XXXI.
Di una Sentenza della Corte
Speciale di Parma del 1831.
Come pei tragedi antichi
si costuma mettere in fondo delle loro tragedie il Coro, il quale veniva a
raccontare agli uditori la catastrofe di tutta la favola; così l'Accusa, sul
finire del suo Volume, stampa la Sentenza del Tribunale di Appello di Genova,
del 24 luglio 1849. Dove poi io m'ingannassi, e non l'avesse posta per disporre
gli animi alla già immaginata catastrofe, in osservanza al precetto della Poetica
di Orazio: Segnius irritant animos demissa per aures, - potrebbe
dubitarsi che l'Accusa lo avesse fatto per dimostrare come in Piemonte si
astenessero dallo iniziare Giudizio, se prima non si erano bene accertati, che
tutti i prevenuti si fossero posti in salvo; mentre, all'opposto, in Toscana si
sono bene accertati prima di tenerli sottomano, quantunque, se qui fra noi religione
di patto e santità di fede valessero, quanto (e non domando troppo) una volta
valevano per le spiaggie di Algeri o di Salè, me e lo egregio uomo Lionardo
Romanelli non dovessero tenere. La sentenza finale e capitale di Genova non ha
fatto piangere nessuno; mentre per la Procedura fiorentina già furono le
famiglie disperse, le intelligenze spente, ed altre che non vo' dire
lacrimevoli sventure patite. Quando il condannato a morte può andare a cena e a
dormire col Giudice che lo condannò, le sentenze danno materia di piacevolezze
convivali751; ma occhi non bastano
per piangere le blandizie di queste carceri umanitarie. Ormai, se male
non mi appongo, dubito forte non abbia a correre il detto: «meglio condanna
capitale del Tribunale di Genova, che assoluzione in Toscana;» però messo
questo da parte, riporterò ancora io una Sentenza per Coro della mia Apologia,
intorno alla quale importa innanzi tratto avvertire com'essa fosse pronunziata
da Tribunale Speciale, e negli ardori di Rivoluzione pure ora
repressa; come tre mesi soli, e forse nè anche tanti, gl'imputati avessero a
travagliarsi nel carcere, nè uscendo da mangiare pane di dolore si trovarono
ormai per tutta la restante vita imbandito pane di disperazione. Certo, io
sento rispondermi dall'Accusa: «ora ad affrettarti tocca a te; io per me sono
lesta.» Oh! lo credo, che tu sia lesta, e da tempo non piccolo; e forse ogni
ora che passa ti par mille anni di concludere: ma io ti ricordo le parole di
Ugo Foscolo al Direttore della Polizia del Cantone di Zurigo, e ti ammonisco
che se alla Difesa fossero stati consentiti gli Archivii, come furono sbirciati
da te, e se tu non avessi potuto ricusare lo esame del Processo al mio
Difensore fino oltre maggio passato, e così due e più anni dopo il mio
arresto, potremmo avere veramente concluso. - Intanto, se ti piace, leggi, o
Accusa, la Sentenza di una CORTE SPECIALE.
