrove, mi si era messo ai fianchi per commuovermi sotto milizie e popoli onde mi costringessero a proclamare la Repubblica per via di tumulto, arringata la turba, sospinse una mano di Lucchesi a venirmi incontro incappucciata di certi strani berretti vermigli, e a gridare smaniosa: Repubblica! Repubblica! Come io loro favellassi domandatelo all'Accusa. Ella nei suoi Documenti ne riporta uno di mio, dove leggiamo impresse queste parole: «Il Governo ha assunto il carico di mantenere tranquillo il Paese finchè l'Assemblea Nazionale non decida delle sue sorti: questo intende fare con ogni suo sforzo supremo, e questo farà547.» E tale Proclama, o Bando ch'e' si voglia chiamare, era pubblicato nel 26 febbraio 1849, un mese innanzi la triste notizia della rotta novarese, come l'Accusa dichiara; e se la turba coteste mie dimostrazioni accogliesse docile, doveva l'Accusa investigare; e se non lo voleva investigare, nemmeno in oltraggio al vero e in onta alla santità del suo uffizio doveva affermarmi onnipotente conduttore delle moltitudini. In Firenze si raddoppiò la piantata degli Alberi, si suonarono campane, si spararono archibugi, si levò tale e tanto schiamazzo, che io per me credo, che se avessi allora avuto l'onore di tenermi accanto consigliera l'Accusa, mi avrebbe scongiurato dicendo: «Piegate ai tempi; prendete nappa rossa, e gridate RepubblicaPeccato, che io non avessi tolta l'Accusa per mia consigliera a quei tempi548.

Ed in quel giorno i Commissarii, che, me invano opponente, si condussero a Firenze, sapete che cosa venivano a leggermi in faccia con turbato sembiante? «Che quel mio contegno fu visto con maraviglia e dolore, perchè può giovare alla reazione, può porgere ai nemici interni ed esterni mille argomenti, con cui sedurre e fare traviare la parte meno colta del Popolo, specialmente delle campagne, sparlando della Repubblica, e facendola credere dal Governo ripudiata549

Ed io con efficaci parole e co' recenti fatti mi purgava prima della calunnia di traditore, che stupidamente quanto perfidamente uomini faziosi insinuavano contro di me; gli scongiuravo a proseguirmi della consueta benevolenza: - stessero sicuri, da me null'altro volersi, non altro procurarsi, che il bene della mia Patria; dovere di cittadino e fede di Magistrato impormi di consultare il Paese intero in cosa nella quale ne andava della salute di tutti i cittadini; - e poichè gli ebbi fatti capaci della rettitudine delle mie intenzioni, confortai i Colleghi a perdurare nella mia sentenza, sicchè quel giorno stesso fu pubblicato il Proclama, che si legge a pag. 504 di questa Apologia.

Nel 2 marzo 1849 abrogando io la Legge Stataria del 22 febbraio 1849, promulgata me assente, non trascurai rammentare - «l'accordo universale di riservare alle Assemblee la funzione del voto popolare intorno alle forme del nostro reggimento550

Le altre contese sostenute vengono riportate nelle pagine, che in breve succedono. - Troppo lungo epilogo dello esposto fin qui, tornerebbe certamente tedioso; basta spremerne il sugo in due proposizioni: 1a Il Parlamento Toscano non fu sciolto, ma il Governo ne constatò la morte temporaria, perchè allora non avrebbe potuto, voluto sedere; sarebbe stato cagione di perturbamento, e non di ordine. 2a L'Assemblea Costituente Toscana fu convocata al doppio scopo, d'impedire la decadenza del Principe, e il bando della Repubblica a furia di una parte minore del Popolo Toscano audace per la inerzia e per lo sbigottimento della maggioranza, non che pel miscuglio di uomini non toscani; - di raccogliere libero intorno alla forma del reggimento e alla persona del Principe il voto del Popolo tutto, il quale per le cose dimostrate, giusta le previsioni della umana prudenza, era sicuro che si sarebbe espresso pel Principato Costituzionale, e per la casa erede di Leopoldo I precursore di civili libertà.

