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Francesco Domenico Guerrazzi
Apologia della vita politica

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  • APPENDICE.
    • M   Ivi. - Pag. 762.
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M

 

Ivi. - Pag. 762.

 

 

«Colà stemmo raccolti sei: rappresentai la indecenza che le donne non potessero avere stanza appartata. Credei che a gentiluomini e a padri di famiglia dovesse comparire sacra la ragione del pudore: non risposero. Rappresentai il modo disonesto del prendermi, che mi pareva nato a un parto con quello tenuto dal Valentino a Sinigaglia per ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo e compagni: non risposero.»

 

Ecco la lettera: la quale merita tanto maggiore considerazione, in quanto che dettata sotto la impressione di memorie recenti, piena di contestazioni di fatti del giorno, e consentanea alle prove, che quantunque raccolte dall'Accusa pur ella ha reputato suo interesse dissimulare.

 

«Signori GINO CAPPONI ed altri componenti la COMMISSIONE GOVERNATIVA.

Desidero sia letta questa scrittura con la pazienza con la quale io la detto. - Forse tornerà inutile, eppure non mi sembra bene ometterla, sentendo come per molti capi importi farla alla mia religione.

Innanzi tratto, sapete voi, o Signori, in qual modo io venni condotto quaggiù? Rispondendo per voi dico: No, imperocchè mi parrebbe enorme supporre, che voi lo aveste saputo, e consentito. A voi poco preme sapere come infiniti modi per sottrarmi alla disonesta prigionia mi sovvenissero e fossero offerti, i quali tutti, o non adoperai, o ricusai; quello però che dovrebbe premervi è questo: - che la mattina del 12 aprile la Deputazione del Municipio Fiorentino, la quale venne all'Assemblea, consultatomi intorno alla deliberazione presa di governare il Paese a nome del Principe, proposi farvi aderire l'Assemblea onde le Provincie più volonterose concorressero, ed ogni mal germe di discordia fosse tolto via; parendomi ancora pel Principe più onorato, e meno nocivo alla libertà, richiamarlo in virtù del consenso universale, che per forza di tumulto. A istanza altrui formulai un Decreto che suppongo voi abbiate nelle mani; voi sentiste diversamente da me; tuttavolta cotesta carta deve porgervi testimonianza della mia volontà, disposta a contribuire alla pace del Paese con tutte le mie forze.

Raccomandandomi il Priore Digny la Patria con fervidissime parole, e confortatomi ad adoprarmi dal canto mio onde la sua miseria non si facesse maggiore, io, rispondendo con pienezza di cuore a lui e agli altri membri della Deputazione Municipale, proposi recarmi a Livorno con qualche rappresentanza officiale avesse voluto la Commissione conferirmi per disporre gli animi a starsi all'operato contenti. Accolsero con segni manifesti di gradimento questa proposta, e il Priore Digny m'invitava a non partirmi: sarebbe tornato la sera a concertare la cosa. - Intanto i Deputati si ridussero di quieto ai proprii alberghi, ed io rimasi contro il consiglio di tutti, e ricusata la carrozza offertami dal Colonnello Tommi, stretto dal dovere e dalla parola data alla Deputazione Municipale.

Il Generale Zannetti e il Colonnello Nespoli vennero verso le ore 3 pom., il primo per assicurarmi che nella serata, con treno particolare, sarei inviato a Livorno; il secondo a offrirmi di mandare qualche compagnia di Nazionale alla Stazione per tutelarmi, ad ogni evento, nel caso avessi voluto partire alle 4. - E poichè il Nespoli accomiatandosi da me mi baciava, come si costuma, in volto, il Zannetti favellò queste precise parole: io non ti bacio adesso, ti bacierò stasera. Tornarono in serata Digny e Zannetti. Il primo tacque delle facoltà che doveva conferirmi la Commissione, donde io inferiva che non me le volesse assentire, ma confermarono entrambi sarebbe il mio viaggio avvenuto nella notte per Livorno. Stessi pronto a partire. Verso le ore 3 del mattino ricevo il biglietto che unisco, pel quale Zannetti mi annunzia alcuni non volere lasciar libero il passo, opinare la Commissione trasferirmi pel Corridore dei Pitti in Belvedere, donde remossi i Carabinieri, avrebbe messo la Nazionale. Questa lettera, che accenna mutamento di esecuzione a concerto che resta fermo, in sostanza mi turbò alcun poco, non tanto però che mi facesse dubitare di uomini probi ed amici. Zannetti venne tardi la mattina, e dichiarò la prudenza consigliare che per 2 o 3 giorni rimanessi in Fortezza, tanto che la plebe si sdracasse. Allora le donne, e il Commesso della Segreteria dello Interno Roberto Ulacco, vollero tenermi compagnia. A confermarmi nella mia fede valse il fatto seguente: che manifestando io esser privo di danaro per pagare il viaggio, e certi miei debiti, il Priore Martelli mi portò L. 1000, e me le consegnò giusto in quel punto che da Palazzo Vecchio muovevamo a Palazzo Pitti. Durante il cammino, Zannetti mi avvisò la Commissione non pareva inclinata mandarmi a Livorno, e mi interrogava se fossi stato contento a starmi qualche tempo lontano dal paese. Risposi: avere l'animo travagliato così dalle sciagure della Patria, che lo avrei reputato beneficio; egli però conoscere le mie fortune; provvedesse come gli pareva meglio. Ed egli a me: lasciassi fare, avrebbe accomodate le cose in serata, e il giorno appresso sarebbe venuto a darmene ragguaglio. Non l'ho veduto più. - Mi coglie il ribrezzo pensando da cui mosse la insidia; ma insidia vi fu, e bruttissima, a modo delle Valentinesche. Ora vorrete voi Gentiluomini giovarvi di trame proditorie, e di fede tradita?

Sapete voi come io stia ristretto in carcere con altre cinque persone? Io rispondo per voi, e dico risolutamente: No. Dentro una stanza alberghiamo quattro, due uomini e due donne, fra queste la nepote sedicenne, cavata per pochi giorni di convento per visitare lo Zio. Voi siete padri, o Signori. - Io non aggiungo parola; - solo desidero vi preservi il Cielo dalla umiliazione di vedere così poco curato il pudore delle vostre figliuole!...

Da nove giorni qui altro non si fa che scalpellare, turare, mettere ferrate, cassettoni, graticole e bodole, tirare tende, inchiodare catenacci, invitiare bandelle, murare e smurare; e tutto questo con tale una perturbazione del corpo e tortura dell'animo, da non potersi con parole significare. La mancanza di aria, di moto, la vista della gente che mi soffre attorno, la cura che mi lima dentro, hanno inasprito le mie infermità, e temo peggio.

Cagione di tanto esquisita sevizia si allegano certi segnali fatti dalle finestre. Se alcuno di voi vedesse di quale generazione sieno queste ferrate e questi cassettoni, e se sapesse che da martedì in poi stanno al posto, di leggieri vi persuadereste della falsità del rapporto. Nelle cariche che ho occupato mi son guardato sopra tutto dalle relazioni degli amici zelanti; ho preferito piuttosto le censure acerbe dei nemici, perchè le prime mi avrebbero quasi sempre sospinto a errare, le seconde qualche volta mi schiarirono. Certa fiata mi annunziarono il Barone Ricasoli far grande raccolta di armi e di cannoni, a Broglio, e mi accusavano di colpevole oscitanza perchè non commettessi perquisizioni ed altri simili fastidii: io stetti saldo, e fatta cautamente e discretamente esaminare la cosa, conobbi le armi esservi, ma non molte, e per armare la Nazionale, ed esservi pure i cannoni, ma di terra cotta. Se trascorrevo a credere, sarei stato ingiusto e ridicolo. E perchè non metta più parole intorno a quest'infelice argomento, dirò che in carcere sono tenuto, per la intelligenza, come un bruto; per salute, come uomo che si voglia spegnere; per angustia, come Guazzino; - insomma come un Ciantelli non immaginò tenermi quando mi mise le mani addosso.

E perchè sono ritenuto io? Per delitto, o per sospetto? Se per delitto, si proceda a processo regolarmente e civilmente; io risponderò dei miei fatti collettizii e particolari. Il Governo Provvisorio fu necessità: voi lo consentiste, e certo non vorrete allegare che lo faceste per forza, imperciocchè offendereste voi stessi, non patendo violenza lo animoso Magistrato. Consultare il Paese intorno alla sua volontà, era pure cosa necessaria, ed io l'assentiva, perchè lo stesso Principe dal voto universale non repugnava, estimandosi amato, e perchè Emanuele Fenzi mi assicurava non alieno lo stesso Senato. Se il voto non riuscì universale, colpa degli uomini ignavi, non mia; e nè tutti gli Elettori della vecchia Legge Elettorale concorrevano a votare. E le note stampate non facevano ostacolo, perchè ogni Partito poteva stampare le sue, e le manoscritte accettavansi. Intanto il Popolo che ora vuole il Principato allora gridava Repubblica, ed io fui solo contro alle sue ire, e negai che una mano di gente usurpasse il voto del Popolo consultato con modi civili; e non senza pericolo della mia persona, e biasimo grande degli esagerati, l'ottenni.

Mi opposi a Laugier: in prima, perchè a noi mancavano avvisi certi del Principe; e del Laugier conoscendo la vita e i costumi, non era ignaro dell'avversione manifestata da lui contro la Casa del Principe fino all'assedio di Gaeta; finalmente si presentava con la invasione dei Piemontesi, alla quale conoscevo poco propenso il Granduca; e nemmeno ignoravo agitarsi un Partito nella Toscana, specialmente, a Lucca, per darsi al Piemonte. Io stesso n'ebbi eccitamenti, e nelle tasche della mia veste da camera, chiusa nei bauli che sono in Palazzo Vecchio, se non m'inganno, deve esserne rimasta la prova. Di più, la impresa di Laugier venne meno per opera dei Popoli che non gli vollero dar reità, e il suo ultimo Proclama al Popolo della Versilia chiaramente lo manifesta. Come mi studiassi a fare che la votazione dell'Assemblea procedesse libera, ne porgono testimonianza la rivista alla Nazionale, i detti e gli scritti pubblici. E comprendendo troppo bene come si dovesse calare ad onorevole accordo col Principe, allontanai quelli che mi pareva avessero a contrastare simile concetto più efficacemente degli altri, o arrestandoli, o beneficandoli, cosa che si accomoda meglio alla mia natura. All'Assemblea mi opposi alla decadenza del Principe, alla proclamazione della Repubblica, e all'Unione con Roma: perchè la prima cosa mi sembrava piena di pericolo per la Patria; alla seconda non reputando accomodati i tempi nè i costumi; rispetto alla terza, parendomi cotesta Unione uno di quei matrimonii che si contraggono in articulo mortis; e dei miei colleghi parte ebbi avversi, e parte fermi a gran pena. A me il Popolo chiedeva la Repubblica, a voi il Principato; io negai, voi assentiste; e con ciò disposi quello che avete fatto voi e voleva fare io, pel bene di questa Patria comune, ma con onore, salve sempre la libertà e la sicurezza delle persone. Atti, e scritti attestano questo mio concetto, e lo attesteranno anche persone spettabili, costituite presso noi in ufficio diplomatico.

Avere dato opera alla difesa dei confini non deve ridondarmi in biasimo, sia perchè la difesa era stata promessa a codesti Popoli nella loro dedizione, e fu rinnuovata poi; sia perchè mi pareva onorevole rendere il Paese quale era stato lasciato al Principe, commettendo per l'avvenire la cura di provvedere a lui stesso. Tutelai la Religione richiamando lo Arcivescovo di Firenze, e tenendo ferme le censure comminate da Lui contro preti protetti dal Popolo; mantenni con ogni supremo sforzo il Paese salvo da omicidii e da saccheggi: l'altrui vita salvai esponendo la mia.

Spero che nessuno di voi mi reputi così scellerato o stolto, che per me si partecipasse al fatto eternamente lamentabile dell'11 aprile. Il Battaglione Guarducci ottima prova di sè aveva fatto a Pistoia, siccome lo attestano le dichiarazioni che io mi ebbi, e la fede dello egregio Franchini mandato a speculare sui luoghi. Da Arezzo, dove fu diretto, prima vennero biasimi, poi giustificazioni per la parte del Romanelli, onde io non reputai commettere fallo rendere cotesto Battaglione a Pistoia, facendolo transitare da Firenze, e qui fornirlo di armi e di vesti. Intorno a questa gente io non ricevei mai reclamo, nè credo lo ricevesse il Ministro della Guerra. I Volontarii raccolti in Fortezza di San Giovanni erano consegnati, ordinai che non uscissero, e lì dovevano organizzarsi, appunto come il Battaglione che n'era uscito il giorno 9. Le compagnie stanziate in Borgo Ognissanti commisero brutti falli e insolenze: queste furono sottoposte alle discipline militari: quando alcuni di loro furono arrestati a Porta a Prato, andai di persona, gli rimproverai acerbamente, e, chiamati più volte gli ufficiali, ordinai si punissero con tutto il rigore della Legge. La Nazionale di Guardia può far fede del successo. Simili insolenze non erano nuove, e furono commesse anche dalla gente stanziata all'Uccello, la quale ricercata e punita non porse argomento a gravi contese; molto meno a collisioni sanguinose. Quando avvenne il fatto di Piazza Vecchia, andai di persona, - e quello che operassi, e quali pericoli corressi per istrappare a forza cotesti sciagurati dalla guerra infame, ve lo dica la gente, non io. - Meglio per me fossi morto quel giorno!

Se mi ritenete per sospetto, io vorrei dirvi che la mia vita politica è rotta, che le sciagure della Patria mi hanno percossa la mente così da dissuadermi da partecipare più oltre nella cosa pubblica; ma voi lo terreste per giuramento di marinaro: vorrei offrirvi la mia parola di onore, ma, temendo ripulsa, non la espongo; solo vi avvertirò che vogliate ricordarvi come i tumulti a Roma non cagionassero mai la rovina della città, perchè terminarono con una Legge; all'opposto in Firenze, perchè si conclusero con prigionie, esilii, ed ingiurie maggiori. Se voi mi reputate un Capo Partito pericolosissimo avete tre modi: o ammazzarmi, o conciliarmi, o cacciarmi via. Il primo modo voi non vorrete, nè potrete tenere; il secondo pare che schifiate; rimane il terzo: ebbene, se vi par giusto, fatelo. Ho letto le storie non per ornato vano, sibbene per condurvi sopra la vita; e lo esempio di Giano della Bella m'insegna come gli animosi cittadini abbiano a sacrificarsi in benefizio della Patria. Nè possono mancarvi mezzi per assicurare a voi la mia partenza, e rendere a me meno amari i passi dell'esilio.

Ritenendomi in carcere, voi mi rovinate la salute, e questo la coscienza vostra, che pur siete gentiluomini e cristiani, non lo può patire. - Rovinate i miei nipoti che, orfani per malignità del Choléra, tornano adesso (poveretti!) orfani una seconda volta. Rovinate le mie poverissime fortune, e condannate me e loro alla miseria.

Ritenendomi in carcere, parrà che lo facciate per compiacere una plebe matta, che non sa servire nè esser libera, mutabile e feroce, e che me le gettiate davanti come alle belve nel circo; parrà che lo facciate per vendetta di me che pure non vi offesi, ed anche di recente mi condussi verso voi con la convenienza che meritate; parrà lo facciate in benefizio di una Fazione che vince; e quindi, comecchè coperti, cresceranno i rancori, e a loco e tempo proromperanno, nè avremo pace mai, e con somma contentezza dei nostri nemici presenteremo l'aspetto di moribondi litiganti sull'orlo della fossa. A me sembra essere tratto quattro secoli addietro, e mi paiono rinnuovate le gare degli Albizzi, degli Alberti, dei Ricci, e degli Scali: la prerogativa regia diventata quasi un pugnale, che i contendenti s'ingegnano strapparsi di mano per offendersi a vicenda.

Queste cose ho voluto dirvi per la Patria, per la mia famiglia, e per me, onde voi mi trovaste modo onorevole di uscir di paese, - pensaste alla mia famiglia, alla gente che volontaria pena oggi qui meco, e comunque giovane si consuma, - e alleggeriste le angustie del carcere disonesto, che davvero sono troppe, e non sopportabili. Abbiate mente che così, senza offesa della vostra reputazione, non può tenersi un uomo che il Principe elevò al grado di suo consigliere, e voi stessi eleggeste a governare il Paese. In ogni evento della fortuna gli uomini, ancorchè emuli, hanno da usarsi scambievolmente un certo tal quale pudore di convenienza, senza del quale il costume pubblico precipita con danno infinito in cinismo feroce.

Che se tutte queste considerazioni, e queste istanze per altrui e per me, dovessero convertirsi in un nuovo motivo d'ingiuria pei miei cari, e per me, allora la storia domestica mi presenta un altro esempio imitabile in tutto - eccetto che in una parte, - e questa consiste nel non desiderare mai che dalle mie ossa sorga verun vendicatore.

Dalle Segrete, 28 aprile 1849.

F.-d. Guerrazzi.»

 

FINE.

 

Decreto del Tribunale di Prima Istanza di Firenze, Turno Correzionale, Camera di Consiglio del 1° settembre 1851.

Plutarco, Vita di Focione, volgarizzamento di G. Pompei.

De la Justice politique, p. 49 e seg. Bruxelles 1830.

Storia d'Inghilterra, cap. 67, tom. 8, p. 261. Capolago 1827.

Feci istanza onde fosse concesso al mio difensore di esaminare i documenti della mia Amministrazione; la Corte Regia rigettò la istanza.

Gazzetta di Firenze del 18 ottobre 1848.

A chi usa specolare sopra gli avvolgimenti politici gioverà mettere in confronto la dottrina del Lamartine con quella del Metternich intorno ai governi costituzionali; quella del primo consiste nel sostenerli transito alla Repubblica; il secondo opina, che sieno aberrazione di Popoli, che poi si quieta nel ritorno al principio dell'autorità; per la quale cosa di ambedue coteste sentenze prevalendosi i partigiani del dispotismo dicono: nel concetto del Lamartine le Costituzioni pericolose, in quello del Metternich inutili. Ma il dispotismo ormai non può reggere se non a patto di oscurare lo intelletto, e al punto stesso ingrassare il corpo. I soli comodi della vita promossi, e sia pur quanto vuoi, non basterebbero allo uopo, perchè non solo pane vivit homo, e uccidere dall'altra parte la vita dell'anima è impresa quanto disperata altrettanto iniqua. Però ho messo questo per via di esempio, chè per me credo il dispotismo incapace di comprimere la intelligenza, e ampliare le sostanze dei Popoli anche disgiuntamente. Io vorrei (ma non lo spero) che le mie parole ottenessero fede: chiunque taglia il pedale delle Costituzioni si aspetti a vedere crescervi sopra il pollone della Repubblica..... e questo è sicuro.

Vedi Indirizzo della Emigrazione lombarda dell'8 febbraio 1849. Monitore, 12 febbraio 1849. - «Nella stessa adunanza (13) fu pure discusso e approvato il progetto di regolamento per la nuova istruzione militare, di cui tenemmo parola qualche giorno fa. Omai questa istituzione non è più solo un desiderio, ma sarà tra breve un fatto. Le sottoscrizioni raccolte bastano già a dare guarentigie della sua attuazione.» Costituente Italiana, 14 gennaio 1849.

 

«AVVISO PER L'EMIGRAZIONE.

 

In relazione alle deliberazioni prese oggi dall'Emigrazione, il Comitato dirigente per l'associazione militare invita tutti gli emigrati qui dimoranti all'adunanza, che si terrà nel locale del Circolo Popolare giovedì giorno 8 del corrente mese di febbraio ad un'ora pomeridiana per eleggere il Comitato Elettorale dell'Emigrazione, incaricato delle operazioni relative alla nomina dei Deputati dell'Emigrazione stessa alla Costituente Italiana.

 

Firenze, il giorno 6 febbraio 1849.»

 

(Costituente Ital., 7 febbraio 1849.)

Vedi Istanza del 17 febbraio 1849. Monitore, 24 febbraio 1849.

Vedi Gazzetta di Firenze, 31 agosto 1848.

Gazzetta di Firenze, Supplemento, 31 luglio 1848.

Samuele, I, e. X, v. 12.

Gazzetta di Firenze, 24 agosto 1848.

Gazzetta di Firenze, del medesimo giorno.

Gazzetta di Firenze, del medesimo giorno.

Discorso del Presidente dei Ministri, Gazzetta di Firenze, 29 agosto 1848.

Proclama del Prefetto di Firenze del 7 ottobre 1848.

Ordine del Giorno del Ministro dello Interno del 7 ottob. 1848.

I Deputati nel 23 settembre 1848 vuotarono tutti la sala, ma nell'8 febbraio 1849 ve ne rimasero molti anche del centro.

Gazzetta di Firenze, 30 agosto 1848.

Gazzetta di Firenze, 6 agosto 1848.

Gazzetta di Firenze, 19 agosto 1848.

Monitore del 16 decembre 1848.

Monitore, 8 gennaio 1849.

Seduta del Senato del 23 gennaio 1849. Il Conciliatore, giornale di Opposizione, così scriveva nel N° del 6 gennaio 1849: «Intendiamo che in tempi di perturbazioni non a tutto può bastare il Governo; intendiamo che non sempre possa farlo tra noi, dove la organizzazione regolare della macchina governativa manca tuttora; intendiamo, che certi momentanei disordini sieno inseparabili dai beneficii che arrecano le libere instituzioni.» E meglio nel N° del 13 gennaio: «In verità, quando ci guardiamo attorno, e domandiamo a noi stessi ov'è la forza, che in tanta dissoluzione possa essere nucleo di nuovi ordinamenti civili, mal sappiamo rispondere: tutto che di antico è distrutto, combattuto e deriso il nuovo

Chiamai fra gli altri, e invano, lo ispettore Checchi, il quale protessi dalle ire popolari quando l'antica Polizia fu distrutta, non ostante ch'egli per ragione di ufficio avesse dovuto recarmi molestia. Anzi gli scrissi lettera con la quale lo confortavo, se non erro, a ritornare al suo posto in Livorno.

Nel 4 febbraio 1849 soltanto fu composta la seconda compagnia della Guardia Municipale; nel passarla in rivista, e nel distribuire le medaglie (però che la formassero tutta combattenti reduci di Lombardia), fra le altre cose io diceva: «Solenne è questo giorno per la Patria, e per voi. Solenne, perchè la custodia della pubblica sicurezza in tempi difficilissimi viene alla vostra fede affidata. La insegna, che la Fortuna mi concede appendere sopra il vostro petto, albergo di cuore lealissimo, mi è certo segno che come sapeste con animo pronto e fermo volere difendere l'onore italiano contro i nemici esterni, così saprete con animo e voglie pari difendere contro gl'interni nemici l'ordine pubblico. - Voi siete nuovi in questo arringo; eppure da voi si domandano ad un tratto prove che appena si chiederebbero a persone per lunga pratica esercitate; e voi le darete, perchè grande è la fede vostra, grande la volontà egregia, e il bisogno della Patria grandissimo. Infinita è la fiducia che in voi ripongono i vostri concittadini: sappiatevela meritare.» Monitore del 5 febb. 1849.

Vedi Discorso di Mariano D'Ayala nella stessa Seduta.

Vedi Atti governativi negati.

Un proposto di Laterina era di questi: fu trovato tenersi con molto scandalo in casa due donne, nè a verun patto anche dopo i monitorii del Superiore ecclesiastico volle licenziarle. Un frate di Viareggio ec. ec. Ma basti così. Vedi Atti Governarvi negati.

Atti Governativi negati.

Monitore del 24 novembre 1848.

Monitore citato.

Uomini, che si vantano, e per avventura saranno almeno in parte, sviscerati della Indipendenza italiana, senza posa si affacciano alle nostre frontiere così terrestri come marittime, dichiarando volere accorrere ora in Lombardia, ora in Isvizzera, ora finalmente a Venezia per versare quanto hanno sangue in benefizio della Patria comune. Bellissimi proponimenti invero, che troppo spesso lasciano desiderare sieno susseguiti da non meno belle imprese, e cotesto continuo andare e tornare non è quello della spola del tessitore, però che invece di aggiungere filo alla trama dello Stato, lo consumino irreparabilmente.» Monitore del 29 novembre 1848.

Monitore del 28 dicembre 1848.

Requisitoria del Regio Procuratore generale, p. 7, § 23.

Nel 3 novembre a ore 12, minuti 45, ricevo l'annunzio dei tumulti portoferraiesi; nel 3 novembre a ore 3, minuti 30, rispondo: «Affliggono le nuove di Portoferraio. Si prendono provvedimenti per ricomporre cotesta città. Il Giglio è a Livorno? Risposta subito.» - A ore otto dello stesso giorno mi annunziano: «restituite le fortezze, le chiavi delle porte e delle polveriere; reintegrate le Autorità.» Ma il Sig. Manganaro è a Livorno il 4 novembre, e nonostante le nuove riassicuranti, Manganaro insiste per andare a Portoferraio. - Vedi Dispacci telegrafici del Governo del 3 al 4 novembre 1848.

Vedi Dispacci governativi negati.

Intanto, ecco come scriveva il Pigli a sua discolpa: «Circa le 23 ha avuto luogo una dimostrazione con tamburi e bandiere per festeggiare la morte del Ministro Rossi. Da prima erano centinaia di popolani, e sono andati al Console Romano: da ultimo più migliaia, e sono venuti da me. Ho fatto il sordo ai ripetuti evviva. Il Capitano Roberti è salito; mi ha quasi obbligato mostrarmi al Popolo. Ho detto: il Ministro Rossi non era amato dalla Italia solamente pei suoi principii politici. Dio nei suoi arcani consigli ha voluto ch'egli cadesse per mano di un figlio dell'antica Repubblica romana. Dio custodisca l'anima sua e la libertà di questa povera Italia. - La dimostrazione si è sciolta subito. Si richiami il Roberti: egli l'ha pubblicamente approvata.» - Dispaccio telegrafico del 17 novembre 1848. - Dunque è manifesto, che Pigli costretto disse coteste parole; e che la dimostrazione gl'increscesse lo palesa il suggerimento di richiamare il Roberti, che l'approvò. - Io la ripresi acerbamente; la mancanza degli Archivii m'impedisce somministrare i documenti relativi; però dai Dispacci telegrafici resulta quanto le arringhe del Pigli mi turbassero. «Pigli, le tue parole dette al Teatro hanno sconcertato tutti; amico mio, tu sei buono, e rovini noi e il Paese.» Dispaccio telegrafico del 13 novembre 1848. - E più tardi, esortandolo a fare più parca copia di sua favella al Popolo, lo confortava a imitare la Rosa, la quale (io gli diceva)

 

Quanto si mostra men tanto è più bella

Il Governo in cotesta occasione pubblicava il seguente Proclama. «Cittadini! Il Governo vuole che il Popolo domandi con modi civili, non violenti. - Gl'individui convinti di avere operate le violenze del giorno di ieri, saranno sottoposti all'azione ordinaria della Giustizia. A reprimere le violenze dei pochi deve bastare l'applicazione della Legge. Tornando vana la loro azione pel rinnuovarsi dei deplorabili eccessi, il Ministero, anzichè provocare un conflitto incompatibile con la fiducia di cui ebbe sì larghe prove, darà la sua dimissione.»

A Leigh Hunt portarono via il naso!

Discorso su la Finanza Toscana, comparso nello Statuto.

Dispacci telegrafici del 22 novembre 1848, ore 5 minuti 35: «Qua sono state rotte le urne delle elezioni. Il tumulto è venuto su la Piazza di Palazzo Vecchio. Una deputazione è salita chiedendo sospensione delle elezioni in Firenze, e che sieno posti in istato di accusa i due passati Ministeri. Questa deputazione ha ricevuto Mazzoni, e le ha risposto con destrezza. Il Prefetto di Firenze aveva pubblicato un manifesto opportunissimo stamani mattina.» - Detto giorno, ore 5, minuti 45. «Dopo il fatto della violenza ai collegi elettorali, i Ministri Montanelli, Mazzoni e Franchini qui presenti, col Prefetto di Firenze fanno premura al Ministro Guerrazzi perchè torni immediatamente a Firenze per concertarsi intorno ai provvedimenti di estrema importanza.» Risposta, detto giorno, ore 6, minuti 20. «Domani sarò presto a Firenze.» - Detto giorno, ore 8, minuti 20. «Domani vieni più presto che puoi, e appena arrivato avvisami, e ci troveremo insieme per determinare che cosa si debba fare. Stasera hanno avuto luogo nuove dimostrazioni.» - Risposta, detto giorno, ore 9, minuti 50. «Domani sarò a Firenze a ore dieci.» - Novembre 23, ore 1 antem. «Stasera hanno rotto le finestre a casa Ridolfi, Ricasoli, Salvagnoli, e Capei. Questi eccessi sono commessi da quegli stessi che hanno rotto le urne elettorali: sono pochi ec.»

Il 23 novembre, passando da Pisa non potei fermarmi, perchè, come si vede, ero atteso a Firenze. - Qui giunto, maravigliai non avessero preso i provvedimenti opportuni: furono tosto presi da me, e facili, ed efficaci, i quali consisterono, come ho detto, nel vigilare io stesso di persona col maggiore della Guardia Civica Fiorentina le elezioni onde succedessero a dovere. In tutti i luoghi dove fecero violenza, mercè le cure del Governo l'elezioni tanto si operarono libere, che vennero eletti quei dessi, che pur volevansi esclusi. - Così a Pisa sortirono deputati i signori Castinelli e Severi; a Signa il signor Vasse, e credo rammentarmi, non senza raccomandazione del Ministro Adami; a Firenze i signori Tabarrini e Marzucchi.

I miei Segretarii presenti al fatto ne deporranno.

Monitore, 8 gennaio 1849.

Si referiscono a questo fatto le risposte alle interpellazioni di cui a pag. 33. Dubitando, che il vergognoso oltraggio fosse istigato da qualche agitatore, e venendomi referito, che il Niccolini si aggirava fra la moltitudine, lo mandai a chiamare, e alla presenza di parecchi testimoni lo rimproverai acerbamente, e minacciai; egli scusavasi affermando essere accorso invero non già per eccitare ma per sedare.

Ma e perchè dovrei tacerlo? - Il Sig. Fabbri, Gonfaloniere di Livorno, nel 6 aprile 1849 mi scriveva, tutto infiammato di patria carità per la difesa contro lo straniero, che riconciliandomi io con G. Paolo Bartolomei, egli si riprometteva persuaderlo a condursi alla frontiera, Gli mandavo per via telegrafica questa risposta: «Al Gonfaloniere di Livorno. Sarei un infame se per private dispiacenze ricusassi anche un bacio per la difesa della patria. Favorisci, ed eccita G. P. Bartolomei: per ridonargli la mia amicizia anzi cotesta è la unica via. Componga il battaglione subito. Appena fatto, lo manderò in Garfagnana, o all'Abetone.» G. P. Bartolomei sovvenendo alla dura necessità della mia condizione, ha protetto il mio nipote in Piemonte; e venuto in Toscana, lo accolse in casa sua, guardandolo con amore e diligenza paterna..... L'emulazioni allora soltanto nuocciono quando sono codarde.

Thiers, Histoire de la Rèvolution, Bruxelles, 1838, tom. I, cap. 3, pag. 34.

È noto che il principe di Talleyrand, acuto conoscitore del cuore umano, e delle sue infermità, quando alcuna cosa commetteva a qualche subalterno gli diceva: «e sopra tutto vi raccomando di non ci metter troppo zelo

Monitore, 14 novembre 1848.

Dispacci al Prefetto di Pisa, negati.

Monitore del 20 decembre 1848.

Dispacci governativi negati.

Detti Dispacci negati.

Ordini al Prefetto Guidi Rontani negati.

Fu notata la improvvisa partenza del Ministro dell'Interno nel mezzo dell'Adunanza. Pare che egli si fosse dovuto recare a prendere le disposizioni opportune, onde ripristinare la calma della città momentaneamente disturbata per improntitudini commesse ai danni di un Cambia-monete.» - (Conciliatore del 28 gennaio 1849.)

Conciliatore del 28, 29 gennaio, e 8 febbraio 1849.

E questo deperimento mio ricordo, che il generoso giornale dell'Accusa, la Vespa, descriveva con dileggio per far ridere la gente sopra un uomo, che si logorava l'anima e la salute nel vigilare alla pubblica sicurezza.

Atto di Accusa, § 83.

Memorie, pag. 47.

Il marchese Venturi è morto, ma vivono per attestare i fatti narrati i signori Vivoli e Pistolesi, uomini di anni maturi, e devoti al Governo di S. A.; di molti altri mi taccio.

Vivono Domenico Orsini, Massaio del Monte a Livorno, e Consigliere municipale, ed altri parecchi testimoni del fatto.

In certi libri, scrittori, in questa parte pessimamente informati, non dubitano affermare, che in Livorno fossero avanzi di sètte, e settarii fra il popolo minuto. Quando potrà scriversi storia per utile universale, e senza ingiuria dei singoli, dimostrerò a prova, come non in Livorno, ma altrove occorressero sètte, di piccola importanza, e, per la indole dei componenti loro, accademie piuttosto che altro.

La mala signoria, che sempre accora

Li popoli soggetti.

Dante.

Lo spirito militare non può formarsi così facilmente, nè così facilmente possono mutarsi le condizioni del Paese. - Non è poi cosa tanto utile, come da alcuno si crede, formare questo spirito militare fra noi. La educazione militare non può formarsi, se non faccia scendere la Toscana da quel grado di civiltà nel quale si trova; e se lo spirito militare ha da formarsi a questo prezzo, io non farò mai voto a conseguir questo intento. - La Toscana ove la mezzeria è generale, la proprietà così divisa, le fortune così repartite, come non lo fu finora, non diverrà giammai militare.» (Discorso del già Ministro Ridolfi nella Tornata del Consiglio Generale del 19 agosto 1848.) Stupefacenti parole su i labbri del Deputato, che reggendo Ministro bandì la guerra della Indipendenza, e ora sollevò gli animi (come si disse) fino alla speranza di potere vincere il nemico a furia di sassi e co' bastoni, ora promise accorrere co' suoi figliuoli alla guerra se ne occorresse il bisogno; ora finalmente licenziò la gioventù, che traeva dalle patrie dimore desiderosa di partecipare alla contesa per la Indipendenza italiana. Quali conseguenze ne ricavasse la gente attonita, è facile indovinare. Il Nazionale del 10 gennaio 1849, con molto senno e pari verità discorrendo gli avvenimenti successi dal settembre 1847 in poi, adduce le ragioni dei varii Ministeri, e le cause della loro caduta. Importa consultare cotesto organo, che si mantenne mai sempre independente:

«La Toscana da più di un anno abbandonata a sè stessa, può dirsi che si governava a senno dei cittadini. I Governi che si sono succeduti dal settembre del 1847 in poi non hanno mai saputo prendere quella forte iniziativa che spetta a chi regge lo Stato, e che è un dovere assoluto in chi prende a governare un Paese appena sciolto dalle fasce dell'assolutismo, e desideroso di lanciarsi nelle nuove vie di una libertà lungamente sospirata. - Dov'era mestieri con mano sapientemente audace riformare, resecando il vecchio, piantando il nuovo, fortificando le libertà pur ora inaugurate coll'istruzione che le facesse più universalmente conoscere e amare..... si fece anzi un brutto innesto di vecchio e di nuovo; la tutela delle istituzioni liberali si lasciò o si diede a mani inette, o da poco tempo acquistate alla nuova causa, non mosse da convinzioni antiche, ma dalle vicende della fortuna; si procedé timidamente, lentamente, fiaccamente. - Accadde che nel reo impasto il nuovo isterilì e si corruppe della sterilità e della corruzione del vecchio; le libere istituzioni come pianta aduggiata languirono; lo Stato, siccome corpo percosso da paralisi, rimanendo sana e vigorosa la mente, non ubbidiva all'impulso delle volontà che lo guidavano, e strascicava; le idee lo precorrevano, i fatti lo premevano; quando avanzava non camminava, ma era spinto dall'urto prepotente delle idee e degli avvenimenti che ne vincevano l'inerzia. - Oscillando, trabalzando per una via, che si poteva correre nella maestà del trionfo, arrivarono alla Costituzione arrivarono alla guerra..... Grandeggiavano intanto i fatti d'Italia. La Lombardia sollevata ci chiamava oltre Po, dove i Liguri e i Piemontesi già combattevano con lieti auspicii. Noi nè uomini, nè armi, nè danari avevamo parati alla grande e non inaspettata impresa... Ma la fatale imprevidenza parve rea negligenza, e inasprì gli animi delusi e accorati dall'esito infelice della guerra sacra. Innanzi al Parlamento pur or convocato il Governo si appresentava nudo affatto di provvedimenti, della causa italiana pendente ancora, delle sorti della guerra come dimentico. Il Governo di allora cadde innanzi allo sdegno e al dispregio del Paese.... In mezzo a queste circostanze nacque il Ministero Capponi. - Delle infelici prove di quel Ministero.... non faremo altre parole....; solo diciamo come nella Toscana agitata, inquieta, tumultuante, paresse necessità venire al Ministero Montanelli..... - Il nuovo Ministero ebbe nome di Ministero democratico: prendeva il potere in nome del Popolo: stretto da violenti antipatie da un lato, travagliato forse da troppo intemperanti e cupide simpatie dall'altro, cominciò a porgere parole di riconciliazione, e pose mano vigorosamente al governo. Noi crediamo che gli amici gli facessero mal servigio; poichè, come dice il Machiavelli, non è cosa desiderabile prendere un magistrato o un principato con estraordinaria opinione ec.....» - (Nazionale del 10 gennaio 1849.)

E qui giovi notare una volta per sempre, che il Nazionale non fu Giornale sovvenuto, nè amico del Governo mio, anzi più spesso oppositore acerbo così, che nel 24 febbraio 1849 ne fu ordinato l'arresto con dispaccio telegrafico del presidente Mazzoni.

A carte 40 dei Documenti, n. 66, vi è la minuta della lettera scritta all'Avv. Giera, che si dimetteva dalla Commissione. In essa si trova la verità del mio racconto. Il Governo pregò la Commissione a non dimettersi. Il sig. Giera, interpellato prima confidenzialmente il Governo, sospese la sua dimissione, e dichiarò agli Ufficiali della Guardia Civica essere esattissimo tutto quello che io affermava in proposito. Vedi esposizione inedita delle cose di Livorno del gennaio 1848 pubblicata fra i Documenti dell'Accusa, a pag. 60.

Le carte, che mi furono perquisite allora, e poi rese stante il Decreto onorevolissimo del Principe, che troncò cotesta procedura, adesso perquisite da capo in questa nuova procedura, s'incontrano nel volume dei Documenti a pag. 47, n. 79, a pag. 49, n. 82, a pag. 50, n. 83, a pag. 67, n. 100. - Si trattava di provvedere le armi dal Municipio, e di trovare modo che le dimostrazioni cessassero, le unioni parrocchiali si organizzassero.

Al Popolo, che ingannato era venuto ad arrestarmi, tali apparecchiava parole, come resulta dallo Scritto inedito pubblicato dall'Accusa a c. 65 dei Documenti:

«Io l'ho detto, tra me e te, Popolo, noi non dobbiamo odiarci, nè lo possiamo. Forse Aristide odiò la patria perchè bandito ingiustamente? In certa notte, con pericolo di vita ruppe il bando, e fu la precedente alla battaglia di Salamina, per avvisare Temistocle intorno alla ragione dei venti, e all'ordine della flotta persiana. Gli antichi esempii non saranno stati letti invano. I Veneziani supplicarono Carlo Zeno imprigionato iniquamente onde salvasse la Patria dal pericolo supremo da cui era minacciata: usciva, pugnava, vinceva, e poi altero e costante tornava al carcere.

Tra me e te ogni trista memoria è ormai obliata, e con tutti fra te. Vi lasciai non liberi, vi trovo facultati a farvi liberi se volete. A questo patto chi non avrebbe voluto soffrire la prigionia? Stringiamo ora, che ne fa mestieri, più che mai i vincoli di famiglia. Giù rancori, giù discordie; se volete essere forti contro il comune nemico, io non so davvero come potrete riuscirvi con matte fazioni tra voi. E sopra tutto, nè viva a tale, nè morte a tale altro. Il secondo grido è crudele, e la nostra religione lo aborre; il primo è segno di servitù. Oggimai non hanno a contare gl'individui, ma i principii. Mi confortano, o Popolo, ad abbandonarti, e porre la mia stanza altrove. Non posso farlo; le cose si amano pei sacrificii che costano, e il mio paese mi costa assai: io qui ebbi nascimento, e qui desidero sepoltura accanto alle ossa di mio padre e dei miei amici, che più felici di me mi precederono nella morte: io continuerò, secondo ch'è dato al mio povero ingegno, a onorarti come posso e devo; ma tu, o Popolo, ricompensami con lo starti unito, col non fare il mio nome bandiera di fazioni e di tumulti. Io te ne scongiuro per la mia fama e più per la tua. Anche tu fosti accusato, e devi mostrare che lo fosti a torto, a nessuno secondo tra i Popoli italiani, e a qualcheduno primo. Le petizioni offrono mezzi legali per manifestare i voti, e tôrre d'inganno il Governo: - attienti a queste.»

Vediamo se alle parole corrispondessero i fatti. Francesco Costantino Marmocchi, mentre io stava prigione a Portoferraio, si oppose alla stampa nell'Alba di parole in mia difesa; io non solo dimenticai il malo ufficio, ma nelle elezioni di Dicomano lo purgai dalla calunnia, e lo feci eleggere Segretario al Ministero dello Interno. - Giovanni Sorbi, Tenente, o Capitano della Guardia Civica, che fu a prendermi nella notte dell'8 gennaio, promossi a Pretore di Santo Stefano, e credo che vi sia tuttora; e perchè tutto restringa in uno, così rispondeva al Governo di Livorno, che mi consultava se avessi acconsentito a far pace co' promotori dell'8 gennaio: «Io ho dimenticato sempre tutto; e saranno prima stanchi di offendermi, che io di perdonarli.» Dispaccio telegrafico del 9 aprile 1849.

In questo tempo chiesi facoltà di stampare un Giornale, e mi fu negata; a questo accenna la lettera, di cui si legge minuta a pag. 66 dei Documenti, n. 98, indirizzata al sig. Cons. Pezzella. Per intendere a dovere cotesto Documento, si avverta che successe in quel torno una baruffa sanguinosa tra fornaj; e i matti avversarii propagavano, nè più nè meno, che travestito da fornaio io avevo aizzato la gente a ferirsi, e forse aveva ferito io stesso! - Inoltre, un pazzo furioso irrompendo fuori di casa incontra un soldato e lo uccide, altri ferisce, e i matti avversarii raccontano sul serio, che io ho spinto il pazzo ad uccidere. Cose incredibili sono queste, e non pertanto vere! Mentre era Ministro, moltissime persone s'interposero per la grazia dei due fornaj feritori già condannati, uno dei quali ricordo che si chiamava Morgantini. - La grazia fu negata.

Partendo scriveva questa lettera:

«Signor Silvio Giannini.

Persuaso che la mia presenza somministrerebbe alla città pretesto di collisione, per la quale essa avrebbe a pentirsene e vergognarsene poi, io, come ogni dabbene cittadino deve fare, cedo alla invidia, e mi allontano. Partendomi col corpo, io lascio i miei affetti entro un paese che mi costa tanti sagrifizii e tanti dolori; - e con sincero animo gli auguro tempi felici, menti più giuste, ed uomini che possano amarlo molto meglio di me.

La reverisco.

Affez. D. Guerrazzi.»

Corriere Livornese del 28 agosto 1848.