«Parma, 7 luglio 1831. -
La Commissione dichiara
essere risultato dal dibattimento:
Che una grave sedizione
scoppiò in Parma nei giorni 13, 14 febbraio prossimo passato, nella quale gran
parte del Popolo prese le armi, inalberato lo stendardo della Libertà ad
esempio degl'insorti di Reggio, Modena e Bologna, e disarmò una porzione
del reggimento di S. M., ed obbligò la M. S., che non volle consentire
le domande dei rivoltosi, ad abbandonare la sua residenza nella notte del 14 al
15 febbraio suddetto, trasferendosi a Casalmaggiore, donde per la via di
Cremona si recò nella sua città di Piacenza, ove pervenne il 18 dello
stesso mese;
Che nel detto giorno 15
febbraio il Potestà di Parma riunì il Consiglio Comunitativo, il quale
ampliato per l'aggiunta di 30 Cittadini, e su la considerazione che gli
Stati erano rimasti senza Governo per lo allontanamento di S. M., seguíta
dal primo Magistrato dello Stato S. E. il Presidente dello Interno, senza
che gli constasse a malgrado delle fatte indagini, avere essa lasciato chi la
rappresentasse, nominò un Governo Provvisorio voluto dalla necessità, onde
evitare i mali dell'anarchia, da tenere luogo di quello che si era
allontanato, composto dei signori Conte Filippo Linati, Antonio Casa, Conte
Gregorio Ferdinando da Castagnolo, Conte Iacopo Sanvitale, Cavaliere Francesco
Malegari;
Che cotesto Governo
Provvisorio, al quale vennero aggiunti altri due membri, nelle persone dei
signori Macedonio Melloni ed Ermenegildo Ortalli, con deliberazione di quel
Consiglio Civico, emanò molti atti i quali sono certamente contrarii al
governo di S. M., e che secondavano la Rivoluzione avvenuta in Parma nei giorni
indicati 13, 14 febbraio, a diversi dei quali atti sono concorsi ed hanno
apposta la loro firma gli accusati, Conte Filippo Linati e Cavaliere Malegari,
escluso però il proclama agli abitanti della città e provincia di Parma e
Guastalla dell'8 marzo;
Considerando ch'è pure
eminentemente resultato dal dibattimento dall'una parte, che tale era la effervescenza,
e sì violento il moto rivoluzionario in Parma, che non era più in potere di
alcuno resistervi, che esso non poteva essere vinto o compresso se non se
da una imponente forza straniera, e che sarebbe stato per avventura
pericoloso (senza d'altronde alcun vantaggio alla buona causa) il ritirarsi dal
Governo Provvisorio, siccome si potrebbe inferire da ciò che accadde il 10
marzo, imperciocchè su la voce che si sparse di una vicina invasione austriaca
essendosi quel Governo dimesso, alcuni membri vennero arrestati e tenuti
prigioni; e dall'altra, che essi signori Conte Linati e Conte Malegari
accettarono con repugnanza l'affidato incarico di membri del Governo
Provvisorio, e a condizione, che le cose rimanessero nello stato in cui si
trovavano, e che appena seppero la nomina del signor Melloni su mentovato
vollero dimettersi, se non che furono istantemente pregati dai buoni e
fedeli sudditi di S. M. a restare in carica, onde gl'interessi del Pubblico,
che sono poi quelli dell'ottima nostra Sovrana, non pericolassero;
Che eglino oltre di
essere persone di riconosciuta probità ed onoratezza hanno manifestato,
anche durante la Rivoluzione, sentimenti di attaccamento e di devozione a S.
M.; che in particolare il Conte Linati si prese ogni cura per la
conservazione delle cose proprie della prefata M. S. lasciate in Parma;
Che disapprovarono gli
ostaggi fatti dal Popolo in seguito dello avvenimento di Firenzuola, e
s'interessarono per la loro liberazione;
Che con la loro fermezza
poterono qualche volta frenare la foga di qualche loro collega, e che si
opposero costantemente a troppo ardite domande allo estremo offensive alla
Maestà del Trono, sicchè essi erano venuti in odio agli esaltati, e fu più
volte cancellato il nome loro negli affissi al Pubblico, ed in particolare il
Cavaliere Malegari era stato trattato di spia e di traditore;
Che lo stesso Cavaliere
Malegari fu inteso disapprovare altamente la Prolusione del Professore Melloni
suddetto, e dire, che il Governo di S. M. era stato indulgente verso di lui;
che durante la Rivoluzione consigliò il sacerdote Bichieri ad aspettare il
ritorno di S. M. per pagare un suo debito verso il Tesoro, e che non volle
fosse ammesso al giuramento il notaro Begani per correre pericolo che fosse
cambiata la formula del giuramento, e che fece alcun tentativo per ricondurre
Parma alla sommissione di S. M.;
Dal che tutto, si deve
considerare, che la reità degli accusati Conte Linati e Cavaliere Malegari, per
essere concorsi o avere apposta la loro firma in qualità di membri del Governo
Provvisorio a diversi atti su menzionati, non fu che apparente, e che essi
assunsero e tennero il carico di membri di quel Governo senza dolo nè ree
intenzioni, ma cedendo alla forza irresistibile delle circostanze, e col
proposito di far sì, che la condizione delle cose fosse la meno triste per la
loro parte;
In conseguenza di che,
la Commissione proscioglie il Conte Filippo Linati, e Cavaliere Francesco
Malegari, e ordina che i medesimi sieno posti in libertà ove non sieno ritenuti
per altre cause.