 

 

 






p. -

522 E tutto questo non meritava la Camera dei Pari di Francia, che salvò la libertà della stampa, propugnatore Chateaubriand, quando la Camera dei Deputati la sagrificava.



523 E sì, che questo re aveva cuore inglese, e della gloria patria pareva piuttosto fanatico, che amante. Si narra, che nella famosa battaglia al capo della Hogue, vedendo dall'armata inglese rotta la francese e con essa disperse le sue speranze del ritorno, diceva raggiante di allegrezza ai gentiluomini francesi, che gli facevano corona: «Ah! bisogna che voi lo confessiate, non vi sono che i miei Inglesi al mondo capaci di bussarvi in questa guisa.» Non importa dire se i gentiluomini francesi prendessero diletto di coteste regie parole.



524 Siccome temo, che chi legge non mi abbia a dare fede, - tanto parmi, ed è enorme il caso, - m'induco, comecchè repugnante, a copiare le parole precise del Decreto:

Considerando, che molti sono i fatti allegati dal Guerrazzi nelle sue MEMORIE per far sentire il predominio assoluto e costante sopra di lui della Fazione Repubblicana; ma oltrechè questi fatti non sono di tale importanza da stabilire una violenza irresistibile e continuata, somministra il Processo altri fatti, dai quali emerge l'influenza personale del Guerrazzi sulle turbe tumultuanti; essendosi di sopra notato, che dichiarò all'Assemblea Costituente di non averne timore, ed essendo egli più volte riuscito, come racconta, a contenerle e comprimerle a vantaggio di privati cittadini. - (Decreto della Camera delle Accuse, § 53, pag. 92.)



525 Vedi parte della Lettera Gioberti a pag. 479 di questa Apologia, il rimanente, nell'Opera ivi citata.



526 Questo anche disse Napoleone Bonaparte, che fu quel grande e sviscerato Repubblicano che tutto il mondo conosce, nelle conferenze di Leoben, quando i ministri austriaci perfidiavano a riconoscere la Repubblica francese. - (Thiers, Histoire de la Révolution; Bruxelles, 1838, tomo II, pag. 380.)



527 Alba, 28 febbraio 1849. - A prova della continua pressura della Fazione Repubblicana si vogliano, in grazia esaminare questi frammenti:

«La volontà del Popolo è stata disconosciuta, contrariata, rinnegata. La disobbedienza del Governo chiedeva riparazione.... La decadenza del Principe, la Unione con Roma divengono oggi necessità, e con esse tutta quella serie di provvedimenti eccezionali o rivoluzionarii, dei quali abbiamo altre volte accennato, e non ci stancheremo mai di accennare. Laonde da oggi noi chiamiano altamente responsabile il Governo Provvisorio, prima di tutto di essere appunto tuttavia Governo Provvisorio toscano. E ritorniamo a domandargli, che cosa ne sia avvenuto del Decreto del Popolo del 8 febbraio; che cosa ne sia avvenuto della Unione con Roma, della Repubblica proclamata in Firenze, in Pisa, in Livorno, per tutta Toscana! Oggi gli muoviamo queste parole senza rancore, senza ire, senza minaccie! senza disperare delle intenzioni sue. E lo invitiamo a rileggere la nostra epigrafe che risolutamente e irrevocabilmente riprendiamo quest'oggi: Unione con Roma ec.» - (Alba, 25 febbraio 1849.)

«Unione con Roma: questo è il nostro grido, perchè lo crediamo, e lo sentiamo espressione di potenti bisogni, d'incalzanti necessità. Lo abbiamo innalzato dal primo in cui il Popolo provvide a ; lo abbiamo di giorno in giorno ripetuto, sperando che destasse un eco, che provocasse una risposta: lo ripetè con noi la voce gagliarda e solenne del Popolo, prima come un voto, poi come una domanda: il Governo tacque al voto, alla domanda rispose barcheggiando. Non è più il tempo delle parole a doppio senso, delle mezze misure: abbiam francamente chiesto, francamente si risponda