A pag. 46, n. 77, dei Documenti, occorre la minuta della mia lettera mandata ai Membri del Municipio, e ai componenti la Camera di Commercio, dove io dico loro: «Voi sapete, che quattro volte chiamato dalle Commissioni, dal Municipio, e dalla Camera di Commercio, mi astenni dal venire a Livorno, parendomi la città nostra contenesse copia di ottimi cittadini capaci di condurla traverso ogni più duro caso. Non potei resistere all'ultima, perchè avrei dimostrato ostinazione somma, e poco affetto a chi mi ama.» La riporteremo in seguito per intero.

A pag. 151 e seg. dei Documenti dell'Accusa trovo la narrazione di questi successi esattissima; non si dichiara se scritta o no di mio carattere; comunque sia, io non posso che ratificarla pienamente.

La Camera di Commercio, di consenso col Popolo adunavasi, e di unanime accordo quattro negozianti partivano per Firenze onde dimandare s'inviassero a comporre le cose di Livorno il generale Don Neri Corsini e il deputato Guerrazzi. La Deputazione è partita. Il Governo pensi alle conseguenze, se ricusa questa ultima prova della longanimità del Popolo.» - (Corriere Livornese,4 settembre 1848.)

Che fosse impresa da pensarci due volte, e poi non farne nulla, lo dichiara la seguente lettera, la quale io mi conduco a pubblicare con repugnanza, conciossiachè io dubiti forte porgere indizio di scarsa modestia, se non mi assicurasse la speranza, che le angustie in cui verso varranno a scusarmi presso i cortesi. Però nel riportarla mi corre l'obbligo avvertire, che lo scrivente mosso da patria carità, forse anche da voce più autorevole della mia, poco dopo lasciati consorte, e prole amatissime e amantissime, e i dolci riposi della villa e i cari studj, accorse anch'egli a travagliarsi a benefizio di quella terra, che ama, ed onora pur tanto.

 

«Amico carissimo,

Comunque i doveri di famiglia resi più solenni da qualche mese di assenza al Campo, non mi abbiano concesso di condurmi a Livorno per assumere l'ufficio del quale mi onorasti, io te ne protesto la mia gratitudine, e ne vado lieto per l'unica ragione che la carica affidatami mi è prova della tua leale amicizia.

In ogni circostanza io ti corrisponderò con pari affetto, e nel mio nulla se posso giovarti, adoprami; e (poichè anco i grandi uomini non sdegnano ascoltare talvolta il parere dei piccoli) non ti sia molesto se ti suggerisco d'essere cauto, perchè a mio avviso ardua è l'impresa, e gravissimo è il fardello a cui ti sobbarchi; vero è peraltro che ogni rovescio ha il suo diritto, e che se col tuo ingegno, e con la tua influenza perverrai a ricomporre cotesta sconvolta città, sarai ben largamente ricompensato col saluto non perituro di Padre della Patria.

Addio, conservami la tua amicizia e credimi per sempre,

Crespina, 11 settembre 1848.

Tuo affez. amico

L. Fabbri.»

Ieri sera circa le ore 10 giungeva con la Deputazione livornese il Guerrazzi. La carrozza era seguita da una quantità di Popolo fino al Palazzo Comunitativo, ove il Guerrazzi trattenevasi a conferire con alcuni membri della Commissione fino a mezza notte. - Stamattina mentre il Guerrazzi si recava al Palazzo del Municipio una grande moltitudine si è affollata su i suoi passi applaudendo, nè si è disciolta, finchè egli non si è mostrato al terrazzo ove ha detto poche e severe parole: - non doversi applaudire gli uomini, ma gli onorevoli fatti; gli applausi alle persone non essere degni di Popolo libero, ma segno di schiavitù; essere egli venuto come cittadino a conferire con cittadini su i modi di ricomporre le cose nostre, e di ristabilire in Livorno l'ordine e la quiete, che vi erano prima; - stessero tranquilli, nè disturbassero con clamori coloro, che si occupavano pel pubblico bene, e di cose richiedenti tranquillità e maturità di consiglio. Un bravo unanime ha accolto i suoi detti, e il Popolo si è dissipato. -

Indi a poco nello stesso palazzo, dietro convocazione di un priore del Magistrato, si sono adunati la Camera del Commercio, il Corpo dei Legali, la Ufficialità della truppa di linea, della Civica, parecchi delegati dei possidenti e dei Medici, alcuni membri del Clero, e tre popolani di ogni quartiere, onde avvisare ai mezzi idonei per ricondurre la pace in Livorno e ristabilire l'autorità governativa.» - (Corriere Livornese del 5 settembre 1848.)

Cittadini! Commosso dai casi della Patria, io mi riduco fra voi. È un semplice cittadino, che ritorna in famiglia per provvedere in comune al pubblico bene. Tento indagare le cause dei fatti, ascolto i desiderii, le apprensioni, i voti vostri, e persuaso che ormai saranno conformi a giustizia, io mi sforzerò che vengano esauditi. Confido nella temperanza vostra, e nella benevolenza che il Principe professa avervi portata sempre, e tuttavia portarvi, e in Dio, che illumina il cuore degli uomini, onde, ogni discordia sopita, attendiamo con voleri uniti e forze concordi alla difesa della Patria comune ec. ec.

Livorno, 5 settembre 1848.

Guerrazzi.»

Convenzione del 4 settembre 1848 fra il cavaliere generale Torres, tenente colonnello Reghini, ed altri ufficiali.

La Convenzione è intitolata così: - «Convenzione tra il signor Costa Reghini tenente colonnello delle truppe attive toscane, attuale comandante della Fortezza di Porta Murata, e il cavaliere generale Torres comandante della forza armata popolare in Livorno.» Firmavano: «Torres cavaliere generale. Costa Reghini tenente colonnello. A. Alieti capitano. D. Ulacco capitano di artiglieria. F. Porciani, e L. Romei capitani.»

«Torres frammischiandosi col Popolo la sera del 3 era stato acclamato da quelli che lo ascoltavano, come capo, e direttore della forza armata. Egli presentavasi alla Commissione e annunciandosi eletto dal Popolo si offriva a organizzare e a dirigere gli armati. La Commissione verbalmente gli confermava il mandato. - Ma ieri mattina essa si dimetteva in seguito di una scena cui diè luogo lo stesso signor Torres nella sala del Palazzo Comunitativo ove si recò seguito da una turba di Popolo ec. ec.» - (Corriere Livornese del 5 settembre 1848.)

Così questo Torres col quale gli ufficiali capitolavano, a cui le Fortezze si consegnavano, le commissioni cittadine cedevano, da me inerme era costretto a sgombrare la città..... e l'Accusa dignitosa e schietta par che dubiti avere io aizzato cotesti moti.

In certa pubblicazione intitolata: Storia del Processo politico di F. D. Guerrazzi, stampata in Firenze presso Mariani, si dice: che bandii di Toscana il signor Torres quando fui membro del Governo Provvisorio; è errore: lo feci accompagnare ai confini due volte mentre governavo Ministro di S. A. (Vedi Dispacci telegrafici del 23 dicembre 1848.) - Mi duole, che cotesta Storia fino dalla prima pagina appaia gremita di falsità; così io non capitanai le Deputazioni livornesi che venivano spesso a Firenze, ma venni una sola volta, il 6 settembre 1848. Prego i Compilatori a studiare migliore esattezza, chè la materia lo merita.

La petizione presentata dall'Abate Zacchi e da Vincenzo Malenchini deputato, riguardava: 1° Opera efficace per la guerra. 2° Guardia Civica ricomposta. 3° Prezzo del sale diminuito. 4° Pensioni ridotte. 5° Migliorie alla Marina. 6° Tariffe giudiziarie diminuite. - Corriere Livornese, 30 agosto 1848. Si riporta eziandio nei Documenti dell'Accusa, a pag. 675.

Nel Municipio di Livorno ha da trovarsi una Deliberazione, che giustifica come se qualche irregolarità avvenne e' fu a cagione della pressura popolare. Fabbri era Gonfaloniere, e però deve appartenere alla seconda metà del mese di settembre 1848. Ho mosso domanda per averla con le altre, che mi riguardano, per difendermi dalla improntissima Accusa; ma senza superiore permesso non mi si possono dare, e il superiore permesso peranche non viene; e poi dicono: difendetevi!

Stamane, 6 settembre, un altro Popolano ferito dalla esplosione delle polveri presso il Calambrone è stato portato a questo ospedale. Questa notte tre dei feriti portativi ieri sera sono morti. Sei altri rimasero morti alla Polveriera.» - (Corriere Livornese del 6 settembre 1848.)

Corriere Livornese, 6 settembre 1848.

Corriere Livornese, 6 settembre 1848.

Duolmi non ricordare il suo nome; ma il colonnello Reghini potrà nominarlo.

È debito di riconoscenza avvertire, che sopraggiunse in fretta mezzo spogliato Antonio Petracchi per acquietare cotesti arrabbiati. Non si creda poi ch'egli fosse uomo ligio a me: all'opposto, egli crebbe per favore dei partigiani del Ministro Ridolfi, e fu di quelli che vennero ad arrestarmi nella notte dell'8 gennaio. Io poi dico questo non per rancore che serbi contro di lui (Dio me ne guardi), ma perchè penso che gli possa giovare.

Corriere Livornese, 20 settembre 1848.

Corriere Livornese, 7 settembre 1848.

Deliberazione con la quale si sopprimono tutte le Commissioni per ordine del Ministero.

«Adunati servatis servandis

Gl'Illustrissimi Signori Gonfaloniere e Priori, componenti il Magistrato della Comunità di Livorno in numero sufficiente di otto per trattare etc.

Il Magistrato ha intesa in primo luogo l'intiera Lettura di un Rapporto in data di questo stesso giorno presentato dai Signori Avvocato Francesco Domenico Guerrazzi ed Antonio Petracchi Priori aggiunti a questo consesso. Quindi tornando a esaminare le singole proposizioni in esso contenute le ha ammesse nel modo e nell'ordine che appresso.

Proposizione prima. - Le Commissioni instituite dalla Commissione Governativa Provvisoria di

1. Finanza e Annona.

2. Guerra.

3. Lavori Pubblici.

4. Sicurezza Pubblica.

si ringraziano come quelle che hanno benemeritato della Patria, ed avendo pienamente soddisfatto al loro scopo si sciolgono. - Girato il Partito è tornato vinto ad unanimità di voti favorevoli.

Proposizione seconda. - La Commissione di Pubblica Sicurezza come necessarissima per l'assenza da Livorno delle Autorità ordinarie si mantiene; e in quanto occorra si rielegge ex-integro sempre provvisoriamente dal Municipio. - Approvata con Partito di voti favorevoli ad unanimità.

Proposizione terza. - La Commissione Governativa Provvisoria installata per urgenza rimane sciolta. - Approvata ad unanimità di voti favorevoli.

Proposizione quarta. - Il Municipio elegge una Commissione esecutiva dal proprio seno e le commette di provvedere con tutti i mezzi contemplati con Dispaccio Ministeriale del 6 settembre corrente per consolidare e mantenere la quiete nel Paese, nello stato normale di ordine, e specialmente organizzare la Guardia Provvisoria, e la Guardia Municipale, non meno che disimpegnare gli affari occorrenti alla giornata sempre di concerto col Municipio; ben inteso che quando si tratti di pubbliche azioni sieno queste discusse e deliberate dal Municipio nel modo consueto per essere poi mandate ad esecuzione dalla Commissione eligenda dal seno del Municipio stesso. - Approvato con Partito unanime di voti favorevoli.

Proposizione quinta. - Tutti i Dispacci che riceverà il Municipio saranno partecipati immediatamente alla Commissione esecutiva, onde provveda e risponda al Municipio, e da questo sia la risposta trasmessa nelle forme al Ministero, o a cui altro di ragione. - Approvata con Partito unanime di voti favorevoli.

Disponendosi ora la Civica Magistratura ad eleggere i due Soggetti che dovranno comporre la Commissione esecutiva Provvisoria, il Signor Luigi Baganti f. f. di Gonfaloniere ha nominati i Signori Avvocato Francesco Domenico Guerrazzi e Antonio Petracchi, ambedue appartenenti alla Magistratura; e mandati separatamente a Partito questi due Nomi, è stato ritrovato che ciascuno di essi aveva riportati i voti favorevoli ad unanimità.

Passando finalmente le SS. LL. Illustrissime alla elezione della Commissione Provvisoria di Sicurezza, il prelodato Signore Baganti ha proposto i seguenti Soggetti estranei al Corpo Magistrale:

1. Malenchini Dottor Tito.

2. Poli Dottor Adriano.

3. Adami Dottor Giovan Salvadore.

4. Lambardi Dottor Emilio.

E detti quattro Soggetti mandati separatamente a Partito è stato ritrovato che ciascuno di essi aveva riportati voti favorevoli otto, contrarii nessuno.

Per copia conforme etc.

Pel Gonfaloniere

L. Baganti f. f.

Il Cancelliere

J. Ceramelli.»

Quando questa Deliberazione fu disfatta non so; rammento solo, che fu fatta il 9 settembre 1848.

Deliberazione per determinare i limiti entro ai quali doveva restringersi l'autorità della Commissione esecutiva.

«Seduta del 12 settembre 1848.

Adunati servatis servandis

Gl'illustrissimi signori Gonfaloniere, e Priori componenti il Magistrato della Comunità di Livorno, in numero sufficiente di otto per trattare:

La Commissione Municipale esecutiva onde bene conoscere la latitudine del suo mandato, ha fatto istanza che venga circoscritta la sfera delle sue attribuzioni.

In conseguenza di ciò il Magistrato ha stabilito:

1° Si confermano le attribuzioni conferitele nelle precedenti deliberazioni.

2° Le si dà facoltà piena d'impiegare persone che reputerà più adatte consultando i Parrochi di ogni Cura, non meno che ad adoperare i mezzi più opportuni per eseguire la costituzione della Guardia Municipale, e la ricostituzione della Guardia Civica in conformità delle cose deliberate.

3° Però tutte le pubblicazioni ed avvisi devono farsi a nome del Municipio in unione della Commissione esecutiva Municipale e delle persone aggiunte.

4° In quanto alle spese occorrenti, la Commissione esecutiva Municipale, in unione al signor Francesco Bombardieri delegato a questo ufficio per quello che concerne la Guardia Civica, avrà ricorso alla cassa del Municipio, e per quello che spetta alla Guardia Municipale si dirigerà al Commissariato di Guerra e Marina.

E quanto sopra approvato per voti favorevoli otto, contrarj nessuno.

Per copia conforme ec.

Visto. Il Gonfaloniere.

Il Cancelliere

J. Ceramelli.»

L'Ordinanza sulla Guardia Civica Provvisoria, approvata in genere, se siamo bene informati, avrebbe incontrato la superiore disapprovazione in alcuni particolari, che a noi sembrano d'importanza minima. Si crederebbe lesa la prerogativa Reale, per la nomina degli ufficiali superiori, ec. ec.; ma questa Guardia Civica nuovamente organizzata per ricondurre la quiete e la pace nella città, non si chiama e non è provvisoria? Dovendosi essa in tutta fretta costituire pel pronto ristabilimento dell'ordine, come si poteva seguire scrupolosamente le tracce del Regolamento del settembre, - adempiendo le lunghe formalità delle nomine? - Ogni buon cittadino di Livorno sa che qualunque grado sia per ottenere dal voto de' suoi concittadini nella nuova Guardia Provvisoria sarà provvisorio. Egli sarà pronto a tornare semplice soldato della milizia cittadina, appena il Principe, valendosi delle prerogative che la legge gli accorda, nominerà gli ufficiali di cui gli spetta la scelta.

Insomma quello che fu fatto provvisoriamente, e per urgenza, noi crediamo non possa in alcun modo redarguirsi, nè offendere minimamente le leggi e la regia autorità. E ripetiamo: i provvedimenti adottati dal Municipio e dalla Commissione hanno rassicurato gli animi, hanno ristabilito in Livorno la pace, e la fiducia reciproca.» - (Corriere Livornese del 12 settembre 1848.)

I signori Torello Borgheri ed Eugenio Pignatel si recarono ieri a Firenze come Deputati della Camera del Commercio per chiedere, che sieno tolte finalmente di mezzo queste cause del pubblico malcontento tanto dannose agl'interessi della nostra città.» - (Corriere Livornese del 13 settembre 1848.)

La Camera di Commercio penetrata ogni dì più della causa della nostra città, - onde testimoniare pubblicamente in qual concetto ella tenga i provvedimenti adottati per l'ordinamento della cosa pubblica si è impegnata a sopperire alla metà della spesa richiesta al mantenimento della Guardia Municipale, ed ha già messo a disposizione del Municipio L. 7000 pel primo mese.» - (Corriere Livornese del 12 settembre 1848.)

Egli è proprio un miracolo se nelle frequenti razzia (e lo dirò in arabo perchè le sono cose da Beduini) fatte sopra le mie carte se ne potè salvare qualcheduna, che porga lume in questa materia. Ecco tre documenti, che consacro ad Apollo liceo, come pei Pastori di Arcadia costumavasi quando salvavano l'agnello dalla bocca del Lupo.

 

Lettera diretta ai signori del Municipio, dimostrativa gli ostacoli sconsigliati opposti dal Ministro dello Interno ai partiti di Polizia da me suggeriti e fatti adottare.

«Illustrissimi Signori,

Ci ha recato maraviglia non piccola la Ministeriale comunicataci dalle VS. Illustrissime intorno ai partiti che abbiamo dovuto prendere onde tutelare la pubblica sicurezza.

Certamente la mole delle faccende fu colpa dell'oblio di S. E. il Ministro dello Interno.

Noi e Voi, o Signori, nello arrestare persone sospette, pregiudicate, e in parte trasgressore dei precetti ricevuti, abbiamo proceduto non per vie eccezionali, ma in virtù della Legge del 26 novembre 1847, la quale, come si accenna nel Proemio, ha da durare fino alla pubblicazione del regolamento organico di Polizia.

Le attribuzioni da noi adoperate si contemplano nello Art. 2 della allegata Legge.

La pratica poi viene in conferma di quanto affermiamo, imperciocchè dai Protocolli della Delegazione di San Marco consideriamo una serie non interrotta di processi e di risoluzioni di simile natura con le quali - per misura di prevenzione reclamata dalle loro pregiudicate qualità - furono condannati parecchi individui a dimora coatta di 4, 6, 8 mesi, e allo esilio per 3, 4 e 6 mesi, con la comminazione trasgredendo di reclusione nella Casa di Forza di Piombino.

Egregiamente commetteste la compilazione dei processi alle Cancellerie dei Delegati di Governo, così ordinando l'Art. 9 della rammentata Legge.

Solo rimanevaci il dubbio se per l'Art. 1, la Commissione preposta a conoscere e deliberare intorno cotesti fatti avendosi a comporre del Governatore e degli Assessori legali, essendosi dispersa, in Voi risiedessero le facoltà alla medesima conferite: ma siccome ripensandovi sopra, le facoltà tutte governative troviamo essere a VS. partecipate, e considerando ancora che il provvedimento di cacciare via dalla città uomini perversi e rotti ad ogni maniera di delitti è legge suprema di sicurezza, così noi vi preghiamo avvertire S. E. il Ministro che voglia coadiuvarci con tutti i nervi nelle misure che saremo per prendere.

Il ristabilimento dell'ordine è a questi patti, e andiamo sicuri che nella sua alta perspicacia il Ministero sarà per accettarli.

Ci valghiamo poi della occasione per richiamare la grave avvertenza del Ministero intorno alla necessità di vestire presto la Guardia Municipale: temiamo che abbia a perdere della rispettabilità sua; e consumata anche questa forza noi riusciremmo poveri di consigli e non sapremmo a che cosa ricorrere; - e intorno allo altro fatto del cacciatore a cavallo Berni: queste mene perniciosissime non possono tollerarsi, e mantengono sempre vivo lo Stato di suspicione del Popolo contro il Governo, che noi tutti ci affatichiamo con indefesse cure sopire. Tanto per governo delle SS. VV. Illustrissime, mentre ci confermiamo

Livorno, 26 settembre 1848.»

 

Lettera al Commissario di Guerra intorno alle sofisticherie ministeriali per le spese della Municipale.

«Illustrissimo Signore,

Le accludiamo lettera del capitano Roberti, e le facciamo osservare che S. E. il Ministro dello Interno avendo consentito a pagare la Guardia Municipale è venuto implicitamente a consentire il pagamento delle spese accessorie. Ora se il pagamento del soldo è appoggiato al Commissariato, come razionalmente deve non appoggiarsegli la soddisfazione di queste altre spese? Per l'amore di Dio non creiamo altre difficoltà, che noi ci anneghiamo dentro. Letto che l'abbia si compiacerà ritornarmi il foglio Roberti.

Le recheranno la presente due ufficiali che vogliono foglio di rotta, e paga per ripartire. Con Ministeriale di stamane S. E. il Ministro dello Interno concede al Municipio sussidiare tutti i Volontarj che tornano a casa entro i limiti del bisogno, per rivalerci sopra il Governo. Per iscansare inutili giri, e poi perchè noi non vogliamo maneggiare danari, e finalmente perchè poco adatti a distinguere quello che si meritano, reputiamo prudente inviarli immediatamente a VS.

E con vera stima ci confermiamo

Livorno, 27 settembre 1848.»

 

Lettera al Gonfaloniere relativa alle compagnie dei ladri, e alla insufficienza delle misure dal Ministero prescritte. Raccomandazione a non attraversare. Fiducia della classe commerciale al Governo; imprestito offerto al 4 per %.

«Illustrissimo signore Gonfaloniere,

Si compiacerà avvertire S. E. il Ministro dello Interno che in quanto alla prima parte del suo Dispaccio ci referiamo alla nostra di ieri; e di più aggiunga come valendoci dei pochi mezzi che stanno in potestà nostra noi eravamo giunti a penetrare come s'intendesse comporre in Livorno una compagnia di ladri giovandosi dello scompiglio che immaginarono crescente. Ora in così grave emergenza la misura indicata nella Ministeriale non basta, sia perchè la nostra Guardia Municipale è scarsa e insufficiente a tanta faccenda, sia perchè si tratta dovere procedere con gente audacissima e capace di ogni estremo partito.

Noi che stiamo sul luogo, conosciamo la materia e imploriamo che ci lascino fare, sempre che le disposizioni che saremo per prendere non si allontanino dalla legalità, e fin qui ci sembra avere dimostrato che non ce ne siamo dipartiti. Bisogna allontanare questi facinorosi dalla città. Per le altre cose tutte parci bene quanto ci suggerisce la Ministeriale, e sarà osservato con diligenza. Pensiamo che giovi eziandio avvertire il Ministro come le cose procedano di bene in meglio, e della fiducia riposta nell'attuale Governo dalla classe commerciale, e della carità patria mostrata in sovvenirci in tanta strettezza di danaro al modico cambio del 4 per %, e questo ne sia pegno della opinione di sicurezza che impera quaggiù. E con questo la riveriamo.

Li 27 settembre 1848.»

Corriere Livornese, 18 settembre 1848, e numeri antecedenti; Atti del Municipio.

 

Corriere Livornese, 5 settembre 1848. «Le nostre osservazioni non sono dirette contro l'ottimo Principe, ma contro i Ministri che sono responsabili del linguaggio che gli fanno tenere.»

 

Corriere Livornese, 6 settembre 1848. «Il Guerrazzi non prendendo consiglio che dal suo cuore, e desiderando vedere pacificata la sua patria, mostrò i mali di una divisione di Livorno dalla Toscana, separò la causa del Principe da quella del suo Ministero, invocò il sussidio della Religione.»

Corriere Livornese, 12 e 16 settembre 1848.

«Per buona ventura, se il Principe non trovava a Pisa le armi dei cittadini, che vi aspettava, vi trovò il rispetto, e lo amore dei suoi sudditi, il quale non gli verrà meno giammai, perchè tutti sanno che egli non può nè deve corrispondere degli sbagli dei suoi Ministri.

Crediamo poi, che la bontà e la clemenza di questo nostro Principe sia tanto elevata e grande da non limitarsi alla disapprovazione dello abuso del potere, ma sibbene anche da renunziare piuttosto al diritto della sua sovranità prima di ordinare lo spargimento di nuovo sangue cittadino.

Il Principe e il suo Governo, sempre sotto le medesime formule, e con la stessa religione promettono non inviare forza alcuna contro la nostra città..... il nostro Principe piange il suo scettro intriso di sangue contro la sua volontà, e contro ai suoi ordini

Corriere Livornese, 12 settembre 1848.

«Un nome solo conosce ed onora la Italia fra tutti quelli che compongono il Ministero attuale, quello di Gino Capponi....

La dignità del Principe, e la salute della Nazione richiedono che..... si conservi il solo Capponi.....

Nonostante non lo crediamo, riuscendoci acerbissimo supporre che un Ministero il quale assume il titolo da un Gino Capponi abbia ordinato si mitragliasse una città innocente.»

Parole del Ministro dello Interno.

Vedi Relazione officiale diretta al Ministro dello Interno il 28 settembre 1848 dai signori Tartini, Bandi, e Duchoqué.-(Documento dell'Accusa pag. 677.) «Il signor Guerrazzi, cercato e interpellato, emise la sua opinione, ma offerse accompagnare gl'inviati del Governo, dichiarandosi pronto a parteciparne le fortune. Ciò è taciuto nel Rapporto.» - (Corriere Livornese del 30 settembre 1848.)

Vedi lettere del Montanelli nei Documenti dell'Accusa, a pag. 16.

Vedi Documenti dell'Accusa, a pag. 36, 39, 679.

Vedi Documenti dell'Accusa, a pag. 679.

Vedi Documenti dell'Accusa, a pag. 30.

Fra i Documenti dell'Accusa, pag. 679, trovo questo Manifesto.

«Amici e Fratelli.

Le vostre domande furono soddisfatte. L'oblio con la formula completa da voi desiderata venne concesso. I poteri eccezionali gittati come un velo sopra la faccia della Libertà, saranno tolti per non rinnovarsi mai più.

Io spero che voi abbiate così meritato ottimamente della Toscana, e quella ve ne sarà grata.

Io mi allontano da questa amatissima terra con la persona; col cuore rimango fra voi. Avrete a governarvi Giuseppe Montanelli, nome caro ai buoni; per detti e per fatti bello ornamento della Patria. Amatelo, riveritelo. Se voi avete fiducia in lui, com'egli ha fiducia in voi, la opera della quiete dignitosa e con sicurezza sarà confermata; opera alla quale non io, ma la bontà, la temperanza, e la egregia indole vostra tanto potentemente hanno contribuito. Addio.

Livorno, 4 ottobre 1848.

F. D. Guerrazzi.»

A questo accennano l'espressioni della lettera del sig. Gonfaloniere Fabbri del 9 ottobre 1848 stampata a p. 23 nei Documenti dell'Accusa: «Sto preparando cosa, che ti sarà gradita; adesso non voglio dirti nulla....» Nel medesimo Documento occorre quest'altro periodo: «dimani comunicherò ai miei Colleghi la tua lettera, e sono certo che sarà da loro bene accetta tanto per la sua forma materiale, che spirituale.» Il sig. Gonfaloniere, richiesto, mi aveva fatto sperare copia delle Deliberazioni del Municipio di Livorno che mi riguardano, e le lettere private a lui stesso dirette, onde me ne valessi nel presente bisogno; - mi duole che non abbia potuto mandarmi queste carte per difetto di superiore permesso.

Documenti, pag. 9.

Monitore del 6 febbraio 1849.

Però importa avvertire in proposito, che se il Ministero mi avesse lasciato in Livorno, nè vi sarebbe venuto Montanelli, nè la Costituente sarebbe stata bandita, il Ministero approvante.

Vedi Documenti dell'Accusa, pag. 456. Dispaccio telegrafico del Gonfaloniere di Livorno al Ministero.

L'Accusa sembra ritenere autore il Montanelli dell'articolo stampato nella Italia; anche in questo s'inganna: esso appartiene a certo Professore della Università di Pisa, di cui taccio il nome per amore di pace.

Vedi Documenti dell'Accusa, a pag. 899.

Giuseppe Massari si recava a visitare per sè, e per parte di Vincenzo Gioberti, il nostro concittadino F.-D. Guerrazzi il quale si affrettò a recarsi da lui...» - (Corr. Livornese, del 25 Maggio 1848.) - Per avventura il signor Massari veniva a visitarmi mosso dal desiderio medesimo, che conduce quei strani cervelli degl'Inglesi a vedere Gasparone in Civitavecchia? - Avverta, che io conservo il suo biglietto lasciato sul mio banco, me assente, dettato di cortesi parole quali il signor Massari sa usare allorchè di tratto in tratto lo prende vaghezza di mostrarsi onesto, e gentile.

Io non ricordo tutte le persone presenti alla conferenza narrata; in nome della onestà le prego a mostrarsi per renderne testimonianza.

Seduta del dì 13 ottobre 1848.

«Adunati servatis servandis

Gl'Illustrissimi Signori Gonfaloniere, e Priori componenti il Magistrato della Comunità di Livorno, in numero sufficiente di sei per trattare:

Essendosi questa mattina adunata sotto il Palazzo Comunitativo una quantità di Popolo con bandiere e tamburi, unitamente alla Banda Civica, ed avendo presentato un Indirizzo del seguente tenore:

(Qui è riportato l'Indirizzo del Popolo.)

Il Municipio adunatosi per urgenza,

Considerando essere indispensabile al bene del paese e dell'intiera Toscana, che il nuovo Ministero sia composto di uomini adattati ai tempi ed aventi la pubblica fiducia;

Considerando che il Popolo di questa città accenna il desiderio che sieno eletti a detto ufficio l'attuale nostro Governatore Montanelli e l'Avvocato Guerrazzi;

Considerando che mentre da un lato il Municipio ritiene essere prerogativa Regia la nomina dei Ministri, e che conseguentemente la loro Elezione deve emanare dall'animo del Principe, dall'altro lato ravvisa che senza offendere la detta prerogativa potevasi rappresentargli il voto del Popolo;

Perciò Delibera:

Di accogliere l'Indirizzo succitato del Popolo come semplice espressione di un desiderio, e di farsi organo, onde tale manifestazione pervenga all'Ottimo nostro Principe.

E quanto sopra è stato approvato ad unanimità.

Per Copia ec.

 

Il Gonfaloniere

Avv. L. Fabbri.

 

Il Cancelliere

J. Ceramelli.»

Prova manifesta che quantunque benevole le disposizioni a favor mio, per certo da me non provocate, non avrebbero avuto virtù di costringere persona, ha pure registrata nel suo volume l'Accusa. Parte del Municipio invitando il Governo a mandare Governatore in Livorno sollecitava in nome del Popolo cotesto ufficio per me; il Ministero ricusò; io mi partii da Livorno, e Montanelli fu accolto. I Documenti a pag. 679 narrano così: «Questa mattina (4 ottobre, 11 ant.) sono stati affissi per tutte le contrade della città proclami stampati che esprimevano un voto perchè Guerrazzi fosse eletto Governatore, Montanelli Ministro. È tornata la Deputazione da Firenze, ma le risoluzioni che ha portato non sono state di piena soddisfazione, giacchè alcuni del Popolo che amano Guerrazzi avrebbero voluto vedere in qualche modo ricompensate le sue tante cure pel bene di Livorno.... - In Piazza vi sono grandi attruppamenti di Popolo attendente che venga affissa la officiale risposta portata dalla Deputazione; non so come verrà accolta; forse il Popolo si calmerà, e sacrificherà alla quiete del paese l'uomo da lui amato, ed in cui aveva riposta grande fiducia. - (Ore 3 pom.) Guerrazzi è già partito alla volta di Firenze lasciando uno addio al Popolo, ch'è stato affisso in istampa per tutti i canti e che t'invio. Questa repentina partenza ha fatto molta sensazione. Intanto gli scritti aumentavano per le vie, tutti esprimenti il desiderio, che Guerrazzi fosse eletto Governatore ed il Montanelli Ministro. - (Ore 4 pom.) Il Gonfaloniere..... ha detto, che la Deputazione tornata da Firenze portava l'annuenza del Governo a tutto quanto domandava la città, tranne però la nomina del Guerrazzi a Governatore. - Il Gonfaloniere ha quindi dimostrato la necessità di accettarlo (il Montanelli), ed il Popolo ha aderito

Eppure la opinione pubblica non era avversa al Ministero nostro, non dirò degli amici, ma degli avversarii, e degli emuli. La Riforma, foglio per certo a noi non parziale, scriveva: «Il nuovo Ministero fu accettato come termine di agitazione rovinosa, e come pegno di tranquillità.» - (3 novembre 1848). - Il Nazionale, che fece professione di Costituzionalismo anche in mezzo alla procella repubblicana, si esprime sul conto nostro in guisa da far comprendere due cose: che potevo aspettarmi l'appoggio anche della passata Assemblea, e che gli agitatori si reputavano non istrumenti, ma nemici del Ministero:

«Noi crediamo che il presente Ministero potesse presentarsi anco alla passata Assemblea, ed averne quell'appoggio che nessun uomo ragionevole deve negare a chi governando il paese chiede per il paese cose necessarie e veramente utili. Molto più pensiamo, che oggi egli sia per ottenere questa giusta cooperazione. - Diciamo molto più; non solamente perchè alcuni atti del Ministero hanno attenuato le sinistre prevenzioni destate al suo nascere; ma perchè i furibondi, che hanno dato con le loro grida e co' loro fatti alla santa parola di democrazia un senso contrario al suo senso nativo, e un senso non accettevole nè dagli onesti nè dai sensati, hanno persuaso l'universalità, che il Ministero non può secondare costoro senza distruggere sè medesimo.» - (Il Nazionale, 2 dicembre 1848.)

L'Atto di Accusa, § VIII, cita in parte la lettera del Pigli dell'11 ottobre; a che fine l'allega? Essa contiene una dichiarazione di principii; e quali sono eglino? L'applicazione sincera della Costituzione. Egli mi conforta a sperare, che il Governo presto entrerà nel mio sistema: aggiunge, il Ministero attuale non potere durare; repudiarlo il paese; tornassi a Firenze, assistessi con attenzione al Dramma, e fossi presente quando sarei chiamato. È un Deputato della Opposizione, che scrive ad altro Deputato della Opposizione. Che cosa contiene la lettera, che perfettamente regolare non sia? - Non di Costituente vi si ragiona, nè di Repubblica; non di maneggi, non di dimostrazioni, non di concerti illegali; ma di speranza che il Ministero mutasse, e di chiamata mia ad attuare il sistema della sincera Costituzione. Questa lettera non solo non ha nulla che mi pregiudichi, ma non ha nulla che non mi favorisca. Io pertanto l'accetto; quantunque non possa astenermi da domandare: e dove mai l'Accusa apprese il costume di costruire laboriosamente l'edifizio delle sue imputazioni sopra atti che non si partono da me?

Il Conciliatore (organo semi-ufficiale dei precedenti Ministeri Ridolfi e Capponi) del 22 gennaio 1849, parlando delle diverse voci correnti in quel giorno, avverte come alcuni dicessero, che il Ministero avrebbe presentato egli stesso la legge: «e così dovrebbe essere, egli soggiunge, giacchè il Ministero entrò al Potere con questo programma, e mal si comprende come oggi lo consideri lettera morta, e se lo lasci imporre dal Popolo

Ho presentato a S. A. rispettosa Istanza, onde si degni autorizzarmi a manifestare le conferenze ch'ebbi l'onore di tenere con lui.

Non rechi maraviglia se io pongo i sentimenti di lingua a pari di quelli di religione gagliardi: tali essi sono più che altri non pensa; e comecchè con qualche esagerazione, Paolo Bourgoing, in certo suo opuscolo che ha titolo - Guerra d'idiomi e di nazionalità, non dubitava attribuire il precipuo motivo della guerra tra Magiari e Slavi alla pretensione dei primi d'imporre il proprio linguaggio ai secondi.

E la Costituente montanelliana dalla stessa Opposizione salutavasi splendida e generosa.

«Intanto fu lanciata in mezzo d'Italia la bandiera della Costituente. Noi ne apprendemmo allora tutti i pericoli. Assentimmo in genere l'idea, perchè a tutto quello ci siamo proposti assentire che conduca al fatto che propugnamo, la Nazionalità Italiana. - Credemmo più splendida e generosa l'idea del Montanelli; credemmo praticamente esser meglio possibile l'idea del Gioberti che si moveva dal fatto, lo rispettava, e non lo contradiceva.» - (Conciliatore, 14 gennaio 1849.)

Atto di Accusa a pag. 77.

Art. 12. «La Costituente italiana avrà due stadii: il 1° anteriore, il 2° posteriore alla cacciata dello straniero. Tutte le quistioni di ordinamento interno della Nazione non si dovranno agitare se non che nel secondo stadio, poichè alla loro risoluzione è richiesto il voto di tutto il Popolo italiano, gran parte del quale non potrà eleggere i suoi rappresentanti finchè geme nel dolore della servitù straniera. La Costituente del primo stadio deve occuparsi di tutti i problemi, che si riferiscono direttamente o indirettamente allo acquisto della Indipendenza. Essa impedirà quello sparpagliamento di forze, che fu la causa principale dello esito infelice della ultima guerra. A tale effetto la Costituente, potrà incominciare le sue operazioni appena due Stati italiani si sieno intesi per iniziarla

«Art. 13. § 3. Se vanno d'accordo, che le quistioni di ordinamento interno si aggiornino tutte fino alla cacciata dello straniero, senza che alla Costituente iniziatrice sia vietato preparare gli elementi per la loro più facile soluzione.» - Potrei citare altri atti, ma questi spero che basteranno.

Il Popolano dell'8 novembre 1848 riporta un articolo dallo Indipendente di Venezia, che critica il Programma Ministeriale, dicendolo «un po' pallido, un po' cattedratico, un poco troppo pacifico;... che se vi è abbastanza per la libertà civile e pel progresso morale della Toscana, vi è nulla o poco più di nulla per la guerra ec.» E continua con l'invitare i Circoli Toscani a spingere il nuovo Ministero per la via rivoluzionaria; perchè, siegue: «Ci sembra poi di una estrema gravità il riserbo che i nuovi Ministri si prefiggono nel loro Programma rispetto alla Costituente Italiana, per cui si limitano a tenere alzata la bandiera ed a richiamare del continuo l'attenzione dei Principi. A noi pare non sia tutto il da farsi, ma che anzi si aspetti e si voglia molto di più. Perchè dove si tratta dei grandi destini di tutta una Nazione, bisogna voler riuscire ad ogni costo, e non basta il dire: se non riesciamo, la colpa non sarebbe nostra. La questione non è di colpa o di responsabilità; la questione è della sorte di 23 milioni di persone.»

E finisce con lo spronare i popoli a forzare i Governi alla accettazione piena della Costituente Italiana.

Il medesimo Popolano dell'11 gennaio 1849, il quale rende conto del Discorso della Corona proferito all'apertura delle Assemblee, così si esprime: «Ciò che riguarda la Costituente in questo discorso è anche più incerto e più dubbio di quello che sia permesso ad un discorso di apertura.»

«Non ci voleva altro che il S......... od uomini della sua stampa o della sua scuola per trovare sovversivo un Discorso (della Corona) che tutta Italia ha ormai letto e compassionato pel suo languore, per la sua sconfortevole pallidezza, per la povertà delle sue promesse, per quel suo camminare a ritroso, che è sempre stato, e sarà sempre, il camminare abituale dei Principi.» - (Frusta Repubb., 14 gennaio 1849.)

«Se nel Discorso di apertura del Parlamento Toscano, che riferimmo ieri, dovessimo trovare il riflesso della politica passata e il disegno della politica avvenire del Governo, saremmo imbarazzati assai. Piuttostochè andar pescando nel vago delle frasi..... preferiamo attendere gli atti del Ministero innanzi al Parlamento, - e attendiamo.» - (Il Nazionale, 11 gennaio 1849.)

«Ecco il Discorso della Corona che nella sua circonvoluta e sospesa espressione, per poca nitidezza di esposizione ed evidenza di concetto, non riflette largamente i principii e le idee incarnate dall'attuale Ministero, professate dal suo Programma e dalla conseguente condotta. Quantunque l'importanza di tali manifestazioni politiche vada decadendo ogni dì più, e la coscienza del Popolo siasi educata a riguardare piuttosto ai fatti che ai Programmi ed alle parole; pure desso era aspettato con ansia interessata da tutte le parti, intente al movimento del paese, alla influenza che la potente iniziativa toscana esercita, e deve mantenere, sulla universa Italia.» - (La Costituente Ital., 11 gennaio 1849.)

«Ora adulando il Governo in cose, che nessuno lodò, anzi biasimò (come nel Discorso della Corona per l'apertura delle Camere)....» - (Corriere Livornese, 9 Marzo 1849.)

Odasi un po' come il Conciliatore cotesti miei sforzi annunciasse.

«Qualche dissidio si manifestò tra i Deputati sull'ordine del giorno, in quanto che ad alcuni piaceva di far mostra di zelo esagerato in pro di una votazione di urgenza.» - (Il Conciliatore, 23 gennaio 1849).

Ma allora era così. Ai Deputati faceva mestieri di freno, non di sprone. Si chiarisce dunque per vero quello che disse il Deputato Socci, avere la Camera votato di gran cuore la Legge intorno alla Costituente? - La Frusta Repubblicana, sempre intenta a insinuare perfidamente la diffidenza fra il Popolo sul conto mio, rilevava coteste parole, e commentandole diceva: «Il Ministero rampognò...... nel modo stesso che aveva rampognato coloro, che per ossequio al Popolo pretendevano nel giorno della presentazione della Legge per la Costituente, prima doversi decidere, che discutere, prima affermare, che riflettere.» - (N° del 28 gennaio 1849). - Dalle quali parole però si conosce quanto consuoni al vero il sospetto dell'Accusa, che io mi accordassi col Circolo per sollecitare la presentazione di cotesta Legge.

Il Conciliatore, di cui uno dei Collaboratori sostenne alla Camera, che il mandato dovesse dichiararsi con una Legge, nel N° del 23 gennaio 1849 così discorre in proposito: «Il Ministero in questo aveva ragione; giacchè, partendo dai suoi principii, il mandato doveva essere quale sarebbe uscito dal suffragio universale, non quale voleva farlo l'Assemblea. Non il Governo colle sue istruzioni, come sosteneva il Ministro dell'Interno, non l'Assemblea con una Legge, come pretendeva la Commissione, ma gli Elettori soli avean diritto di assegnare, se volevano, i limiti del mandato conferito ai loro eletti.»

Nei consigli del Conciliatore è evidente essersi operata variazione. Io però persisto a dire, che il mandato doveva per necessità temperarsi e moderarsi, pei motivi discorsi, dalle istruzioni del Potere Esecutivo. Intanto giovi sempre più confermare quello, che allora era chiaro anche per confessione dei nostri oppositori: «Però adesso del secondo stadio della Costituente non può parlarsi; lo hanno detto e ripetuto i Ministri.» - (Discorso del Deputato Galeotti; vedi Tornata del 2 gennaio 1849.) - E veramente era così.

La Riforma di Lucca, in data 8 novembre 1848, dietro una sua corrispondenza così si esprime:

«Si parla, e par certo, che gravi dissidii si sieno elevati fra Montanelli e il cittadino Ministro dell'Interno. Anche Adami pare che ne abbia assai del Ministero.»

Il Conciliatore del 22 gennaio 1819: - «Ieri correvano voci di dissoluzione del Ministero, ed alcuni ne davano per ragione le differenze insorte fra i Ministri in proposito della Costituente.»