Sottoscritti: Rossi. - Bertolini. -
Cortesi.
Parolini.
- Della Valle. - Vincenzi.»
Così giudicano gli
uomini virtuosi, i quali, prima di entrare nel Tribunale a scrivere sentenze,
non si fermano sopra la soglia per vedere da che parte corrano i nugoli, onde
regolarsi nei Motivi, Attesochè, o Considerando che si vogliano
chiamare; ed in Toscana ancora, un Senatore, il quale dovrebbe giudicarmi (e tu
considera, Lettore, quanto i conforti del Regio Procuratore Generale presso la
Corte di Cassazione, per farmi stare contento a Tribunale che non sia quello
del Senato, possano persuadermi), antico di esperienza e di dottrina, dettando
uno scritto intorno alla vita del Prof. Pietro Obici, allorchè viene a
favellare dei moti modanesi del 1831, di cui l'Obici fece parte, così
gravemente si esprime: «Invitato l'Obici a far parte dello Stato Maggiore,
agevolmente ne vide il pericolo; ma non credè possibile o conveniente almeno il
rifiuto. - E qui ricorrono le dottrine sostenute con tanto zelo e tanta
eloquenza da Lally Tolendal nella sua Difesa degli Emigrati Francesi.
Negli avvolgimenti politici dee distinguersi la situazione dell'individuo, e
considerare le cagioni, o per dir meglio le strettezze che lo spingono a
volgersi all'una o all'altra parte. Il più delle volte la scelta non dipende
dal volere, ma dalla necessità752.»
Però facendomi a
ponderare sopra la Sentenza della Corte Speciale di Parma, e confrontandola
alle proposizioni della Accusa toscana, meritano avvertimento grandissimo i
fatti sopra i quali venne profferita. Maria Luisa, armata mano, era costretta colla
fuga a salvarsi. Maria Luisa, come quella che reggeva assoluta quando rimase
sola, o in compagnia di Ministri, in una parte qualunque dei suoi Stati, non
può dirsi averne derelitto il Governo, e nondimeno la necessità del Governo
Provvisorio fu ritenuta. La Duchessa cacciata con violenza alla fuga, non ebbe
abilità di lasciare un Governo; tuttavolta la necessità del Governo Provvisorio
non era contrastata. A Parma bastò per la elezione legale del Governo
Provvisorio il solo consenso del Municipio. Atti si commisero contrarii
veramente alla Duchessa, e secondanti la Rivoluzione in nome del Collegio del
Governo Provvisorio; nonostante questo i Giudici parmensi si astennero dalla
bestemmia ereticale d'immaginare un delitto continuo e complesso,
che mette dentro una caldaja a bollire insieme Romani e Cartaginesi, Giudei e
Sammaritani, Angioli e Demonii, e fatto un impasto infernale pretendere che uno
debba rispondere delle azioni dell'altro. La pressura generale che nasce dal
tempo e dalle tendenze degli uomini si apprezza, e si ritiene sufficiente così
a muovere come a giustificare il contegno di uomini politici. Il timore
probabile di danno futuro si dichiara motivo bastevole a costringere, e la
preghiera degli onesti per assumere o durare nel maestrale. La probità
dell'uomo, le condizioni della vita, lo attaccamento dimostrato anche da fugaci
detti o da lievi fatti, si valutano per iscusare. Lo studio che gl'interessi
del Pubblico non sinistrassero, i quali (ottimamente si nota) sono, a fine di
conto, quelli del Sovrano, si considera causa onorevole a non disertare gli
ufficii supremi nel giorno del pericolo. Si pregia la cura di conservare le
cose appartenenti alla Duchessa; la volontà di dimettersi anche dopo la
invasione straniera valutasi; la tutela e la difesa dei cittadini valutasi; la
industria spesa a frenare qualche volta la foga di qualche
collega valutasi; tutto quanto insomma dai Giudici toscani del 1850 e 1851 si
disprezza, e si tiene a vile appo i Giudici parmensi nel 1831, si accoglie e si
stima per rimandare assoluto il Conte Linati. Pel Cavaliere Malegari si
contentarono ancora di meno, e gli ottennero assoluzione l'essersi opposto a
domande troppo ardite, essere venuto in sospetto dei Rivoluzionarii, la
disapprovata Prolusione del Professore Melloni, il conforto a non pagare un
debito, la dissuasione a non prestare un giuramento. - Tanto alla coscienza dei
Giudici parmensi del 1831 bastò per assolvere e rispettare: troppo maggiori
cose, riscontri bene altramente gravi e copiosi ai Giudici toscani del 1850 e
1851 hanno somministrato argomento per accusare e insultare!