«Molti serii motivi devono ora troncare gl'indugii, rompere i nodi. Quando noi abbiam per la prima volta inalberata la nostra bandiera politica, quando abbiam per la prima volta scritta sul nostro Giornale la epigrafe, che ne riassumeva le speranze e la fede, Leopoldo Austriaco non aveva ancora sciolto ogni vincolo, rotto ogni velo, smessa ogni maschera; non aveva ancora posata sulla sua spada tedesca la mano, che stendeva in atto bugiardo di pace, di unione; la minaccia non suonava ancora sulle sue labbra, che mormoravano l'antica commedia del Padre tenero e mite. Ora tutto ciò avvenne: egli ha spinti Toscani contro Toscani, ha tentato di gittare l'illuso Popolo delle campagne ad invadere, a distruggere le nostre città; ha implorate le baionette piemontesi per conculcare il Popolo suo, avendosi apparecchiata a' reali ritorni una via di delitti e di sangue: ma poichè i Toscani di contro a' Toscani rovesciarono i fucili, ed apersero, compatendo, le braccia; poichè le nostre città fermamente si opposero a' rei, disingannarono gl'illusi, convinsero i creduli; poichè all'intervento piemontese mancò il tempo e la sanzione del Popolo, e nella via dove sperava ire e discordie, trovò amore ed unione; il Principe Austriaco è fuggito, scornato e tremante, senza che un verace compianto lo accompagnasse, o che un nobile sdegno si curasse di maledirlo. Così anche gli ultimi nodi tra Principe e Popolo furono spezzati e per sempre. Perchè adunque se il fatto esiste, non proclamarlo? Che intende il Governo colla stretta e rigida provvisorietà, che vuol rispettata e salva ad ogni costo? Perchè dare a' nemici nostri il lontano sospetto di una transazione, che nessuno vuole, impossibile, non che a compiersi, ad idearsi soltanto?................ .... «Inoltre il Popolo nostro, a vita politica nuovo, di politici intendimenti inesperto, vuole un Governo che gli assicuri l'ordine e la vita. Incapace a comprendere certi dilicati fili, che stringono all'avvenire il presente, domanda una forma chiara e precisa, che gli spieghi apertamente i suoi diritti, i suoi doveri, i suoi interni rapporti. Attaccato francamente al Principe, che per lui non era null'altro che un Governo, quando si vide dal Principe abbandonato, ingannato, tradito, si gittò francamente alla forma contraria, alla idea repubblicana, che per lui era simbolo di un Governo, e gridò: Viva la Repubblica, nelle sue feste, nelle sue gioie, nelle sue canzoni. Scrisse: uniti con Roma, sulla porta delle sue case, su' muri delle sue città; uniti con Roma fu la parola de' suoi Circoli, fu il grido delle sue adunanze: e piantò l'Albero della Libertà, che per lui rappresentava queste due idee di Repubblica e di Unione, in tutte le sue Piazze, nel sagrato dalle sue Chiese.

Ma se un giorno, a mente più calma, questo Popolo si domanderà: Che cosa siam noi? Che cosa è la Toscana? Granducato no, perchè Leopoldo Austriaco vi ha perduto ogni diritto; Repubblica no, perchè il nostro Governo s'intitola ancora Governo Provvisorio... dunque aspettiamo; - allora s'incrocierà le braccia, e attenderà, per agire e per combattere, di sapere in nome di chi agisce e combatte.

« ciò basta. Quando l'8 febbraio abbiam detto: Unione con Roma, - era forse il proclamarla un giusto e santo ardimento: ora il non farlo, sarebbe imprevidenza od audacia. E infatti allora s'ignorava quale sarebbe il contegno dal Governo Piemontese verso la Romana Repubblica; forse anche il gelido silenzio aveva fatto travedere il pensiero triste ed egoista dell'abate Gioberti: ora la vergognosa caduta di questo ci ha fatti sicuri quale sia la volontà ferma e coraggiosa della Giovane Camera, e quale sarà quindi la volontà o imposta o libera del Gabinetto. Il Ministero di Torino riconoscerà immediatamente la Repubblica Romana; non potrà riconoscere il Governo di Toscana, perchè non ha forma stabilita, e non si approva ciò che s'ignora, ciò che non è se non provvisorio.