Viva lo Impellicciato, viva lo Impellicciato! urlò il Popolo re. Ma per bacco, esclamò uno degli spettatori, sbaglio, o gli spunta il codino? - E qui nacque un parapiglia, perchè tutti volevano vedere il codino dello Impellicciato. - Non vi faccia specie (sorse allora a dire il saltimbanco credendo di calmare la effervescenza); se gli spunta il codino, non è colpa sua: è colpa dell'aria che si respira sopra certe seggiole..... non mi capite? Chi sa, che coll'andare del tempo quel codino non cresca e diventi coda! - A queste parole nacque un casa del diavolo: abbasso i codini, non vogliamo codini, abbasso lo Impellicciato! si gridava da tutte le parti; era una tempesta di fischi e di urli degna proprio del Popolo re.» - (Vespa, 12 dicembre 1848.) - Questo è il Giornale, che dall'Accusa merita il nome di generoso! - Il Popolano dell'8 gennaio 1849, accennando a me, diceva:

«Al democratico che si accosta al Potere vedesi perciò accadere il fenomeno opposto che accadeva ai paralitici, nei tempi in cui eran di moda i miracoli, allorquando accostavansi alle sante reliquie. Questi riacquistavano le forze ed il vigore, mentre colui s'infiacchisce subitamente al pernicioso contatto

E questo per l'Accusa è il Giornale reprobo! E sì, che, non fosse altro, lo insulto esprime con garbo meno plebeo del generoso figlio della sua predilezione:

 

Han gli stessi delitti un vario fato:

Questi diventa re, quegli è impiccato!

Vedi Giornali romani del tempo; in ispecie il Contemporaneo.

Il succitato Ministro ha avuto un abboccamento con Terenzio Mamiani sul vapore Mentore.» - (Corriere Livornese del 22 nov. 1848.)

Vedi Monitore, Seduta del 23 e 24 gennaio alla Camera dei Deputati.

Gazzetta di Firenze, 17 agosto 1848.

L'Accusa repubblicana, o piuttosto quella che si chiamava repubblicana, ecco come faceva aspro governo delle mie parole dette alla Tornata del 22 gennaio 1849.

«Il Ministro Guerrazzi veggendo come quelle vuote spelonche, che fanno le veci di cuore alla massima parte dei Deputati, non avessero eco per questo nome, vi ha aggiunto quello di Leopoldo II! Siano perdonati i pleonasmi al Ministro Guerrazzi, purchè ne faccia pochi, e que' pochi a fin di bene!

Ha detto il Montanelli, e nobilmente detto, che: - se al bene della Italia converrà che la Toscana sia, la Toscana sarà..... Se alla Nazione italiana sembrasse diversamente, chi siete voi che vorreste resistere al voto di 23 milioni? La parola solenne d'Italia è l'arbitra suprema di tutte le prerogative. -

E questo doveva bastare per una Assemblea di Deputati Italiani: ma siccome in cotesta Assemblea ve ne hanno degli Austriaci, anzi dei Croati di purissimo sangue, ai quali simili parole sarebbero sembrate una ragione di più per opporsi al pieno sviluppo del concetto informatore della Costituente, il Ministro Guerrazzi ha creduto ben fatto il soggiungere: (Qui si riportano le mie parole un cotal poco alterate, poi si riprende:)

Noi lo ripetiamo; se queste parole debbonsi riguardare come un ingegnoso espediente per combattere l'astuzia, il cavillo e la ignoranza, noi le accettiamo come si accetta una trista e penosa necessità. Ma se debbonsi considerare come professione di fede, come programma non di Ministro ma d'Italiano, noi che siamo schietti e leali, e impavidi Repubblicani, noi che lo fummo ieri, che lo saremo domani e sempre, siamo obbligati dalla nostra fede a combattere la sfiducia e la diffidenza del Ministro Guerrazzi, e a dirgli che l'ora è suonata, sol che al Popolo piaccia consultare l'orologio ove le ore della sua vita hanno funzioni assegnate, non dai Principi e dai Ministri, ma da Dio.

La Costituente non deve e non può che costituire l'Italia, non già questa o quella provincia di essa a danno dell'una o dell'altra. Che cosa ha voluto il Guerrazzi far capire all'Assemblea con quelle parole che dovevano bruciare le labbra repubblicane dell'autore dell'Assedio di Firenze? Forse ha voluto insinuare la speranza che porzione di quelle terre, su cui passeggia un soldato con in petto la croce sabauda, o un frammento di quelle sulle cui bandiere sarebbe tempo per Dio! si scancellassero le chiavi simboliche della schiavitù delle genti cristiane, potessero accrescere di un miglio, di due, di quattro quella frazioncella d'Italia che si chiama Toscana?... Forse, nuovo Gioberti, come questo apostolo di menzogna volea porre sull'avvilita fronte del suo re la corona dell'Alta Italia, vagheggiava egli lo arcadico concettino d'una corona della Italia Centrale?.... Compirebbe questa la triade delle Italie reali che successivamente furono create dalla male ispirata fantasia dei sostenitori del decrepito e anticristiano principio monarchico.

La sorte avuta dalle due prime utopie, l'utopia di una Italia del Nord sotto il giogo di un Carlo Alberto, l'utopia di una Italia del Sud sotto la verga di un Re Bombardatore, bastano a far sorridere di compassione o sogghignare d'ira allo affacciarsi di questo terzo progetto, ultimo letto sprimacciato alle morbide ambizioni reali.... Ma cotesta menzogna, per quanto pietosa, svela pur essa il verme che rode cotesto magnifico arbore della Costituente, e il quale forse rendeva caduchi i suoi fiori, abortivi i suoi frutti, nella prima fase dello sviluppo.» - (Popolano, 23 gennaio 1849.)

Giulio II coll'elmo in testa fu veduto allo assedio della Mirandola osteggiando i Francesi, ed è fama che Leone X morisse di allegrezza nel sentire ch'erano stati cacciati fuori del Milanese.

Che fosse inteso da tutti così lo dimostrano le parole del signor Galeotti nel discorso letto nella Seduta del 23 gennaio: «però adesso del secondo stadio non può parlarsi; lo hanno detto e ripetuto i Ministri; ma bensì del primo stadio di essa.» - (Documenti dell'Accusa, pag. 779.)

La discrepanza è manifesta qualora si confrontino le risposte del Montanelli e mia al dubbio espresso dal signor Lambruschini. - (Vedi pag. 789 dei Documenti dell'Accusa.) - Ora il dubbio espresso dal signor Lambruschini era tale, che per le parole del Montanelli doveva confermarsi, e quindi farlo persistere nella minacciata astensione di concorrere col voto al principio, che si pregiava avere professato, ed amato; all'opposto per le parole mie doveva dileguarsi affatto, e si dileguò, però che meglio alle mie fidandosi, come quelle che rappresentavano gli umori dei Toscani, e le condizioni dei tempi, concorse liberamente col voto alla deliberazione della Legge su la Costituente.

Non è puleggio da piccola barca

Quel che fendendo va l'ardita prora,

Nè da nocchier, che a sè medesmo parca.

 

Dante, Par. XXIII.

Aggiungo adesso, perchè prima non mi era potuto procurare, l'Avviso col quale il Direttore della Posta di Livorno pubblicava il mio ordine del 29 ottobre 1848 intorno alla Patria:

«Il Direttore della R. Posta di Livorno riferite senza ritardo alla Generale Sopraintendenza delle RR. Poste le istanze popolari esternate con la Dimostrazione nella sera del 28 corrente, concernenti il Giornale La Patria, mentre annuì alle medesime, si fa ora carico di comunicare al Pubblico conforme gli fu ingiunto la partecipazione ricevuta dal signor Consigliere Ministro dello Interno del tenore ec.»

Parole dello Indirizzo della Magistratura fiorentina al Ministro di Grazia e Giustizia, del 12 marzo 1849.

Si è sparsa voce, che 400 Svizzeri sieno alle Filigare pronti a transitare per la Toscana. - Si è pure sparsa la voce, che gli Svizzeri invece di portarsi a Gaeta si condurrebbero per via sicura alla città di Siena. Comunico queste voci perchè il Governo, se può, le smentisca.» - (Dispaccio telegrafico Pigli, 2 febbraio, ore 1, m. 45.) - Deliberazione del Municipio Fiorentino, del 3 febbraio, di mandare Deputati al Granduca, motivata l° sul dubbio che l'assenza di S. A. da Firenze non abbia il carattere di precarietà; 2° su la necessità, che il Capo Supremo dello Stato stia presso la Rappresentanza nazionale, e presso il centro della pubblica Amministrazione, massime in tempi si gravi. - Il Circolo Fiorentino manda nel 5 febbraio 1849 uno Indirizzo per rimproverare il Ministero di non avere seguito il Granduca e domandato il suo ritorno a Firenze. - Questa deliberazione del Circolo è contraria alla lettera diretta dal Mordini a L. Corsi di cui si giova l'Accusa: invero quella dichiara proporsi la dimissione del Ministero verso il 5 febbraio; questa nel 5 febbraio rimprovera il Ministero di non avere seguitato il Granduca a Siena; e ciò parmi prova, che tra loro non fosse determinato disegno.

In qualche scritto moderno, e fiorentino, ho letto affermare straniera questa voce, e da fuggirsi da chi professa amore al paterno idioma. Siffatta opinione comparisce erronea, imperciocchè la parola reazione occorra adoperata dal Cocchi scrittore elegantissimo, nei Discorsi Toscani, I. 3: «È manifesto, che per l'azione del bagno caldo e freddo, e per la reazione del corpo nostro si può risvegliare moto, ed impeto.» Onde io la ho accolta con tranquilla coscienza.

I trasporti a cagione della strada ferrata, i cappelli di paglia per le diminuite ordinazioni, ec. ec.

Livorno è agitatissima. Mi si dia qualche schiarimento in proposito: - le notizie che chiedo sono necessarie.... è necessaria immediatamente qualche notizia precisa, qualunque essa sia. Pigli.» (4 febbraio, ore 9. m. 15.) - «La città è in qualche agitazione. Mi si dice esservi per tal motivo molto fermento in Livorno, e a Lucca. Urge schiarimento per tranquillizzare il Popolo. Paoli.» (Pisa, 5 febbraio, ore 7, m. 15.) - Di Siena non parlo.

Documenti, a pag. 218.

La stampa, che sotto nome di repubblicana precipitava alla demagogia, così commentava la mia lettera poco fatidica invero:

«Diceva il Monitore Toscano, giornale officiale, or fa pochi dì, anzi soli due dì prima della fuga di Leopoldo d'Austria, di felice memoria, piacergli riferire una lettera che un amico suo scrivevagli di Roma: e in cotesta lettera così piacevole al Monitore, leggeansi le seguenti parole: - I buoni Italiani convenuti qui in Roma pare che abbiano deposto il pensiero di proclamare la Repubblica ecc.... - E il dì appresso veniva officiale novella della proclamazione della Repubblica a Roma, per opera di una grande maggioranza di voti nella Assemblea Costituente.

Tre dì dopo, due popolazioni affollate, e dirò tre, perchè eravi anco la truppa, fin qui formante popolo a parte, sulla Piazza della Signoria, riassunta al primitivo suo nome per l'atto migliore e più umano che giammai abbia operato l'Austriaco Leopoldo, - quello d'andarsene, - era gridato, non da una voce nè da due, ma da migliaia e migliaia: Viva la Repubblica! Ed il simbolo di essa volevasi piantare, se non fosse stato proibito, sulla Piazza rigenerata da quel nuovo battesimo di Popolo. -

Il Popolo di Firenze ha mostrato di sentire repubblicanamente al pari di qualunque altro Popolo: le tradizioni degli avi si sono in lui risvegliate per miracoloso istinto, ed egli oggi sorpassa d'assai in repubblicanismo il Governo, dacchè il Governo vien fuori a parlare di maturità e di opportunità, mentre il Popolo a tutti cotesti cavilli, altro non grida che Repubblica!

E Repubblica sia!» - (Frusta Repubblicana, 15 febbraio 1849.)

Altre lettere nel medesimo senso furono da me scritte; spero che i ricevitori vorranno mandarle al mio Difensore Avvocato Tommaso Corsi. Del fatto cui appella la lettera del sig. Bertani occorre traccia nel volume dell'Accusa, a pag. 476.

Niccolò Tommaseo, nome illustre in Italia, io non so bene se più per fama di lettere o per integrità di costume, passando per Firenze scriveami questo biglietto:

«N. Tommaseo desiderava attestare al Ministro Guerrazzi la sua gratitudine non solo per quanto egli fece e bramò per Venezia, ma per quanto egli parla ed opera in difesa di quell'ordine dignitoso e leale, fuori del quale non troverà che ignominie.» (Vedi Documenti, a pag. 540.) - Nonostante, l'Accusa sa che io fui elemento disorganizzatore. Forse glielo hanno detto i suoi generosi Giornali.

Della Democrazia in Francia, pag. 33. Bruxelles, 1849.

Fourier pretende fare questo, e dentro sei mesi. Egli calcola così: una dozzina di uova 10 soldi, e non è caro: fondinsi 600,000 falensterie; in ognuna possono alimentarsi 12,000 galline, che faranno l'uovo per 365 giorni dell'anno; ma posto lo facciano per soli 200 giorni (questo uom da bene ebbe avvertenza a tutto), ogni falensteria produrrà per franchi 500 di uova al giorno; annualmente, 100,000 franchi; tutte le falensterie insieme 60,000,000,000. Ora il debito inglese somma a 4 miliardi e 1/2 di Sterlini, o 135 miliardi di Lire. Dunque ce ne avanza. Il calcolo è giusto; rimane a trovare chi beverà uova!

Questo fenomeno ho letto osservarsi fisicamente anche nei detenuti alla carcere separata per dodici o diciotto mesi; però a Pentonville non permettono il subito trapasso dalla prigionia alla libertà assoluta, ma ritengono il detenuto per qualche giorno in mezzana libertà, onde senza danno della salute si assuefaccia all'aria aperta, e alla vista degli uomini e delle cose.

Questo brano di lettera mi fece copiare e mi rimise il signor Marchese il 12 febbraio 1848 con queste parole: «Ecco il brano della lettera al quale credo tu accenni. Il rimanente sarebbe inutile, tanto che nemmeno lo trascrivo, non che pubblicarlo. Per me non voglio la boria di averti fatto il sermoncino: tu giudica, se ti piace, che il brano qui sopra possa giovarti, e si pubblicherà; ma non senza licenza tua della quale vorrei conferma. Addio; ti scrivo in gran fretta; cura la tua salute.»

Memorie. Edizione di Livorno, pag. 11.

Edizione di Livorno, pag. 10.

Pag. 12.

Pag. 43.

Pag. 45.

Ivi.

Pag. 53.

Pag. 70, 71.

Pag. 75.

Rusconi, Repubblica Romana, pag. 166.

Vedi pagine 153 di questa Memoria.

Della Servitù d'Italia, pag. 188. (Prose politiche; Firenze, 1850).

Ivi, pag. 190.

Della Servitù d'Italia, pag. 189.

Quantunque il Popolano dell'8 gennaio 1849 parli in termini generali, dalla parte già citata di questo articolo si conosce come s'indirizzasse a me:

«E siccome ogni potere è di sua natura conservatore e moderatore, perciò noi veggiamo Ministri succedersi a Ministri, Governi a Governi, Assemblee ad Assemblee, scacciate impetuosamente le une dalle altre, e oppresse sotto il peso della pubblica riprovazione. Egli è che così deve avvenire, finchè la fase complementaria della nostra rivoluzione non sia compiuta: egli è che ogni potere odierno non può peranco rappresentare il vero governo democratico: esso non può accettarsi che, come un mezzo, non già come un fine; come una fase, un gradino per giungere alla vetta dello edifizio tutto intero, dal quale siamo tuttora così lontani da non poterne abbracciare collo sguardo la stupenda architettura e la magnifica ampiezza

E proprio non lo volevo dire; ma l'enfant terrible dell'Accusa io trovo che lo ha stampato nel suo Volume, però cessa il motivo del silenzio.

 

Mettendolo Turpino anche io l'ho messo.

 

Così va sovente scusandosi l'Ariosto, onde io giovandomi dello esempio di Messere Ludovico dirò:

 

Mettendolo l'Accusa anche io l'ho messo.

 

«Il Prefetto di Pisa al Governatore di Livorno. - Le comunico un Dispaccio telegrafico del cittadino Guerrazzi, che ricevo in questo momento. - Al Prefetto di Pisa. Uomini parte esagerati, parte male intenzionali, jeri codini, hanno spedito in diverse parti della Toscana per convenire giovedì a Firenze, e costringere il Governo a dichiarare la Repubblica e la Unione con Roma. Il Governo vuole si consulti il voto universale del Popolo, perchè tutto il Popolo ha da sostenere la Repubblica. Il Governo non intende farsi strascinare, e dichiara, chiunque presumesse violentarlo, traditore della Patria, sottoposto alla Legge del 22 febbraio 1849. Dia annunzio a Livorno, e faccia in modo che nessuno giovedì si muova.»

Ferdinando Zannetti nel suo esame dichiara: «egli solo si opponeva a tutti coloro che volevano la promulgazione del Governo Repubblicano, e della Unione con Roma.» - (Processo, a carte 2241, F. III.) - In certi punti pare che all'Accusa sieno cascate le cateratte.

Importa grandemente osservare in quante guise e con quanta perseveranza si fossero adoperati pessimi agitatori al fine avvertito. Non essendovi pervenuti, deliberarono afferrarmi per perdermi più tardi. Certo avrebbero amato piuttosto calpestarmi subito; ma le perfide insinuazioni non avevano partorito fin qui frutto bastantemente copioso. A pag. 148 di questa Apologia riportai le infamie della Vespa generosa, e del Popolano reprobo.

Fino dal novembre 1848 spargono voce, avere io mutato casacca, ed essere diventato capace di tirare sul Popolo; per lo che ebbi a scrivere per telegrafo a Livorno il 30 novembre: «Che cosa dicono di tirare sul Popolo? Da quando in qua sono io diventato parricida? Prudenza e vigore, e togliete ogni credito ai guastamestieri.»

Nel 5 decembre 1848, per telegrafo raccomando diffidassero dei rumori, «che spargonsi con leggerezza o con malizia contro di me.»

Nel 6 decembre 1848 gli agitatori fanno arrestare a Livorno i cannoni caricati per Firenze, col sospetto che dovessero usarsi a reprimere i turbolenti; io scrivo per via di telegrafo: «E che? Si teme che noi li vogliamo per mitragliare Livorno? Mancherebbe anche questa!»

«Il Popolo intende che i cannoni non si levino da Livorno, non avendo bisogno di sotterfugi.» - (Dispaccio telegrafico da Livorno, 6 decembre 1848.)

«P. accompagnato da una Deputazione mi ha detto: scriva che il Popolo non dorme.» - (Dispaccio telegrafico da Livorno, 6 dicembre 1848.)

«Circola a stampa, ed è affisso pei muri della città, un foglio ove si avverte il Popolo a stare in guardia, e a non permettere che i cannoni sieno trasportati altrove. Guardati, vi si dice, è un trabocchetto!» - (Dispaccio telegrafico da Livorno, 12 dicembre 1848.)

Fogli avversi si rinnuovano a Livorno, e la mattina del 23 si stracciano. - (Dispaccio telegrafico del 23 dicembre 1848.)

Torres, e le persone che si rammentano nei varii Dispacci da Livorno dal 6 al 24 dicembre 1848, si riaffacciano a Livorno per concitarmi contro lo sdegno del Popolo.

Di lettere anonime, minatorie la mia prossima strage durante il Ministero, ne avrei potuta comporre una collezione; me apertamente traditore chiamavano.

Insomma a tanto giunsero le inique arti, che, dopo avere incontrato nelle tardissime ore della notte appostato un uomo con la carabina sotto il pastrano, i miei amici mi persuasero a non avventurarmi più oltre, e S. A. ebbe la bontà di farmi apparecchiare alcune stanze in Palazzo Vecchio.

Queste erano le arti e le insidie durante il Ministero; più tardi quelle durante il Governo Provvisorio.

Di questo fatto basti per tutte la prova delle 12 Circolari mandate ai sigg. Capponi, Serristori, Capoquadri, Lenzoni, Ricasoli, Zannetti ec., con le quali s'invitavano a conferire meco a questo scopo. Ma di ciò altrove.

La popularitè veut esclaves ceux qu'elle semble choisir pour idoles, scrive Luigi Blanc parlando del Necker; - (T. 2, pag. 467; Parigi, 1847; e Luigi Blanc in fatto di moti rivoluzionarii è giudice competente.

Tolga Dio che io per difendermi accusi quei dessi che mi macchinavano contra; ma non posso astenermi da osservare con amarezza, che di questo fatto dovevano essere rimaste traccie abbastanza palesi per chiarirlo a mio vantaggio.... Ohimè! Tale non era lo scopo dell'Accusa.

Orlando Furioso, IV:

 

Sotto vasi vi son, che chiamano olle,

Che fuman sempre, e dentro han foco occulto.

Vedi Ragguaglio delle Sedute del 30 marzo e 2 aprile, nel Monitore, e nell'Alba. Quello che asseriva rimane confermato dal sig. Casamorata nelle Dichiarazioni riportate a pag. 341 e 179 del Volume dei Documenti. «Le guardie, che la milizia fornisce ai Poteri sovrani dal momento che comincia il loro servizio, si hanno come intieramente passate sotto l'autorità diretta dei Poteri stessi presso cui servono, nè da altri dipendono nè possono ricevere ordini fino a che non è finito il loro speciale servizio. Conseguentemente il Comando generale, cui venne ordinato genericamente, fino dall'apertura delle Assemblee, di fornire coteste guardie, altro non potè nè dovè fare, che porle intieramente agli ordini dei respettivi Presidenti..... - Il rispettivo Presidente o di per sè o per mezzo di un suo sottoposto scriveva al Generale Comandante la G. Civica, chiedendo quel numero di uomini, che secondo le sue idee giorno per giorno credeva necessario...... La Guardia si adunava, e si recava alla Residenza dell'Assemblea sotto il comando del proprio Ufficiale: questo, giunto sul luogo, si portava a rassegnarsi al Presidente, da cui direttamente o per mezzo dei Provveditori riceveva gli ordini relativi al servizio della Guardia. - Del resto, per detta mattina (8 feb. 1849) il Seggio dell'Assemblea aveva chiesto una guardia di 75 uomini, che però infatti riuscì di una sessantina.... la quale differenza si spiega considerando il repentino comando, e l'ora sollecita più dell'ordinario. - L'Archivista del Senato, chiedendo la Guardia, indicò esplicitamente il solito distaccamento.» - Questi Documenti ha pure stampato nel suo Volume l'Accusa, e non gli ha saputi leggere; il pievano Mainardi almeno nel suo libro leggeva! - Ma non è questo, che io voleva avvertire; egli è questo altro: - dunque si chiarisce vero: 1º Che la G. Civica del Parlamento non dipendeva da me. 2º Che da me non poteva nè doveva ricevere ordini. 3º Che se la mattina per tempo giunse a una sessantina, prima delle 11 ore, in cui l'Assemblea fu aperta, poteva completarsi. 4º Che dalla sessantina alle 75 richieste la differenza non corre tale da fare supporre che col rinforzo di 12 o 13 guardie avessero potuto fare maggiore resistenza. 5º Che è quasi certo, che non l'avrebbero fatto, se è vero, come racconta l'Accusa, che le Guardie riposero le loro baionette nel fodero.

Le truppe stanziali e le milizie cittadine della Capitale saranno sotto il comando del Comandante di Piazza e del Prefetto, i quali dovranno firmare ambedue qualunque ordine sieno per emettere.» (Ordine del Giorno del Ministro D'Ayala, 8 febbraio 1849.) - Don Mariano, interrogato, avrà già addotto le sue ragioni: io penso che fosse mosso appunto dal pensiero, che ognuno dei due ufficiali contemplati, dovendo assumere solo misura di tanto momento, non esitasse, e così le provvidenze riuscissero invano: comunque sia (e questo è nuovo segno dell'intemperanza dell'Accusa), chieste le ragioni del fatto dal Ministro della Guerra autore dell'Ordine del Giorno, e ritenutele soddisfacenti, però che a lui non ne abbia mosso rimprovero, essa continua ad obiettarlo a me, che non ci presi parte.

Quando avvenga, che la quiete pubblica della città sia turbata da sommossa popolare.»-(Ordine del Giorno, 8 feb. 1849. M. d'Ayala) - Il Comandante Colonnello Pazzi referendo di cotesto ordine, spiega che le Milizie stavano pronte a uscire dove il bisogno lo esigesse. - (Offic. del 21 maggio 1849.)

Monitore, Sedata dell'8 febbraio 1849.

Monitore, detta Seduta.

Monitore, detta Seduta.

Monitore, detta Seduta.

Monitore, detta Seduta.

Monitore, detta Seduta.

Monitore, detta Seduta.

Monitore, detta Seduta.

Conciliatore del 9 febbraio 1849.

Job, c. 6, V. 12.

L'Assemblea Costituente toscana nella notte del 27 al 28 marzo, mi volle onorato dello arduo incarico di governare esecutivamente lo Stato.

Quello che da uomo può farsi onestamente, per essere liberato da tanto peso, io feci: non essendomi riuscito affrancarmene, opererò quanto devo.

In ogni prova alla quale piace alla Provvidenza chiamare talora i Popoli due cose possono salvarsi sempre: la sicurezza e l'onore.

I pieni poteri, dei quali io sono rivestito, saranno da me adoperati non per offesa della Libertà ma per tutela del Paese. Di questo vadano persuasi i miei concittadini.

Firenze, 28 marzo 1849.

Guerrazzi.»

La lettera anonima diceva:

«Ill. Sig.

Scrivo in questo carattere perchè alla Posta non si faccia secondo il solito ec. ec. ec. - Io frequento molte, ma molte Società.... e qui la croce addosso a Guerrazzi..... guerra a morte..... Ecco i nomi di questi assassini aristocratici. Tutti i Fortini; il Capitano poi della Guardia Civica il più accanito. I suoi cognati, Senno Capitano dei Carabinieri, l'altro Segretario del Ministero di Grazia e Giustizia signor Duchoqué, M***.

Terribile al colmo il Direttore degli Alti Puccini, e il suo amicone avv. B*** e L***.

Quelli di secondo ordine a suo tempo ec. ec.

Vanno finiti, - ridotti impotenti, - esiliati.»

Non importa dire, che a nessuno dei rammentati fu non solo non recata molestia, ma neppure diminuito riguardo.

Il Puccini tanto rimase in ufficio, che potè iniziarmi contro questa brutta procedura, e in modo così parziale, che rispetto a lui l'accusa di poca benevolenza verso me pare fosse vera; ma egli periva di misera morte, e così Dio gli perdoni come io l'ho perdonato.

Avuto riguardo alle molte famiglie povere le quali ritraevano dalla cessata Corte dei periodici sussidii in denaro o in pane, mancati i quali, queste famiglie vengono veramente a risentirne danno gravissimo, per cui sono costrette a languire nella miseria, il Governo, il quale sente e vuole avere viscere di padre per i Popoli alla sua tutela commessi, non può permettere che la parte che più esige il di lui soccorso venga a mancare per l'abbandono di chi era in dovere di assisterla. All'adempimento del qual dovere, che è per lui religione, il Ministro dello Interno aprirà una nota ove verranno ad iscriversi tutti coloro che ricevevano dalla prefata Corte i citati sussidj onde questi possano venire seguitati ai medesimi provvisoriamente, e finchè la suprema Legislatrice del Paese, l'Assemblea, non abbia preso anche in proposito gli opportuni provvedimenti.» - (Mon. del 3 marzo 1849.)

Il Potere Esecutivo provvisorio della Toscana,

Considerando esser cosa del più grave interesse la sistemazione da darsi al già Dipartimento della Corte Toscana, sia avuto riguardo agli stabilimenti ed uffizj che ne dipendono, sia avuto riflesso alle determinazioni da prendersi relativamente agli stipendiati della Corte stessa, la sorte di molti dei quali è strettamente connessa alla sussistenza di altrettante non agiate o povere famiglie;

Considerando che, se un decreto del Governo Provvisorio emanato nel decorso febbraio provvide ai più bisognosi fra quelli stipendiati, resta ancora a fissare la sorte di quelli che non possono dirsi compresi nella categoria presa di mira dal decreto suddetto;

Considerando che l'onore nazionale, come un interesse sommamente morale e politico, vogliono che le definitive determinazioni da prendersi su questo proposito siano il frutto di maturo e coscienzioso consiglio;

Sulle proposizioni del Ministro Segretario di Stato pel Dipartimento delle Finanze, del Commercio e dei Lavori Pubblici;

Decreta:

Art. 1° È istituita una Commissione composta dei Cittadini

Prefetto di Firenze,

Gonfaloniere di Firenze,

Generale della Guardia Nazionale Fiorentina,

Avvocato Giuseppe Panattoni Consiglier di Stato,

Cristoforo Cecchetti Soprintendente alle Possessioni dello Stato.

Art. 2° La detta Commissione resta incaricata:

1. Di discutere sulla sorte degli impiegati addetti al già Dipartimento della Corte Toscana, per quindi proporre al Governo il modo della definitiva loro sistemazione, avuti i debiti riguardi alla natura e durata del servizio, non meno che allo stato economico delle respettive loro famiglie;

2. D'esaminare e proporre, se, come, e fino a qual punto debba mantenersi ai già stipendiati di Corte il godimento dei diversi emolumenti, somministrazioni e franchigie di cui essi profittavano, oltre il proprio onorario;

3. Di esaminare e proporre, se, come, e fino a qual punto debba lo Stato continuare la prestazione di quelle sovvenzioni, che in modo permanente o a ripetuti intervalli solevano elargirsi dalla Corte, e nel caso affermativo compilare la nota delle persone e famiglie da sussidiarsi;

4. Di liquidare ed appurare i conti dei sovventori, manifattori, e altri creditori della Corte stessa e suggerire i modi di pagamento;

5. E finalmente di prendere in maturo ed esteso esame i provvedimenti da suggerirsi per la definitiva sistemazione ed organizzazione delle varie branche e ramificazioni nelle quali il vasto Dipartimento della Corte si divide, esponendo, in questo importante proposito, quali di esse debbano o possano rimanere soppresse, quali debbano o possano conservarsi; ed in quest'ultimo caso indicarne, e proporne il passaggio, sotto la direzione e tutela di quel Ministero o Dipartimento da cui per natura loro potessero con maggiore opportunità rilevare organicamente.

Art. 3. All'oggetto di facilitare alla Commissione l'adempimento di così importante e delicato incarico, resta dichiarato che essa potrà mettersi in spedita e diretta comunicazione con qualsiasi pubblico dicastero dal quale gli occorresse attingere schiarimenti e notizie in proposito.

Art. 4. Il Ministro Segretario di Stato pel Dipartimento delle Finanze, del Commercio e dei Lavori Pubblici, è incaricato dell'esecuzione del presente Decreto.

Dato in Firenze, dalla Residenza del Potere Esecutivo provvisorio di Toscana, li trentuno Marzo milleottocentoquarantanove.

F. D. Guerrazzi.

Il Ministro Segretario di Stato

pel Dipartimento delle Finanze, del Commerci

 e dei Lavori Pubblici.

P. A. Adami.

La stampa scapigliata mordeva sovente questo mantenere che io faceva degli officiali al proprio impiego: «Invano si dice da tutti e ad ogni istante al Governo Provvisorio, Gonfalonieri, Prefetti, Sottoprefetti, Delegati, Pretori e soprattutto Preti, essere quasi da per tutto pietra di scandalo e fautori di disordini. Gonfalonieri, Prefetti, Delegati e Preti rimangono ai loro posti, e proseguono impuniti e baldanzosi a recare il loro sassolino per la distruzione del Governo, e il Governo prosegue a voler ignorare come anche il sassolino atterra il gigante.» - (Popolano del 15 febbraio 1849.)

Il Governo Provvisorio Toscano

ha decretato e decreta:

1. È istituita una Commissione, la quale dovrà immediatamente occuparsi di ricevere la consegna dei Palazzi Regj, e di tutti gli oggetti di qualunque natura nei medesimi esistenti, dei quali farà esatto inventario.

2. Questa Commissione è composta del

Gonfaloniere della città di Firenze Ubaldino Peruzzi;

General-Comandante la Guardia Civica della stessa città Carlo Corradino Chigi;

Deputato al Consiglio Generale Avv. Luigi Fabbri;

Professore Emilio Cipriani.

Dato in Firenze li otto febbraio milleottocentoquarantanove.

I Membri del Governo Provvisorio toscano

F. D. Guerrazzi - g. Montanelli - g. Mazzoni.

Documenti, a pag. 281.

Vedi Popolano del 13 febbraio 1849.

In diverso stato da quello in cui io mi trovo non sarebbe degno di notare come o la Vespa, o lo Stenterello, io non so bene quale di questi due salutati dall'Accusa generosi propugnatori dell'Ordine, giungesse perfino dileggiando a chiamare impostura l'offerta, che io feci di mezza la mia indennità in sussidio di Venezia, avendo assegnata l'altra al compimento della Chiesa di Rosignano. - E' fu mestieri di pubblicare la lettera diretta da me al signor cavaliere Salvetti Gonfaloniere di Rosignano.

«Ill. Sig. Il tempo non concede lunghe parole, e meglio così. Dite ai Rosignanesi, che sono nobili cuori, e degni in tutto della libertà, fonte di vita. Per dimostrare in qualche modo la mia gratitudine, desidero che la indennità stanziatami dalle otto Comunità di cotesto Distretto sia divisa in due parti uguali, ed una applicata al compimento della Chiesa di Rosignano, e l'altra alla sottoscrizione aperta nel vostro paese in benefizio di Venezia. Questo è poco, anzi nulla, e per conseguenza non diminuisce di un atomo lo immenso obbligo, che sento, e che mi sarà sempre grato professare per cotesto nobile e generoso popolo. Salute. Firenze ec.» - (Corriere Livornese del 25 novembre 1848.)

Monitore Romano.

La Repubblica Romana del 1849, di Carlo Rusconi, Ministro degli Esteri della Repubblica Romana, pag. 166.

Monitore Toscano del 9 febbraio 1849.

Corriere Livornese del 9 febbraio 1849. - Merita grandissima considerazione che nei tempi antecedenti il Partito repubblicano in Firenze instasse con tutti i nervi pel suffragio universale.

«Il Circolo del Popolo di Firenze nella sua adunanza del dì 4 corrente ha deliberato di fare un indirizzo al Ministero perchè presenti, fino dal principio della sessione, una Legge elettorale col voto universale diretto; una domanda alle Camere perchè la votino; una lettera a tutti i Circoli e Municipii dello Stato perchè domandino lo stesso; ed un invito al Popolo perchè, alla convocazione della Camera il dì 10 corrente, acclami con solenne e tranquilla dimostrazione il voto universale.» - (Popolano, N° 203, 8 gennaio 1849.)

Quando poi la parte repubblicana, meglio avvisata, comprende che il voto universale non le tornerà favorevole, allora la sua dottrina imperturbata smentisce, disvuole ciò che volle. Mazzini non istà più a' patti, e muta parola; che cosa importa il consenso dei non Repubblicani, e perchè si aspetta? Basta quello dei Democratici puri. La penna stessa, che tracciava le linee citate, senza scomporsi registrerà queste altre:

«Quella adesione, la cui mancanza ogni dì serve di pretesto al Governo Provvisorio toscano per indugiare la promulgazione della Unione nostra con Roma e quella del regime repubblicano, ogni giorno al Governo Provvisorio si fa maggiormente manifesta per l'organo della pubblica opinione, per le proteste dei Circoli, per la impazienza del Popolo. Tutta Toscana Democratica non ha che un voto, che un desiderio, - Unione con Roma, - Repubblica, - e se tutta Toscana Democratica esprime cotesto voto, non sappiamo vedere il bisogno, vedere la prudenza di avere anco l'adesione della parte di Toscana che non è democratica. Oggi è il Circolo democratico di Montalcino..... il quale alla sua volta viene a fare la sua propria professione di fede al Governo Provvisorio toscano. E il Governo Provvisorio toscano che cosa fa? Il Governo Provvisorio sul suo organo officiale, il Monitore, riporta delle parole che ei pretende uscite dalla bocca di Mazzini: parole che consigliano i Livornesi ad aspettare, per dichiarare Repubblica, la decisione della Costituente Italiana in Roma. Tali parole noi le ignoriamo ecc..... Certo sappiamo che nel suo discorso ai Fiorentini..... ei disse doversi pronunziare immediatamente la Toscana, non già per mezzo di una Assemblea, ma de' suoi Circoli, de' suoi Municipii, delle sue rappresentanze già costituite. E quand'anco Mazzini avesse detto quelle parole, noi domandiamo al Governo Provvisorio toscano come mai egli invoca la autorità di un nome, la sentenza di un uomo, quando non riconosce l'autorità di una popolazione, quando chiama non legale, non sufficiente il desiderio espresso e palese di migliaia d'individui?» - (Frusta Repubblicana del 18 febbraio 1849.)

Il Popolano riportava con le medesime parole il principio di questo scritto. - Vedi il N° del 18 febbraio 1849.

Monitore Romano, marzo 1849.

Monitore Romano, medesima Seduta.

Corriere Livornese, Art. Gioberti e Mazzini, 10 maggio 1848.

Monitore del 16 febbraio 1849.

Lamartine, Révolution de 1848, Bruxelles, 1849, Tomo I, pag. 202.

De Barante, Histoire de la Convention. Estratti comparsi sul Débats. - Thiers, Histoire de la Révolution. Brux., 1838, T. I, pag. 255.

Thiers, Idem. T. II, pag. 87.

Rusconi, Opera citata, pag. 167.

Io non compongo un libro di arte, ma una difesa; così i miei lettori non mi sapranno mal grado se dei casi esposti in una parte di questo libro mi verrà fatto tenerne discorso altrove. Più tardi ritornerò su la giornata del 18 febbraio. Per ora valga riferire la testimonianza del professore Zannetti sul mio operato in cotesta congiuntura: «fu in questa circostanza (quando egli solo si opponeva a tutti coloro che volevano la promulgazione del Governo Repubblicano e della Unione con Roma) nella quale mi accòrsi della prontezza del suo spirito, quando non potendo resistere alle esigenze delle Deputazioni riunite in Palazzo Vecchio..... consentì a dichiarare nel giorno appresso la Repubblica, anche senza il consentimento della Camera, che voleva convocata, purchè alle 9 della mattina fossero in Piazza 2000 uomini armati e pronti a sostenere la nuova forma di Governo.» (Proc. 2241, f. 111.)

Il signor Montanelli, non io, come afferma la requisitoria del Regio Procuratore Repubblicano Rusconi (Op. cit., pag. 167), fece inserire nel Monitore del 28 febbraio 1849, che stando a cuore del Governo la unificazione della Toscana con la Repubblica Romana, aveva intavolato trattative sopra i seguenti articoli:

1. Unificazione dei due territorii togliendo la linea doganale.

2. Parificazione di tariffe per importazione, estrazione e transito.

3. Unificazione del sistema postale.

4. Reciprocità pel corso della moneta, e moneta uniforme.

5. Reciprocità di corso pei Buoni del Tesoro, e carta monetata.

6. Unità di rappresentanza all'Estero.

7. Istituzione di comune difesa.

8. Sussidio a Venezia da dividersi dai Governi.

Queste cose concesse, rimaneva inutile deliberare: poichè non erano riusciti a entrare per la via maestra, tentavano i tragetti. Insorse grave discussione fra me e il signor Montanelli principalmente intorno agli Articoli 1. 2. 5. Dice il signor Rusconi, che Roma agevolava un passo alla Toscana; mi pare anzi che gliene agevolasse più di uno..... ma per dove? Il signor Montanelli, giustamente commosso dalle mie considerazioni, chiese allontanarsi, come invero si assentò col pretesto di visitare le frontiere. Io rimasi a strigarmela co' Ministri romani. L'Articolo 7 concessi senza esitare, e stesi gli appunti per adempirlo, non che le istruzioni pei Commissarii, le quali poi vennero ridotte in bella scrittura dal signor Achille Niccolini: spedii eziandio i signori colonnello Manganaro e capitano Araldi a Bologna per sollecitare un tanto scopo. Il Governo romano non aveva mandato nessuno; aspettarono parecchi giorni invano, e se ne tornarono sconclusionati! Accolsi anche l'8°. Gli altri furono rimessi al Consiglio di Stato. Il R. Procuratore Generale pensa che questa operazione fosse un nonnulla: il signor Rusconi Procuratore Regio della Repubblica all'opposto acerbamente l'accusa.

Fra questi due Procuratori fortunatamente occorre il Consiglio di Stato composto di uomini valorosi, e che temono Dio, i quali dietro le traccie del mio Dispaccio del 4 marzo 1849 (Qui in parentesi mi permetto due domande. 1° In questo giorno era accaduta la infausta battaglia di Novara? 2° Perchè fra le centinaia di carte inutili, per cui il Volume dell'Accusa si assomiglia più che ad altro alla bottega di un Cenciaiolo, non fu stampato questo mio Dispaccio del 4 marzo?) mi risposero in questa sentenza: «E ravvisando come pienamente civile e giusta la idea, che nel suo dispaccio de' 4 corrente marzo viene dal Governo significata, di volere serbare il suo carattere di Provvisorio e deferire all'Assemblea Nazionale ogni decisione intorno alle future sorti della Toscana, ha creduto - che al Governo stesso converrebbe astenersi dal pregiudicare in verun modo, e sia pur anche per Trattati, meramente preparatorii a quella unificazione o veramente assoluta e piena di un solo Stato con la Repubblica Romana, e della Toscana, od anche semplicemente federativa dei due Stati, la quale per essere coerente alla sua natura di Provvisorio non può l'attuale Governo non lasciare intatta e libera alle Deliberazioni dell'Assemblea Nazionale, che tra pochi giorni sarà convocata. - E ciò perchè nel primo caso di completa unificazione, Toscana spegnerebbe in tutto la sua propria individuale esistenza, e vita; e nel secondo, di unione federativa, la diminuirebbe, e molto considerevolmente. - Ora ciascuno intende, che la Nazione soltanto può avere balía di sè stessa, e che di ciò vorrà deliberare con gravissima maturità di consiglio, e senza veruno impaccio di precedenti trattati i quali menomamente scemino quella libertà, ch'è tanto necessaria.»

Dunque se io facevo qualche cosa di civile e di giusto, come può sostenere l'Accusa che facevo nulla? Da quando in qua, a mente dell'Accusa, le cose giuste e civili sono diventate cose da nulla in Toscana?

L'Accusa, che tra le altre cose sostiene come mio proponimento fosse far bandire la Repubblica dall'Assemblea Costituente, con solerte studio va raggranellando qua e là alcune espressioni dagli Atti pubblici, capaci a suo credere per dimostrarlo. Siffatte espressioni si rassomigliano alla cautela di chi con mano fa riparo alla candela, che intende mantenere accesa, quando il vento tira. Lo importante consisteva in questo, che al Popolo Toscano si rendesse abilità per disporre con libero ed avvisato voto di sè: ora, adoperare alcuna blandizie di parole, che al tutto non disperasse i più accesi fra gli Arrabbiati, e li trattenesse dal gittarsi a partiti estremi, egli è tal consiglio, che la prudenza più che mezzana suggerisce. - All'opposto, quando si tratta di scuoprire la verità, l'Accusa non sa leggere neppure nel suo Volume. - Invero nell'Originale del Parere del Consiglio di Stato riposto negli Archivii, ed estratto dall'Accusa, si legge una nota marginale, che si dice scritta di mio carattere, e sarà. Cotesta nota, dichiara: «Commissione di studii preparatorii. Se definitiva la Unione, si trova lavoro fatto. - Se federativa, simile concetto non cimenta principii. In Germania si è operato in questa maniera senza pregiudizio di quistione politica.» - (Doc. dell'Accusa, p. 319). - -Per quanto mi viene fatto ricordare, gli studii preparatorii concernevano le ragioni finanziarie del maggiore o minore profitto che sarebbe toccato in sorte al nostro Stato nella ipotesi della Unione con lo Stato Romano. - Notavo, che avrei potuto (previo sempre il parere del Consiglio) creare una Commissione, che studiasse la materia, imperciocchè da questo fatto non resultava danno alla Unione federativa. Egli è evidente, che questa nota per me non avrei fatta, se in me fosse stato deliberato proponimento di provocare la Unione definitiva.