Sono venuto al termine
di questa opera condotta fra mortale tedio del carcere, difficoltà di ogni
aiuto, deficienza di cose maggiormente necessarie, travagli infiniti e amaritudini
ineffabili; e nondimeno me ne separo con tristezza: perchè il fastidio, che a
poco a poco intirizzisce l'anima, fa che si ponga amore agli oggetti più
miseri; ma ormai vada a trovare sua ventura fra magnanimi pochi a chi 'l ben
piace. Però io non posso concludere, nè debbo, senza richiamare
l'attenzione del mondo civile sopra due punti principali. Incominciando io
dalla parte con la quale termino, avrei dovuto dire: - 1° sorta la necessità
del Governo Provvisorio, gli atti che operai per la salute pubblica, a giudizio
dei Savii universale, vanno immuni dal titolo di lesa maestà; ed è
soltanto in offesa manifesta delle dottrine comunemente accettate, che i
Giudici hanno loro attribuito un carattere, che non hanno e non possono avere:
2° per patto espresso non si poteva attentare alla mia libertà, perocchè la mia
prigionia desuma la sua origine dal tradimento; e se i Partiti scapigliati sono
capaci di queste e di bene altre ignominie, un Governo regolare non può per
religione, per fede e per dignità, giovarsene; ma sì all'opposto conviene che
quanto in suo nome fu promesso, procuri che lealmente e dirittamente si
mantenga.
Io ho voluto riserbare
queste ragioni per ultimo, non parendo dicevole alla integrità mia opporre
eccezioni perentorie; adesso poi che di punto in punto, se pure io non
m'inganno, sono venuto giustificandomi, non mi pare vergogna valermene, e me ne
valgo. Mantenete il patto. La Italia ricorda un'altra capitolazione tradita, e
ancora Inghilterra la rammenta; imperciocchè, se mai favellando di Nelson
ammiraglio tu pronunzii il nome di Trafalgar, non vi sia Inglese di cui gli
occhi non balenino di nobile orgoglio; ma dove ti venisse fatto susurrare
quello di Napoli, non troverai Inglese che non abbassi al suolo sbigottito la
faccia753.
E in questa parte io
volli riserbare eziandio a far conoscere, quale sia stato il palpito ultimo
della mia vita al Potere, che io tenni, e me ne onoro, da cittadino e da
cristiano. Nel giorno 12 aprile alle ore 8 e m. 57 antim., per via telegrafica,
mandava:
«Al
Governatore di Livorno.
Nei dolorosi casi
avvenuti ieri in Firenze, non si ha a vedere altro che la insidia dei nostri
eterni nemici. Livornesi e Fiorentini, entrambi traditi, hanno apprestato
spettacolo gradito a costoro. I Livornesi sieno generosi, con l'esempio
dimostrino che non furono rettamente giudicati, e si apparecchino a difendere
la Patria che essi amano tanto. Pubblica se credi.
F.
D. Guerrazzi.»
E Manganaro, amico degno
della Patria e di me, rispondeva:
«Al
Potere Esecutivo.
La Città è tranquilla nè
si pensa da alcuno, per ora, di recarsi a Firenze; anzi si sta redigendo un
Indirizzo di pace ai Fiorentini che sarà firmato da molti.»
Così, mentre altri
squassava con vigore estremo di braccia l'Albero della Discordia, e ne faceva
cadere su la terra i frutti dell'odio, io, improvvido di tradimento, attendevo
a insinuare nelle anime inacerbite sensi di magnanimità e di perdono, ed anche
vi riuscivo: - e come il perdono fu il palpito ultimo della mia vita al Potere,
così prego Dio onde mi mandi virtù che mi basti a fare sì, che la parola la
quale ultima verrà profferita dalle mie labbra mortali sia: perdono a quelli
che mi hanno tanto atrocemente lacerato!
fine
dell'apologia.
|