«Ma se Toscana con Roma formerà immediatamente la Repubblica d'Italia Centrale, il Piemonte stenderà a questa Repubblica la mano e le braccia: i due Stati stringeranno patti di solidarietà e di amicizia; e così due terzi quasi d'Italia saranno uniti a combattere lo straniero, e a vincere la guerra di Nazione e di Libertà.» - (Alba, 28 febbraio 1849.)

«Domani sarebbe tardi, imperciocchè domani la Nazione sorgerà a chiedervi strettissimo conto dell'operato.» - (Alba, 14 marzo 1849.)

«Con estremo dolore abbiamo inteso che non si sia venuto alla proclamazione definitiva della Unione repubblicana, come il Governo Provvisorio avea solennemente promesso. - Ieri tenevamo questa promessa omai come un fatto, e fu cagione in noi di vivissima gioia; oggi abbiamo l'amarezza di essere stati delusi da uomini che sin qui meritarono l'intiera nostra fiducia.

«Uomini del Governo Provvisorio! ponderate quali danni possono derivare dalla vostra lentezza alla causa cui veniste assunti a sostenere. La reazione si avvantaggia della vostra perplessità, pigliando da essa tempo d'impaurire i buoni; è tempo di organizzarsi e stendersi tra i tristi e li ignavi. Perdio! troncate li indugii; ogni ora, ogni giorno che passa aggiunge forze e proseliti al Partito della reazione. Noi, che abitiamo le più remote provincie della Toscana, sappiamo di buon grado che cosa si possa temere o sperare da queste popolazioni, fornite bensì di buon senso, ma facili ad essere pervertite. Noi conosciamo la difficoltà e i pericoli delle future elezioni, i quali voi non potete prevenire in altro modo, che col proclamare prontamente la invocata fusione con Roma. Nulla dovete temere per parte delle provincie dalle risoluzioni forti e istantanee, molto bensì dovete paventare dalla irresolutezza e dagl'indugii.

«Uomini del Governo Provvisorio! ricordate che le rivoluzioni non si compiono colla pacatezza di un'ordinaria prudenza. In condizioni violenti abbisognano misure audaci e pronte, che sgomentino i tristi, e infiammino l'ardire dei buoni. Ma voi adoperate tutto al rovescio, e quasi ci sembrerebbe che vi prendeste gioco dell'entusiasmo del Popolo.

«Uomini del Governo Provvisorio, rammentatevi quale responsabilità posa su voi; qual conto dovete rendere a Dio ed alla Nazione, se foste per esser causa d'una guerra civile, e se danneggerete menomamente la causa della Libertà.

«Santa Sofia, 28 febbraio 1849

 

(Popolano, 250, - 5 marzo 1849.)

 

Allora succedevansi Petizionarii e Commissarii dalle Provincie; e mandavano accesissimi indirizzi i Circoli, e i Municipii di Pisa - Arezzo - Pistoia - Siena - Modigliana - Montevarchi - Santa Sofia - Lastra a Signa - Poggibonsi - S. Giovanni - Cascina - Campiglia - Fucecchio - Montesansavino - Dovadola - Sarteano - Marradi - Cortona - S. Gimignano - Livorno - Piombino - Castellina - Montescudaio - S. Sepolcro - Guardistallo - Pitigliano - Subbiano - Capalona - Reggello - Montecalvoli - Santa Fiora - Castel S. Niccolò - Casciavola - Porto Ercole - Aulla - Bibbiena - Asciano - Castagneto - Vico-pisano - Lungone - Tredozio - Monterotondo - Arcidosso - Pietrasanta - Figline - Lari - Pian di Scò - Portoferraio - Montemarano - La Cecina - Poppi - Sorano - Galluzzo - Massa marittima - Prato vecchio - Castelfranco - Orciano - Quincarico - Rocca S. Casciano - Montieri - Asinalunga - Buonconvento - Volterra - Calcinaia - Castelnuovo - Civitella - Montelupo - Val d'Elsa - Castelfiorentino - Firenzuola - Lucignano - Terranuova - Capalbio - Casciana - Pontremoli - Porto S. Stefano, ed altri parecchi, depositati negli Archivii Governativi.