Edizione Le Monnier, 1851, pag. 402.

Vedi Doc. dell'Accusa, pag. 900.

Vedi Doc. dell'Accusa, pag. 707.

Tom. I, Paris, pag. 152.

Popolano del 9 novembre 1848.

Storia Costituzionale d'Inghilterra, cap. 14.

Hume, Storia d'Inghilterra, cap. ultimo.

Poichè qui cade in acconcio, rammenterò chi promuovessi ed intendessi promuovere allo ufficio di Prefetto e di Delegato Regio nelle Provincie, onde si conosca se fossero gente di Partito, e cospiranti ai danni della Monarchia Costituzionale. A Firenze il Deputato Guidi Rontani; in Arezzo lascio il Cav. G. B. Alberti, in Lunigiana il Cav. E. Sabatini, a Massa il Cav. R. Cocchi; poi a questo surrogo il Conte Andrea Del Medico, a quello il Consigliere P. Beverinotti; ma prima a Pontremoli m'ingegno inviare il Cav. F. Ruschi, a Lucca il Cav. L. Fabbri; recusarono entrambi per ragioni di famiglia; però a Lucca mandai l'Aud. Buoninsegni, poi interino Landi antico impiegato, e, pei conforti del Segretario Allegretti, a Pisa il Consig. Martini, a Grosseto Massei già Presidente del Trib. di Commercio di Lucca. Egregi tutti, ma degno di speciale menzione Raffaello Cocchi, il quale, rimasto in credito di spese per lo ufficio liberalissimamente esercitato da lui, volle con nobile esempio, che della somma dovutagli parte s'impiegasse a sollievo dei poveri, e parte in benefizio di Venezia.

«Non possiamo tacere un esempio generoso di patria carità. - Il Consigliere della Corte R. di Firenze Raffaello Cocchi veniva dal Governo destinato a Delegato R. a Massa e Carrara, e rimaneva in questo straordinario ufficio per il periodo di sei mesi. - Egli medesimo limitava la ricompensa al mero rimborso delle spese incontrate per questa missione: ma non basta; chè spontaneo ne donava poi un sesto alla eroica Venezia, e due sesti a sollievo della onesta e secreta indigenza nella Provincia da lui amministrata. - Onore all'illustre Magistrato! Questi fatti abbisognano più presto di trovare imitatori, che chi voglia di alcuna lode accompagnarli.» - (Monitore del 10 dicembre 1848.)

Noi avevamo pure avvertito come gli insulti, le calunnie e le beffe fossero lo addio del ritorno, che i poveri superstiti estenuati di Montanara e Curtatone raccoglievano a quei giorni fra le mura di Siena.» Vedi Docum., pag. 791. - Così fu desiderata da taluno la prigionia nel campo nemico dove almeno avrebbe trovato la pietà, che tutti quelli i quali hanno avuto il battesimo del fuoco, cessata la battaglia, sentono per le scambievoli sventure!

Siena, 24 ottobre.

Vedi Doc., a pag. 791.

Vedi Doc., dell'Accusa, pag. 726. - Fra i nomi dei pacieri e dei promotori agli atti di devozione pel Principe e sua R. Famiglia, trovo registrati quelli di Ciofi e Niccolini; ora, finchè così operavano, non li poteva avere in odio nè perseguitare io; forse fingevano, ma rimane vero pur sempre, che per venirmi in grazia era mestieri si dimostrassero devoti al Principe Costituzionale.

È notabile come in questo Avviso, dettato da persona nemica alla Costituente, non si dica nulla del timore che potesse riuscire dannosa alla sovranità di S. A.

I liberali erano soliti riunirsi la sera, ed erano sempre o più o meno insultati da gente pagata e poca.» - Vedi Doc., pag. 802.

F. Guerri scriveva a Marmocchi il 2 febbraio alle 7 di sera: «I popolani non ci hanno dato ascolto, - il sangue è incominciato a versarsi, - Iddio ci salvi! La dimostrazione liberale fatta un'ora fa al Granduca mi si dice imponente pel numero. - Le grida erano: Viva Leopoldo e la Costituente italiana. - Ma il primo a gridar la Costituente, che per ora non so chi sia, fu côlto di una coltellata nel viso. I reazionarii, che si dicono circa una ventina, ivi presenti, incominciando a fare rumore sono stati colpiti da pugni, uno ferito di coltello, e sono stati portati allo spedale. - Ancorchè la cosa non sia trascorsa più oltre, per Dio, non doveva succedere. - Temo triste conseguenze, e consiglio mandarvi una compagnia di linea.» - Vedi Doc. dell'Accusa, a pag. 206.

Vedi Doc., pag. 802.

Ha già fatto un indirizzo al Ministero per rimproverarlo di non avere seguíto il Granduca, e domandare il suo ritorno a Firenze.» (Circolo del Popolo di Firenze. Doc. dell'Accusa, a pag. 193.)

Ved. Doc. dell'Accusa, a pag. 791, 792, 799, 800, 801 802.

Parte IV, pag. 117.

Si è udito parlare in bocca di questi sciagurati: - Morti tutti i Repubblicani, daremo addosso ai Signori. - Scala naturale delle passioni cattive di plebe corrotta suscitata, e fermentante da insinuazioni immorali.» - (Doc. dell'Accusa, pag. 101.)

Cittadino Presidente

Questa sera 6 febbrajo vi era Circolo al Pubblico Teatro. Mi vi sono recato, e siccome il presidente mi ha chiamato al seggio annunziandomi come vice-presidente del Circolo popolare di Firenze, così ho detto a questi nostri fratelli quanto noi c'interessavamo ai loro destini, ho raccontato quanto avevamo fatto per loro, ed ho offerto in nome del Circolo tutti quegli aiuti tanto morali che materiali di cui potrebbero abbisognare. Molti evviva e ringraziamenti al Circolo popolare. Spero il Circolo approverà quanto ho fatto. Voleasi fare una dimostrazione questa sera; e siccome vi era pericolo si cambiasse in tumulto, così ho pregato il Popolo la differisse a domani. Domani a mezzodì avrà luogo. Domani stesso vi scriverò più a lungo e vi dirò qualche cosa degli affari in generale: non lo posso questa sera perchè non ho visto nessuno.

 

Vostro Socio e F.

G. B. Niccolini.

 

P. S. Vi raccomando calorosamente le decurie e centurie.

 

(Documenti dell'Accusa, pag. 103.)

Storia della Rivoluzione, Ed. cit., cap. 28, pag. 86.

A pagina 348 dei Documenti dell'Accusa trovo il biglietto al signor Lanari, e dice così: «Signor Lanari. In Livorno i proprietarii dei Teatri si fanno un pregio imprestarli una sera o due al Popolo per le sue solennità. Vi reputava un po' più patriotta, meno impresario. Mi figuro che tutto dipenderà da moneta; ditemi quanto volete, e vi pagherò, perchè voglio sottrarvi al caso, che il Popolo entri di santa ragione, e per pagamento possa spezzarvi le panche.» Intanto ecco che l'Accusa cita inesattamente; poichè per avere scritto, che gl'Impresarii livornesi imprestavano al Popolo i Teatri per le loro solennità, ciò non importi che per solennità ritenessi l'adunanza del Circolo a Firenze; le solennità a cui accennavo erano passate, e per necessità diverse dalle presenti: insomma frase usata per impegnare lo Impresario e niente più: inoltre, in anticipazione io non sapeva quello che il Circolo potesse commettere, e mi si diceva volervi celebrare festa di allegrezza, di pace e di riconciliazione fra i Partiti; ma ciò non monta, anche avessi presagito il suo contegno, a me non era dato operare diversamente da quello che feci.

Opponendo ad ogni contrarietà il diritto del Popolo nei palazzi eretti dai nostri padri per lui.» Vedi Documenti dell'Accusa, pag. 196.

A pag. 171-172 dei Documenti dell'Accusa occorrono due scritti del signor Nerli Direttore delle Regie Fabbriche, dai quali si ricava, che esitando egli a ordinare certi acconcimi, che si trovarono sommare a Lire 1000, nella Chiesa di San Pancrazio richiesta dal Circolo, mentre il Governo aveva indicato, che fossero piccoli e necessarii, i Rappresentanti di quello gli dissero: «che se non facesse immediatamente e prontamente eseguire quanto avevano domandato, avrebbero fatto conoscere al Popolo dove egli abitava.» - Con tali dichiarazioni, aggiunge il signor Nerli, ognuno può credere che non tardai a dar corso a tale affare.....! Crede ella l'Accusa, che il Circolo fosse meco più blando che col signor Nerli, o che pretendesse meno da me di quello che imponeva a lui?

Certa volta durante il mio Ministero facendo parte di una Deputazione di Barga egli si presentò all'Ufficio; ma siccome ei non disse parole, e non lo badai, persisto a dichiarare essermi statefino al 9 Febbraio 1849 le sue sembianze ignote.

Vedi Requisitoria dei Repubblicani contenuta nella opera del Rusconi.

Ricordo che voleva rifiutare, ma G. P. Vieusseux me ne sconsigliò, assicurandomi che gli avrei fatto dispiacere.

Vedi Archivio degli Affari Esteri.

E quando Niccolini romano ebbe ad abbandonare Firenze, lo feci io perchè m'impediva proclamare la Repubblica? E quando più tardi con lievi soccorsi Mordini persuadeva Flaminio Lolli a recarsi in Corsica e in Grecia (Ved. Docum. a pag. 232), e quando ad ogni patto mandavo La Cecilia a Parigi, intendevo ingagliardire la schiera dei Repubblicani? Dunque i Repubblicani erano ostacolo a fabbricare la Repubblica?... Gran testa è quella dell'Accusa!

Questa notte la città nostra fu agitata da insolito commovimento. Dopo le ore 8 di sera si videro splendere sopra le colline circostanti moltissimi fuochi, e ad un tempo si udirono spari di moschetto che continuarono lungamente. Presto si conobbe che nella campagna vicina a Firenze si tumultuava. La generosa popolazione fiorentina non mancò a sè stessa. Per tutte le vie era un accorrere, un chiedere le armi, un dichiararsi pronti a respingere con la forza i traditori, a versare il sangue per la libertà. La Guardia nazionale accorse in grandissimo numero, e mostrò qual partito se ne poteva trarre sì per comprimere gl'interni nemici, come le straniere aggressioni. Gli esuli lombardi accorsero tutti a difendere la libertà minacciata, e la Legione Polacca, sebbene rientrata in Firenze da poche ore, dimenticò la fatica e la stanchezza per accorrere a difesa della terra che ospitalmente l'ha raccolta. La Guardia Municipale fu infaticabilmente operosa. Ma ciò non bastava al desiderio ardente del Popolo. Tutti indistintamente chiedevano armi sospettando di essere traditi. Allora si mostrava a raffrenare l'ardore generoso il professor Montanelli, membro del Governo Provvisorio, che sorgeva dal letto, ove giaceva infermo, per accorrere alla chiamata del Popolo. Acquietava gli accorsi, mostrando loro come il disordine poteva essere più funesto della scarsità della forza; avvertiva i cittadini a tenersi pronti, ove fosse stata necessaria l'opera loro; lasciassero libera l'azione del Governo che vigilava a salvezza comune. Alle parole dell'uomo venerato e caro si acquietava la moltitudine, ma non dimenticava il pericolo della Patria. Intanto non cessavano le cure del Governo. Forti pattuglie perlustravano la città e uscivano anche dalle porte per iscoprire se dalle campagne si movesse aggressione. Furono arrestati molti tumultuanti, e il Popolo a fatica si conteneva dal manometterli, se non fosse stato l'egregio contegno dei militi, e il rispetto alla Legge che è così forte in questa egregia popolazione. Il Governo ricerca assiduamente gli autori de' fatti scellerati i quali resteranno esposti a tutto il rigore della Legge, alla infamia e all'abominio di tutti gli onesti; premio degnissimo a chi cerca contaminare di sangue cittadino questa terra che fu culla di civiltà e di sapienza.»

 

«Popolo di Firenze!

 

I segnali di un movimento retrogrado apparivano ieri sera sulle colline circostanti. Ma agli occhi tuoi, o Popolo di Firenze, splendeva un'altra fiamma, quella santissima di libertà, e col tuo sorgere pronto, risoluto ed unanime, contro l'esterno attentato, mostrasti quanto male si fosse apposto chi ti aveva sperato cooperatore alle sue nefande intenzioni.

Lode a te! Lode a tutti coloro che in questa solenne occasione si mostrarono devoti alla Patria! E bene veramente meritarono della Patria la Guardia Municipale, le milizie di Artiglieria, l'Emigrazione armata Lombarda, la Legione Polacca, e tutta la Guardia Nazionale, di cui faceva parte la Riserva. Ogni elogio sarebbe poco a significare i sentimenti che il Governo professa verso i generosi militi della Guardia fiorentina per la prova solenne di devozione che col loro numeroso e pronto concorso porgevano alla causa dell'ordine e della libertà. Esso sa che in qualunque pericolo li troverebbe egualmente pronti a rispondere alla chiamata della Patria.

Perchè sia conosciuto il carattere dell'attentata reazione, basterà dire che si gridava: - Viva i Tedeschi! - Il nemico comune d'Italia vorrebbe con questi mezzi spianarsi la via della invasione da tanto tempo desiderata.

Ma tu, o Popolo, vincerai, serbando fede in Dio che protegge l'Italia, e nella santità dei tuoi diritti. I tuoi figli già su i piani lombardi si mostrarono degni discendenti del Ferruccio, e le glorie del Mincio non saranno, ove occorra, smentite sulle rive dell'Arno.

Firenze, 22 febbraio 1849.

G. MAZZONI.

G. MONTANELLI.»

(Monitore del 23 febbraio 1849.)

 

«È stato universale il grido di riprovazione e di difesa. La Guardia Civica è corsa immediatamente alle armi in gran numero. La Guardia Municipale ha mostrato zelo e operosità lodevolissima. La Emigrazione Lombarda era tutta armata. Il Popolo voleva armarsi tutto, e ho dovuto parlargli per contenerlo. - Sono stati fatti degli arresti nelle vicinanze, e durano fatica a salvare gli arrestati dalla furia del Popolo.» - (Dispaccio telegrafico del 22 febbraio 1849.) - La verità dei fatti contenuti in questo Dispaccio è confermata dalla Deliberazione Municipale del 24 febbraio 1849 dove occorre scritto: «Considerando in ispecie che la condotta del Popolo e della Guardia Nazionale di Firenze nella sera del 21 corrente dà al Governo garanzia sufficiente, che i Cittadini bastano senza eccezionali misure a tutelare l'ordine e la libertà...» Dunque anche il Municipio pensava che i moti del 21 la libertà e l'ordine avversassero, ed egli stesso fa fede che Popolo e Civica così risoluti li compressero da dispensare l'uso di ogni eccezionale provvedimento. Il Prefetto di Firenze, spaventato a ragione degli atti minatorii del Popolo, invoca il 22 febbraio lo aiuto del Circolo onnipotente in tutela degli arrestati: «Il Presidente del Circolo del Popolo è pregato inviare alle Carceri pretoriali una deputazione dei suoi Socj per esortare il Popolo, che ivi si trova affollato, a rispettare la Legge e la giustizia, non insultando le persone che gli agenti della pubblica forza vi conducono in istato di arresto.» - (Vedi Documenti dell'Accusa, pag. 115.) - E buono accorgimento fu questo; però che si venisse a togliere al disordine la parte più temuta, e impegnarla ad opera di civiltà. - Uno Smith, un Ricciardi, e fu detto un Trollope, furono salvati a stento su la Piazza di San Firenze dal Popolo infuriato. - Il Conciliatore, perpetuo nemico nostro, nel 23 febbraio 1849 stampava: «I fatti accaduti nei contorni di Firenze e in varie parti della Provincia danno segno di una divisione di animi nelle nostre Popolazioni, e possono essere seme funesto di sanguinosi dissidii domestici.... Ma se del mal fatto sono oggi inutili i rimpianti, non crediamo che a niuno onesto sia conteso proporre quei rimedii che almeno possono renderlo minore nei suoi effetti.... Usi il Governo della forza della Legge per comprimere i perturbatori..... Ora la rovina si è fatta completa, l'avvenire si è coperto di tenebre, e Dio solo sa a che riusciranno.»

«L'adunanza del Circolo rimase sospesa dalla notizia che si udivano fucilate in varie direzioni delle campagne e apparivano segnali di fuochi dal Monte alle Croci, da Monte Oliveto, e da quasi tutte le colline che circondano la città. Verificata in parte la cosa, tutto il Circolo corse ad armarsi. Già tutto il Popolo di Firenze muovevasi di un moto solo; ed era cosa commoventissima il vedere la disperazione di coloro che non potevano trovare armi.» - (Il Popolano del 23 febbraio.)

Documenti, pag. 507.

Toscani!

Il Principe, a cui voi prodigaste tesori di affetto, vi ha abbandonato.

E vi ha abbandonato nei supremi momenti di pericolo.

Il Popolo e le Assemblee legislative hanno appreso questo fatto con senso di profonda amarezza.

I Principi passano, i Popoli restano.

Popolo ed Assemblee hanno sentito la loro dignità, e provveduto come conveniva.

Il Popolo e le Assemblee ci hanno eletti a reggere il Governo Provvisorio della Toscana. Noi accettammo, e in Dio confidando e nella nostra coscienza, lo terremo con rettitudine e con forza.

Coraggio! Stiamo uniti; e questo avvenimento sarà lieve come piuma caduta dall'ala di uccello che passa.

Nessuno si attenti sotto qualunque pretesto turbare la pubblica sicurezza. Il Popolo guardi il Popolo. La libertà porta bandiera senza macchia. I Toscani se lo rammentino. Custodi, per volere del Popolo, della civiltà, della probità, e della giustizia, noi siamo determinati a reprimere e acerbamente reprimere le inique mene dei violenti e dei retrogradi: difensori della Indipendenza, noi veglieremo a ordinare armi libere e onorate.

Viva la Libertà!

Firenze, dal Palazzo della nostra Residenza, questo dì 8 febbrajo 1849.

I Membri del Governo Provvisorio Toscano

F.-D. Guerrazzi. - G. Mazzoni. - G. Montanelli.»

Il Dispaccio al Sotto-Prefetto di Montepulciano non si è trovato; ma solo una lettera responsiva di Zelindo Boddi, che il sig. Falleri ci fa sapere concepita in misterioso linguaggio; ella dice così: «Ho letto la sua lettera; - mi ha recato dolore, ma non mi fa perdere animo. - Il Popolo al giungere della Staffetta si è adunato, ed è corso incontro a me. - Ho annunziato il tristo successo, e meglio andrò a pubblicare quanto accadde, fra pochi istanti, nello interno del Paese. Mi uniformerò agli ordini, ed alle istruzioni ricevute, e darò conto di tutto a misure prese e adottate. - Mi circondo di tutti i buoni, che mi promettono conforto, e assistenza. (Docum., pag. 280). Questa risposta, che al Falleri sembra misteriosa, a me pare, che risponda acconciamente alla lettera ed allo spirito del Dispaccio, per certo uguale agli altri spediti da me, e forse con qualche espressione di più, che valse a indurre lo scrivente ad attestare il suo dolore pel tristo successo, però che la bontà della indole, ed altri pregi, che taccio, da molti anni mi avevano persuaso a stimare e ad amare Zelindo Boddi.

Documenti, pag. 297.

Documenti, pag. 289.

Documenti, pag. 412.

Documenti, pag. 412.

Vedi Documenti dell'Accusa, pag. 284.

Indirizzo del Popolo di San Quirico. (Vedi Monitore, 19 febbraio 1849.)

Al cittadino presidente del Circolo del Popolo di Firenze. - Il Circolo (di Siena) ha deliberato nella sua tornata del 21 di atterrare tutti gli Stemmi Medicei, e tutte le insegne della vecchia tirannia, al sorgere della nuova libertà. Quando s'inalza l'Albero della Repubblica debbono cadere i monumenti della oppressione ec..... V'invitiamo a fare altrettanto.» (Il Popolano del 26 febbraio.)

Io conosco il deposto del Professore Zannetti, il quale meritamente ogni uomo onora, come lealissimo. Interrogato intorno alla violenza, che avrebbono potuto farmi gli Arrabbiati, risponde, che esigenze forti per certo io subii perchè nelle varie volte (e furono moltissime) ch'egli si condusse da me nella qualità di Generale della Guardia Nazionale dovè accorgersi, che mi trovava in condizione.

Medesimi eventi, e medesime scuse occorrono in Francia; così vedremo più tardi Garat Ministro della Giustizia esporre all'Assemblea nel 1792: «la forza pubblica rimane spettatrice inerte - e si scusa dicendo non avere ordini. Prima che gli ordini arrivino, i tristi radunano il Popolo, lo infiammano, lo strascinano, e il male cresce.» (De Barante, frammenti citati.)

Mémoires de Bailly. Tom. I, pag. 228.

Vedi questo Decreto stampato in tutti i Giornali del tempo, nei numeri del 9 febbraio.

Alba, 9 febbraio 1849.

Vedi il Considerando IV della Deliberazione Municipale del 24 febbraio 1849.

Conciliatore. Si riporta per intero in altra sede di questa Apologia.

Aureo Trattatello dei Sinonimi.

Il nostro Circolo non dorme, e cura quanto può gl'interessi

dei fratelli, che gli sono carissimi. Ha già fatto uno indirizzo al Ministero

per rimproverarlo di non avere seguito il Granduca, e domandare

il suo ritorno in Firenze. Si è poi costituito in permanenza, ha

creato una commissione perchè sia in corrispondenza continua col

Ministero, e cinque commissarii ec. - Firenze, 5 febbraio 1849.» - (Documenti

dell'Accusa, pag. 193.)

Vedi sopra.

Popolano del 16 febbraio 1849.

Popolano del 14 febbraio 1849.

Popolano del 16 febbraio 1849.

Popolano del 15 febbraio 1849.

Domenica giunsero varie Deputazioni dalle principali Provincie col grido di Repubblica sulle labbra.» - (Popolano del 20 febbraio 1849.)

Caino, Mistero. Atto 1.

Monitore del 1 marzo 1849.

A pagg. 102, 105-109 dei Documenti dell'Accusa si trovano traccie

del fiero sospetto in cui era venuto il Barone Ricasoli. L'Archivio

del Ministero conserva le altre carte.

Sir George Hamilton to viscount Palmerston.

 

«Florence, February 27, 1849.

.... They (Provisional Governement) are obliged however to submit to a most despotic master, who hourly reminds them of the chains by which they are held in submission, viz the power of the clubs. These formidable assemblies govern the Governement. It is impossible to exaggerate the terror, the poverty and desolation reigning in this fair city.), - (Correspondence affecting the affairs of Italy. Part. IV, pag. 174. London, Printed by Harrison and Son.)

Galignani's Messenger. March, Friday, 16, 1849. «A letter from Florence of the 8 March says, etc.»

Di questa lettera, quantunque porti la firma di Marmocchi, fu somministrato il concetto da me, come sovente soleva fare; e forse si custodisce nello Archivio. - Documenti dell'Accusa, pag. 298.

Era notorio allora, ed il Governo non lo ignorava nè poteva ignorarlo, che grossi legni inglesi incrociassero nelle acque toscane. - Vedi il Corriere Livornese del 9 febbraio, e il Nazionale del 10 e 12.

Pepe, Histoire des Révolutions d'Italie, pag. 36. - Bruxelles.

Cesare Vimercati, officiale di marina austriaco, nella sua Italia ne' suoi confini e l'Austria ne' suoi diritti, ovvero Rivoluzione e guerra del 1848, a pag. 39, così ci racconta pure questo fatto. «Il Vice-Presidente allora prometteva sulla sua parola che gli avrebbe soddisfatti; ma il Popolo, sapendo per esperienza quanto valevano le promesse, infuriava gridando: lo vogliamo in iscritto; ed un tal Cernuschi facendosi avanti obbligava O' Donell a sottoscrivere diversi ordini che venivano tosto pubblicali per la città, e che qui riportiamo:

 

Milano, 18 marzo 1848.

 

Il Vice-Presidente, vista la necessità assoluta per mantenere l'ordine, concede al Municipio di armare la Guardia Civica.

Firmato: Conte O' Donell.

 

La Guardia della Polizia consegnerà le armi al Municipio immediatamente.

 

Conte O' Donell,

 

La Direzione di Polizia è destituita, e la sicurezza della città è affidata al Municipio.

 

Conte O' Donell.»

Questa sera fummo spettatori d'una di quelle dimostrazioni che rivelano tutta la bontà nativa del Popolo, la soave arrendevolezza dell'animo suo.

Il Popolo e la Guardia Nazionale disposti in ordine, a suon di tamburo, preceduti da splendide bandiere, si recavano a salutare dei loro voti, dei loro applausi e dell'antico affetto, il nuovo Generale della Guardia Nazionale di Firenze, il professore Zannetti. La scena fu lieta e commovente ad un tempo: l'amore delle moltitudini trasfuso nell'evviva prolungato e universale: la rispondenza dell'acclamato rivelata con parole tenere, appassionate, interrotte dalla interna agitazione: l'ora, il luogo, e la solennità della festa, d'una familiarità popolare.....

Il professore Zannetti..... l'uomo eminentemente italiano, rinnovava la promessa alla patria di volerla difendere contro tutti i nemici interni ed esterni col baluardo del proprio petto, del proprio sangue. Diceva esser degno il Popolo di governarsi da sè stesso, di raggiungere la più filosofica forma di governo, la Repubblica, quando sappia contenersi nelle vie dell'ordine, dell'armonia, della fratellanza. La Guardia Nazionale non dover mai apparire altrimenti che in tutela della libertà: l'esercito stanziale, gli altri corpi dello Stato, il Popolo tutto concordare con essa al santissimo fine. E la Toscana decretare i suoi destini con tranquillo giudizio, secondo il voto universale.

Il Popolo applaudiva a queste parole, interrompendole della sua approvazione; applaudiva agli abbracci fraterni dati come simbolo dell'amplesso generale dal professore Zannetti ad un Ufficiale della Guardia Nazionale, ad un altro della milizia.

Suggellava in quel momento un patto infrangibile d'amore e d'alleanza coll'esercito, colla Civica antica, colla sorgente e rinnovata Guardia Nazionale. Poi, ad una semplice preghiera del Generale, si disperdea, procedendo alle grida di: Viva Zannetti, Viva la Repubblica, Viva l'Unione con Roma.

Tali sono le tendenze e le volontà del Popolo che si rivelano ad ogni istante, in qualunque occasione. Noi non sappiamo perchè gli uomini del Governo e quelli che sono da esso preposti sembrino paventare questa salutare espansione del Popolo, e s'industrino a rattenerla. Vanno ripetendo l'ordine, l'ordine, l'armonia. E chi più del Popolo la sente, la coltiva, l'apprezza? Vanno instillandogli che egli non abbia a usurpare una soverchia potenza, facendosi rappresentanza del concetto di tutti, e quasi gl'indicono di porre un freno agli interni aneliti, che sono la prima rivelazione della verità. E chi più del Popolo non l'ha da gran tempo compresa questa verità; di lui che in luogo del monopolio dei privilegiati, ha domandato e domanda il libero esercizio della sovranità universale? Lo spediscono dolcemente alle case con raccomandazione di calma taciturna, quasichè l'aperto grido alla luce del cielo in questo stadio di vita convulsa e interrotta, - d'organismo politico disfatto e rinnovantesi, - non fosse un sintomo, una prima e necessaria manifestazione dell'avvenire!

Noi estimiamo, noi apprezziamo sopra tutti il distinto carattere, le splendidissime doti dell'egregio Zannetti. L'accento paterno e italiano dell'animo suo trova le vie del nostro cuore come quelle del Popolo. Lo preghiamo solamente a non lasciarsi trarre dal concetto dell'armonia fino a quello della profonda quiete, dall'idea della rispettata legalità fino ad un prolungato e mortale silenzio; - perocchè egli sa come noi e più di noi, quanto nobili e sante sieno le ispirazioni del Popolo accompagnate agli evviva per l'illustre cittadino.» - (Costituente Italiana del 15 febbraio 1849, - Popolano e Alba del medesimo giorno.)

Nel Galignani's Messenger del marzo 1849, si legge, in certa lettera datata da Firenze: «after spending some time at Florence in attempting to effect the fusion of Tuscany with Rome, he at length repaired to Rome.»

Io sono stato lunga pezza meco stesso esitante se avessi dovuto citare la opera di Luigi Carlo Farini, come quella, che va deturpata di molte, e potrei dire infinite macchie. Vi ha chi godrebbe, che concitato a sdegno, non ingiusto forse, pei molti errori dettati sul conto mio, e più pel difetto del riguardo, che ogni onesto aver deve a cui versa in pericolo, io gli facessi rabbuffo tale da intronargli la testa. Appunto perchè questo spettacolo si cerca, e si vuole, non si ha da dare; e volta mite la parola a Luigi Carlo Farini, gli dico: «tu hai peccato molto; se per leggerezza, mi appello da te male informato a te bene informato: anco verso gl'Imperatori adoperavasi questa formula, e non l'avevano a male, e tu sai che da Filippo dormente sendo interposto appello a Filippo svegliato, il re multò sè stesso nei danni della iniqua sentenza; nè tu, confido, per carità patria, e per onore al tuo nome, vorrai esser minore del Macedonio; dove poi, e questo repugno credere, te avesse mosso o tristizia di mente malvagia, o viltà di anima venduta, allora io dovrei contristarmi per la Patria, e per te.» Intanto fra i suoi errori, cui a me piace credere involontarii, non ha potuto negare queste verità: «... Il Mazzini era giunto il dì stesso che il granduca partiva da Siena, e vi era stato accolto con grande festa. Egli si era dato a predicare l'unificazione con Roma, che non voleva chiamar fusione; parola a lui ed a' suoi esosa, la quale voleva dire lo stesso, ossia non aveva significato pratico, perchè gli uomini ed i popoli non si fondono come i metalli per calor di libertà e artificio di eloquenza, nè gli Stati si unificano per decreto di assemblee. Ma il Guerrazzi non voleva l'unificazione, e pochissimi erano in Toscana che la volessero; del che gli stessi ufficiali del governo facevano testimonianza: sicchè anche in Toscana il Maestri milanese, legato della Repubblica Romana, faceva poco frutto... Il Mazzini non riesciva a governare nè coll'autorità sua, nè colle pratiche e le grida de' suoi, i negozii politici della Toscana. Modesto egli al sembiante, come ostinato di volontà, desiderava sovra ogni altra cosa fare della Toscana una provincia della Repubblica Romana: ma questo concetto coperto sotto la pomposa parola d'unificazione non andava a versi nè del Guerrazzi, nè del Consiglio di Stato, nè pur dei cittadini più segnalati per liberali caldezze.» Quello che seguita intorno a Montanelli e a Mordini non è vero; e finalmente! «... A Roma egli (il Mazzini) dà sollecita opera a costringer di là Toscana a quella unificazione, a cui la non si voleva piegare, e vi narra che tutti i Toscani ne hanno desiderio, sebbene sappia il contrario; e perora e studia perchè si compia.»

Il mio Difensore mi narra, come l'Accusa per escludere la violenza si fondi sopra il deposto di due testimoni; e chi sono eglino? Due Custodi del Ministero. E perchè due soli, e gli altri esclusi? Perchè questi due come conservati in impiego reputò l'Accusa degni di fede, i dimessi non parvero sicuri. Badino bene i Ministri ai Custodi che si mettono dintorno, procurino di tenere strette le chiome alla Fortuna, perchè il pericolo, che corrono di vederseli mutati in delatori, e in peggio, è grande davvero. - Ma i Custodi hanno contro il fatto, il senso comune, copia di testimoni più intelligenti e più degni; e finalmente intorno alla violenza relativa il Dispaccio della Spedizione di Portoferraio niente possono deporre perchè essi dichiarano avere lasciato il posto alle 23 ore, ovvero alle ore 4 e 1/2 pom., e il Dispaccio in discorso fu scritto alle 6 pom.

Popolano del 9 febbraio 1849.

Avverti che i Giornali sono scritti il giorno avanti della loro pubblicazione: così l'Articolo Firenze 14 è pubblicato il 15 febbraio.

Alba, 4 marzo 1849.

Alba, 11 febbraio 1849.

Alba, 12 febbraio 1849.

Popolano del 12 febbraio 1849.

Vedi Documenti dell'Accusa, pag. 193.

Ivi.

Popolano del 12 febbraio 1849.

Ivi.

Popolano del 13 febbraio 1849.

Popolano del 12 febbraio 1849.

Costituente Italiana del 12 febbraio 1849.

Popolano del 10 febbraio 1849.

Popolano del 12 febbraio 1849.

Il Nazionale del 14 febbraio 1849.

Il Governo chiama i militi livornesi contro i nemici interni, e non per una dimostrazione politica. Ella prenderà tutte le misure onde questo non segua. Presentemente la città è in calma.» - (Dispaccio telegrafico al Governatore di Livorno, 11 febbraio 1849, in risposta al Dispaccio telegrafico del medesimo Governatore, che interrogava: «Si sa che Roma ha proclamata la Repubblica; non sarebbe bene insinuare a questi militi di proclamare essi pure la Repubblica venendo a Firenze? Su questo particolare attendo ordini precisi.» - Vedi Documenti, pag. 481.) - Confrontisi questa domanda con la lettera dello stesso Governatore del 9 febbraio 1849, segnatamente con le parole: «Prevenuto dello arrivo di G. Mazzini atteso su le prime ore del giorno scorso, e consapevole dei timori che si avevano di un pronunziamento in senso repubblicano, volsi ogni cura a prevenirlo, e tutto disposi onde l'illustre Italiano meco prima che al Popolo avesse colloquio, augurandomi averlo concorde o che le cose procedessero senza danno nella santa causa comune ec.» - (Documenti, pag. 306.) Donde si fa manifesto come non vi fosse trama di sorta per rovesciare la Monarchia, secondochè fantastica l'Accusa; gli ordini del Governo avversassero la Repubblica, e Mazzini a Livorno sopraggiungesse a caso; la Costituente fosse messa innanzi per arrestare la tumultuaria proclamazione della Repubblica, e finalmente che Mazzini a Firenze, mutato consiglio, non tenne il patto.

Popolano del 13 febbraio 1849.

Popolano del 13 febbraio 1849.

Ivi.

Costituente Italiana del 13 febbraio 1849.

Costituente Italiana, del 13 febbraio 1849.

Dunque Livornesi non vi erano mescolati?

Popolano del 13 febbraio 1849.

Popolano del 13 febbraio 1849.

Costituente Italiana del 14 febbraio 1849.

Popolano del 14 febbraio 1849.

Popolano del 14 febbraio 1849.

Alba, 16-17 febbraio 1849.

Popolano del 15 febbraio 1849.

Popolano del 14 febbraio 1849.

Popolano del 14 febbraio 1849.

Popolano del 13 febbraio 1849.

Popolano del 16 febbraio 1849.

Costituente Italiana del 16 febbraio 1849

Il Popolano del 15 febbraio 1849.

Frusta Repubblicana del 15 febbraio 1849.

Popolano del 15 febbraio 1849.

Documenti dell'Accusa, pag. 308.

Documenti dell'Accusa, pag. 825.

Ivi.

Popolano del 17 febbraio: «(12 detto) - Le popolazioni maremmane sono tutte in armi, e su questi luoghi l'ex-Granduca non può sperare nessun favore.» - Popolano del 21 febbraio: «(16) - Gli animi sono ardenti, e vogliono una volta finirla con un ex-Principe.....»

Popolano del 14 febbraio 1849.

Corriere Livornese del 14 febbraio 1849.

Corriere Livornese del 17 febbraio 1849.

Documenti, pag. 161.

Documenti, pag. 160 e 415.

Documenti, pag. 162. Dispaccio telegrafico del 16 febbraio.

Documenti dell'Accusa, pag. 326. «Il Popolano continuerà sempre ad essere il Monitore del Circolo del Popolo di Firenze.» (Popolano, 6 febbraio 1849.)

Questa mattina (17 febbraio) a ore 10 a.m. circa è partito da Livorno per Maremma un battaglione di Volontarii livornesi comandato dal maggiore Guarducci.» - (Popolano del 18 febbraio 1849.)

Documenti dell'Accusa, pag. 300. Rapporto Guarducci a C. Pigli da Rosignano, del 18 febbraio 1849.

Faccia subito partire per Pontedera i Cavalleggieri; e li dia ordine che si mettino sotto il mio comando, perchè domani penso partire per la Maremma.» -  17 febbraio 1849.

Petracchi a Guerrazzi: - Ricevo in questo momento un Dispaccio dal Pigli che dice: Torni immediatamente. È vero, si tenta un colpo a Pietrasanta, ma non riuscirà. Nulladimeno è necessario che i buoni Livornesi sieno in Livorno. - Cosa devo fare? ho bisogno d'istruzioni, e sollecitamente.» - 18 febbraio 1849, ore 11 a. m.

Mazzoni, non io, dà il medesimo ordine a Petracchi, ma dopo.

«Petracchi a Pigli: - In questo momento ricevo un Dispaccio dal Presidente Mazzoni, che mi ordina partire per Livorno.» - 18 febbraio 1849, ore 12, m. 45.

Dunque Pigli ordinava prima, e indipendentemente dal Governo.

Pag. 161, 165, 415.

Documenti dell'Accusa, pag. 166.

Ill. sig. Prefetto.

Mando a Grosseto, come il Governo superiore mi ordina, 12 Municipali guidati da un Tenente, e alquanti Artiglieri nazionali, e di linea. La prevengo, che domattina a qualche ora partiranno da Livorno 2 Compagnie di Guardia Nazionale dirette a Santo Stefano, e che nello stesso giorno di domani procederanno nella stessa direzione altre forze militari provenienti da Firenze, e capitanate dal Gen. D'Apice, - È inutile ec. - Livorno 14 febbraio 1849, ore 11 di sera. - Pigli.»

Documenti, pag. 295.

In proposito di corrispondenze qui cade in acconcio raccontare come (e il modo ignoro, ma anche da ciò si argomenti se convenisse andare cautelati) il Circolo del Popolo intraprendesse un plico diretto da Gaeta al sig. Boiti impiegato nella Posta delle lettere di Livorno, e recatolo al Governo instò perchè lo Ufficiale si destituisse. Doleva grandemente tanto a me, che al buono Adami, piegare sotto la dura legge, ma e' fu forza pel momento subirla. Il sig. Consigliere Ronchivecchi, curatore del giovane, sollecito degl'interessi di quello e della famiglia cui apparteneva, poco bene provveduta a sostanza, raccomandava il giovane nello impiego si restituisse; ed io risposi subito, che volentieri, imperciocchè non era stato remosso per noi, bensì dalla prepotenza della Fazione soverchiante; però bisognare, che alcun poco di tempo passasse onde non fare un peggio; al fine, quando mi parve capitato il destro, reintegrai il sig. Boiti nello ufficio con grande contentezza della sua famiglia e del sig. Ronchivecchi, il quale parmi venisse due volte, ma certamente una, per conferire meco su questo negozio, e ringraziarmi. - Di questo fatto, della umanità di riceverlo, dell'ottima mente a soddisfarlo, e dei discorsi intorno la violenza che la Fazione esercitava sul Governo, chi meglio può testimoniare del sig. Consigliere Ronchivecchi? - Così mi adoperava io a preservare da ogni offesa della Fazione la famiglia degl'impiegati; e se me salutassero allora una seconda Provvidenza, pensatelo voi!... Ma in quel tempo l'ora della ingratitudine non era suonata.

Rapporto del Governatore del 9 pervenuto al Governo il 10 febbraio: (Documenti dell'Accusa, pag. 306.) «.... cui concedo - munizioni da bocca e da fuoco, non che lire 10,000 tolte dalla Cassa della Dogana e delle quali sarà reso conto, mentre d'altronde negarle sarebbe stato un contrastare per diffalta di mezzi al conseguimento del fine».

Rapporto del 13 febbraio 1849. Documenti dell'Accusa, pag. 309.

Detto Rapporto.

Documenti dell'Accusa, pag. 309.

I Documenti dell'Accusa, a pagine 320, contengono la prova contraria a quanto immagina l'Accusa. Il Governatore Pigli nel 21 febbraio 1849 chiede di aggiungere una colonna di 100 Volontarii ai Municipali mandati ad Orbetello, facendoli condurre dal sig. La Cecilia. Questo Documento pertanto dimostra: 1° Che nè il Governatore nè La Cecilia avevano ricevuto incarico di Spedizione alcuna, perchè altrimenti il Pigli non aveva bisogno di essere autorizzato a mandare 100 Volontarii; 2° Che il Governatore bene era stato commesso a ragunare gente scelta, non già a spedirla, molto meno a darle capi di sua volontà; 3° Che la proposta era mossa per avventura allo scopo che non gli venisse rampognato il fatto come uno dei soliti spropositi; quale era stato lo arbitrario, comecchè poco dannoso, invio di La Cecilia in Maremma.

1: Dell'ingegno di Gio. La Cecilia, decisamente antipatico a qualunque subiezione, ostinato a fare a modo suo, e a confondere ogni ordinamento, mi porge prova certa lettera rinvenuta tra le mie carte in Livorno. Il Municipio mi aveva incumbensato della organizzazione della Guardia Civica; io consentiva, compiacendo al voto del Popolo, incumbensare La Cecilia di talune attribuzioni: questi le usurpa tutte, e subito; anzi arriva perfino a pubblicare notificazioni col mio nome senza pure consultarmi! Il Gonfaloniere mi mandava la lettera seguente, che io partecipava a La Cecilia con la nota che vi si legge a tergo: sono testimoni informati del fatto Fabbri e Baganti, ed altri parecchi:

 

«Illustriss. Signore

Leggo nella Notificazione o Avviso di questo giorno, che le forme per la elezione degli Uffiziali, sotto-Uffiziali ec., devono essere indicate dal Municipio; ciò è contrario alla Notificazione del 9 settembre, poichè in essa vien detto che in tutto quello che non è contemplato nel presente Regolamento s'intende supplito dalla legge e dagli ordini in vigore relativi alla Guardia Civica Toscana.

Ora non trovandosi nulla in proposito su detta Notificazione mi sembra che si debba tenere il sistema antico delle schede ec. per quanto lungo, e nojoso.

Le sono rispettosamente

Di VS. Ill. Dalla Comunità di Livorno, il 27 settembre 1848.

Devotis. Servitore

Avv. L. Fabbri Gonfaloniere.

 

All'Ill. Sig. Avv. F.-D. Guerrazzi Livorno.»

(In margine) «A. C.

Non è mia colpa tutto questo apparato di solennità, ma del Diplomatico Baganti. - L. F.»

(A tergo) «Come rispondere alla qui aggiunta? Questa Notificazione di stamani io non l'ho neppure vista. - E ciò dipende sempre perchè voi organizzatori disorganizzate ogni cosa, repugnando fare sempre capo a un centro. Io taccio per non parere geloso di prerogative; ma voi siete imbroglioni per eccellenza. Non sono io incaricato con Petracchi della Guardia Civica? Dunque perchè mandi tutti i fogli in Comunità? anzi ve li porti tu stesso? Perchè fai Notificazioni in mio nome senza che pure le legga? Così non va BENE.

F. D. G.»

Corriere Livornese del 9 marzo 1849.

Documenti, pag. 498.

Ivi.

Documenti, pag. 426.

Documenti, pag. 427.

Ivi.

Documenti, pag. 496.

Documenti, pag. 499.

Documenti, pag. 428. Dispacci telegrafici del 5 marzo 1849.

Documenti, pag. 499.

Documenti, pag. 500.

Documenti, pag. 429.

Documenti, pag. 433.

Concertate il mutamento della Municipale di Livorno con Firenze, e subito qui la ridurremo. Create le altre due Compagnie, o date promessa d'imminente formazione.» (Dispaccio telegrafico del 5 marzo 1849. Documenti, pag. 428.) - «Consigli di prudenza hanno fatto inviare il primo reggimento in città amicissima. Piace il disarmo.» - (Dispaccio telegrafico dell'8 marzo. Documenti, pag. 430.)

Medesimo Dispaccio.

Sulla voce della partenza della Municipale Livornese per Firenze, alcuni del Popolo hanno mormorato, che i Fiorentini venivano qua per opprimere la libertà.» - (Dispaccio telegrafico del Marmocchi 6 marzo 1849. Documenti, pag. 500.)

Perchè ad arte si era sparso, che io veniva incaricato di far fuoco sul Popolo, come già (dicevasi) avevo io fatto sul Popolo pistoiese.» - (Rapporto del Tenente Colonnello Reghini al Generale D'Apice, del 9 marzo 1849. Documenti, pag. 69.)

Si noti che ricorrevano al solito rimedio adoperato in simili frangenti per tutelare la vita minacciata dei cittadini.

Dispaccio telegrafico del 9 marzo 1849. Documenti, pag. 430.

Documenti, pag. 430.

Documenti, pag. 431.

Lettera del Generale D'Apice. Documenti, pag. 70.

E questo dimostra quanto tuttora potessero i Circoli.

Dispaccio telegrafico del 12 marzo 1849. Documenti, pag. 502.

Dispacci telegrafici. Documenti, pag. 433.

Ivi.

Documenti, pag. 431.

Dispacci telegrafici. Documenti, pag. 432.

Dispacci telegrafici del Prefetto Martini, e del Comandante di Piazza Barli. Documenti, a pag. 432 e 503.

Perchè non fuggivi? - domandano ora i Giudici. - Allora, io domando a loro, avreste voi interrogato così?

Dispacci telegrafici del 13 marzo 1849. Documenti, pag. 433.

Documenti, pag. 503.

Vedi Documenti, pag. 506-507.

Dispaccio telegrafico del 18 marzo. Documenti, pag. 437.

Documenti dell'Accusa, pag. 787.

Documenti dell'Accusa, pag. 530.

Il lettore benevolo avrà in mente: 1° La sentenza contenuta nella lettera di Carlo Pigli diretta a me l'11 ottobre 1848: «Noi vogliamo la Costituzione sincera, e la strada di ogni civile progresso sgombra da ogni impaccio di vile egoismo;» 2° Il Rapporto del medesimo, 9 febbraio 1849, il quale, dietro le mie istruzioni contenute nel Dispaccio telegrafico del 31 gennaio 1849, si affaticava a impedire che Mazzini provocasse la gente a tumultuaria Repubblica: «Prevenuto dello arrivo di Giuseppe Mazzini atteso su le prime ore del giorno scorso, e fatto consapevole dei timori che si avevano di un pronunziamento repubblicano, volsi ogni cura a prevenirlo, e tutto disposi onde l'illustre Italiano meco prima che al Popolo avesse colloquio, augurandomi averlo concorde a che le cose procedessero senza danno alla santa causa comune.... Convocai presso di me lo Stato-Maggiore della Guardia Civica ed i migliori patriotti, tra i quali D'Apice, La Cecilia, ed Antonini, sempre tacendo la causa delle mie inquietudini, finchè, affrettata la venuta di Mazzini in Palazzo, nello intendimento di porre a profitto la sua influenza, svelai il segreto e le mie vedute, alle quali egli ed ogni altro aderirono..... Mazzini comunicò la fuga del Principe, e tosto grida di gioia e di Repubblica proruppero; ma egli proseguendo dominò così le menti, da tutti ridurre concordi ad acclamare la Costituente.» (Documenti dell'Accusa, pag. 38, 305, 307.) - Accusa, Giudici decidenti, fin qui o come avete fatto a sostenere, che alle più stemperate voglie della Fazione io mi opponessi tardi, - dopo le sorti infelici della guerra italiana, - ai conforti del Ministro Inglese? - Accusato accuso; io vi traduco davanti il Tribunale della coscienza pubblica, mio giudice e vostro, e v'intimo a giustificarvi delle vostre imputazioni.

Carissimo. Vi scrivo di letto dove ho dovuto rifugiarmi. La lama rode il fodero; ma qualche Santo aiuterà. Piacemi il vostro ardore, ma ricordate che bisogna avere prudenza e gravità grandissime.... Grande è il carico che abbiamo sopra le spalle, ma non inferiore all'animo nostro, e consiste nei rendere amabile la libertà, mostrando com'essa sia principio di ordine troppo diverso dal Varsoviano ec.» - 11 febbraio 1849.

Dispacci telegrafici nei Documenti dell'Accusa, pag. 413, 480.

Monitore Toscano dell'11 febbraio 1849.

Documenti dell'Accusa, pag. 547.

Documenti, pag. 281. Non si conosce dai Documenti dell'Accusa la data di questa deliberazione, ma certo deve avere tenuto dietro al Decreto pressochè immediatamente.

Documenti, pag. 414.

Documenti. Dispaccio telegrafico dell'11 febbraio 1849, o. 5, m. 25.

Documenti, pag. 167.

Monitore del 12 febbraio 1849.

Documenti, pag. 329.

Documenti, pag. 107.

Costituente del 13 febbr. 1849.

Popolano del 14 febbr. 1849.

Documenti, pag. 330.

Popolano, 14 febbraio 1849.

Costituente, 14 febbraio 1849.

Popolano, 15 febbraio 1849.

Rusconi, opera citata.

Io vidi certo, ed ancor par ch'io 'l veggia,

Un busto senzo capo andar, sì come

Andavan gli altri della trista greggia.

E il capo tronco tenea per le chiome

Presol con mano, a guisa di lanterna.

Dante, Inferno, XXVIII.

Il nome di questo Sacerdote mi cade adesso in mente: lo citerò testimone.

La lettera a Giorgio Manganaro amico mio, e prestantissimo uomo, dice:

«Amico

Vedi lettera di Prete birbo: sorveglia se vi è Frugoni, e si cacci via. - Sai tu, che ci è di nuovo? La Cecilia mi propone di dare la Toscana al Piemonte, e andare a Roma per intrigare in proposito. Vedi fede! Questa lettera si depositi negli Archivii della Polizia.»

Guerrazzi.»

(La lettera non ha data; dal marchio postale sembra impostata il 5 aprile 1849.)

Dicono, che questa rarità costi da 3000 scudi di stampa! Pater, ignosce illis, - con quello che seguita. Ma via, quando la finanza è gaia, si può spendere a soddisfare qualche capriccio.

Dispacci telegrafici. Documenti, pag. 483.

Documenti, pag. 287 e 488.

Documenti dell'Accusa, pag. 285, 287, 488, 845.

A questo fatto accennano le parole della mia lettera del 23 febbraio riportata nei Documenti a pag. 847: «Stamani mi sono mosso da Camajore col Generale D'Apice, e sono arrivato a Pietrasanta. Poco dopo, è arrivata la Colonna condotta dal Maggiore Petracchi; la quale, preso un poco di ristoro, si dirige immediatamente verso Viareggio. Qui attendo il Generale D'Apice

Documenti, pag. 111.

Documenti, pag. 483.

Documenti, pag. 482.

Si accenna alla pioggia che cadde breve ora innanzi alla battaglia di Cavinana, e fu il Principe di Oranges, che vedendo piovere mentre i soldati bevevano disse: «Soldati! Noi non anderemo punto imbriachi alla guerra contro i nemici, poichè con tanto favore Iddio ci adacqua con le sue sante mani il vino.»

Costituente Italiana, 19 febbrajo 1849.

Questa sentenza poi non fu stampata, ma bandita a voce di Popolo e affissa manoscritta per le cantonate.

Il Nazionale, 18 febbrajo 1849.

Il Conciliatore, 18 febbraio 1849.

Il Conciliatore, 19 febbraio 1849.

La Costituente Italiana, 22 febbrajo 1849.

Tutti questi Proclami sono stampati a pag. 836-837 del Volume dei Documenti.

Dispaccio telegrafico, a pag. 420 dei Documenti.

Corriere Livornese del 19 Febbraio 1849.

Documenti, pag. 485.

Ivi.

I Sanesi in questo momento, codini o non codini, sono tutti Repubblicani: - quello che non aveva fatto la ragione ha fallo la paura.» - (Lettera riservata al Ministro dell'Interno. - Vedi Documenti a pag. 215.) - In cotesta lettera si leggono le seguenti espressioni, le quali l'Accusa non mancò distinguere con carattere italico: «Dal Rapporto straordinario di questa Prefettura vedrete cosa si è operato per secondare le superiori disposizioni, e per ispingere la Città a seguitare il movimento repubblicano.» Superiori disposizioni di cui? Del Governo no, dacchè al movimento repubblicano si opponeva. Il Rapporto della Prefettura di Siena, che si legge nella medesima pagina, ed è documento officiale, dichiara avere agito nello interesse, non già per ordine, del Governo. Che qualcheduno della sua carica abusasse, può darsi; questo accade in ogni Governo, e considerati i tempi e gli umori degli uomini, tanto più era da aspettarlo nel nostro; ma io amo credere piuttosto, che lo scrivente la lettera riservata accennasse a disposizioni superiori simili a quelle che imprimevano moto alle operazioni del Governo di Livorno; e però a me intieramente estranee.

Documenti, pag. 320-846.

Documenti, pag. 848.

Lamartine, Histoire de la Révolution de 1848. Bruxelles, 1849 Tomo I, pag. 237.

Histoire de la Révolution, tomo I, pag. 160, edizione citata.

Luigi Blanc, Histoire de la Révolution, edizione citata, tomo II, pag. 462.

Thiers, Révolution française, edizione citata, t. 1, p. 166.

Alba del dì 11 febbraio 1849.

Thiers, Histoire de la Révolution, Cap. 4. Convention.

Guizot, De la Justice politique, edizione citata, pag. 27.

Thiers, Opera citata, pag. 162.

Hume, Storia d'Inghilterra. Capolago. Cap. 60, p. 336

Thiers, Opera citata, tomo II, p. 570.

Couardise mère de la cruauté. Montaigne, c. 27, l. 2.

Lamartine, Les Girondins. Bruxelles, 1847, tomo III, pag. 271.

Thiers, Histoire de la Révolution, edizione citata, t. 2, c. 4.

Attesochè 21 del Decreto del 10 giugno 1850, altrove citato.

Nel confronto storico contenuto in questo paragrafo, quantunque io abbia citato varii scrittori, avverto essermi giovato principalmente della opera del sig. De Barante, che conosco per via dei brani riportati nel Giornale dei Débats.

Documenti, pag. 490.

Documenti dell'Accusa.

Pietrasanta, 20 febbraio. - Questa città è stata posta dal De Laugier in istato d'assedio; domani si teme la legge stataria; è stata proibita la dispensa dei Giornali; pattuglie di Linea e Veliti percorrono la città guarnita da 400 uomini e da una batteria. Sono venute delle Compagnie dalla Lunigiana, si crede che l'abbandoneranno tutta a discrezione del Tedesco. - Sono state spedite delle forze a Viareggio, a Camaiore, e verso Monte di Chiesa. - Il popolo accusa di tutti questi mali lo spirito retrogrado di alcuni cittadini.» - (Monitore Toscano del 21 febbraio.) - Anche qui è di necessità la corrispondenza officiale intera: per bene giudicare un fatto bisogna conoscere esattamente le cause che lo produssero, e le circostanze che lo accompagnarono.

Altri errori e non pochi, sebbene meno gravi, ha commesso il Governo Provvisorio, errori che han tenuto il Popolo sospeso e timoroso, errori che han fatto correr rischio alla città di vedersi innaffiata di sangue cittadino, - e qui vogliamo alludere allo abbandono fatale in cui per varii giorni fu lasciata la truppa in balía di capi spergiuri o mal fidi; errori che han fatto nascere la reazione laddove non era che malcontento, - e qui vogliamo alludere alla incuria con che il Governo ha lasciato in balía di sè stesse le provincie, vogliamo alludere alla sua inerzia inescusabile nello scaldarsi le vipere in seno, lasciando al maneggio degli affari, alla vigilanza della pubblica sicurezza, al mantenimento delle leggi, uomini ligii allo antico ordine di cose, uomini sordidi e ignoranti, uomini o traditori od infami.» - (Il Popolano, 14 febbraio 1849.) - Se questi erano i peccati veniali, ogni uomo può immaginare quali mai dovevano essere i mortali.

Il Popolano, 14 febbraio 1849.

Monitore del 20 febbraio 1849. - Alba del 21 febbraio 1849.

Prova di questo, e, molto più, prova dell'animo disposto a partire quando avessi potuto farlo senza pericolo della Patria e di me, sta appunto nello invio dei familiari e delle cose più necessarie a Livorno: «Al Governatore di Livorno. - Mandi a casa mia ordinando a Maria che faccia valigia, o valigie di vesti, biancherie, e scarpe, e quanto altro per me, e pel nipote può occorrere, e spedisca immediatamente a Lucca al Palazzo della Prefettura. Guerrazzi.» - (Dispaccio telegrafico del 20 febbraio 1849. - Documenti dell'Accusa, pag. 421.)

A questa disposizione dell'animo, e a questo fatto accennano l'espressioni del Proclama del 20 febbraio 1849: «Quanti sentono in cuore affetto alla Patria e alla Libertà, con tanto sudore e con tanto sangue acquistata, sappiano fare com'essi: prendano un'arme, e accorrano a difenderle

Documenti dell'Accusa.

Avverti, che questo conto incomincia dal 22 febbraio e va al 27 del medesimo mese. Altrove ho detto da chi, e perchè questo conto fosse stato pagato.

Documenti dell'Accusa, pag. 288.

Notai altrove come il Segretario cav. Allegretti scrivesse al signor Biavati, che guaio grande sarebbe venuto addosso alla Toscana, se io avessi abbandonato il Governo; ora avverto, secondo che la memoria mi viene ricordando, come sovente, andato a prendere il signor Adami per recarci a casa insieme, incontrassi nella sua stanza il Segretario cav. Menzini, e quivi trattenendomi alquanto lamentava le soverchie fatiche, e la non sopportabile contesa contro lo impeto della Setta prevalente, e apriva l'animo mio deliberato a scansarmi appena me ne capitasse sicuro il destro; alle quali proteste il Segretario Menzini commosso mi pregava a mutare consiglio, imperciocchè se io avessi ciò fatto poteva stare sicuro, che tutti i buoni impiegati mi avrebbero tenuto dietro. Crederei far torto al signor Menzini uomo di molta sufficienza, e di ottima indole, se lo confortassi a non volersi dimenticare, mentre io mi disfaccio in prigione, quello ch'egli mi diceva in Palazzo.

Documenti, pag. 208.

Documenti, pag. 321. Il Dispaccio occorre a pag. 296.

Invero non penso che per me sarebbonsi usati tre infiniti uno dopo l'altro della medesima desinenza: "cospirare a turbare l'ordine, che dice raccomandare." E certamente poi non avrei scritto la frase: "l'Ammiraglio, che s'impedisce," ch'è solennissimo svarione grammaticale; ma sì l'ammiraglio che impedisce.

Edinburgh Review, citata altrove.

Hume, Storia d'Inghilterra, cap. 72.

Ah! on ne fait pas de l'autorité avec du gouvernement, avec de l'administration toute seule. On ne fait pas de la prospérité avec de la compression ou avec de la prospérité matérielle seulement. On ne fait de l'autorité qu'avec les principes, les hommes, les vertus de l'autorité." E lo bandisce De Falloux, l'ardente realista, all'Assemblea di Francia, nella Discussione del 13 luglio 1851, intorno alla necessità del rivedere la Costituzione.

Non è fuori di proposito avvertire, che il Monitore Toscano del 22 febbraio avvisava la partenza del Granduca senza riflessioni, senza dimostranza alcuna, che rivelasse contento di scopo ottenuto: "Riceviamo da Grosseto la seguente notizia officiale. Leopoldo II, dopo avere imbarcato tutto il suo equipaggio, e dopo aver tenuto un lungo Consiglio con i Ministri Esteri presenti a Santo Stefano, si è recato a bordo del Vapore inglese Bull Dog insieme alla sua famiglia e parte del seguito. Ciò accadeva a 10 pom. precise." Ma quello che più importa è, che Giovanni Sordini, che fu ospite di Sua Altezza, invece di perdere la fiducia del Governo, con molta querimonia della Fazione Repubblicana, fu messo a parte della Commissione di Sicurezza pubblica, e non incontrarono molestia il Nieto e il Lambardi, che si erano mostrati devoti al Principe nell'ora della sventura. Ed eccone la prova: "Vedete, che cosa vuol dire, che il Governo Provvisorio non abbia impiegati fedeli al suo servizio. Con un Tenente del Porto granduchista per eccellenza, ed uno dei primarii, e più furbi reazionarii, non potrà sapere mai nulla. E per aggiunta questo Tenente è, come sapete, anche Gonfaloniere. Nel Comitato di pubblica Sicurezza vi è il Sordini, quegli che ha tenuto in casa il Granduca....." - (Corrispondenza dell'Alba, Nº del 28 febbraio 1849.)

Il Prefetto di Pisa al Ministro dello Interno. "Scrive il Delegato di Massa perchè comunichi subito: la votazione ha avuto luogo senza il concorso dei Sardi. Avenza è nostra: due soli voti pel Piemonte. Tutto è proceduto con calma; ora gran festa. Io vado a prendere possesso con la truppa. La Popolazione ci viene incontro festante dalla..... a un miglio d'Avenza." - (Dispaccio telegrafico del 12 decembre 1848. - Documenti a pag. 466.)

Nel Volume dei Documenti a pag. 469 leggo questo Dispaccio: "Il Prefetto di Pisa al Ministro della Guerra. - Trascrivo il presente Dispaccio del Generale De Laugier, che me ne incarica. - Massa Ducale, 24 decembre 1848. Ore 4 pom. - Forza maggiore piemontese cacciò via con minaccia di fuoco da Parana i Toscani. Protestammo. Istruzioni per ciò, ed anche per Avenza al bisogno. Il Generale De Laugier, - Ore 2, 55 min. ant."

Questo fatto nel libro di Luigi Carlo Farini, intitolato Lo Stato Romano, così si racconta:

"... Ma nel momento in cui i Costituzionali toscani si ponevano a grave repentaglio tentando aiutare l'impresa del Laugier, i consigli della Corte di Santo Stefano cambiavano intieramente. Erano colà giunti da Gaeta sopra un battello a vapore il Bargagli ministro presso la Santa Sede ed un Saint-Marc francese, faccendiere legittimista, i quali col granduca e colla sua famiglia ebbero confidenti colloquii per un giorno intiero, senza che i legali fossero chiamati a consiglio od avessero sentore degli avvisi che quelli recavano. Avevano recate lettere del Santo Padre pel granduca, lettere e consigli del cardinale Antonelli, della Corte di Napoli, della Duchessa di Berry, dell'Esterhazy, dei legittimisti, pel granduca, per la moglie, per la sorella, per la Corte Toscana. Il giorno appresso, convocati i legati, il granduca disse, avere ricevuta una lettera di Gaeta (che poi quelli seppero essere del papa), in cui si diceva, che l'Austria non permetterebbe mai che il Piemonte intervenisse in Toscana, e che non prima le truppe piemontesi passerebbero la frontiera, il maresciallo Radetzky muoverebbe sopra Torino; che presto Austria, Francia, Spagna e Napoli restaurerebbero coll'armi il papa, e che il Piemonte era al bando dell'impero e del sacerdozio. Per le quali cose, soggiunse il granduca, aveva dovuto convincersi, essere suo debito di ammonire prontamente il re di Sardegna dei pericoli che correva, dichiarandogli, non volere essere cagione delle disgrazie che lo minacciavano, e quindi aveva rinunziato all'aiuto ricercato prima, ed aveva mandato ordine al generale Laugier di astenersi o dare indietro dall'intrapresa che gli aveva affidata. I legati furono maravigliati ed afflitti da questo discorso, se si eccettui monsignor Massoni internunzio pontificio, che fece segno d'assenso. Un d'essi, lo Svedese, notò che la notizia mandata da Gaeta delle deliberazioni dell'Austria non poteva essere fondata sulla verità, perchè a Gaeta non si poteva avere sentore il giorno 18 d'una determinazione qualunque presa dall'Austria in Olmutz intorno all'intervento piemontese chiesto con lettera del granduca, giunta a Torino soltanto il giorno 17. Le notizie di Gaeta adunque, soggiungeva, facevano fondamento in un desiderio, forse in un consiglio di là mandato all'Austria, o in una semplice supposizione, e perciò non doveva il granduca fondare in quelle i suoi giudizii e le sue deliberazioni. Pensasse, che avendo l'Austria accettata la mediazione della Francia e dell'Inghilterra a Brusselle, non poteva credersi nè che il Piemonte, contro l'avviso della Francia e dell'Inghilterra, pigliasse l'impresa della restaurazione in Toscana, nè che quelle permettessero all'Austria di assalire il Piemonte per simigliante cagione: perciò conchiudeva, che il granduca dovesse scrivere di nuovo a re Carlo Alberto, non già rivocando la domanda del soccorso, ma sì disdicendo la lettera che aveva mandata per rivocarlo, ed avvertendolo semplicemente delle notizie che di Gaeta aveva ricevute. Parve Leopoldo arrendevole a questi ragionamenti e consigli, e fatto venire innanzi a sè il Legato Sardo, gli consegnò una nuova lettera pel suo re...."

Però io sono ben lontano di fondarmi sopra uno Scrittore, il quale, per mostrarsi svisceratissimo del Piemonte, fatto di ogni erba fascio, tanto è feroce contro coloro, che reputa poco disposti a caldeggiare le fortune piemontesi. Il suo zelo per cotesto nobile Reame io lodo, la passione di avvantaggiarlo con ogni possa approvo, ma io non so quanto primieramente alla sua coscienza provveda, e poi gratifichi ai Popoli subalpini, assalendo con falsità manifeste e continue la fama di tale, che, quando pur volesse, non gli potrebbe rispondere: egli sovente si duole, che la parte a lui avversa non abborrisca dalla calunnia, ed a ragione la rampogna; ma, fratello, tu vedi la paglia nell'occhio altrui, e nel tuo non ti accorgi del trave; invece di maledire la calunnia, parmi, che tornerebbe meglio evitarla; oh! da siffatti aiuti aborrono i generosi; nè penso io, che imprenda opera patria colui, il quale invece d'indagare pacato gli errori di tutti, e riprenderli mite per documento del futuro, inacerbisce gli animi affannati sotto il flagello della lingua dolosa. Ai magnanimi piacciono i magnanimi, non i saccardi, che traggono dietro agli eserciti per ispogliare i morti, e graffiarli nel volto con disonesta ferita. - E tanto basti; però in proposito della citazione estratta dal libro del signor Farini avverto, che non mi sembra verosimile la terza lettera del Granduca al Re Carlo Alberto, o almeno del tenore che egli asserisce; imperciocchè, se disdicendo la disdetta avesse S. A. confermato la chiamata delle milizie piemontesi, la sua partenza dal Porto Santo Stefano, secondo che ragione persuade, avrebbe dovuto somministrare motivo ad affrettarne la marcia piuttostochè a differirla, e a contrammandarla. Intorno al fatto in discorso, sappiamo come fosse motivo della dimissione del Presidente Gioberti dai Consigli del re Carlo Alberto. Da quello che resultò nella celebre Seduta del Parlamento Sardo del 21 febbraio 1849 sembra potersi ritenere, che Gioberti, inconsulti Colleghi e Parlamento, offrisse intervenire con le milizie piemontesi in Toscana.

Io ho chiesto le Corrispondenze ufficiali, e fin qui non mi si vollero dare; sicchè con che cosa io abbia a difendermi non si sa vedere. Nel Monitore trovo il seguente Dispaccio del Comandante di Piazza di Carrara al Ministro della Guerra, in data del 19 febbraio 1849:

"Il General De Laugier s'è messo in aperta ribellione col Governo Provvisorio, giacchè avanti ieri essendosi recato a Pietrasanta vi lesse un Proclama di Leopoldo d'Austria, quindi da pochi birbaccioni fece suonare le campane a festa, e lacerare tutti i proclami del Governo Provvisorio; in seguito, presa mezza batteria, la fece trasportare al forte di Porta appostandola in direzione ostile, guardata da circa dugento soldati che io stesso vidi. - Il Delegato di Massa già aveva protestato contro l'infame attentato del De Laugier; mi trasferii subito a Carrara.

I Carraresi si sono condotti degnamente, giacchè tanto il Municipio che la Guardia Nazionale e tutta l'intiera Popolazione non hanno voluto riconoscere il potere militare di De Laugier, ed hanno fatto rispettare tutti i decreti del Governo Provvisorio che stanno affissi nelle muraglie; agli stessi pochi soldati che qui stanziano, è stato comunicato lo spirito della popolazione di Carrara, stantechè il proclama di Leopoldo d'Austria, ch'era stato affisso alla porta del loro quartiere, è stato da loro stessi lacerato, e ve ne hanno sostituito un altro in favore del Governo Provvisorio, dimodochè penso che l'attentato del De Laugier sia ormai sventato, non avendo ottenuto, come egli sperava, l'appoggio morale di queste popolazioni."

Nei Giornali del tempo trovo quest'altra corrispondenza:

"Massa, 21 febbraio. - Noi ci troviamo in tale incertezza, in tale stato d'inquietudine, che vi giuro mai provammo l'eguale. Il Generale De Laugier, dopo aver fatto affiggere una protesta in nome di Leopoldo, si diede quindi a correre le nostre contrade seguito da parecchi Dragoni a cavallo, e gridando Morte ai Repubblicani, Viva Leopoldo II. Il Municipio, composto d'uomini deboli o peggio, non ha fatto alcuna protesta pubblica contro di esso. Solo il Circolo popolare alzò la sua voce di disapprovazione, dichiarando che il Popolo di Massa non parteggiava per alcuno, ma solo per l'Italia e per l'Indipendenza; ciò procurò da parte del De Laugier una minaccia di oppressione, stato d'assedio, e peggio. Non sappiamo nulla di positivo della Toscana; correte però presto a liberarci, che le tiranniche violenze di questo piccolo despota ci sono insopportabili."

Dispaccio telegrafico del Prefetto di Lucca del 18 febbraio: "Il Vicario che oggi mi scrive era impedito ieri, perchè guardato a vista; - non posso sapere il vero stato delle cose, perchè a Massa e Carrara Laugier esercita potere sovrano e dittatoriale, a quanto si dice."

Le corrispondenze officiali, di queste mene non tacciono. La Sentenza della Corte Regia di Lucca del 4 giugno 1880 dichiara: "Attesochè altri non manchino i quali affacciano il sospetto, che fra i segreti agitatori delle campagne alcuni vi fossero avversi a un tempo alla democrazia e alla Dinastia Lorenese, e coltivassero la occulta mira per ricondurre il già Ducato di Lucca a condizione di cose impossibile;" - ma più esplicitamente i Giornali dei tempi intorno alle mene pei Piemontesi.

Il Popolano del 15 febbraio 1849 così allarma il Governo Provvisorio con le sue corrispondenze lucchesi, che in sostanza erano vere: "A Lucca pure i fervidi patriotti perdon coraggio per la fiacchezza del Governo, che sembra volontario ficcarsi negli occhi le dita per nulla scorgere di quanto gli succede dattorno. Note di adesione al Governo Sardo circolano sempre per la città, e diecimila Piemontesi sono alle frontiere, presso Sarzana, desiderosi di porre il suggello del fatto compiuto alla perfida macchinazione della trista combriccola della Riforma, foglio svergognato e venduto, a cui, nei tempi che corrono, e nel bisogno di unione e di quiete interna che supremo impera, non dovrebbe bastare lo invocare la libertà della stampa per proseguire nelle sozze sue opere; e come austriaco, e come traditore della patria, esser dovrebbe messo fuor della legge, e condannato alla pena dei facinorosi."

"Le più allarmanti notizie fannosi correre in quel paese (Lucca) pieno di generosi intelletti, ma dallo iniquo partito, soverchiante, tenuti isolati e divisi.

"Ieri abbiamo da lettera di onesto cittadino tenersi colà per certo l'accordo del De Laugier col Piemonte. Alla menzognera notizia una mano di soldati con insolita burbanza dirigevasi sulla piazza di San Michele, dichiarando ad alta voce non volere eglino prestar servigio al Governo Provvisorio, perchè - urlavan essi - composto di tre assassini, e proseguirono in altre esecrande invettive finchè parte di Popolo non gli ebbe ricondotti a forza nella loro caserma, dopo essersi impossessata delle armi. I cittadini spontaneamente si dettero a pattugliare per la città, ove niun disordine ebbe luogo, ma non fu però potuto impedire fossero sparsi fogli sediziosi fralle truppe, colle quali insinuavasi dovere eglino persistere nel loro proposito di non servire ad un Governo che ci conduce al macello. Di tutta la Ufficialità risiedente in Lucca due soli hanno parlato a pro di esso: gli altri permisero che alti personaggi s'introducessero nel quartiere militare, e vi spargessero danari per sovvertire sempre maggiormente i soldati.

Questi fatti avvenivano in Lucca parimente il dì 12, e se una protesta a stampa, scritta dai buoni soldati, circola e condanna la mala condotta dei traviati compagni, ciò non dee mica impegnare il Governo a starsene inerte spettatore delle lotte intestine, nè ad aspettare che la battaglia cessi o per mancanza di combattenti, o per breve sosta prodotta da stanchezza più che da persuasione." - (Popolano del detto giorno.)

Noi Io abbiamo sempre predicato: la libertà e gli eccessi appianano la via alla reazione!... Sì, la persuasione del si stava meglio prima, sentita nei cuori di gente ignorante ed illusa, potè essere tradotta nel grido forsennato di Viva Carlo Lodovico; e l'eresia politica della separazione trovar numerosi partigiani..... Ora dunque tocca al Governo ad unire l'opera sua con quella dei buoni cittadini, perchè le difficoltà che ci circondano sieno dissipate, e sia tolto ogni pretesto alle mene di reazione che ci minaccia." - (Riforma, 2 gennaio 1849.)

Dispaccio telegrafico del Governatore di Livorno, 18 febbraio ore 6, m. 3 p. m. - Documenti, pag. 484.

Documenti, ivi.

Ivi, pag. 284.

Gli esuli lombardi accorsero tutti a difendere la libertà minacciata, e la legione pollacca, sebbene rientrata in Firenze da poche ore, dimenticò la fatica e la stanchezza per accorrere a difesa della terra che l'ha ospitalmente raccolta." (Monitore del 22 febbraio 1849.) - Dunque se nella notte del 21-22 Lombardi e Pollacchi erano a Firenze, non potevo a un punto essermeli tratti dietro il 20. L'Accusa volle sempre mostrarsi esatta così.

In Massa i Partiti, secondo le informazioni, erano tre, e fierissimi tutti, che attendevano il destro di romperla crudamente fra loro, il Repubblicano il più ardito, lo Estense il più numeroso, il Costituzionale il minore.

Merita esame profondissimo la seguente lettera da me mandata al R. Delegato conte Staffetti, mentre io durava nei Consigli della Corona: per essa si comprende come la mia politica fosse la conseguenza franca e decisa del Decreto del 12 maggio 1848 - (Ministero Compini, - e della Commissione data il 22 settembre al Marchese Ridolfi - (Ministero Capponi), - sia intorno alla consulta del voto popolare, sia intorno alla necessità di accorrere con tutte le forze in soccorso dei Lunensi:

«Al signore Conte Andrea Del Medico Staffetti Delegato R. di Massa e Carrara.

Signore Delegato, Amico carissimo.

Io ho motivo fondato per credere che le minaccie, e le paure relative al paese alla fede vostra commesso, e che voi con senno pari alla energia governate, si abbiano a reputare per vane; e nonostante, quando fossero vere, il Ministero è deliberato difenderlo con ogni supremo sforzo, così persuadendo la politica, l'onore, e il dovere.

Uno Stato, perchè duri, e non sia uno scherno geografico, concedetemi la espressione, ha mestieri di confini naturali. La natura gli ha dati alla Toscana; essa ha potuto conseguirli; e adesso deve mantenerli. - La difesa esterna, alla quale ogni Stato che non si voglia ridotto nella condizione di schiavo tremante ha diritto, così ordina. L'amministrazione interna, per le ragioni che ogni uomo intende, senza pure tôrmi il pensiero di esporle, così domanda. - Il Trattato di Vienna ormai, nella divisione territoriale del nostro Paese, fu chiarito assurdo, e Dio volesse che fosse stato assurdo in questa parte soltanto!

Qualunque sieno le sorti che la Provvidenza riserba alla Italia, confido in questo, che, se avranno a decidersi co' Congressi, agli antichi errori verrà riparato col senno; se poi con le guerre dei Popoli, saranno emendati con la spada. Ad ogni modo vogliono essere corretti, se non si ama perpetuare gli argomenti della inquietudine, e saranno.

E ciò posto da parte, noi vi abbiamo aperto le braccia, voi vi ci siete precipitati dentro, e ormai questo amplesso ha da essere indissolubile. La libera votazione del Popolo è l'unico, e il santo diritto divino dei Principi: infatti la libera volontà dell'uomo, determinata dalla segreta ispirazione del suo Creatore, è il modo col quale in simili bisogne Dio si rivela agli uomini; e questa dottrina io penso che non abbisogni essere dimostrata.

Non sarà detto che voi abbiate ricevuto danno per la benevolenza dimostrata con modi così solenni a noi Toscani. Voi siete per natura, e diventaste adesso per libero consenso della mente, quasi carne della nostra carne, ed ossa delle nostre ossa. Noi vi difenderemo da tutti, e ci salveremo, o periremo insieme.

Poche sono le forze nostre, e non pertanto bastano contro i nostri nemici; e poi stanno per noi la ragione, e il buon dritto, che, come la esperienza insegna, fanno forza agl'Imperii più poderosi.

Queste leali ed esplicite dichiarazioni avranno, io spero, virtù di assicurare i timidi, e confermare i risoluti.

S. A. R. rimase oltremodo commossa dello amore dimostrato in tale occasione da cotesti Popoli; io vi commetto lo incarico onorevole di farglielo palese, e assicurarli ch'essi vengono con altrettanto affetto ricambiati; e il Principe e il suo Ministero vi aspettano con ansietà, mio egregio Signore, per consultare insieme intorno ai provvedimenti valevoli per promuovere ogni maniera di prosperità di coteste popolazioni benemerentissime.» - (Monitore, 20 decembre 1848.)

Dispaccio al Prefetto di Lucca del 23 febbraio 1849 - citato altrove: «Sono giunto a Pietrasanta: poco dopo è arrivata la colonna condotta dal Maggiore Petracchi, la quale, preso un poco di ristoro, si dirige immediatamente verso Viareggio. Qui attendo il Generale D'Apice. Mi vengono notizie avere Laugier inchiodati i cannoni al posto di Porta, e fuggir via; indietreggiato fino a Massa, avere sciolto i soldati, che percorrono sbandati il Paese, ed Egli essersi salvato

Documenti dell'Accusa, pag. 814.

L'Accusa, spigolando per nuocere, trova che il Prefetto di Lucca annunziava: «Il Dottore Casali avverte il Presidente, che un amico livornese ha deciso per lo arresto della madre di Laugier, e se tuttora è in Livorno sarà custodita.» - (Documenti dell'Accusa, pag. 484.) - Ma l'Accusa non ha riportato il mio Proclama per salvare da tanta infamia il capo della povera madre; e lo riporto io: «Essendoci pervenuta la notizia come alcuni del Popolo crucciati per lo empio attentato di Cesare Laugier abbiano manifestata la intenzione di arrestare sua madre dimorante a Pisa: Si ordina sotto pena della indignazione del Governo, che sia rispettata religiosamente..... - Camaiore, 22 febbraio 1849.» - (Era Novella, 24 febbraio 1849. - Conciliatore, 26 febbraio 1849.)

Thiers, Histoire de la Révolution (Convention), pag. 232, edizione citata. - Blanc, tomo 2, pag. 445, edizione citata.

Berghini, di cui ragionerò fra poco.

Non è già per cattare sacerdotale benevolenza, ma per dire il vero, che qui ricordo con quanto studio io cercassi porre i Preti in grazia al Popolo; invero, aprendo a caso l'Alba del 1848, a c. 1264, trovo: «Alla lettura dei nomi dei due Canonici, alcuni hanno obiettato: non vogliamo preti; Guerrazzi ha fatto osservare, che fra questi vi sono anche molti buoni, e che uno della Deputazione» (erra, parlai di Monsignor Gavi) «era dispensatore ai poveri di molte migliaia di lire l'anno. Il Popolo ha annuito.» - Io, che sono un uomo tagliato all'antica, tenevo sempre la mente volta a quello che il Segretario Fiorentino dice, nei Discorsi su le Deche di Tito Livio, della religione dei Romani, ammonendo con ragioni e con esempii buoni com'essa fu parte non piccola a formare in loro la virtù per cui conquistarono il mondo.

Il signor Farini, nel Vol. III, a pag. 255, della sua Opera su lo Stato Romano, parlando di Vincenzo Gioberti, scrive: «i ministri toscani (obbrobrio!) lo ingiuriarono villanamente.» Vincenzo Gioberti, uomo di mente, e perciò di cuore grande, deplora questi importuni ricordi, come li deploro io; ed entrambi (ne sono certo) daremmo molto, ma molto assai, perchè i fatti che somministrano argomento a simili scilomi andassero obliati, o, se possibile fosse, non fossero accaduti: ora aizzare l'uno contro l'altro non è opera a cui bastino gl'ingenerosi: le nostre destre non si sono potute toccare; ma con gli spiriti già ci siamo abbracciati, piangendo sopra la Patria, e su noi.... Fermo questo, come spero, devo ammonire il signor Farini, che anche qui erra; e mi conceda, che io gli aggiunga, ciò accadergli troppo spesso, onde il suo Libro, che pure è dettato con vaghezza di stile, si levi alla dignità di Storia. - L'Accusa, a cui cotesto libro (e veda il Farini a che cosa meni la parte di Don Marzio nel mondo) è servito di lanterna, e, come a Dio piacque, fallace, per impegnarsi dentro al laberinto delle sue bugie, stampa nel Volume dei Documenti a pag. 860 la prova, che il Governo Provvisorio toscano non insultò, ma fu insultato. La dichiarazione del Governo Provvisorio di Toscana del 17 marzo 1849 fu provocata dalle furiose e non degne parole contenute a riguardo nostro nel Saggiatore, Giornale politico. Quanto era meglio pel signor Farini, ed anche per tutti, non accennare a questa miseria, molto più se si considera ch'ei lo fece allo scopo di aggravare con menzogna me travagliato anche troppo!

Lettera di V. Gioberti al Muzzarelli, del 28 gennaio 1849.

Lamartine, Histoire de la Révolution de 1848, Bruxelles 1849, tom. 1, pag. 194. - Qui ho parlato di Decreto pubblicato senza ch'io lo firmassi: nell'Appendice terrò discorso di altro Decreto da me firmato senza averlo letto.

Documenti. pag. 549.

Pare che l'estensore di codesto Proclama in quel giorno fosse di Guardia alla punta del Molo!

Nuovi avvenimenti minacciavano di tornare ad alterare nel decorso giorno in Empoli l'ordine pubblico, e la quiete della popolazione. - Non appena tal notizia giungeva a cognizione delle Guardie di Finanza appartenenti alla Brigata di Firenze, che spontanee ed animose si offrivano di andare a tutelare quanto ha di più caro e di più sacro il cittadino che veracemente ama la sua Patria diletta. Esse partirono alla volta di Empoli la decorsa sera, condotte dall'Aiutante Maggiore Pietro Giovannoli. Possa un tale esempio di paterna affezione essere apprezzato quanto merita, e seguitato quanto n'è il bisogno, da tutti i buoni Toscani i di cui costumi, la di cui concordia, il di cui sagace e retto intendimento ne assicurano, che anche in questi solenni momenti non ismentiranno quella commendata opinione, che per tali virtù sempre mai si meritarono. Firenze, 23 febbraio 1849.» - (Documenti dell'Accusa, pag. 846.)

Documenti, pag. 247.

Documenti, pag. 247.

Ivi.

Documenti, pag. 286.

Ivi, pag. 249.

L'Accusa pare, che faccia nascere i sassi

 

Dal più profondo e tenebroso abisso,

 

per urtarvi dentro: invero la disciplina militare difficilmente troverebbe cultore più passionato di me; quando mi pervenne la notizia della strage del Giovannetti la mia voce si levò nel Parlamento, perchè fosse sottilmente ricercata, e punita.

«Guerrazzi. - Mi vengono sicure notizie non solamente a carico della compagnia dalla quale si suppone che possa essere derivata la uccisione del Colonnello Giovannetti, ma ancora relative al pessimo contegno tenuto da tutto il Corpo dei Granatieri nella presente Campagna.

Mi si annunzia di più che le provocazioni, le minaccie e gli scopelismi usati contro il Giovannetti datano da tanti tempi remoti; e per conseguenza domanderei al sig. Ministro della Guerra affinchè si facesse dovere di affrettare una simile inchiesta. Privatamente lo faremo anche noi, affinchè, corrispondendo a questa inchiesta le notizie che mi vengono date, sia proceduto con tutto il rigore della Legge, non solamente a carico della compagnia, ma anche contro tutto questo corpo di Granatieri; il quale, essendo corpo scelto, doveva dare esempio di disciplina, e, secondo le informazioni ricevute, avrebbe fatto tutto al contrario.

Ministro della Guerra. - Dal momento in cui le nostre truppe mossero per la Lombardia fu istituito un tribunale militare a cui incombe l'incarico di fare le indagini necessarie dei fatti tumultuosi o dei disordini che avvengono nel campo. Io, nonostante, tornerò ad eccitare il tribunale, affinchè si occupi di queste indagini.

Guerrazzi. Contiamo nella vostra lealtà e nella vostra giustizia affinchè questo abbia luogo.» - (Monitore, Seduta del 16 agosto 1848.)

Vedi la sua dimissione mandata al Governo Provvisorio, negli Archivii.

Il Prefetto di Lucca al Ministro dello Interno. Trascrivo un biglietto del Delegato di Massa e Carrara, che mi perviene in questo momento, così concepito - Massa 18 febbraio. Signor Prefetto. I Piemontesi non entrano. Laugier è sconcertato. Qui calma dignitosa. Altrettanto sia in Toscana, ed il folle progetto cadrà per la sua propria incostanza. Dirami questa notizia, e sopra tutto la comunichi al Governo.

P. S. Io non sono ancora libero, nè le mie comunicazioni. Domani spero poter dare migliori notizie.» - (Documenti, pag. 484.)

Documenti, pag. 366.

Documenti, pag. 484.

Documenti, pag. 486.

Ivi.

Ivi.