528 Thiers, Histoire de la Révolution; cap. IV, (Convention).



529 Della Repubblica Romana, pag. 66.



530 Opera citata.



531 Monitore, 10 gennaio 1849. - Discorso della Corona, in fine.



532 Anche di questo fatto negli Archivii Governativi hanno da essere depositate prove. Però anche alla Costituente Italiana furono avversi i Sacerdoti tutti e i Vescovi. Vi fu chi sostenne non incorrersi affatto nella scomunica, sia votando per la italiana quanto votando per la toscana:

«Empoli, 8 marzo. - In questa mattina è stata affissa sulla porta della Chiesa Collegiata di questa Terra la seguente Dichiarazione:

«Empolesi!

«Le Elezioni dei Deputati alla Costituente Toscana e Italiana sono imminenti.

«Accorrete a dare il voto, e non ascoltate chi vi susurra all'orecchio che incorrete la Scomunica. Io posso e debbo dichiararvi, che secondo i principj della Morale Cattolica e della ragione non vi è scomunica, peccato di sorta, per gli Elettori alla suddetta Costituente.

«Empoli, 8 marzo 1849.

 

«Vostro Affezionatissimo

 

«P. Pasquale Martelli Proposto

 

«Molto Reverendo Signore.

 

«Richiesto da varii Parrochi di questa Diocesi, se potessero dar risposta ai proprj lor Parrocchiani sull'interrogazione fatta ad essi, cioè, se nelle attuali circostanze, in cui si trova la nostra Toscana, la pena della Scomunica s'incorra per l'elezione da farsi nel prossimo Lunedì, 12 del corrente mese, dei Deputati alla Costituente Italiana, io ho manifestato apertamente ad essi la mia, qualunque siasi, opinione, dicendo loro che, per l'esame già fattone, io era d'avviso che effettivamente non s'incorresse. Ne prevengo di questo mio parere VS. Molto Reverenda per sua regola, acciocchè, qualora Ella pure sia ricercato dai suoi Popolani sullo stesso proposito, possa dar loro una replica, che lasci pienamente tranquilla la loro coscienza.

«E dandole la Pastoral benedizione mi confermo con sincerità di cuore,

«Di VS. Molto Reverenda,

«Pisa, li 8 marzo 1849.

 

«Affez. come Fratello

 

«Giovan Batista Arc. di Pisa

 

(Conciliatore, 11 marzo; Monitore, 9 marzo 1849.)



533 Esodo, C. 14, c. 22.



534 Popolano del 14 febbraio 1849.



535 Popolano del 14 febbraio 1849.



536 Popolano del 15 febbraio 1849.



537 Alba, 15 febbraio 1849.



538 Frusta Repubblicana, 18 febbraio 1849.



539 Rusconi, Opera citata.



540 Requisitoria, pag. 132, § 85.



541 Vedilo a pag. 287 di questa Apologia.



542 Documenti, pag. 412, citato altrove.



543 Vedilo a pag. 383 di questa Apologia.



544 Documenti, pag. 828.



545 Documenti, pag. 286.



546 Vedila a pag. 431 di questa Apologia.



547 Documenti, pag. 849. - Questo Documento è riportato per intiero a pag. 474 di questa Apologia.



548 «Durante la giornata vennero elevati per tutte le piazze di Firenze i sacri Alberi della Libertà incoronati di fiori, sormontati dalle bandiere tricolori, e dallo antico berretto con cui si saluta ogni aurora di redenzione. - La solenne funzione fu inaugurata dappertutto con allegro scampanío dai campanili di Firenze, con gli spari dei moschetti, col rullo dei tamburi della Guardia Nazionale, col suono di musici strumenti, con lo scoppio di lietissimi evviva.» - (Corriere Livornese, 27 febbraio 1849.)



549 Corriere Livornese, 27 febbraio 1849.



550 Monitore del 2 marzo 1849.





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