Trovo sopra i Giornali così narrati i casi del 23 febbraio. A me non furono referiti diversi quando giunsi a Massa. «Massa, 23 febbraio. - Alle ore 10, mentre vi scrivo, il paese è in grande allarme. È ritornato a briglia sciolta tutto il treno con 22 pezzi di cannone e tutta la truppa a marcia forzata. Giunti sul piazzone del Palazzo, la popolazione in massa si è slanciata sui soldati del treno, lottando con essi, e gridando: Non partano più i cannoni. Allora gli artiglieri hanno staccati i cavalli che sono stati condotti in una stalla e guardati dal Popolo, i soldati tutti si sono sbandati, fuggendo chi per la Toscana, chi per le montagne, chi vendendo la roba per mangiare, essendo digiuni da 48 ore. Veduto Laugier tutto questo, abbenchè dicesse non voler cedere la Piazza, è uscito dal Palazzo a cavallo scortato dai Dragoni con sciabole sguainate, ed ha gridato: Valorosi soldati, seguitemi; io ho la cassa, andiamo a unirsi a Fosdinovo: chi mi vuol bene mi segua. - Dopo questo parole è scappato come il Demonio con la Cavalleria verso Fosdinovo; si crede però che i Dragoni torneranno indietro.» - (Alba, 23 febbraio 1849.)

Il Municipio di Firenze - dopo avere speso ogni cura a remuovere dall'animo del Principe il pensiero di uno allontanamento, lealmente offeriva il suo concorso agli uomini che di necessità assumevano il grave incarico di reggere provvisoriamente il Paese in sì difficili momenti.» - (Deliberazione del Municipio Fiorentino del 12 febbraio 1849. - Documenti dell'Accusa, pag. 314.)

Monitore del 26 febbraio 1849.

Deliberazioni Municipali del 24 febbraio 1849. - Documenti, pag. 315.

Cittadini del Governo Provvisorio.

Non avendo avuto tempo a convocare un'Adunanza Magistrale, ho riuniti presso di me diversi Priori, li ho consultati sul ritardo della revoca della Legge Marziale. Tutti siamo unanimi nel mantenerci fermi nei principii esposti nella nostra Deliberazione del 24 corrente, e non possiamo secondare le vedute del Governo in quanto sono contrarie a quei principii.

Considerando però che il Governo solo è responsabile de' suoi atti, e non volendo essergli d'impaccio in momenti pericolosi, mentre non revochiamo, nè revocheremo mai le nostre rimostranze, consentiamo bensì ad aggiornarne la pubblicazione.»

Il Circolo del Popolo di Firenze nella Seduta del 26 febbraio 1849 ha decretato:

Che il Circolo del Popolo inviti tutti gli altri Circoli non solo, ma tutti quanti i nostri fratelli democratici, perchè vogliano recarsi giovedì prossimo 1 marzo sulla Piazza del Popolo a ore 12 meridiane, onde sia mandata ad effetto la proclamazione della Repubblica e della Unione della Toscana con Roma, già decretata dal Popolo di Firenze col suo precedente Decreto del 18 febbraio corrente, ed accettata da altri Circoli e da molti Municipii dello Stato.» - (Popolano, 28 febbraio 1849.)

L'attitudine della popolazione, riservata e fredda innanzi le tumultuarie o violente manifestazioni, e alle intemperanti e premature esigenze di alcuni che pretendono d'imporre la loro volontà a tutta la Toscana, usurpando e preoccupando i diritti del Popolo tutto... gli traccia la via che egli dee battere... Non sarà possibile far nascere l'ordine e imprimere il moto a questa massa che va in sfacelo ec.» - (Nazionale del 23 febbraio 1849.)

Il Comandante la Piazza di Pisa al Ministro della Guerra. In quest'oggi son giunte da Lucca due Compagnie, una del Battaglione Italiano e l'altra dei Volontarii Lucchesi, e per non esservi più partenze per Firenze, loro destino, questo Prefetto ha ordinato che partano dimani col primo treno. In questo momento il Popolo unitamente a una parte dei suddetti militi sono andati alla Caserma della Cavalleria, ed hanno obbligato i soldati ad uscire con loro, e andar vagando per la città, gridando: Viva la Repubblica.» - (Documenti dell'Accusa, pag. 493.)

V'inviamo i cittadini Canonico Alfonso A., Capitano Francesco G., Canonico Carlo R. e Avv. Giuseppe D. G., Agostino R. e Oreste M., socj del nostro Circolo; i quali sono stati eletti per recarsi costì ed unirsi a Voi, ed ai Deputati degli altri Circoli Toscani, nella Dimostrazione da farsi al Governo Provvisorio giovedì prossimo, per chiedere che sia mandata ad effetto la proclamazione della Repubblica e l'unificazione della Toscana con Roma, a seconda di quanto è stato annunziato col num. 465 dell'Alba.

Accoglieteli ec. - Li 27 febbraio 1849.» - (Documenti, pag. 124.)

Cittadino Presidente del Governo Toscano.

Il Circolo del Popolo di Firenze ha inviato quest'oggi in Siena e nei dintorni dei Commissarii per ottenere che per giovedì futuro una banda di Popolo ed una Deputazione di questo Circolo da me presieduto si portino a Firenze per proclamare definitivamente in piazza la Repubblica e la Unione con Roma.

Fra questi Commissarii è un tal B. aderente di M.

Dubitando io della fede dei messaggi qua venuti, non ho voluto precipitare, ed ho rimessa a dimani sera l'adunanza pubblica di questo Circolo.

Il predetto B. ha fatto sentire che tutti i Circoli Toscani invieranno giovedì prossimo i Deputati a Firenze, che Livorno si verserà tutto nella Capitale per eseguire quanto sopra.

Io ho obiettato al B. che non mi sembrava utile o decente lo attraversare i passi del Governo, e paralizzare la convocazione della futura Assemblea Legislativa già decretata dalla Legge.

Ho obiettato ancora, che avendo il Popolo di Firenze proclamata la Repubblica, salva l'adesione del Parlamento, non poteva porsi in contradizione con sè medesimo con lo impedire che questo Parlamento sorgesse a stabilire la forma definitiva del nostro Governo. Ho avvertito infine che gli ultimi avvenimenti della Toscana, le reazioni abbattute, i Governi Popolari stabiliti di fatto, erano tali elementi che obbligavano senz'altro la futura Assemblea a proclamare la Repubblica.

Queste cose io andava dicendo al B. ed altre molte. Quest'ultimo peraltro ha insistito nel sostenere che è urgente il proclamare giovedì prossimo la Repubblica e la Unione o Fusione con Roma, non mancando d'insinuare segretamente a molti che anche il Governo desidera di abbandonare la via della legalità e procedere con la Rivoluzione.

In questo stato di cose, io ho preso il partito di rivolgermi a voi, Padre della Patria, per domandare istruzione e consiglio.

Immensa è la popolarità che io ho acquistata in questo paese; come Presidente poi del Circolo, posso fare e disfare.

Debbo io secondare, o impedire in questa città i progetti del Circolo fiorentino? Attendo replica con la prestezza del fulmine per regolarmi.

Avverto che domani sera il Circolo Pubblico, che suole essere numerosissimo, si adunerà a ore 24 al Teatro dei Rozzi.

È urgente adunque che prima di quest'ora la replica mi giunga.

I Senesi sono quasi tutti Repubblicani ec. - D. D. C.»

(Documenti, pag. 217.)

Il ritardo di posta dell'invito, che piacque a voi, Cittadino Presidente, d'indirizzarci all'effetto del nostro intervento sulla Piazza del Popolo in questo giorno 1º marzo per solennizzare la proclamazione della Repubblica e della Unione della Toscana con Roma, è stato sentito con generale dispiacere, giacchè impedì di adunare il Circolo, e di aver tempo sufficiente per trasferirvisi.

Non accusate adunque il nostro Circolo di poca buona volontà, ma ascrivete la mancanza della nostra assistenza a questo atto solenne di libertà italiana, al non avere, come molti altri Municipii, un corso giornaliero e regolare di posta.» - (Documenti, pag. 127.)

Ore 1 pom. - Il Popolo è deciso d'inalzare l'Albero della Libertà, gira le strade in gran numero con bandiere sormontate con berretti repubblicani. - Le campane di tutta la città suonano a festa. - L'Albero è stato portato sulla Piazza dei Cavalieri (una volta degli Anziani!!!). - Ore 2 1/2. - Si leggono, affissi per tutti i canti della città, cartelli con questa scrittura: - Alle ore tre riunione in Ponte. - Una Deputazione numerosa di Popolo si è portata dallo Arcivescovo onde invitarlo ad assistere al Te Deum che il Popolo vuole cantare nel Duomo dopo l'inalzamento dell'Albero.» - (Italia dei Giovani, 28 febbraio 1849.)

Ieri Firenze sapeva imminente il ritorno del Guerrazzi. - Firenze esultante si apparecchiava a riceverlo, siccome era debito ricevere il compositore dello scisma nato dalla fuga di Leopoldo d'Austria. - Firenze gioiva ieri del cessato pericolo della guerra civile, siccome la sera del 21 fremeva accorrendo con pari gioia a difendere le patrie libertà contro i reazionarii illusi e trascinati dalle parole e dalle promesse dei nemici della libertà e dell'Italia.» - (Nazionale, 27 febbraio 1849.)

Il Nazionale del 2 marzo narrava: - «Ieri sera vi fu pubblica adunanza del Circolo Nazionale nel teatro grande in Via Goldoni: era presente l'Avv. L. Deputato del Circolo di Firenze. Si trattò della dimostrazione che doveva aver luogo stamane in Firenze contro il Proclama del Governo Provvisorio del 27 p. p.; fu proposto di uniformarsi a quanto aveva fatto il Circolo della Capitale.»

Il Signor L., il quale si affaticava a fare contro me, adesso è incolpato con me e come me nel mostruoso pastone dell'Accusa.

Il Prefetto di Pisa al Ministro dell'Interno. Comunico il seguente Dispaccio del Prefetto di Lucca, con avvertenza che i due contrassegnati nel medesimo dovrebbero dire M. e L., i quali furono qui al Circolo senza frutto. Martini.» - (Documenti, pag. 494.)

L'Avv. M. e il P. L. erano stamane in Lucca a far gente per condurla a una dimostrazione in Firenze; mentre di mio ordine il Delegato di Governo li faceva cercare perchè desistessero, sono partiti. So che al Circolo Politico si sono affacciati per pochi momenti, che letta appena la Notificazione del Governo di ieri hanno renunziato all'idea ed al mandato che avevano dal Circolo Popolare di Firenze. Landi.» - (Documenti, pag. 494.)

A Roma egli dà sollecita opera a quella unificazione, a cui la non si voleva piegare, e vi narra, che tutti i Toscani ne hanno desiderio, sebbene sappia il contrario; e perora e studia perchè si compia.» - (Lo Stato Romano, vol. III, pag. 276, Ed. Le Monnier.)

Lord Hamilton, con piena cognizione di cose, scrive al suo Governo nel 27 febbraio. «La Toscana è minacciata da invasione esterna, da guerra civile, e da moti reazionarii nelle Provincie.» - Vedi Raccolta di Documenti citata.

È impossibile annoverare tutti gli errori commessi per leggerezza o per malvagità nel giudicare gli uomini politici del nostro tempo; per non iscostarci da casa, vediamo in certi libri Benoît Champy, ministro di Francia, accusato di alimentare le sedizioni in Firenze, mentre Benoît Champy ci si mostrò sempre moderatissimo uomo, e più presto inclinato alla Monarchia Costituzionale, che alla demagogia. Quale dovesse essere tra noi, lo fa conoscere il partito che, come rappresentante del Popolo, sostiene nell'Assemblea di Francia: egli appartiene alla destra, e, comunque nipote del Lamennais, parteggia per l'Eliseo, ed ha votato la revisione della Costituzione. - Lord Hamilton Baillie, ministro inglese, è detto intrinseco dei ribelli; e questo diplomatico fu onestissimo tory, amico del Principe e del Principato, aborrente da ogni trambusto, zelante propugnatore della civiltà; di più, percosso da insanabile malattia, la quale non gli permetteva uscire di casa, e talora nè anche ricevere visite. - Lord Palmerston viene designato sempre col mantice in mano per soffiare nel fuoco rivoluzionario d'Italia; ed io, salvo onore, ho da dire, che il nobile Lord assai si rassomiglia allo zio di Francesco Berni, di cui questo bizzarro ingegno cantò:

 

A Roma andai dipoi, come a Dio piacque,

Pien di molta speranza, e di concetto

Di un certo mio parente cardinale,

Che non mi fece mai nè ben, nè male.

 

Questa fallacia di giudizii non solo su gli uomini comparisce, ma su le cose ancora. I democratici di Europa si mostrarono parzialissimi alla rivoluzione di Ungheria; ed oggimai è provato che i Magiari non erano repubblicani nè democratici; stirpe fiera, tenace dei privilegii, conservatrice delle preminenze sopra la razza slava, aliena dalle idee e dai costumi stranieri; sprezzante di ogni novità per modo, che spesso pronunzia in guisa di proverbio quel detto: «Mio nonno stesso non intese mai favellare di questa cosa.»

Documenti, pag. 438.

Certo con sacca e scuri non si andava a restaurare il governo monarchico-costituzionale. E se abbiamo detto, che in quelle campagne il grido di - Viva Maria - è quasi sinonimo di violenza e rapina, perchè non si reputi esagerata, o imaginata a comodo di difesa quest'asserzione, ci permettiamo di riferire alcuni versi del nostro amenissimo poeta Guadagnoli, scritti in uno dei vernacoli del contado aretino.»

 

Doppo che 'n tempo de la battitura

Fadighæ' quant'un æseno da basto,

Nun me spettevo mèo questa figura!

E pure armasto so come so armasto!

Cappodeddua! se doppo mïtitura

Dicio che 'l græn la ruggene avía guasto,

Alnotta tanto tanto se putía

De calche sacco fœ' VVIVA MARIA!

Conciliatore, 12 febbraio 1849, N° 42.

Consultazione per Lionardo Romanelli, Firenze 1851, p. 24 e seg.

Rapporto alla Commissione Governativa Toscana. - Documenti, Pag. 350.

Rapporto sopra citato.

Nè sembra potersi dire, che per questa volta la Legge marziale rimanesse opera morta, giacchè a comprimere ec.» - (Decreto del 10 giugno 1850, pag. 55.)

Plutarco, Vita di Pericle.

E tutto questo non meritava la Camera dei Pari di Francia, che salvò la libertà della stampa, propugnatore Chateaubriand, quando la Camera dei Deputati la sagrificava.

E sì, che questo re aveva cuore inglese, e della gloria patria pareva piuttosto fanatico, che amante. Si narra, che nella famosa battaglia al capo della Hogue, vedendo dall'armata inglese rotta la francese e con essa disperse le sue speranze del ritorno, diceva raggiante di allegrezza ai gentiluomini francesi, che gli facevano corona: «Ah! bisogna che voi lo confessiate, non vi sono che i miei Inglesi al mondo capaci di bussarvi in questa guisa.» Non importa dire se i gentiluomini francesi prendessero diletto di coteste regie parole.

Siccome temo, che chi legge non mi abbia a dare fede, - tanto parmi, ed è enorme il caso, - m'induco, comecchè repugnante, a copiare le parole precise del Decreto:

Considerando, che molti sono i fatti allegati dal Guerrazzi nelle sue MEMORIE per far sentire il predominio assoluto e costante sopra di lui della Fazione Repubblicana; ma oltrechè questi fatti non sono di tale importanza da stabilire una violenza irresistibile e continuata, somministra il Processo altri fatti, dai quali emerge l'influenza personale del Guerrazzi sulle turbe tumultuanti; essendosi di sopra notato, che dichiarò all'Assemblea Costituente di non averne timore, ed essendo egli più volte riuscito, come racconta, a contenerle e comprimerle a vantaggio di privati cittadini. - (Decreto della Camera delle Accuse, § 53, pag. 92.)

Vedi parte della Lettera Gioberti a pag. 479 di questa Apologia, il rimanente, nell'Opera ivi citata.

Questo anche disse Napoleone Bonaparte, che fu quel grande e sviscerato Repubblicano che tutto il mondo conosce, nelle conferenze di Leoben, quando i ministri austriaci perfidiavano a riconoscere la Repubblica francese. - (Thiers, Histoire de la Révolution; Bruxelles, 1838, tomo II, pag. 380.)

Alba, 28 febbraio 1849. - A prova della continua pressura della Fazione Repubblicana si vogliano, in grazia esaminare questi frammenti:

«La volontà del Popolo è stata disconosciuta, contrariata, rinnegata. La disobbedienza del Governo chiedeva riparazione.... La decadenza del Principe, la Unione con Roma divengono oggi necessità, e con esse tutta quella serie di provvedimenti eccezionali o rivoluzionarii, dei quali abbiamo altre volte accennato, e non ci stancheremo mai di accennare. Laonde da oggi noi chiamiano altamente responsabile il Governo Provvisorio, prima di tutto di essere appunto tuttavia Governo Provvisorio toscano. E ritorniamo a domandargli, che cosa ne sia avvenuto del Decreto del Popolo del dì 8 febbraio; che cosa ne sia avvenuto della Unione con Roma, della Repubblica proclamata in Firenze, in Pisa, in Livorno, per tutta Toscana! Oggi gli muoviamo queste parole senza rancore, senza ire, senza minaccie! senza disperare delle intenzioni sue. E lo invitiamo a rileggere la nostra epigrafe che risolutamente e irrevocabilmente riprendiamo quest'oggi: Unione con Roma ec.» - (Alba, 25 febbraio 1849.)

«Unione con Roma: questo è il nostro grido, perchè lo crediamo, e lo sentiamo espressione di potenti bisogni, d'incalzanti necessità. Lo abbiamo innalzato dal primo dì in cui il Popolo provvide a sè; lo abbiamo di giorno in giorno ripetuto, sperando che destasse un eco, che provocasse una risposta: lo ripetè con noi la voce gagliarda e solenne del Popolo, prima come un voto, poi come una domanda: il Governo tacque al voto, alla domanda rispose barcheggiando. Non è più il tempo delle parole a doppio senso, delle mezze misure: abbiam francamente chiesto, francamente si risponda.»

«Molti serii motivi devono ora troncare gl'indugii, rompere i nodi. Quando noi abbiam per la prima volta inalberata la nostra bandiera politica, quando abbiam per la prima volta scritta sul nostro Giornale la epigrafe, che ne riassumeva le speranze e la fede, Leopoldo Austriaco non aveva ancora sciolto ogni vincolo, rotto ogni velo, smessa ogni maschera; non aveva ancora posata sulla sua spada tedesca la mano, che stendeva in atto bugiardo di pace, di unione; la minaccia non suonava ancora sulle sue labbra, che mormoravano l'antica commedia del Padre tenero e mite. Ora tutto ciò avvenne: egli ha spinti Toscani contro Toscani, ha tentato di gittare l'illuso Popolo delle campagne ad invadere, a distruggere le nostre città; ha implorate le baionette piemontesi per conculcare il Popolo suo, avendosi apparecchiata a' reali ritorni una via di delitti e di sangue: ma poichè i Toscani di contro a' Toscani rovesciarono i fucili, ed apersero, compatendo, le braccia; poichè le nostre città fermamente si opposero a' rei, disingannarono gl'illusi, convinsero i creduli; poichè all'intervento piemontese mancò il tempo e la sanzione del Popolo, e nella via dove sperava ire e discordie, trovò amore ed unione; il Principe Austriaco è fuggito, scornato e tremante, senza che un verace compianto lo accompagnasse, o che un nobile sdegno si curasse di maledirlo. Così anche gli ultimi nodi tra Principe e Popolo furono spezzati e per sempre. Perchè adunque se il fatto esiste, non proclamarlo? Che intende il Governo colla stretta e rigida provvisorietà, che vuol rispettata e salva ad ogni costo? Perchè dare a' nemici nostri il lontano sospetto di una transazione, che nessuno vuole, impossibile, non che a compiersi, ad idearsi soltanto?................ .... «Inoltre il Popolo nostro, a vita politica nuovo, di politici intendimenti inesperto, vuole un Governo che gli assicuri l'ordine e la vita. Incapace a comprendere certi dilicati fili, che stringono all'avvenire il presente, domanda una forma chiara e precisa, che gli spieghi apertamente i suoi diritti, i suoi doveri, i suoi interni rapporti. Attaccato francamente al Principe, che per lui non era null'altro che un Governo, quando si vide dal Principe abbandonato, ingannato, tradito, si gittò francamente alla forma contraria, alla idea repubblicana, che per lui era simbolo di un Governo, e gridò: Viva la Repubblica, nelle sue feste, nelle sue gioie, nelle sue canzoni. Scrisse: uniti con Roma, sulla porta delle sue case, su' muri delle sue città; uniti con Roma fu la parola de' suoi Circoli, fu il grido delle sue adunanze: e piantò l'Albero della Libertà, che per lui rappresentava queste due idee di Repubblica e di Unione, in tutte le sue Piazze, nel sagrato dalle sue Chiese.

Ma se un giorno, a mente più calma, questo Popolo si domanderà: Che cosa siam noi? Che cosa è la Toscana? Granducato no, perchè Leopoldo Austriaco vi ha perduto ogni diritto; Repubblica no, perchè il nostro Governo s'intitola ancora Governo Provvisorio... dunque aspettiamo; - allora s'incrocierà le braccia, e attenderà, per agire e per combattere, di sapere in nome di chi agisce e combatte.

«Nè ciò basta. Quando l'8 febbraio abbiam detto: Unione con Roma, - era forse il proclamarla un giusto e santo ardimento: ora il non farlo, sarebbe imprevidenza od audacia. E infatti allora s'ignorava quale sarebbe il contegno dal Governo Piemontese verso la Romana Repubblica; forse anche il gelido silenzio aveva fatto travedere il pensiero triste ed egoista dell'abate Gioberti: ora la vergognosa caduta di questo ci ha fatti sicuri quale sia la volontà ferma e coraggiosa della Giovane Camera, e quale sarà quindi la volontà o imposta o libera del Gabinetto. Il Ministero di Torino riconoscerà immediatamente la Repubblica Romana; non potrà riconoscere il Governo di Toscana, perchè non ha forma stabilita, e non si approva ciò che s'ignora, ciò che non è se non provvisorio.

«Ma se Toscana con Roma formerà immediatamente la Repubblica d'Italia Centrale, il Piemonte stenderà a questa Repubblica la mano e le braccia: i due Stati stringeranno patti di solidarietà e di amicizia; e così due terzi quasi d'Italia saranno uniti a combattere lo straniero, e a vincere la guerra di Nazione e di Libertà.» - (Alba, 28 febbraio 1849.)

«Domani sarebbe tardi, imperciocchè domani la Nazione sorgerà a chiedervi strettissimo conto dell'operato.» - (Alba, 14 marzo 1849.)

«Con estremo dolore abbiamo inteso che non si sia venuto alla proclamazione definitiva della Unione repubblicana, come il Governo Provvisorio avea solennemente promesso. - Ieri tenevamo questa promessa omai come un fatto, e fu cagione in noi di vivissima gioia; oggi abbiamo l'amarezza di essere stati delusi da uomini che sin qui meritarono l'intiera nostra fiducia.

«Uomini del Governo Provvisorio! ponderate quali danni possono derivare dalla vostra lentezza alla causa cui veniste assunti a sostenere. La reazione si avvantaggia della vostra perplessità, pigliando da essa tempo d'impaurire i buoni; è tempo di organizzarsi e stendersi tra i tristi e li ignavi. Perdio! troncate li indugii; ogni ora, ogni giorno che passa aggiunge forze e proseliti al Partito della reazione. Noi, che abitiamo le più remote provincie della Toscana, sappiamo di buon grado che cosa si possa temere o sperare da queste popolazioni, fornite bensì di buon senso, ma facili ad essere pervertite. Noi conosciamo la difficoltà e i pericoli delle future elezioni, i quali voi non potete prevenire in altro modo, che col proclamare prontamente la invocata fusione con Roma. Nulla dovete temere per parte delle provincie dalle risoluzioni forti e istantanee, molto bensì dovete paventare dalla irresolutezza e dagl'indugii.

«Uomini del Governo Provvisorio! ricordate che le rivoluzioni non si compiono colla pacatezza di un'ordinaria prudenza. In condizioni violenti abbisognano misure audaci e pronte, che sgomentino i tristi, e infiammino l'ardire dei buoni. Ma voi adoperate tutto al rovescio, e quasi ci sembrerebbe che vi prendeste gioco dell'entusiasmo del Popolo.

«Uomini del Governo Provvisorio, rammentatevi quale responsabilità posa su voi; qual conto dovete rendere a Dio ed alla Nazione, se foste per esser causa d'una guerra civile, e se danneggerete menomamente la causa della Libertà.

«Santa Sofia, 28 febbraio 1849.»

 

(Popolano, N° 250, - 5 marzo 1849.)

 

Allora succedevansi Petizionarii e Commissarii dalle Provincie; e mandavano accesissimi indirizzi i Circoli, e i Municipii di Pisa - Arezzo - Pistoia - Siena - Modigliana - Montevarchi - Santa Sofia - Lastra a Signa - Poggibonsi - S. Giovanni - Cascina - Campiglia - Fucecchio - Montesansavino - Dovadola - Sarteano - Marradi - Cortona - S. Gimignano - Livorno - Piombino - Castellina - Montescudaio - S. Sepolcro - Guardistallo - Pitigliano - Subbiano - Capalona - Reggello - Montecalvoli - Santa Fiora - Castel S. Niccolò - Casciavola - Porto Ercole - Aulla - Bibbiena - Asciano - Castagneto - Vico-pisano - Lungone - Tredozio - Monterotondo - Arcidosso - Pietrasanta - Figline - Lari - Pian di Scò - Portoferraio - Montemarano - La Cecina - Poppi - Sorano - Galluzzo - Massa marittima - Prato vecchio - Castelfranco - Orciano - Quincarico - Rocca S. Casciano - Montieri - Asinalunga - Buonconvento - Volterra - Calcinaia - Castelnuovo - Civitella - Montelupo - Val d'Elsa - Castelfiorentino - Firenzuola - Lucignano - Terranuova - Capalbio - Casciana - Pontremoli - Porto S. Stefano, ed altri parecchi, depositati negli Archivii Governativi.

Thiers, Histoire de la Révolution; cap. IV, (Convention).

Della Repubblica Romana, pag. 66.

Opera citata.

Monitore, 10 gennaio 1849. - Discorso della Corona, in fine.

Anche di questo fatto negli Archivii Governativi hanno da essere depositate prove. Però nè anche alla Costituente Italiana furono avversi i Sacerdoti tutti e i Vescovi. Vi fu chi sostenne non incorrersi affatto nella scomunica, sia votando per la italiana quanto votando per la toscana:

«Empoli, 8 marzo. - In questa mattina è stata affissa sulla porta della Chiesa Collegiata di questa Terra la seguente Dichiarazione:

«Empolesi!

«Le Elezioni dei Deputati alla Costituente Toscana e Italiana sono imminenti.

«Accorrete a dare il voto, e non ascoltate chi vi susurra all'orecchio che incorrete la Scomunica. Io posso e debbo dichiararvi, che secondo i principj della Morale Cattolica e della ragione non vi è nè scomunica, nè peccato di sorta, per gli Elettori alla suddetta Costituente.

«Empoli, 8 marzo 1849.

 

«Vostro Affezionatissimo

 

«P. Pasquale Martelli Proposto.»

 

«Molto Reverendo Signore.

 

«Richiesto da varii Parrochi di questa Diocesi, se potessero dar risposta ai proprj lor Parrocchiani sull'interrogazione fatta ad essi, cioè, se nelle attuali circostanze, in cui si trova la nostra Toscana, la pena della Scomunica s'incorra per l'elezione da farsi nel prossimo Lunedì, 12 del corrente mese, dei Deputati alla Costituente Italiana, io ho manifestato apertamente ad essi la mia, qualunque siasi, opinione, dicendo loro che, per l'esame già fattone, io era d'avviso che effettivamente non s'incorresse. Ne prevengo di questo mio parere VS. Molto Reverenda per sua regola, acciocchè, qualora Ella pure sia ricercato dai suoi Popolani sullo stesso proposito, possa dar loro una replica, che lasci pienamente tranquilla la loro coscienza.

«E dandole la Pastoral benedizione mi confermo con sincerità di cuore,

«Di VS. Molto Reverenda,

«Pisa, li 8 marzo 1849.

 

«Affez. come Fratello

 

«Giovan Batista Arc. di Pisa.»

 

(Conciliatore, 11 marzo; Monitore, 9 marzo 1849.)

Esodo, C. 14, c. 22.

Popolano del 14 febbraio 1849.

Popolano del 14 febbraio 1849.

Popolano del 15 febbraio 1849.

Alba, 15 febbraio 1849.

Frusta Repubblicana, 18 febbraio 1849.

Rusconi, Opera citata.

Requisitoria, pag. 132, § 85.

Vedilo a pag. 287 di questa Apologia.

Documenti, pag. 412, citato altrove.

Vedilo a pag. 383 di questa Apologia.

Documenti, pag. 828.

Documenti, pag. 286.

Vedila a pag. 431 di questa Apologia.

Documenti, pag. 849. - Questo Documento è riportato per intiero a pag. 474 di questa Apologia.

Durante la giornata vennero elevati per tutte le piazze di Firenze i sacri Alberi della Libertà incoronati di fiori, sormontati dalle bandiere tricolori, e dallo antico berretto con cui si saluta ogni aurora di redenzione. - La solenne funzione fu inaugurata dappertutto con allegro scampanío dai campanili di Firenze, con gli spari dei moschetti, col rullo dei tamburi della Guardia Nazionale, col suono di musici strumenti, con lo scoppio di lietissimi evviva.» - (Corriere Livornese, 27 febbraio 1849.)

Corriere Livornese, 27 febbraio 1849.

Monitore del 2 marzo 1849.

Ugo Foscolo, Prose letterarie, vol. II, pag, 316. Ed. Le Monnier.

Discorso di M. Lamb pronunziato alla Camera dei Comuni d'Inghilterra nel dì 11 marzo 1818, intorno al Bill delle indennità.

L'Accusa nota argutamente la solenne accoglienza dei Deputati della Costituente Romana. Poichè è forza scendere a siffatte meschinità, si ha da sapere come questi Signori, avvezzi alle romane magnificenze, si erano lagnati pel ricevimento più che modesto del Governo Provvisorio; e già di queste parole gli Esaltati si prevalevano per susurrare, che ciò era segno di disprezzo, e di peggio; allora io dissi: riceviamoli questa altra volta solennemente, cioè con l'assistenza del Municipio, del Generale, e dei Colonnelli della Guardia Nazionale. - Vedi Monitore, 16 marzo 1849.

Quest'oggi, verso le ore 3 p. m., è giunto in Pisa, proveniente da Livorno, Ciceruacchio con altri suoi compagni di Roma. È alloggiato alla Locanda Peverada. Il Popolo lo ha festeggiato, ma non in molto numero. Ha parlato di Unificazione con Roma. Domani parte per Lucca.»

«Sono arrivati stamani in Lucca Angiolo Brunetti detto Ciceruacchio, il D. Guerrini, il Tenente Costantini, Vincenzio Longhi, Girolamo Conti, Giuseppe Fabiani, popolani di Roma. Partono in giornata per Pescia e Pistoia; dimani saranno a Firenze per chiedere l'Unificazione. Durante la loro dimora furono festeggiati dal Popolo. Hanno udita in San Michele la Messa celebrata dal Sacerdote Giambastiani, che ha dirette calde parole di amor patrio alla folla ivi accorsa ec.» - (Dispacci telegrafici. Documenti, pag. 506.)

Costituente Italiana del 17 marzo.

Frattanto la Toscana non può fare a meno di una Assemblea Legislativa, che rappresenti veramente il Paese. - (Considerando II, Decreto del 10 febbraio 1841. Documenti dell'Accusa, pag. 821.)

Articolo 10 del medesimo Decreto.

In altra parte ho mostrato quello che imprendessi felicemente a troncare trame siffatte; mi gode l'animo di riferire un Documento citato dalla Difesa Romanelli a pag. 156, il quale attesta gli sforzi nel medesimo intento eseguiti dal mio degno collega.

«A. C.

«Il Circolo Popolare di Firenze invia costà dei Commissarii, per quello mi assicura un mio particolare e schietto amico. - Se questi intendono di commuovere la città, perchè ci forziate la mano alla fusione con Roma e ad usurpare la tanto vantata e voluta sovranità del Popolo, devo dichiararvi che per parte mia non sono uso a cedere alla violenza, e a tradire i miei principii. Se però venissero ad eccitare gli spiriti marziali della Gioventù, pur troppo pacifica, e persuaderla a inscriversi nei ruoli dei propugnatori della santissima causa della indipendenza e della libertà, secondateli di tutto cuore e con ogni mezzo.

«Firenze, 17 febbraio 1849.

 

«Affez. L. Romanelli.»

Il Governo Provvisorio Toscano,

«Considerando suprema legge dello Stato essere provvedere alla propria salute;

«Considerando che per ottenere questo intento supremo il Governo abbia avuto non pure il diritto ma il dovere di ricorrere a qualunque straordinario rimedio;

«Considerando che la libertà non consenta mantenere siffatti rimedii neanche un istante quando il pericolo cessi;

«Considerando la piena vittoria della opinione contro gli eccitatori scellerati della Guerra Civile, l'accordo universale di riservare alle Assemblee la sanzione del voto popolare intorno alle forme del nostro Reggimento, ed in fine l'orrore che il generoso Popolo ha da sentire per qualunque attentato parricida contro la Patria in presenza del pericolo di straniera aggressione;

«Considerando che i sospetti e la diffidenza della tirannide repugnino alla maestà del Governo popolare;

«Decreta:

«Art. 1. La Legge Stataria del 22 febbraio 1849 è abrogata, la Commissione eletta con quella Legge disciolta, ec.» - (Monitore, 2 marzo 1849.)

Il signor Berti Pichat, Preside di Bologna, nel marzo 1849 mosse a Firenze per tentare di ridurre in contante buona somma di carta monetata romana; malgrado la diligenza che vi misero non pochi sensali, e la usura offerta superiore al 30 %, non poterono barattarsi oltre L. fior. 8000 a mediazione del Veneziani, perocchè i Banchieri la rifiutassero con qualsivoglia premio. I nostri Buoni del Tesoro una sola volta, e per ore, scapitarono 7 %; ma il loro corso regolare fu oscillante fra il 3 e il 4 %. Il sig. Berti Pichat, da quel leale uomo che era, dandomi esatto ragguaglio della sua Provincia, mi assicurava, Bologna e le terre dipendenti avverse alla Repubblica poco meno che alla invasione straniera.

Non furono mai principiate. Lo spoglio delle Liste degli eletti per la Costituente Italiana doveva effettuarsi a Firenze da una Commissione centrale, composta ai termini dello Art. 10 del Decreto del 14 febbraio 1849. Alcuni Gonfalonieri provinciali si recarono a Firenze a questo scopo, ma il Municipio, che per organo del suo Gonfaloniere mi manifestava quale e quanta fosse la repugnanza della universalità dalla Unificazione con Roma repubblicana, protrasse le operazioni della Costituente italiana, me consapevole e consigliere, onde il voto della Costituente toscana procedesse senza ombra di coazione, o di urgenza. Di ciò occorre la prova nel Decreto dell'8 aprile 1849 (Documenti, pag. 885), che l'Accusa riprende come quello «che provvedeva a ultimare le operazioni di squittinio relative alle elezioni dei Deputati alla Costituente Italiana.» Ben poca mente ci voleva a comprendere, che un simile Decreto pubblicato per attutire l'ardore degli improperii dei Repubblicani rimaneva vuoto di effetto, dovendo l'Assemblea Costituente Toscana decidere intorno alle sorti del Paese nel 15 aprile successivo, a norma del Decreto dell'Assemblea del 3 aprile 1849. Tutto sta nello esaminare come sarebbe stato deciso dopo 7 giorni!

Detto Decreto, pag. 55.

Dal Rapporto recente fatto dal signor Ducos, intorno alle spese commesse dal Governo Provvisorio di Francia, troviamo che Ledru Rollin spese franchi 123,000 per bucherare l'elezioni in pro della idea repubblicana; e in vero, questo è il contegno di cui intende che prevalga un suo concetto politico. Non un soldo fu speso da me, onde l'elezioni fossero disposte in un senso piuttosto che in un altro: dal quale fatto può dedursi questa conseguenza (dove ve ne fosse mestieri): se liberissime lasciai l'elezioni mentre fui Membro del Governo Provvisorio, tanto più deve credersi che tali procurassi che fossero, Ministro Costituzionale.

Popolano del 3 e 7 marzo 1849.

Il Nazionale, 9 marzo 1849: - «Il Decreto adunque (del 6 marzo) di che ci occupiamo, in doppio modo viene ad offendere (ove non rimanga opportunamente chiarito e ammendato) il fondamentale principio della nazionale sovranità: sì perchè determina e circoscrive abusivamente la iniziativa, per propria indole illimitata, della convocata Costituente; - sì perchè, ne' limiti delle assegnatele competenze, pare che pretenda essere la Nazione astretta a accettare quale atto sovrano le qualunque sue Deliberazioni.»

La Costituente Italiana, 11 marzo 1849: - «Il Governo Provvisorio Toscano non ha creduto di pronunziare primo, e consecrare la parola della Unificazione, ed ha voluto innanzi a tutto interrogare la volontà delle popolazioni, che gli aveano concesso mandato di provvedere alla loro suprema salute. Alla inesplicabile esitanza, ostinata anche dinanzi alla già chiara intenzione del Paese, una subita riparazione debbe essere accordata coll'inviare alla Assemblea Costituente Toscana gli uomini che reclameranno spontanea, unanime, l'Unione con Roma.»

Il Popolano, 8 marzo 1849: - .... «oltre a che il Governo nulla sembra disposto a fare affinchè le elezioni procedano in guisa da produrre il resultato che noi vogliamo, cioè la Unione con Roma e la proclamazione della Repubblica ec.»

Il Popolano, 9 marzo 1849: - .... «una Legge mal concepita (del 6 marzo) è d'uopo sia anche peggio eseguita. Da ciò emergerà forse un'Assemblea di Retrogradi e di Conservatori; ed un'Assemblea di simil colore sapete a che cosa ne conduce direttamente e senza transazioni? Alla guerra civile, ec.»

Anche il Regio Procuratore Generale nella sua Requisitoria, a pag. 130, ha saputo conoscere: «Che nel dì 6 marzo, lo stesso Governo Provvisorio, quasi temperando l'Atto del 14 febbraio, in cui era implicita ma positiva ed assoluta l'adesione del Governo alla Costituente italiana, decretò che l'Assemblea Legislativa toscana avrebbe usato del potere costituente, tanto per comporre insieme co' Deputati dello Stato Romano la Costituente della Italia Centrale, quanto per decretare se, e con quali condizioni, lo Stato Toscano dovesse unirsi con Roma

Ieri ebbe luogo, siccome annunziammo, la rivista della Guardia Nazionale.... Il Guerrazzi venne sì dai militi che dal Popolo astante salutato con fragorosi applausi: onde presso a poco diresse alla Guardia queste parole: - Domani è giorno solenne per un Popolo libero:...... questo Popolo però non va esortato nel dare il suo voto; questo Popolo che ha una coscienza, va lasciato libero ne' suoi diritti. Militi della Guardia Nazionale, difenderete voi le proprietà e la vita degli individui? - Sì, sì. - Farete sì che il voto sia dato libero, e che sia libera la discussione sulle sorti del Paese, discussione che sarà agitata dai Deputati che voi stessi avrete scelti? - Sì, sì.» - (Il Nazionale, 12 marzo 1849.)

Questa mattina la Guardia Nazionale è stata raccolta dal Generale Zannetti sulla Piazza di Barbano, e di colà attraversando tutto Firenze si è recata in Boboli, ov'è stata passata in rivista dal Guerrazzi.

«Non possiamo con precisione riferire le parole che a ciascun battaglione ha indirizzato il Presidente del Governo Provvisorio, imperocchè, a quanto ci viene riferito, elleno fossero di diverso genere ad ogni fermata. Bensì una calorosa esortazione alla Guardia Cittadina è stata reiteratamente volta dal Guerrazzi, ed è quella di sostenere con ogni forza il Governo Provvisorio e la futura Assemblea Costituente Toscana sì dai pericoli che sovrastare loro potrebbero dalla parte dei reazionarii retrogradi, quanto da quelli che nascer potrebbero dalle impronte pretensioni degli ultra e degli intolleranti, consigliando a starsi contenti i Toscani a quello che i loro Rappresentanti saranno per decidere.

«In quanto a noi, fin da questo momento protestiamo, che se le future Assemblee non pronuncieranno la Unione con Roma, e, conseguentemente la decadenza della Famiglia di Lorena e la istaurazione del regime repubblicano, profitteremo di qualsiasi mezzo ci presentino le circostanze, affine di salvare il Paese nostro da un giogo aborrito, che imporre gli si volesse a nome della legalità e di una servile rappresentanza.

Noi non temiamo che il Popolo il quale compone la Guardia Nazionale, quel Popolo che gridò e grida tutto giorno Viva la Repubblica, Viva la Unione con Roma, voglia suscitare nel Paese la guerra civile, facendo fuoco su i suoi fratelli che, traditi nei loro voti, e vedute strozzate le loro speranze dal capestro delle formali legalità, usassero l'estremo loro appiglio, la suprema loro ragione - la forza e la violenza, - contro coloro che non si meriterebbero davvero il nome di Rappresentanti del Popolo, ma di traditori della Patria, ove si negassero a coteste tre supreme Leggi, che oggi ci sono imposte non tanto dalle circostanze, quanto dal bene della nostra patria, dalla sua salvezza, dalla necessità di assicurare solidamente la sua futura solidità e grandezza.

«Noi non temiamo nemmeno per ombra un tanto obbrobrio per parte dei futuri Deputati; ma ove questo obbrobrio dovesse pesare su di essi, certo, ad onta di tutte le esortazioni del Guerrazzi non peserà sulla Toscana l'obbrobrio assai maggiore di avere pazientemente sopportato il tradimento; e la Toscana saprà consumare la sua Unione con Roma, e saprà subirne tutte le conseguenze, anche ad onta dei suoi Rappresentanti e degli uomini del Governo Provvisorio. Questa è la nostra fede!» - (Popolano, N° 256, 12 marzo 1849.)

Chi? Secondo la Grammatica, io. O che dopo avermi convertito in perduelle, l'Accusa vuole trasformarmi anche in donna? Qui pure sento il bisogno di protestare.

L'Accusa trae dal Discorso di apertura dell'Assemblea letto dal signor Montanelli argomento d'incolparmi; e sì, ch'Ella avrebbe dovuto all'opposto ricavarne motivo ad assolvermi, considerando: 1° che codesto Discorso fu opera del signor Montanelli, non mia; 2° che di sua mano apparisce scritto; 3° e che io, quantunque il turno mi chiamasse ad essere Presidente di settimana, e come tale l'Assemblea presiedessi, e dovessi leggerlo, pure mi vi rifiutai, però che contenesse proposizioni dalle quali dissentivo, e alle quali per parte mia ero deliberato a non aderire.

Altrove ho dimostrato, e qui insisto a dimostrare, la falsità della incolpazione appostami dall'Accusa: «avere io lasciato in balía di mandatarii non Toscani la decisione intorno alle sorti dello Stato.» La Legge del 10 febbraio 1849 relativa alla Costituente toscana nell'Art. 8 decreta, che i forestieri dalle elezioni si escludano; certo, adoperare la parola forestieri fu male, ma egli è pur certo, che con essa denota i non Toscani. Lo sforzo dei parteggianti per la Repubblica potè ottenere che il Popolo mandasse Deputati non Toscani all'Assemblea Toscana; però essi furono pochissimi, e per nulla bastevoli a partorire i danni immaginati dall'Accusa. Il Generale D'Apice stampò nel Monitore la lettera, che io gli consigliai, e scrissi a norma del suo dettato rispetto a questo negozio, la quale spiegava, che, trattandosi di pratica domestica, convenienza e senno gli suggerivano di rinunziare alla Deputazione; e parecchi seguitarono lo esempio. Io manifestai agli amici il mio disegno di prendere parola all'Assemblea per escludere i non Toscani, parendomi, com'era, pretta improntitudine quella di volere rappresentare la Toscana in cosa vitale senza conoscerla; ma essi me ne sconfortarono con grandissima istanza, onde non provocarmi contro il furore degli avversarii. Fra questi amici ricordo il signor Guidi Rontani; e gli altri, spero, mi sovverranno con la loro memoria. Intanto, che così sia vero si ricava dalia relazione dell'Adunanza del 27 marzo 1849, tenuta dall'Assemblea Costituente Toscana. In cotesta Adunanza il Circolo del Popolo presentò una petizione al fine, che i non Toscani venissero ammessi allo ufficio di Rappresentanti Toscani. Avrebbe il Circolo operato così, se la faccenda stesse come fantastica l'Accusa? Ancora: una Sezione lasciò sospesa la proclamazione di tre Deputati, fra i quali due non Toscani. Avrebbe potuto tenerli sospesi la Sezione, se la Legge gli ammetteva? - Più oltre: rispetto alla quistione se gli eletti non Toscani possano formar parte dell'Assemblea Costituente è deciso, che messa da parte l'applicazione legale ogni Italiano deva essere accolto in Assemblea Italiana. Dunque la Legge gli escludeva. - (Alba, N° del 28 marzo 1849, pag. 1943.) - Nelle note stampate dal Governo non occorre un nome solo di non Toscano, e nonostante sapete voi su quale fondamento questa Accusa ha cuore di sostenere, che le sorti del nostro Paese furono commesse a mani non toscane? Eccolo. Esaminate nel Monitore del 25 marzo 1849 il Prospetto dei Deputati dell'Assemblea Costituente Toscana, e su 120 trovate tre non Toscani: Modena, D'Apice e Niccolini; ma D'Apice renunziò, Niccolini fu reietto; dunque ne rimase uno. Così lasciavansi in balía di non Toscani i toscani destini! - Incredibili cose, e non pertanto vere. Raccomandai escludessero almeno Niccolini, e fu escluso: «non venne proclamato Giovanni Battista Niccolini di Roma, quantunque la Sezione fosse di sentimento ammetterlo sebbene non Toscano.» - (Alba, luogo citato.) - Niccolini protestò; ma quantunque conoscesse la sua esclusione opera mia, e fosse sfrenatissimo, ed ora per la nuova ingiuria soprammodo infiammato, pure non seppe rimproverarmi, come per certo non avrebbe mancato di fare, di essermi servito di lui pei miei fini, ed ora gittarlo via mal gradito arnese. Questo Documento, benchè non valga nulla, rarissimo, mercè le diligenze del mio Difensore, mi perviene adesso, e adesso qui mi è forza metterlo:

«Cittadino Presidente,

In nome della sovranità del Popolo, stando alla lettera e allo spirito del Regolamento, e onde non veder violato un Principio Costituzionale, debbo protestare come protesto sulla decisione presa dalla Camera a mio riguardo considerandola come inlegale; perchè:

Se alla Camera fosse riservato il dritto di ammettere o escludere i Deputati regolarmente eletti, cioè le operazioni dei Collegj elettorali che li nominò (sic), essendo state riconosciute valide, cesserebbe ogni sovranità del Popolo, e il suffragio elettorale sarebbe una mera illusione, e lo provo:

Si supponga che in una Camera di 120 persone 60 membri siano conosciuti rappresentare il Principio Costituzionale Monarchico, 60 quello Repubblicano; ora nella verifica de' poteri possono esser presenti alla Camera i 60 Repubblicani, e soli 10 Costituzionali, e così viceversa. Che se il Partito che si trovasse in maggioranza, venisse ad escludere l'altro Partito, cosa diverrebbe il voto della metà degli elettori che hanno mandato alle Camere uomini rappresentanti i loro principj? Dove si troverebbe allora l'espressione sincera della volontà del Paese? Io lo lascio a voi a considerare.

Ma vi è più. L'Art. 6 del Regolamento, che si è dichiarato dovere provvisoriamente reggere la Camera, porta che:

L'Assemblea pronunzia sulla validità delle elezioni, ed il Presidente proclama Deputati coloro i cui poteri sono stati dichiarati validi.

Io non aggiungo parola su questo Articolo, che di per sè stesso è troppo chiaro, e che non ammette nessun'altra possibile interpretazione.

Io spero, o Cittadini Rappresentanti, che voi vorrete seriamente considerare questa mia protesta che contiene un alto principio di diritto costituzionale, e vorrete considerarla dall'alta sfera in cui la confidenza del Popolo Toscano vi ha posto. Onde esser liberi bisogna esser giusti, diceva un sommo Legislatore, e sulla vostra giustizia io mi riposo tranquillamente.

Nel pregarvi, Cittadino Presidente, a leggere all'Assemblea questa mia protesta, con tutto il rispetto mi dichiaro

di Voi, Cittadino Presidente,

 

«Dev. Servo G. B. Nicolini.»

Farini, Opera citata, tomo III, pag. 248.

Conciliatore del 25 marzo 1849.

Documenti, pag. 509. - Dispaccio telegrafico del Prefetto Martini.

È possibile, che sia partita una Commissione composta del cittadino Guerrazzi e dei Ministri d'Inghilterra e di Francia, e di altri due personaggi, per Gaeta a prendere Leopoldo II? Alla quiete del Popolo sarebbe utile uno schiarimento su questa voce, sparsa generalmente a Pisa, a Pistoia, e qui.» - (Dispacci telegrafici. Documenti, pag. 512.)

Le voci più stravaganti si spargono qui, trovano credenza nei goffi, e appoggio nei nemici del Governo. In me non mai. Ho già smentita solennemente la ingiuriosa notizia fino all'arrivo del Dispaccio sui Volontarii, venutomi in acconcio con la vostra firma. Compirò l'operazione mediante nuova mentita ai detrattori. Appunto per confonderli, ho fatto la domanda di schiarimento su l'incredibile assurdo. Io mi congratulo davvero, che la Nazione vi abbia scelto a suo moderatore. Mi sdegno delle maligne arti di chi vorrebbe attraversarvi i disegni generosi. Fatemi vostro vendicatore mortificandomi. A questo prezzo sono contento.» - (Dispacci telegrafici. Documenti, pag. 512.)

Anzi, stupendo a dirsi, il mio Avvocato m'informa, che non gliene domandarono nemmeno schiarimento!....

Importa rammentare, perchè gli fa onore, quale opinione avessero gli Arrabbiati di questo egregio amico. Spedito a comporre i tumulti di Empoli, commissione da lui condotta a termine con umanità pari alla solerzia, fu bistrattato dal Popolano, e lo abbiamo veduto. Pigli propone inviare a Portoferraio un Commissario per destituire Gonfaloniere e Consigliere «che però non dovrebbe essere Manganaro.» - (Dispacci telegrafici. Documenti, pag. 481). - Sparsa voce a Siena, che il Governo vi mandava Prefetto Manganaro, Ciofi ammonisce: «Si vocifera che il Prefetto V. ritorna a Pistoia, e che viene qua in sua vece Manganaro. Questa sostituzione dispiace moltissimo ai Sanesi; i quali mentre vedono bene V., mostrano grande avversione al cognome Manganaro.» - (Dispacci governativi. Documenti, pag. 216.) - A Livorno lo minacciano di buttarlo giù dalla finestra, se non fa come Pigli (Documenti, pag. 530). Così nel febbraio, nel marzo e nello aprile 1849 erano onorati e tenuti in pregio dai Repubblicani i miei migliori amici.

Era arte ordinaria screditare con sospetti, o fare segno di vituperii i Deputati, che si scoprivano parziali ai disegni del Governo; eccone una prova espressa:

«La causa repubblicana fu ieri sera fortemente attaccata dal Presidente del Circolo di Pistoia (Dott. Didaco Macciò) a motivo di una santa proposizione fatta da un buon Popolano intorno al piantare in piazza l'Albero della Libertà.

Il bianco-rosso Macciò si fece a sostenere, che il mettere l'Albero era un ferire nel cuore il primo stadio della Costituente; era una cattiva ricompensa al Governo Provvisorio; - era un volerlo trascinare a certa rovina: - insomma ciò non era nella legalità. Disse ancora che chiunque si era pronunziato con quel segnale aveva fatto male, e commesso un arbitrio: che mettendo in cima all'Albero il ridicolo berretto della libertà, altro non era che scimmiottare i Francesi del 93: che anche Roma, la imprudente Roma, aveva fatto male malissimo a proclamare la Repubblica. Disse anche altre bestemmie più forti di quelle che declamò giorni sono, perchè il Circolo non inviasse al Governo Provvisorio le Deputazioni richieste dal Circolo fiorentino, per implorare da lui la immediata Unione con Roma e la proclamazione della Repubblica.» - (Popolano, N° 251, 6 marzo 1849.)

Dunque il Conciliatore del 1° aprile 1849 la mia fierezza come nobile salutava; dunque gli uomini del Conciliatore con plausi vivissimi nel 1° aprile mi confortavano: come va, domando, che nel 12 aprile mi tradivano, e dopo mi hanno calunniato, resi complici a farmi patire strazii, che io non saprei imprecare neppure ai miei più mortali nemici?

Parla di questo fatto il Conciliatore del 16 marzo 1849. «Di consenso dei due Governi Romano e Toscano è stabilito in Bologna un Comitato di difesa il quale avrà cura di proporre, e ordinare tutto ciò, che potrà contribuire a difendere il territorio comune. Il Governo Toscano ha già inviato da qualche giorno in Bologna due Rappresentanti, il Colonnello Manganaro, ed il Capitano Araldi.»

Vedi ragguaglio delle Sedute della Costituente Toscana del 2 e 3 aprile 1849 qua oltre.

1: Risposte date dai Ministri dello Interno e degli Esteri alle interpellazioni Pigli; ed estratto di altri particolari delle Sedute del 2 e 3 aprile 1849 dell'Assemblea Costituente Toscana:

«Ministro dell'Interno. Quanto allo Interno io devo conservare molta prudenza intorno queste interpellazioni; nulladimeno disegnando così l'insieme della Toscana, dirò: - in generale le popolazioni della campagna sono mediocremente disposte alla idea della guerra; le campagne nostre in parte negano mobilizzarsi in Guardia Nazionale. Parecchi Gonfalonieri mandano preghiere di esser dimessi, non sentendosi il coraggio civile di affrontare l'antipatia delle popolazioni per la mobilizzazione della Guardia medesima, antipatia che potrebbe esser vinta con più efficaci eccitamenti dei Gonfalonieri mentovati. Lo stato di ignoranza in cui si trova parte della popolazione toscana, fa che queste lepidezze non prendano sempre un aspetto fiero, e di una aperta reazione: ma in molti luoghi, dove la popolazione della campagna conserva ancora una certa fibra forte, allora questa repugnanza si converte in modi alquanto più sensibili. I Deputati di quest'Assemblea, e ormai il Popolo tutto, sono informati dei fatti successi in varie parti del contado toscano. Questo è quanto allo stato della popolazione campestre. - Nelle città lo spirito è acceso per la patria difesa. Livorno ha mandato quasi tutta la gioventù in campo per avviarsi alle frontiere. Firenze comincia a muoversi, e si muoverà....

Guardia mobile parte da diverse città della Toscana verso la capitale, per organizzarsi, ricevere le armi, e andare ai confini; non come fiammella che vive prossima a spengersi, ma come scintilla che seconderà gran fiamma.

Le cure del Governo infine ad ora adoprate sono tali, che hanno cercato di alimentare ed accarezzare amorosamente questa fiammella; e spera poter riuscire a fare che una massa non piccola della nostra Gioventù possa coprire le frontiere. - Vi sono poi i Rapporti dei nostri pubblici funzionarj di un ordine più elevato (per esempio i Prefetti) intorno alla idea della Unificazione della Toscana con Roma. Se debbo qui fedelmente esporre quello che a me da questi funzionarj vien riferito, dirò, che la massima parte della popolazione toscana recalcitra alla immediata Unificazione con Roma: alcuni perfino ne fanno argomento di timore per non poter conservare l'ordine pubblico, quando questa Unificazione fosse legalmente e definitivamente proclamata da questa Assemblea, mentre all'opposto la opinione contro qualunque ingiustissima invasione straniera potrebbe crescere fino al furore.

Il superior Comandante della Guardia Nazionale fiorentina anch'esso ci ha denunziato dubbj gravissimi sulla adesione della Guardia stessa intorno a questa grave perdita d'immediata Unificazione, confidando nello egregio spirito dei Militi per correre alla frontiera.

Come Ministro dello Interno a me pare avere in generale sodisfatto alle domande ed alle interpellazioni direttemi dal Deputato Pigli.

Il Ministro della Guerra vi potrebbe dire circa i mezzi che sono in suo potere per armare ed equipaggiare la Gioventù, e unirla ai Battaglioni della nostra Milizia stanziale.

Il Ministro delle Finanze potrà a sua posta dirvi quali mezzi sono a sua disposizione per soddisfare ai bisogni dell'armamento.

Un Deputato. Domando la parola.

Presidente. Non mi pare che siano esaurite le interpellazioni, perchè il Deputato Pigli ne ha fatte di due specie: cioè sullo stato interno dello Stato e sugli Affari Esteri; in conseguenza io credo...

Un Deputato. Domandava la parola per rettificare un fatto.

Presidente. Io credo non poter aprire la discussione, sino a che non siano esaurite le risposte alle interpellazioni. - Il Cittadino Ministro dello Interno ha altro da soggiungere?

Ministro dello Interno. Se sono sodisfatti.... (no, no.) No? però a me pare che potrebbero esserlo.

Ministro degli Affari Esteri. Le interpellazioni a me dirette vertono sulle notizie di Genova e Piemonte, sulla probabilità che può esistere di una ripresa di ostilità nella Guerra Italiana, e sulle relazioni che passano tra il Governo Toscano e le Potenze estere.

Le ultime notizie di Genova sono state pubblicate nel Monitore di ieri sera. - Il Governo non ne ha ricevute altre fino a questo momento. Quanto al Piemonte resulterebbe al Governo, sebbene la fonte della notizia non sia officiale, che l'armistizio fatale di cui tanto ha parlato la stampa periodica fosse firmato dal nuovo Re nel giorno 24 del passato mese, e che il Re istesso avesse dichiarato esser sua volontà di fare rispettare l'armistizio ancorchè non si fossero potute ottenere dal Maresciallo Austriaco le modificazioni fatte sperare al Parlamento Sardo. Probabilità dunque di ripresa di ostilità non esiste in Piemonte, a meno che non vogliano aprir la guerra per proprio conto le Popolazioni con una generale insurrezione.

Quanto alle relazioni che sono fra il Governo Toscano e le Potenze estere non posso dire all'Assemblea che questo: Non avere le medesime cambiato dal 9 febbraio. - Il Governo è in rapporti officiosi coi Rappresentanti d'Inghilterra, Francia e Spagna; colla Prussia, Russia e le altre Nazioni, sono rotti anche i rapporti officiosi. Dirò poi che riguardo al partito che l'Inghilterra e la Francia possono aver preso relativamente alla questione italiana tale quale l'hanno fatta i recenti avvenimenti, è da ritenersi che siano fino a questo momento arrivate le istruzioni analoghe dei respettivi Governi ai Rappresentanti di queste due Nazioni qui residenti.

Ho risposto alle interpellazioni del Deputato Pigli.

Il Presidente domanda al Deputato Pigli se non ha altro da domandare.

Il Deputato Bichi domanda che siano cancellate da' fogli degli Stenografi le interpellazioni e le risposte.

Un Deputato osserva che le interpellazioni erano inutili, perchè i componenti l'Assemblea conoscevano pienamente i fatti stessi tanto per i mezzi che ognuno di loro aveva come Deputato della provincia, quanto anche per avere avuto più volte notizie dal Governo nelle adunanze segrete.

Presidente. Prima di tutto, insiste nella sua proposta il Deputato Bichi?

Deputato Bichi. Insisto perchè gli Stenografi cancellino dai loro fogli le narrazioni che rivelano vergogne.

Presidente. Bisognerebbe che ella scrivesse la sua proposizione e che io la ponessi in discussione.

Deputato Guidi Rontani. Io farei una osservazione: se il Deputato Bichi chiede che sieno cancellate le risposte del Ministro dello Interno, perchè queste non abbiano pubblicità, e perchè le date spiegazioni non possono corrispondere al fine che le mosse; io approverei la loro radiazione. Se poi questa mozione dovesse considerarsi come impugnativa dei fatti, allora non potrei concordarla.

(Diverse voci: no! no!)

Presidente. Allora siccome semplicizza la disputa, domando se si debbano radiare dal rendiconto degli Stenografi tanto le interpellanze, quanto le relative risposte.

Deputato Guerrazzi. Io non sarei mai di parere di dissimulare la verità; meglio valeva non chiederla. Ora che è chiesta la verità, la verità si dica. La magnanimità dell'Assemblea non deve consistere nel dissimulare la verità, ma nel contemplarla e spendere ogni mezzo per vincerla, qualora non fosse consentanea all'alto scopo che ci siamo proposti.

Se la verità è dura, è un fatto fatale; a noi non deve bastare il cuore di mutarla per quanto è possibile, perchè quando noi cadremo sotto la necessità dei fatti, noi mostreremo ancora che abbiamo fatto quanto per noi era possibile per superarla con virtù e con fermezza.

Presidente. Rinnuovo all'Assemblea l'interrogazione se essa è di parere che debbansi radiare tanto le interpellazioni quanto le risposte.

(La proposizione Bichi non è ammessa.)

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Ciampi. «... Ma si obietta e si dice: noi dobbiamo prepararci alla guerra della nostra Indipendenza: occorrono dunque pronti e sufficienti mezzi per sostenerla. Ed io rispondo: Per ciò che potrà farsi in questi pochi giorni nei quali l'Assemblea tacerà, i mezzi non mancano. E se mi si soggiungesse, che sono insufficienti, allora dirò: Proclamate il principio, dite nettamente sotto qual bandiera volete far questa guerra, dite che deve essere una guerra di Indipendenza Nazionale, Italiana, e allora, interpretando anche il voto dei miei amici della opposizione, vi dichiaro, che noi tutti voteremo non per 2, ma per 18 e 20 milioni, e quanti più ne abbisognassero. Ma permettetemi che francamente io ve lo dica: - negare di proclamare il principio, abbassare la guerra della Indipendenza alla difesa egoista dei confini toscani, e far tanta insistenza per aver questi due milioni, mi sembra lo stesso, che chiedere i fondi per le feste della Restaurazione.»

Era castellano nella rocca di Monte Petroso Biagio del Melano. Costui sendo affogato intorno dai nimici, e non vedendo per la salute della rôcca alcuno scampo, gittò panni e paglia da quella parte che ancora non ardeva, e di sopra vi gittò due suoi piccoli figliuoli, dicendo ai nimici: «Togliete per voi quelli beni che mi ha dati la fortuna, e che voi mi potete tôrre; quelli che io ho dell'animo, dove la gloria e l'onore mio consiste, nè io vi darò, nè voi mi torrete.» Corsero i nimici a salvare i fanciulli, ed a lui porgevano funi e scale perchè si salvasse. Ma quegli non l'accettò, anzi volle piuttosto morire nelle fiamme, che vivere salvo per le mani degli avversarj della patria sua.» - (Machiavelli, Istorie Fiorentine, lib. IV.)

Di queste espressioni a un dipresso mi valsi nella ultima Seduta dell'Assemblea insorgendo contro la proposta di un Deputato - che la corda faceva trovare i danari. -

Giovami riferire l'autorità del signor Montalembert per temperare la stupida indiscretezza di coloro, che esaminando la mia condotta vanno a cercare il nodo nel giunco. Nella Seduta dell'Assemblea di Francia del 10 febbraio 1851, cotesto oratore si esprimeva così: «Adesso voi mi direte, ch'egli ha commesso errori. Egli ha commesso errori? davvero! e voi avete fatto questa bella scoperta? Permettete, che io vi domandi, da quando in qua avete trovato nel mondo un Governo, che non commettesse errori?» Con più grato animo mi valga ricordare la parte finale del Discorso di Addio fatto al Congresso americano «da quello, che lasciava ai posteri il nome di Washington onde essi arrossiscano di eccezione così solitaria.» - (Byron, Ode a Napoleone.)

Il Generale, rivolto ai suoi colleghi, favellò in questa sentenza:

«Gli atti pubblici provano fino a qual punto i principii che ho rammentato mi abbiano condotto nello adempimento dei doveri del mio ufficio. La mia coscienza almeno mi dice, che non me ne sono allontanato. Comecchè ripassando gli atti della mia amministrazione non conosca colpa veruna d'intenzione, io ho un sentimento troppo profondo dei miei difetti per essere sicuro di non avere commesso errori. Quali essi sieno, io prego l'Onnipotente Dio a dissipare i mali che potrebbero partorire. Io così porterò meco la speranza, che la mia Patria non cesserà di considerarli con indulgenza, e che dopo quarantacinque anni di vita consacrati a pro suo con rettitudine e zelo cadranno in obblio i torti di un merito insufficiente, come io cadrò ben tosto nella dimora dello eterno riposo!...»

Quando abbiamo letto siffatte parole, o Dio! come si fa egli a riportare lo sguardo su le pagine dell'Accusa, e di altri che insensatamente quanto ferocemente mi lacerano per gli errori, che in mezzo a tanto trambusto di vicende e agitazioni di uomini posso avere commesso io, mentre i Governi stessi, in condizioni ordinarie, e i sommi personaggi non ne andarono immuni? - Quando Gesù Cristo, soccorrendo alla peccatrice, disse agli accusatori: Chi di voi senza peccato, getti la prima pietra, - fra tanta turba di gente (e badate ch'erano tutti Farisei) non uscì un solo di cui la fronte fosse così sconosciuta alla vergogna, che ardisse stendere la mano al sasso: ai giorni nostri, qui, in patria, - voi lo vedete, - al grido: Chi di voi senza peccato, gitti la pietra, - mille braccia si tirano su la camicia fino al gomito, e ghermiscono le più elette ghiaie del Mugnone, pronti a scagliare..... o generosi!.... o forti! Ben ti puoi estimare avventurosa, o Patria, che tante serque contieni in te di petti santissimi, e di Farisei neppure uno solo!

1: Ritengo la proposizione già provata: nondimeno penso importante aggiungere alquante prove specialissime:

Rispetto alla Guardia Nazionale: - «La principale occupazione del Circolo la sera del 24, fu la questione delle elezioni dei capitani, tenenti, e sotto-tenenti della Guardia Nazionale, avvenute nella mattina del 22. Queste elezioni sono cadute generalmente su persone poco repubblicane; sono state generalmente rielette le medesime persone agli antichi gradi.» - (Popolano, 28 febbraio 1849.)

Per quello riguarda l'elezioni dei Deputati a Firenze: - «2 Marzo. - La discussione di ieri sera al Circolo (del Popolo) si aggirò tutta sulla nota dei Candidati del Compartimento Fiorentino all'Assemblea dei 120. La serata non fu migliore per la Commissione. Dopo avere già essa stessa riformata la sua nota, ripudiando una parte dei suoi figli, ha dovuto ritirarne altri da sè nel tempo della discussione, ed altri sono stati respinti dalla giustizia del Circolo; oltre quelli che sono usciti vincitori coi voti sì, ma laceri e mal conci dalla discussione. L'ultima giustizia, però, speriamo che la faranno gli Elettori col rigettare tutti quelli che si spacciano nostri legislatori, e non sono stati mai nè Unitarii, nè Repubblicani, nè Rivoluzionarii, nè Cospiratori per l'Unità e per la Repubblica; nè sono capaci colla sapienza e coll'azione sul Popolo a fare alcuna opera buona nella costruzione del nuovo edifizio da elevarsi sul Campidoglio; insomma, che non hanno nè scienza, nè coraggio; ma sono gente di moda.

Lo zelo laborioso di alcuni Socii, che sanno posporre i riguardi al dovere, estorse da alcuni Candidati dichiarazioni pregevoli, da pigliarne atto per confrontarle coi fatti avvenire, siccome fu detto. Richiesto un Candidato: Che farebbe se l'Assemblea dei 120 non votasse l'Unione con Roma? rispose: Scenderei in piazza collo schioppo per unirmi col Popolo a fare la rivoluzione ec.» - (Popolano, 3 marzo 1849.)

«L'esempio fu bello, quantunque non riuscisse affatto onorevole ai varii Candidati; alcuni dei quali balbettarono mal sicure parole in temi che mostravano di male intendere; altri ricopersero sotto sonori accenti la fiacchezza dei loro sensi tutt'altro che rivoluzionarii. Pare che il Circolo dovrà cancellarne qualcuno dalla nota dei Candidati, senza aspettare che lo cancellino gli Elettori. Pure si udirono in altri anche belle e generose parole repubblicane, da cui esalava purissima l'idea della nostra Unità. Ma alla domanda fatta quasi a tutti: - Che fareste se l'Assemblea dei 120 tradisse l'Unità italiana, non ratificando la riunione con Roma già decretata dal Popolo? - alcuni Candidati s'impelagarono, smarrirono il senno, e non seppero, com'altri, risolutamente rispondere: Lascerò il posto disonorato, e correrò a debellare col Popolo italiano questi nuovi traditori.» - (Popolano, 7 marzo 1849.)

1: Le lusinghe non cessarono mai. - «Roma 29 marzo, di sera. - In seguito delle disastrose notizie del Piemonte, l'Assemblea ha nominato un Triumvirato a norma del Decreto che vi accludo. I membri di questo Triumvirato sono Mazzini, Armellini e Saffi. Si voleva farvi entrare anche Guerrazzi e Montanelli; ma si è poi pensato che il primo, essendo costà Capo del Potere Esecutivo, non avrebbe potuto accettare fino ad Unione compiuta. Ad ogni modo però il Triumvirato attuale è provvisorio, e non appena formeremo con voi uno Stato solo, provvedemmo ad una nuova nomina, e la faremo in guisa da trar profitto degli uomini più illustri e più popolari tanto di Toscana come di Roma.

Affrettate adunque l'Unione, affrettatela con tutte le vostre forze, imperocchè da questa Unione soltanto può venire la comune salvezza della Italia Centrale.» - (Alba, 4 aprile 1849.)

Il Segretario Biondi. Tornata dell'Assemblea Costituente del 2 aprile 1849.

Italia Rossa, del Visconte D'Arlincourt, pag. 116 e seguenti.

1: Il generale Pepe nella Storia delle Rivoluzioni d'Italia del 1847-48-49 (Bruxelles, 1850, pag. 270) narra uno esempio stupendo di virtù, il quale a me piace referire non tanto perchè serva maravigliosamente di conferma alla mia sentenza, la quale non ne ha bisogno, quanto perchè consoli l'animo contristato dall'odierno diluvio universale di viltà. Il generale Nugent fu gagliardo battagliero, ed aspro nemico della Italia, comunque togliesse a moglie gentildonna italiana di Benevento; nel 1849 con prova estrema di valore assaltava Brescia, che con prove estreme di valore si difendeva. Prevalsero alfine il numero degli assalitori, la qualità delle armi, e la esperienza del trattarle; però cadde Brescia, dopo ch'ebbe ucciso al nemico 1500 uomini, 36 ufficiali, un luogotenente-colonnello, un colonnello, e lo stesso generale Nugent, - il quale sentendosi vicino a morte nel dettare il suo testamento lasciava alla città di Brescia un legato in tributo della sua ammirazione per lei!

Prose Politiche. Lettera Apologetica. Ed. Le Monnier.

L'Assemblea Costituente rigettò l'Unione con Roma; e con ciò fare impedì forse una nuova complicanza dalla quale nessun utile e molto danno poteva ora resultare. Forse impedì piuttosto un decreto che un fatto; ma in ogni caso fece opera ragionevole. Concentrò inoltre in un solo tutto il potere esecutivo; ed anco questo partito era consigliato dalla imperiosità delle circostanze.

Operi adunque chi ebbe la somma dei poteri per salvare la Toscana, e l'esperienza dovrà consigliarlo nella scelta dei mezzi più opportuni ed efficaci.

Due mali oggi minacciano la Toscana: il disordine interno armato in lotta civile, ed una possibile invasione austriaca. Queste due calamità egli deve scongiurare dal nostro Paese; e quando vi riesca, non vi sarà onesto cittadino che per questo non gli si professi riconoscente.

Se noi sapessimo la Toscana in condizioni diverse da quelle nelle quali oggi sventuratamente si trova, noi sapremmo proporre ben altri consigli. Ma ove è ella la guerra dei Popoli che soccorra la disfatta dei Regii? Ove è un nucleo al quale si vogliano rannodare le forze disperse? ove è un principio vitale che le animi e le governi? I Decreti non creano eserciti, i proclami non aggiungono stabilità ai governi disfatti.

Però noi crediamo che tutti i sinceri amatori della patria debbano oggi convenire in questo: salvare per primo quel più che è possibile dell'onore e della indipendenza nazionale invocando l'appoggio della Francia; dividere almeno la sventura cogli altri Popoli fratelli, se non bastammo a dividere i pericoli; - salvare l'indipendenza dello Stato, minacciata dall'Austriaco vittorioso; salvare le libere istituzioni minacciate dalle fazioni reazionarie; salvare la pubblica tranquillità, e con essa le proprietà e le persone, minacciate dai turbolenti d'ogni Partito.

Questo crediamo sia oggi dovere del Governo di procurare, invocando il concorso dei poteri municipali; l'autorità dei quali riman sempre incontestata, qualunque sia l'influenza degli avvenimenti politici.» - (Conciliatore, N° 88, 29 marzo 1849.)

1: NOTIFICAZIONE.

«Lieto il Governo di aver viste coronate di buon successo le cure che si è dato per provvedere di cavalli il treno di artiglieria, è ora ansioso di riempiere il vuoto d'uomini in che il medesimo Corpo si trova.

A quelli pertanto che abbiano militato in Cavalleria, a tutti quelli che all'ufficio di cannoniere conduttore si sentano adatti (siano pur anche coniugati) fa premuroso invito di offrire alla Patria i proprii servigi.

Per tre anni è l'impegno; cinque zecchini il premio d'ingaggio.

Non è per altro in questa leggera somma, ma nel cuore dei Toscani, che il Governo ripone la sua fiducia.

Una nota per tutti quelli che vogliono scriversi è aperta fin d'oggi presso il Comando di questa Piazza. - Su via Cittadini: mostriamo al mondo che se altamente gridammo di voler esser liberi, abbiamo anche il coraggio, sappiamo anche sostenere i sacrificii con cui si merita la Libertà.

Dal Ministero della Guerra, li 2 aprile 1849.

 

G. Manganaro.»

 

Toscani,

«Alla sicurezza interna fu provveduto con necessarii provvedimenti ieri e stamani. I fatti corrisponderanno alle parole. Adesso della sicurezza esterna.

Bisogna difendere la nostra Terra. Questo è dovere di tutti, qualunque opinione i Cittadini professino. Onore, religione, interesse, e ogni altro affetto che governa il cuore degli uomini virtuosi ed anche poco virtuosi, persuade alla difesa del Paese nativo.

Il Governo primo mandò alla Gioventù Toscana fervidi eccitamenti; gliene mandava pari in caldezza la generosa Assemblea. Ai confini! ai confini! Deh! Gioventù Toscana, difendi la tua Patria. La difesa è agevole: i luoghi aspri, i calli dirotti, i tronchi e i massi offrono riparo a noi, impedimento al nemico, dove mai si attentasse varcare i nostri monti. Pensa che anche i bruti difendono i proprii covili; vorrai essere, o Gioventù Toscana, da meno dei bruti?

Ai confini! ai confini! Il Governo verrà con voi: reggerà se occorre sotto la tenda: chiunque adesso non diventa soldato si guardi dal mentirsi amico del Popolo: amici del Popolo sono quelli che muoiono con lui e per lui.

Intanto la Gioventù sappia che presso ogni Municipio sta aperto il Registro nel quale hanno da scriversi coloro che intendono accorrere alla difesa della Frontiera; ma meglio del Registro varrebbe prendere un'arme, baciare la madre, e recarsi a Firenze. Qui si fa l'adunata delle genti per andare ai confini.

2 aprile 1849.

 

Guerrazzi.»

 

Dispaccio telegrafico del 2 aprile 1849.

«Al Governo di Livorno.

Bisogna prevalerci delle buone notizie per eccitare il pubblico spirito alla guerra. Adopri i mezzi che pensa più opportuni. Si valga di Popolani, Circoli, e Preti, di tutti; e appena impegnati dieci, o dodici, mandi subito a Firenze, previo avviso, dove faremo il deposito. Vestiremo, armeremo, e manderemo al campo. Risposte d'ora in ora per mio governo.

 

Guerrazzi.»

 

(Documenti pag. 441.)

 

Dispaccio telegrafico del 2 aprile.

«Al Governo di Livorno.

Mancano armi. Di Francia ne vennero altre? Ve ne sono a Livorno? Se mandate Volontarii, e li dovete mandar subito, inviateli con armi. Ai bagagli e alle vesti penseremo noi. Requisite i fucili da caccia, e sostituiteli agli schioppi da munizione. Così vuole la Patria. Quando la Patria ordina, a chi non obbedisce - guai.

 

Guerrazzi.»

 

(Documenti, pag. 442.)

Dispaccio telegrafico delle ore 2, 55 minuti, 2 aprile.

«Al Governo di Livorno.

«Intorno al Battaglione io lo accetto a due patti: che porti i fucili, e che gli Ufficiali si sottopongano agli esami. Fucili, noi non ne abbiamo, come vi ho detto. Qui stanno mille giovani inutili per difetto di armi, e me ne piange il cuore; quindi se gli facciano imprestare. Requisiteli, come ho ordinato; insomma li portino. Ufficiali devono essere nel numero normale, corrispondente alla quantità dei soldati, a seconda dei Regolamenti, e l'esame li deve dimostrare degni per morale e per conoscenza che a loro si affidi il sangue dei fratelli. E questa è giustizia. Lodi, e ringrazii il Gonfaloniere. Giustizia, ma piena giustizia: la Patria non desidera altro.

 

Guerrazzi.»

 

(Documenti, pag. 442.)

Documenti, pag. 442. Dispaccio telegrafico delle ore 8, 45 minuti, 2 aprile.

Documenti, pag. 517. Dispaccio telegrafico Landi, del 2 aprile, ore 5, min. 9.

4: Ivi. Dispaccio telegrafico Martini, del 2 aprile, ore 4, min. 45.

5: Ivi. Dispaccio telegrafico Landi, del 2 aprile, ore 7, min. 45.

Ivi. Dispaccio telegrafico D'Apice, del 2 aprile, ore 8, min. 10.

Firenze 3 aprile.

«Livornesi!

Adesso vi parla una voce assai più potente che quella del vostro concittadino, - la voce della Patria in pericolo, e vi domanda:

Che quanta Gioventù contiene cotesta mia terra diletta, e il suo contado, accorra alla frontiera e la difenda.

Wimpfen si è vantato con 10,000 Austriaci calpestarvi come biacchi striscianti nel fango!... Io non dico di più.... Gli occhi mi si empiono di lacrime e di sangue per la vergogna.

E vi scongiura ancora che le rendiate le armi altra volta prese da voi per difendere il Paese. Bene le prendeste, e bene le adoperaste; ma chi di voi non può andare alla frontiera, per quanto amore porta a Dio, e ai suoi morti, impresti queste armi alla Gioventù che risponde alla chiamata.

O Livornesi miei, vorrete mandare i vostri figli disarmati contro gli Austriaci, come i tiranni di Roma gittavano gli schiavi nel circo alle fiere?

Coraggio, costanza e modestia, e nulla io reputo e non è perduto. Ma ai confini vi spinga amore di Patria santissimo, e non voglia di gradi, o cupidità di averi. Colui che si muove per ambizione o per interesse, si parte col conto fatto nella sua anima di piegare laddove trova maggiore premio di vanità, o di danaro. Chi si parte da casa con l'ambizione o lo interesse, di rado avviene, - Livornesi, badate alle mie parole, - di rado avviene, che per la via non si accompagni col tradimento.

Voi sapete che io ho un nepote solo del mio nome, consolazione unica a questa travagliata mia vita: andate al campo, e lo troverete semplice soldato di artiglieria. Egli ha da guadagnare i suoi gradi col sapere, con la obbedienza, e col valore.

O uomini livornesi, datemi le armi e i figli, ed io vi salverò vostra Madre - la Patria.

Se gli Austriaci prevalgono, la condizione dei vivi è peggiore di quella dei morti - perchè morirono senza vergogna, e non li turba nel sepolcro lo scherno dei figli.

 

Guerrazzi.»

 

(Documenti, pag. 872.)

Documenti, pag. 577.

Trovandoci nella suprema necessità di tentare una disperata prova per ristorare le sorti della guerra, o salvare almeno l'onore operando, credo che potrò meglio servire alla Patria nel Campo, che paziente uditore nel Parlamento toscano: perciò renunzio ad essere Deputato. Co' miei Elettori, a guerra finita le scuse. - Firenze a dì 2 aprile 1849. G. Morandini.

Documenti, pag. 443, e 518.

Documenti, pag. 443. - «La Guardia Nazionale fiorentina corrisponde. Ieri parlai al mezzo Battaglione, che montò la guardia: oggi, appena smontato, due compagnie armate e vestite con sacchi e cappotti vogliono partire subito. Dio ci aiuti!»

Circolare del Ministro della Guerra del 4 aprile 1849.

NOTIFICAZIONE.

La Patria in pericolo chiede uomini ed armi. Bando alle discordie; uniti in un solo volere prepariamoci frettolosi a respingere lo straniero che osasse attentare alle conseguite Libertà.

La calma operosa è più utile del tumultuario affaccendarsi, perchè la prima mostra il fermo proponimento e la solennità dell'atto che va a commettersi, mentre il secondo confonde, e non ha durevole impronta.

Ogni Cittadino pertanto, che ritiene armi inoperose, le consegni a questo Municipio.

Lo stesso invito vien fatto ai Militi della Guardia Nazionale dai 50 ai 60 anni, coerentemente al disposto dell'Articolo 7 del Decreto dei 23 marzo 1849 del Governo Provvisorio toscano.

Giovani generosi, caldi di amor patrio, questo è il momento più bello della vostra vita; da voi la Patria attende la propria salvezza. Dio non abbandona gli oppressi. L'ora del risorgimento è suonata. Le armi soltanto ponno decidere dei nostri destini.

Livorno, dal Palazzo Civico, li 4 aprile 1849.

 

Il Gonfaloniere Avv. Luigi Fabbri.»

Si dica allo A., che tratti, e concluda il baratto di 1/2 milione, e di là mandi in Francia subito. Le armi si raccolgano. Ne sono arrivate altre in Livorno? Qua armi prima, poi gente.» - (Dispaccio telegrafico del 4 aprile 1849. Documenti, pag. 443.)

Documenti, pag. 519.

Documenti, pag. 519 e 520.

Se il Battaglione Del Fante, se i Volontarii non vengono subito con le armi, non vengano più, essendosi il nemico incominciato a mostrare verso Sassuolo. Di nuovo invito per armi, e mandarle subito... e presto le armi. Lucca vostra non corrisponde, - vergogna.» - (Dispaccio telegrafico del 5 aprile 1849. Documenti, pag.444.) - «Il Battaglione se non viene presto, non importa. Si dirà anche dei Livornesi: solite ciarle e fatti punti. Se non rendono le armi, si levino alla Nazionale, perchè quando sono superati gli Appennini, o che credono di difendere Livorno dalle bombe austriache? Con le picche si guarda la città. Abbiamo gente; un milione circa in Francia per arme. Prediche, Esposizioni in Duomo, e per ultimo la Madonna santissima di Montenero muoveranno i Popoli.» - (Dispaccio telegrafico del 5 aprile 1849. Documenti, pag. 445.)

Ordine del Giorno del Ministro della Guerra del 5 aprile 1849.

Si presenti al sig. M. di cotesto Governo, e faccia acquisto per conto dello Stato dei seguenti articoli: Fucili 1240. Sacchi 200 nuovi. Detti 100. Capsule 1 milione, a patto restituirle se non sono servibili.» - (Dispaccio telegrafico del 5 aprile 1849. Documenti, pag. 445.)

Ordine del Giorno della Commissione organizzatrice il Corpo dei Volontarii toscani del 5 aprile 1849.

Comecchè io non detti Storie, pure considerando che il buon cittadino non deve pretermettere occasione di lodare chi di lode fu degno non tanto per giusta ricompensa di loro, quanto per eccitamento di virtù, oltre il fatto di Morandini, Rubieri, Angiolini, e Gasperini, giovi onorare Ilario Fabri di Santa Sofia, che non compreso nello imprestito forzato offerse 500 scudi (Monitore del 2 aprile 1849), M. Galeotti che offerse spontaneo 500 lire, e Pianigiani il quale, escluso anch'egli dallo imprestito, offriva contribuire 14 per 100 su la prima categoria (Monitore, del 4 aprile 1849). Il Pretore Franci di Pontedera annunziava per telegrafo:

«Il Pretore di Pontedera al Capo del Potere Esecutivo.

«Ho fatto quello che doveva come cittadino. - Al Circolo ieri sera ho detto quelle stesse parole che ella mi diceva sabato in compagnia in Vapore. Fu letto il suo Indirizzo del giorno 6 andante alla Gioventù fiorentina. - Il generoso Danielle Ricci di Pontedera ha offerti due zecchini ad ogni giovane pontederese che s'inscriverà per andare ai confini. Anche il Municipio, lo spero, si proporrebbe sussidiare le famiglie di coloro che per la difesa della Patria le abbandonassero. - Che fare di più? eppure non abbiamo fin qui che quattro Volontarii. Povera Patria! Madre sventurata, hai figli troppo ingrati. Vergogna. - Ore 2, 5 m. pom.

 

«Franci.»

 

«Il Pretore di Pontedera al Capo del Potere Esecutivo.

Dopo un eccitamento fatto stamani dall'onorando vecchio Cesare Vallerini, Vicario in disponibilità, alla Gioventù di Pontedera, abbiamo ottenuto le firme di altri dodici Volontarii. - Ore 6,35 m. pom.

 

Franci.»

 

Il Circolo di Grosseto mandò 16 cavalli; almeno questo qualche cosa di buono seppe fare. - (Monitore, del 5 aprile 1849.)

Alla Gioventù Fiorentina!

«Una Gioventù fiorentina piena di fede, di modestia e di ferocia, tenne levato gloriosamente il gonfalone della Repubblica fiorentina contro le armi di un Imperatore potentissimo e di un Papa; e quando vinta dal tradimento ebbe a deporlo, vi si avvolse dentro come in un sudario di gloria, e si adagiò nel sepolcro.

La Gioventù fiorentina allora aveva fremito di rabbia e lacrime d'ira, e mani gagliarde contro i nemici della Libertà ch'è sì cara: imperciocchè questa Libertà nella nostra terra le venisse insegnata dagli esempii paterni, esposta con gli scritti da Niccolò Macchiavelli, difesa da Michelangelo, sostenuta con la virtù della parola o del ferro da Francesco Carduccio, da Francesco Ferruccio, da Dante da Castiglione, e da altri famosi di questa inclita terra.

Allora in questa città vissero uomini, i quali come lo Alberti tennero per ferma una cosa, che anche a quei tempi parve enorme, doversi alla salute dell'anima anteporre la salute della Patria.

E in questa Piazza della Signoria per la Libertà era arso il frate Girolamo Savonarola, di cui fu somma sventura andassero disperse le ceneri. Come nel primo giorno di Quaresima il rito della Chiesa ordina, che si freghi con la cenere la fronte al cristiano e gli si ricordi che polvere nacque e polvere ha da tornare, noi potremo adesso spargere un pugno di cotesta cenere sopra la testa della Gioventù fiorentina e dirle: Rammentati che Dio ti creò libera, e libera tu devi morire.

O Dio! forse da cotesti tempi in poi qualche cosa è mutata quaggiù, onde i Fiorentini non amino la Patria come altra volta l'amavano? In San Giovanni i Fiorentini vengono sempre battezzati nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Le arche mortuarie conservano sempre il deposito sacro delle ossa paterne; la cupola s'inalza sempre degna di rappresentare quasi una via che unisce la terra col cielo; popolate le valli delle medesime case e dei medesimi oliveti; il nostro cielo sfavilla sempre del sorriso di Venere celeste, che si compiace avere stanza quaggiù, circondata dalle divine opere del genio quasi un pianeta in mezzo alle stelle.

E sta tuttavia questo Palazzo Vecchio testimonio di tante opere e di tanti detti virtuosi. Sotto il ballatoio, o Fiorentini, leggete scritta in caratteri d'oro sopra fondo azzurro la parola Libertas. Non vi sembra un Angiolo amoroso che reietto dagli uomini si rimane esitante di abbandonare Firenze, e sta così sospeso fra il Cielo e la Terra fiso aspettando pure che il Popolo lo richiami?

Sta questo Palazzo, che fu sempre come il cuore della Libertà. O sacre mura! quando io levo in alto il capo vedo formicolare di gente il ballatoio, e fervere nella battaglia, e avventar dardi e sassi contro i sottoposti soldati della tirannide, e poi ad un tratto fermarsi per mancanza di armi: allora la venerabile sembianza di Messere Jacopo Nardi rivela il muro a secco per rovesciarlo sopra il nemico, e declinato lo sguardo, i gradini e la piazza considero ingombri di membra infrante, e di armi spezzate; - lavate quel sangue di schiavi; esso non rallegra ma contrista la terra della Libertà. - Per la memoria del fatto basta il braccio tronco del David di Michelangelo. Il marmo del Buonarroti, compenetrato della sua anima grande, sembra che non potendo rimanere spettatore immobile del caso, abbia preso parte alla battaglia riportandone onorata ferita.

Nulla pertanto è mutato - nulla, meno che gli uomini....

Così dicono gli stranieri calunniando; non io. Figlio delle comuni sventure, partecipe degli stessi dolori, conosco a prova quanto sia grave dopo trecento e più anni di vergognosa tirannide levarci all'altezza della Libertà. Dove il pensiero tuona, non risponde la voce amica e franca; dove il cuore freme, il braccio non consente intorpidito; una bevanda avvelenata ti serpeggia nel sangue e ti costringe al sonno; - la spada è diventata rugginosa, lo scudo rotto, il capo senza dolore non sopporta più l'elmo; parenti, amici, tutti ti supplicano a dormire: bisogna che tu dorma.

Ma vi è un Angelo che rompe il sonno della tirannide, come vi ha un Angelo che rompe il sonno della morte, - e questo è l'Angelo della Libertà.

E voi, o Fiorentini, udiste questa voce quando sopra i campi lombardi più costanti e più tenaci degli altri duraste sotto la procella di ferro e di fuoco che vi avventava lo implacato nemico. Voi mostraste allora quello che soventi volte io diceva, come un Popolo e un Dio non possono tenersi chiusi dentro al sepolcro.

Adesso il bisogno urge maggiore. Qui ora non trattasi di acquistar gloria, ma di fuggire vergogna: qui non vuolsi far procaccio di comodi, ma ripararci dal danno; e da qual danno? - Tendete l'orecchio, o madri, o spose, o figlie miserissime.... Dalle rive del Po e del Ticino, da Brescia e da Bergamo muovono voci di pianto disperato, che stringono il cuore d'ineffabile affanno. Ora che sarebbe se vedeste le sconce ferite, e le membra lacere, i muri grondanti sangue? Udite fino di qua il singulto dell'agonia di Venezia! Cotesto singulto è immenso, perchè si parte dall'agonia della Libertà d'Italia. O Cristo, o Cristo, i tuoi giusti occhi non guardano adesso la terra, poichè lasci perire Venezia!

La difesa è agevole. La Natura provvida volle circondare questo suo giardino, la bella Toscana, di un muro insuperabile di monti; ma il Cherubino che deve stare a guardia di questo Eden hanno a crearlo gli abitatori del luogo con la propria virtù. - Ordini di milizia non valgono, inutili per gli aggressori le artiglierie, i moti della cavalleria impossibili; dieci mila uomini di qui possono respingerne cinquanta mila, il numero è d'impaccio e forse rovina.

Ma il nemico non può venir grosso contro di noi. I Popoli gli fremono alle spalle come moltitudine di acque in tempesta. Le ire dei Popoli e del mare si stendono sopra la terra, e i troni, le armate e le provincie spariscono. Non vi sbigottite per una sventura, i Popoli non muoiono mai; la tela che il ragno della tirannide trama laboriosamente in un secolo è disfatta dal Popolo in un minuto di furore.

La difesa della terra nativa fu imposta dalla natura a tutti gli animali come un istinto. La terra nativa ha diritto di esser difesa da tutti coloro che ella nutrisce e ricovra pietosa nel suo seno; tutti i suoi figli hanno il sacro dovere di difenderla; chi manca alla natura manca a Dio, però che la natura sia la figlia primogenita del Signore.

O Sacerdoti, il calice dove la prima volta beveste con labbra tremanti il sangue di Cristo, vi sarà tolto dal Croato. Quale legge vi sconsiglia dalla difesa della Patria? O piuttosto qual legge non v'impone difenderla? E vi ha un Tribunale nel mondo che non patisce appello, e questo sia nella propria coscienza; ponetevi, o Preti, la mano sul cuore, e ditemi se mancando alla difesa della Patria una voce non si muove là dentro che vi chiama traditori? Tradendo la Patria avrete comune con Giuda la disperazione e lo inferno. Chi non ama la Patria odia Cristo; chi affligge la Patria trafigge Cristo.

Ora non si parla di Unione con Roma, nè di forma di governo; qui non entrano scrupoli, nè casi di coscienza: si tratta di difendere le nostre terre e le nostre vite. Se un Pontefice venisse e dicesse che difendere la Patria è peccato, io gli spruzzerei l'acqua benedetta nel viso profferendo la formula: «va addietro Satana!» però che egli sarebbe il Demonio trasformato in Pontefice; e se le mie parole suonino vere, io ne chiamo in testimonio il Vangelo prima, e poi tutti i Dottori di Santa Madre Chiesa Cattolica.

Voi altri, che vi chiamate Conservatori, di leggieri comprendete, che male conserva colui che acconsente a vedere tutto disperso; fortuna, onore, libertà, a caro prezzo, con lauto sudore, con diuturni studii acquistati, tutto va in volta a modo di paglie trasportate dal turbine. Diventata l'Austria dispensiera di libertà, lascio considerare a voi qual sia per essere la parte che sfuggirà dai suoi artigli taglienti e sottili.

E se vi ha anche taluno che negli intimi precordii faccia voti per la Restaurazione, si rammenti che il suo Principe non che difendesse la frontiera, ma spingesse i Toscani alla guerra di Lombardia; che dove il voto del suo cuore si compisse, il suo Principe gli direbbe: - perchè hai consentito che mi venissero tolte la Lunigiana, e Massa e Carrara? Di queste frontiere ha bisogno la Toscana se non intende rimanere esposta al primo invasore; io lasciai più vasto lo Stato, per la tua codardia lo ritrovo diminuito. Va, tu non sei un servo fedele; tu mi stai addosso come l'insetto sopra la pianta. Io non scambio la lealtà colla viltà. Vile fosti, vile rimanti, e sgombra dal mio cospetto.

E voi, uomini ardenti, di cui lo impeto ribocca come spuma che bolle fuori del vaso, avvertite che quando ciò avviene il fuoco si spegne e il liquore scema. Ogni cosa ha il suo tempo, il frutto mangiato immaturo allega i denti. Un fanciullo che stende la mano alla spada, e non gli riesce sollevarla, diventa segno di compassione o di scherno. La bandiera della Repubblica non va affidata ad un braccio di tisico, ma di un gagliardo credente che la faccia trionfare con gloria, o cadere con onore. Bandiera e Bandieraio, se avessero a sparire, devono tramontare entro un mare di sangue; allora il Bandieraio non sorgerà più, ma la Bandiera come il Sole tornerà ad affacciarsi in Oriente, aspettata dalle generazioni, benedetta dai Popoli. La Repubblica ha da vivere, o ha da morire sopra i campi di battaglia; voi la fareste morire delle infermità dei pargoli. Sapete voi di che si nutrisce la Repubblica appena nata? Di midolle di leone. Potete apprestarle questo alimento voi? Staremo a vederlo. Intanto la difesa della Patria anche per voi, e sopra tutti per voi, è obbligo santissimo. Imitate la modestia e il valore dei giovani Cavalieri antichi; essi militavano con bianco scudo finchè per qualche inclito gesto non avessero acquistato il diritto di assumere l'impresa. Voi avete lo scudo bianco, la occasione della prova è aperta innanzi a voi; se volete scrivervi Repubblica, scrivetela, ma come i martiri della Chiesa di Cristo prima di morire tracciavano la propria fede sopra il terreno, - col sangue.

Andate dunque, partite tutti, nel nome santo di Dio e della Patria. Io vi terrò sicure le case e le famiglie. Qualunque opinione singolare, intemperanza, od enormezza, saranno da me acerbamente punite. La Legge è sovrana qui, e la Legge emana dall'Assemblea eletta dal voto universale del Popolo. Le Leggi dell'Assemblea, se intende riordinarsi il Paese, hanno da venerarsi come comandamenti di Dio. Non già in angusta sala dove entra scarsa la luce del Sole, tra lunghe ambagi, ed inamabili discorsi, ma sui campi aperti, fra il torrente dei raggi di un Sole di maggio, in mezzo al lampo delle armi, alla faccia del firmamento, al cospetto del nemico vinto, si ha da proclamare la più perfetta forma politica di Stato per uomini perfetti: la Repubblica! - La Repubblica potrà nascere quando le avremo apparecchiato il battesimo di sangue delle nostre, o delle vene nemiche, - ciò non importa - purchè sia battesimo di sangue.

Firenze, 6 aprile 1849.

 

Guerrazzi.»

 

(Documenti, pag. 579.)

Dispaccio telegrafico del 6 aprile, ore 12, m. 5 ant.

«Al Governo di Livorno.

- Primo. - I Civici vadano subito a Pisa, e quivi si concentrino.

- Secondo. - I Volontarii vengano a Firenze, e portino con essi le armi.

- Terzo. - I Bersaglieri pure vengano a Firenze.

- Quarto. - Intorno alle armi e altro, proposte da Bini, il Ministro della Guerra dà ordini separati.

- Quinto. - Autorizzo di ricomprare a modico prezzo le armi già nostre, ma presto. E sempre presto.

 

Guerrazzi.»

Al Ministro della Guerra.

«D'Apice ha ragione sul comando unico, nè i corpi sono così grandi nè la superficie delle operazioni sì vasta da consentire divisione di comando; veda di contentarlo, egli merita molto, ed è ottimo per questo genere di guerra. Gli ho ordinato, in ogni evento regga in Garfagnana, e cuopra Massa e Carrara. Spinga quanta gente più può di Linea. Provveda alle sussistenze. Al Secchi, al Pierni dia maggiori facoltà per l'Amministrazione. - Ore 4, 20 m. pom.

 

Guerrazzi.»

Alba, 8 aprile 1849.

Alba, 8 aprile 1849.

Documenti, pag. 446.

Dispaccio telegrafico dell'8 aprile 1849, ore 7, 30 m. p. m.

«Al Governatore di Livorno.

Firenze mi ha sollevato dalla inerzia di Livorno. La Guardia si mobilizza. Domani mille trecento uomini partono per Lucca. Dove è andata Livorno? o si muova, o renunzii allo scroccato titolo d'eroica.

 

Guerrazzi.»

Documenti, pag. 528.

Documenti, pag. 94.

Monitore Toscano del 9 aprile 1849.

Documenti, pag. 448.

Ivi.

Dispaccio telegrafico, del 9 aprile 1849, ore 11, 23 m. p. m.

«Al Governo di Livorno.

Venne la gente. È stata alloggiata egregiamente. Livorno si commuove. Sta bene. Ora ravviso la mia città. Dimani mando da te altra gente, ed armi e munizioni. Spero respingere gli Austriaci. Al primo tiro corro agli Appennini. Viva la Patria.

 

Guerrazzi.»

Dispaccio del signor Ruschi del 9, e del signor Barli del 10 aprile 1849. Documenti, pag. 529, 531.

Documenti, pag. 530.

Documenti, pag. 531.

Ivi.

Documenti, pag. 450.

Altrove ho detto, che il nostro Attivo superava il Passivo; ma il Passivo era composto di spese quotidiane, l'Attivo rappresentato in parte da beni i quali da un punto all'altro non si possono vendere.

Custoza, l. 4, pag. 81. Turin 1850.

Massa di Carrara, 5 marzo 1849.

«Cittadino Generale d'Apice.

Penetrato vivamente della necessità di tentare ogni sforzo onde cessi il malvagio esempio delle diserzioni dalle Truppe che sono sotto il vostro comando, ho fatte le più insistenti rimostranze presso il Generale La Marmora, e presso il Ministro degli Affari Esteri di Torino onde siano restituiti coloro che disertarono dal 23 del decorso mese fino a questo giorno, e non siano ricevuti coloro che disertassero in seguito.

Confido che ne otterremo un buon risultato, tanto più che mi riuscirà di provocare delle interpellanze in proposito nella Camera Piemontese.

 

G. Montanelli.»

 

«Generale,

 

«Firenze, 6 marzo 1849.

Amico mio: pieno di sospetti, di cure, io mi logoro l'anima. Sento di emissarii piemontesi per fare disertare le milizie nostre.

S'è vero, - guardate. - Pubblicate un Ordine del giorno che chiunque fosse sorpreso a corrompere soldati sarà immediatamente passato sotto le armi. Vigilate la condotta di tutti, e date esempj, esempj per amore di Dio. Addio.

 

Affmo. - Guerrazzi.»

 

Sig. Generale Domenico D'Apice.

Massa di Carrara.»

Pontremoli, 4 marzo. La diserzione delle truppe è grande, anzi grandissima. Vanno in Piemonte, il quale ha risposto al capitano Carchidio, che vi fu spedito dal Generale D'Apice, che si credeva in dovere di accettare e difendere questi disertori; ed infatti sono ricevuti benissimo e mandati in Alessandria. Quest'oggi sono disertati i carabinieri di Pallerone, di Aulla e di un altro picchetto che non rammento. - Egualmente hanno fatto una ventina di Cacciatori che dall'Aulla dovevano venire a Pontremoli.»

Amico Carissimo,

 

Calice, 2 aprile 1849.

 

Nel mentre che la Popolazione di Calice stava pensando a fare una proposta contro la presa di possesso operata nel 13 marzo caduto dal Commissario Sardo, e che io dovea recarmi presso del Delegato Beverinotti per concertarla, è sopraggiunto il fatto della battaglia di Mortara, che ha prodotto un cambiamento nel sistema politico di questi luoghi.

Può darsi che l'armistizio non abbia luogo, e che per conseguenza vengano riprese le ostilità; ma nel caso contrario, questi abitanti appena che sieno partiti i Carabinieri Sardi, qua distaccati, sarebbero intenzionati di unirsi alla Toscana, qualunque sia la forma di Governo che ivi venga adottata.»

Proclama del 6 agosto 1848.

Dispaccio telegrafico del 1° aprile, ore 1, 33 m. ant. Documenti, pag. 441.

Documenti, pag. 515.

Alla Commissione Governativa di Livorno, il Ministro dell'Interno. - I Cittadini componenti la Commissione Governativa, Massei e Paoli, urge che si rechino domani mattina col primo treno a Firenze per assistere all'adunanza dell'Assemblea.

 

Marmocchi.»

Documenti, pag. 516.

Documenti, pag. 442.

Vedi Dispaccio telegrafico. Documenti, pag. 502.

We read in a letter from Florence of the 1st. - A report is current that Guerrazzi, who has never been in favour of a republic, has only made himself Dictator in order to be the better able to restore the authority of the Grand Duke.» - (Galignani's Messenger, Saturday, april 7, 1849.)

Il colonnello G. Manganaro, che mi sarà sempre cara ed onorata memoria, spiegando come testimone la importanza di questa Istruzione, dichiara: «Ella era diretta a procurarsi armi per combattere la perniciosa idea di proclamare la Repubblica e la Unione con Roma, sostenuta da un Partito nemico del benessere della Toscana, il quale spingeva con ogni maniera d'intrighi il Governo alla detta proclamazione, e Unione.»

Istruzioni del 22 settembre 1848 al marchese Ridolfi, citate.

Samuele, c. 12.

Il Monitore, che riferisce la discussione che ebbe luogo al Consiglio Generale sulla Costituente Italiana, ha soppresso alcune parole singolari che furono proferite dal Ministro dell'Interno. Quando egli rimproverava agli avversarii del mandato libero d'esser più realisti del re, soggiungeva che il Ministero, consigliando al Principe la Costituente, non solo aveva creduto che il Popolo gli avrebbe assentito con libero voto quel potere che egli ora esercita in forza dei trattati, ma che questa generosa fiducia gli avrebbe fruttato la Corona del Regno della media Italia. Queste parole dette in Parlamento, ed in faccia alla tribuna del Corpo Diplomatico, meritano d'esser notate, e noi crediamo di non peccare d'indiscretezza referendole, secondochè la memoria ce le ricorda. (26 gennaio 1849.)

Queste proteste si rinnuovarono dalla Chiesa tutti gli anni nel giorno 28 giugno fino al 1788.

Cittadino Generale.

Dietro le conferenze che il Governo Provvisorio ha avuto con voi, noi non possiamo darvi altra istruzione che rimetterci alla savia discretezza vostra coerentemente a quanto fu discusso a voce, procurando sempre che tutte le operazioni vostre convergano al doppio scopo di promuovere gl'interessi repubblicani dell'Italia Centrale, e la liberazione della Italia da tutta dominazione straniera. E vi salutiamo.

Dalla Residenza del Governo Provvisorio,

Li 18 marzo 1849.

Il Presidente del Governo Provvisorio Toscano

G. Montanelli.

Al Cittadino General D'Apice.»

 

Nota, che la conferenza col Dott. Venturucci aveva avuto già luogo.

Il Colonnello Baldini, e i signori Fortini e Contri interrogati depongono questo discorso essere stato loro veramente tenuto dal Generale; non rammentarsi però se a nome del Guerrazzi.

Nelle istruzioni del 1° aprile ho mostrato, che tale incarico non vi era, e non vi è: il Generale in questa parte ha in mente il Dispaccio del signor Montanelli del 18 marzo.

Nota: la lettera è senza data, ma si ricava dal marchio postale della sopraccarta, ch'è del 3 aprile 1849.

Questa lettera non ha data perchè mi succede sovente non porla dentro, e fuori manca lo involto; è diretta a Giorgio Ansuini; ma o appartiene a questi giorni e giova, o appartiene a tempo antecedente e giova più che mai, però che attesti come io stimassi coloro, che da un punto all'altro mi si mostravano sviscerati della Repubblica.

Cittadino Ministro dell'Interno.

«In adempimento di quanto mi scrivevate col pregiato vostro di ieri sera ho comunicato all'Ispettore delle armi Maggiore Bonci il desiderio da Voi esternato in quello, ed Egli mi ha rimesso il Biglietto che vi accludo.

E con stima mi confermo

Li 9 aprile 1849.

Di Voi, Cittadino Ministro dell'Interno, F. C. Marmocchi.

 

Devotiss. Zannetti.»

 

«Cittadino Generale.

 

Autorizzato al ritiro dei fucili che furono consegnati ai Circoli, sarei a pregarvi, o Cittadino Generale, di volermi fare indicare in che numero questi fucili furono consegnati ai Circoli summentovati.

Mi affretto intanto a dirigerne l'opportuna domanda ai Presidenti, e contemporaneamente a prendere le opportune misure per il ritiro delle armi in proposito.

Profitto intanto ec.

Di Voi, Cittadino Generale,

Li 9 aprile 1849.

 

Devotissimo Gas. Bonci.

 

Al Cittadino Generale

Comandante la G. Nazionale.»

A. C.

 

Livorno 31 agosto 1848.

 

Ho partecipato a Adami la tua risposta in proposito Imprestito. Vi era anche Giraudino, informato dell'affare, e propenso perchè segua, che mi ha incaricato dirti, che tu gli voglia bene, e ti rammenti di Lui. - Essi mi dicono se credi che Adami torni a parlare al Ministro, e come; oppure se ti prendi cura di tutto. - Sappi però che qualche banchiere di costì almanacca altri progetti, non tanto buoni pel Governo, è vero, ma che pure potrebbero essere accolti: - dunque bisogna vegliare. - Avevano proposto interrogare la Banca ora che il Paese si quieta, ma ho detto aspettare la tua risposta, per non allarmare il Paese, non sapendo se il Ministro voglia, o no aspettare, giacchè in questo secondo caso converrebbe più il silenzio. Non facciamo nulla senza tuo avviso, che è atteso col corriere d'immediato ritorno.

«Ecco in sostanza le basi:

Biglietti fruttiferi al 3 1/2 per 100 con obbligo di riceverli in pagamento per affari commerciali. - Non minori di L. 200. - Le Casse Regie prenderli. - Cambio alle medesime per L. 25,000 ogni settimana. - Al pubblico per la stessa somma. - Frutti pagabili ogni quattro mesi. - Provvisione 1/2 per 100 ogni 4 mesi. - Garanzia del sovventore. - Se si trovasse piccola difficoltà, potrebbe superarsi.

Aspetto dunque tua risposta.»

Ripeto, che corretta dal Ministero io possiedo la minuta del primo Proclama pubblicato dal signor Montanelli a Livorno.

I Decreti del Tribunale di Prima Istanza del 10 giugno 1850, e della Camera di Accuse della Corte Regia del 7 gennaio 1881, per denigrare il signor Montanelli tacciono la condizione «se mi sarà possibile;» e sempre così.

Esame Zannetti.

Su la proposizione del Gonfaloniere Peruzzi fu nominato con altri Commissario Guglielmo Digny. - Vedi Monitore del 16 febbraio 1849.

Partì nel 4 o 5 aprile 1849. Vedi la sua umile rappresentanza a pag. 93 dei Documenti. Egli la termina con queste parole: «Aspetterò che le indagini vengano proseguite, ma chieggo dalla vostra giustizia, che mi si conceda al più presto ritornare laddove non sarò giudicato, nè trattato da forestiere.» Gli fu risposto, che le indagini sarebbero state incominciate subito dopo la sua traduzione in luogo di custodia, ed egli preso vento, che si trattava arrestarlo, spulezzò.

Documenti, pag. 528.

Documenti, pag. 530, e 531.

Documenti, pag. 449.

Ivi.

Documenti, pag. 449.

Documenti, pag. 449, 450.

Dispacci telegrafici. Documenti, pag. 450.

Dispacci telegrafici. Documenti, ivi.

Monitore citato. - Come dimostrazione di animo valga questa lettera mandata al sig. Dott. Quintilio Mugnaini in Livorno: essa porta la data del 6 marzo 1849, ed è munita esternamente di doppio marchio postale:

«Amico.

Dimmi presto quello che vuoi, perchè la mia vita politica ormai ha pochi giorni di durata, risoluto a ritirarmi. Così intendo mostrare più cose; che amo la quiete e i miei studii più che altri non pensa, e se la natura mi diè impeto ed energia non per questo voglio primeggiare sopra altrui, chè il maggior pregio dell'uomo libero è la modestia; che errarono quelli, che me promovendo parteggiarono per la persona e non pel principio: questo non ha da essere e non sarà. Io ho mandato Cecchino al campo soldato semplice di artiglieria, e l'ho unico al mondo. Credeva che gli uomini amassero la Libertà come me - per respirare più libero, - mi sono ingannato: tornerò a vivere di memorie, e conversare coi morti. Oh! gli alberi, gli alberi, bisogna piantarli nel cuore, e allora va bene. Sussurroni la più parte, queruli, astiosi, ed ecco tutto.»

E poichè gli ho sotto gli occhi aggiungo i deposti dei signori Professore Taddei, e Colonnello Nespoli. Il primo dice: «Non posso negare per altro, che reiteratamente il Guerrazzi si oppose all'accettazione del Potere Esecutivo, e che io stesso seguendo il sentimento di varii altri Deputati feci istanza perchè lo accettasse, essendo nella persuasione, ch'egli avrebbe saputo farne uso a vantaggio del Paese.» Il secondo dichiara: «Siccome il Partito ultra non era d'accordo col Guerrazzi, così penso, che nascesse diffidenza dell'uno verso dell'altro, e nella notte nella quale fu dichiarato capo del Potere Esecutivo ho memoria, che da qualche Deputato fossero contro lui profferite ingiurie per le quali il Guerrazzi accennava volersi ritirare dal Governo Provvisorio.»

Vedi pag. 192 di questa Apologia.

Per quanto posso ricordarmi, i signori Martini e Carlo Martelli, soli, quantunque facessimo loro vivissime istanze a rimanere, si dimisero dallo ufficio, ed il signor Frullani non lo accettò offerto, allegando che beneficato dal Granduca gli sarebbe parso mostrare ingratitudine: di che io molto lo commendai, e glielo dissi in faccia; e questa è pure dimostrazione di animo, dacchè il tempo non mi consentiva più aperto discorso.

Vedi Appendice. Requisitoria del Procuratore regio della Repubblica, Rusconi.

S. Marco Evang., c. 14, n. 66.

Il mio Difensore mi partecipa in quali termini cotesta Decisione proceda, e intorno a quale vile paltoniere ella versi. Sta bene: quello somministrerà argomento ad un altro canto.

Nel 1665, durante la guerra fra Inghilterra e Olanda, Monk certa volta si trovò con poche navi stretto dall'armata intera di Ruyter. Mentre gli ufficiali inglesi intorno a Monk gli esprimevano le loro apprensioni per una zuffa tanto disuguale, Monk caricando tranquillo una pistola rispose: «una cosa so certo ed è, che non sarò preso.» Con ciò volendo dare ad intendere, che, in caso di perdita, avrebbe fatto scoppiare la Santa Barbara.

Guizot, Monk, pag. 61.

Ivi, pag. 72.

Hume, Storia d'Inghilterra, Cap. 62.

Guizot, Monk, pag. 71.

Hallam nella Storia Costituzionale della Inghilterra (Cap. 10, pag. 208) narra che non solamente rimandò il fratello senza speranza, ma che lo minacciò di farlo impiccare se mai tornava con simili proposte.

Hume, Storia d'Inghilterra, Cap. 62, pag. 432.

Guizot, Monk, pag. 76.

Guizot, Monk, pag. 80.

Hume, Opera citata, Cap. 12, pag. 435. - Guizot, Monk, pag. 74.

Guizot, Monk pag. 102.

Hume, Opera citata, pag. 436.

Guizot, Monk, pag. 129.

Hume, Storia d'Inghilterra, Cap. 62, pag. 449.

Lettera del 21 maggio 1660 del Ministro De Bordeaux al Cardinale Mazzarino, citata dal Guizot.

Lettera come sopra del 13 maggio 1660.

A Lord Say che gli parlava della necessità di escludere dall'oblio almeno qualcheduno dei Giudici, che avevano condannato a morte Carlo I padre del Re, Monk rispose incollerito: «No! neanche un solo: io mi reputerei il primo furfante del mondo se consentissi ad eccettuarne uno solo.» E col colonnello Hutchinson in altra occasione si espresse: «Dio mi danni, se per la morte del Re, uomo abbia a perdere pure un capello!» Nonostante, l'impeto e la vendetta dei Realisti furono più forti di lui; e quantunque nel Parlamento sostenesse il Partito della moderazione, potè appena ottenere, che il numero degli esclusi regicidi si riducesse a sette, dei quali sei soli patirono la morte. Ma il caso del marchese Argyle presenta tale carattere di tradimento, e di rancore personale, che lo steso Hume storico, di Partito tory, non può nascondere, che anche fra i contemporanei suscitò generale indignazione. Guizot racconta, che Lord Wharncliffe si è ingegnato, comecchè timidamente, ad attenuarne la colpa; ma egli dice, che coteste ragioni non lo persuadono per nulla, e che la indegnissima azione del Monk non merita scusa.

Anche Monk ebbe a sollecitatore per la restaurazione di Carlo II lo ambasciatore di Francia De Bordeaux, imperciocchè il Cardinale Mazzarino la desiderasse, ma non voleva muovere un passo ond'ella avvenisse; - così Hume ci avverte nella Nota ultima della Storia d'Inghilterra. - I ragionamenti di Lord Hamilton, perchè nulla manchi al parallelo, possono paragonarsi alle sollecitazioni del signor De Bordeaux.

Guizot, Monk, Prefazione, pag. 8 e seg.

Tutto questo è provato con i Documenti stessi dell'Accusa.

Quanto siffatte scapigliature mi dolessero, si è visto, e come io rigidamente le rampognassi, e studiassi reprimerle, si è visto del pari; onde io ho scritto quanto sopra non per amore di attenuarle, molto meno per iscusarle, bensì per tôrre a quelle intemperanze le tumidezze barocche con le quali noi le vediamo dipinte dall'Accusa, e dalla Italia Rossa.

Al Governatore di Livorno. - Al primo accenno di Reazione arresti, e mandi a Portoferraio: io voglio, che il Paese non rimanga insanguinato di guerra civile.

 

«Guerrazzi.»

 

(Dispaccio telegrafico del 10 aprile 1849. Documenti, pag. 449.)

Il Ministro si avvisò apprestare i provvedimenti per cagione del suo ufficio, non già per istanza che gliene muovessi io. - «La notte dell'11 al 12 aprile 1849 dopo le ore 12 scese giù al mio Uffizio il Ministro della Guerra Manganaro, e dicendomi: - scriva, - mi dettò ordini ai Comandanti dell'Artiglieria, e della Cavalleria, ed al primo s'ingiungeva facesse trasportare sulla Piazza del Popolo 4 pezzi di Artiglieria, che precedentemente aveva ordinato al medesimo Comandante che stessero pronti.» - (Deposto del Tenente Colonnello Pozzi.)

È falso che il Basetti fosse Comandante della Guardia Municipale. Il comando di quella era nel 12 aprile, e successivamente, nel Colonnello Solera.

«È falso che le due lettere che cita la corrispondenza di Firenze contenessero l'ordine - di far fuoco sul Popolo nel caso che volesse tentare un movimento rivoluzionario.

«È vero che in quel giorno il Basetti ricevette due lettere del Guerrazzi, ambedue intercettate ed aperte; una delle quali consegnatagli dal Capo del Comune nella sua residenza, dove l'Ufficialità della Guardia Municipale si era portata a fare adesione.

«Sentito in seguito come testimone nel Processo Guerrazzi fu richiamato a consegnare le indicate due lettere, e le consegnò, ben lontano dal volere aggravato il detenuto, come si vuol far supporre da qualcuno; ma perchè in lode della verità fosse manifesto che falsa era l'opinione che esse contenessero l'ordine di far fuoco sul Popolo.

«Ogni maggior dettaglio è impedito dalla pendenza della Procedura.

«Il tempo mostrerà se il corrispondente fiorentino ha detto il vero.

 

«Bernardo Basetti.»

 

(Nazionale, 22 maggio 1850.)

Lettera con la quale Ferdinando Zannetti si dimette dal Comando della Guardia Nazionale. - Conciliatore, 20 aprile 1849.

Lettera citata. - Conciliatore, 20 aprile 1849.

Lettera di Ferdinando Zannetti a Pietro Bigazzi. - Conciliatore, 22 aprile 1849.

Varchi, Firenze 1570, pag. 101.

Documenti, pag. 394.

Al Ministro dell'Interno.

Il Capitano Bernardo Basetti si reca per mio ordine a Firenze. Dalla sua bocca intenderà VS. la cagione che ha mosso questo mio ordine. Più tardi riceverà un rapporto dettagliato sugli avvenimenti.

Pigli.»

Al Governatore di Livorno il Ministro dell'Interno.

Che cosa sono questi dispacci sibillini? Non hanno voluto ricevere Basetti? Che cosa è avvenuto? Io vuo' saperlo, e subito.

Guerrazzi.»

Processo, a c. 2222.

Il Conte Digny, a cui viene contestato lo esame Taddei, gira di largo dalla cantonata, e risponde: «non ho la minima memoria che la Notificazione mi fosse comunicata prima di mandarla alle stampe: rammento peraltro perfettamente, che mi fu presentata stampata. I miei Colleghi ed io, vedendo, che cotesto atto partiva unicamente dall'Assemblea, non credemmo doverci opporre alla sua pubblicazione...!» Il Conte Digny non dice la verità; e più oltre vedremo il deposto Taddei confermato pienamente: intanto nota, Lettore onesto, che l'Assemblea annunziando che prenderebbe col Municipio e col Generale della Guardia Civica i provvedimenti necessarii per salvare il Paese; se egli, Conte Digny, credeva che ciò non potesse farsi, nemmeno, come ei falsamente dichiara, avrebbe proceduto da onesto. Il silenzio del presente, che lascia in suo nome consumare un fatto, importa consenso. Il Cavaliere Martelli, uomo probo, che evidentemente dice la verità, ma forse per intempestivi riguardi non la dice intera, confessa questa chiamata, e questo invito del Professore Taddei, Presidente dell'Assemblea, con tanto studio dissimulati dai signori Digny e Brocchi, e che dimostrano l'impegno assunto di operare congiuntamente: «In cotesta mattina fui incaricato di recarmi alla Camera dei Deputati e di pregare il signor Giovacchino Taddei di recarsi al Municipio - » Anzi lo stesso Conte Digny approva i fatti contestati, perchè di tutto lo esposto Taddei non ha memoria che della lettura della Notificazione scritta; dunque il rimanente non impugna; e rispetto alla memoria, vedremo, che quella del Conte Digny, per confessione sua propria, è infelicissima.

L'Accusa della parola rivoluzione si spaventa, e pare che trovi in essa il segno di ostilità alla Restaurazione; eppure io adoperava la parola stessa di cui si servì il Conciliatore, organo dei fattori del 12 aprile. (V. N° del 15 aprile 1849.) «Nei primi momenti ogni politica rivoluzione (giacchè questo nome conviensi ai fatti di distruzione, quanto a quelli di restauro)...» Grande miseria è questa dovere aver lite con l'Accusa perfino intorno alle parole di una lingua, che non sembra essere la sua!

Infatti ricordo, come se fosse adesso, che l'onorando vecchio rimproverando questa ignobilissima mancanza di fede al nobil Conte, gli diceva: Questa è una baronata! E diceva santamente.

Ciò dovrebbe impedire ogni ulteriore resistenza sì per parte dei Municipii tuttora irresoluti...» - (Conciliatore, 16 aprile 1849.)

Conciliatore del 24 aprile 1849: «Nè sappiamo per vero dire comprendere da cosa sieno mossi coloro, i quali credono di dare esempio di magnanimi sensi resistendo soli alla universale manifestazione dello spirito pubblico.»

Macchiavello, Storie, L. III.

Atto del Municipio fiorentino del 6 maggio 1849, nel Conciliatore di quel giorno.

Conciliatore del 29 marzo 1849, e pag. 498 di questa Apologia.

È curiosa quest'altra rivoluzione del Conciliatore, organo del Municipio e della Commissione Governativa: prima del 12 aprile me lodava, l'Assemblea riprendeva. (Vedi N° del 31 marzo 1849.) - Dopo il 12 aprile me riprendeva, l'Assemblea lodava! (Vedi N° del 13 aprile 1849.)

Esame del medesimo.

Esame suddetto.

Esame Chiarini.

Questo è un fatto sul quale non fu sentito il signor Chiarini, e sul quale ha da essere richiamato a deporre.

È il medesimo argomento adoperato a respingere l'esigenze del Popolo fiorentino per la proclamazione della Repubblica: ben è il Popolo fiorentino, diceva io, dei Popoli toscani principalissimo, ma non tutto della Toscana. Se si persuadessero, che la Logica nelle sue regole non concede rivoluzioni, le cose andrebbero nel mondo meglio ordinate, ed anche più onorate.

Chi sottilmente riguarda il cuore dell'uomo forse in queste parole troverà la ragione del modo tenuto meco dal Municipio, o almeno da taluno dei suoi Membri.

Conciliatore del 13 aprile 1849; - le riporto più oltre.

Martelli depone: «Guerrazzi si adoperò a minutare un Proclama per recarsi al Municipio.» Avvertito, che cotesta minuta fu fatta nelle stanze del Ministro della Guerra, risponde: «Questa minuta fu incominciata di certo nella stanza accanto a quella delle Conferenze, e lasciai che il Guerrazzi scriveva; non so se terminasse.» Panattoni depone: «Come il Municipio aveva inviato alcuni Rappresentanti all'Assemblea, così questa fece altrettanto, e furono proposti Zannetti, e me: esitavamo; ma ho buona memoria che il Conte Digny mi strinse un braccio, e contemporaneamente il Guerrazzi, che aveva francamente aderito, mi fece un cenno d'incoraggiamento, talchè mi tenni come plenipotenziario anche per la parte di lui. Il Municipio ci sentì formalmente, e forse fu omessa la cautela di un verbale (che però fu promesso di formulare più tardi), ma le proposte conciliative furono pienamente concordate, e il Municipio assentì di mandare una Deputazione all'Assemblea. Furono presenti a cotesto concordato il Marchese Carlo Torrigiani, e in ultimo il Senatore Capoquadri, prendendovi parte eziandio il Deputato Dottore Venturucci, ch'era venuto con noi.»

In conferma della verità di questi fatti, alla contestazione seguente: - «Guerrazzi nei suoi esami parlando della deputazione del Municipio, che si recò come sopra all'Assemblea, si esprime nei seguenti termini: - venne il Municipio all'Assemblea dichiarando, che il Popolo fiorentino aveva restaurata la Monarchia Costituzionale di Leopoldo II; io per certo non aveva nulla da opporre, anzi feci considerare, che onde fosse il consenso più pieno, e non paresse che il Municipio di Firenze volesse imporre agli altri Municipii toscani, gioverebbe assai che l'Assemblea aderisse al voto municipale. Piacque la proposta, e a richiesta del signor Digny, e di altri Priori del Municipio fiorentino, io stesso ne distesi la formula la quale rimase presso cotesti signori;» - il signor Dott. Venturucci risponde: «Questo accadde veramente, ma dalle due alle tre pomeridiane, allorquando l'Assemblea erasi ritirata nelle stanze del Ministro della Guerra, ed è verissimo che il signor Guerrazzi stese una specie di ultimatum, che io stesso verso le 3 e 1/2 recai al Municipio.» La medesima contestazione è fatta all'Avv. Panattoni, e provoca la seguente risposta, la quale non accenna al successo nelle stanze del Ministro della Guerra, bensì all'altro, che avvenne nella Sala delle Conferenze, dove, in sostanza, i medesimi trattati si agitarono, comecchè si conchiudessero in guisa diversa: «Questo appunto si accorda col mio concetto. Anzi devo soggiungere, che il lunedì 9 aprile con alcuni amici ritenevo, che non si considerassero renunzianti Capponi, Corbani, e Castinelli; volli interpellarne il Capo del Potere Esecutivo, il quale non contraddisse; onde se il Guerrazzi fosse stato contrario non lo poteva dissimulare.» Il Presidente Taddei depone: «Inoltrata l'ora, e i Deputati rimasti nella Sala delle Conferenze essendosi recati nel Ministero della Guerra, ebbe luogo un altro abboccamento con i Commissionati del Municipio, ai quali fu fatta la proposizione, che, se non tutta l'Assemblea doveva riunirsi al Municipio, e alla Commissione Governativa, si riunisse loro almeno una Deputazione tratta dal seno della stessa Assemblea. Il signor Guerrazzi stesso ne formulò la domanda, ma neanche questa venne accettata.» Martelli finalmente depone anch'egli di questa minuta, che ritiene incominciata nella Sala delle Conferenze; il quale aggiunge che gli mostrai tutta propensione per conciliare le cose, e gli dissi, spaventarmi i Partiti, e che, se fosse stato utile conciliarli, ero pronto a farlo. - Da tutto questo la onesta Accusa ricava, che io mi mostrai avverso alla Restaurazione.

Lo stipendio ministeriale sotto il Ministero Ridolfi sommò a L. 18,000 annue; il Marchese Capponi lo ridusse a L. 14,000; da me fu ridotto a L. 12,000: nei 5 mesi e 15 giorni che ho tenuto il maestrato, ho rimesso di mio Lire 5333. 6. 8, come ne fa fede il libro di Amministrazione delle mie pochissime sostanze, tenuto dal signor Giovanni Bertani. La schifosa calunnia fu desunta dai due milioni, che l'Assemblea Costituente mi stanziò per le spese della Guerra, - ma i Buoni del Tesoro, i quali dovevano rappresentare questi 2 milioni di lire, non furono, - non che spesi, - stampati!!

Digny dice, che i signori Bulgarini e Capaccioli ebbero eziandio lo incarico di significarmi reietta la mia novissima proposta, e sarà.

Esaminiamo prima le prove testimoniali, poi discuteremo le razionali.

Martelli. «Nel tempo che si parlava nella Sala delle Conferenze dei Deputati» (equivoca con le stanze del Ministro della Guerra), «Guerrazzi disse: fargli paura Livorno; e si offerì andarvi per conciliare; disse inoltre, avere rubato tanto, che non aveva un soldo. Il Digny non disprezzò questo progetto» (notisi che parla un Commissionato del Municipio), «ed io fui quello, che disse non essere di ostacolo il danaro. Fu parlato di questo progetto alla Commissione Governativa, e fu rigettato.» - Chiarini. «Infatti il signor Guerrazzi, se avesse voluto, avrebbe potuto fuggire per mettersi in salvo come procurò mettere in salvo i Deputati dell'Assemblea; pranzai secondo il solito seco, e lo riscontrai sempre tranquillo a fronte delle grida disoneste e minacciose, che contro lui si emettevano sopra la Piazza del Granduca.» - Papadopulo. «Mi pare avere inteso, che appunto per la restaurazione del Governo gli fosse proposto recarsi a Livorno per persuadere il Popolo a fare lo stesso. Egli acconsentì, e stabilirono di fare la gita al tocco di notte.» - Ulacco. «A me pare di certo, che lo stesso Guerrazzi aderisse di venire a Livorno per l'oggetto di persuadere i Repubblicani a ritornare sotto il Governo Toscano.» - Nespoli. «In cotesto giorno sentivo, che il Popolo era irritato contro il Guerrazzi, e nel timore che irrompesse, e sfogasse delle vendette sopra di lui, due volte, per quanto mi pare, fui ad avvertirlo, insinuandogli di mettersi in salvo, ed offerendogli anche di mandare verso il Prato una compagnia di Guardia Nazionale per tutelarlo nello andare alla Via ferrata Leopolda; la mattina ricusò accennando non avere alcun timore, la seconda fra le 2 e le 3 dopo mezzo giorno, per quanto mi pare, mi fece travedere di essere in trattative con altre persone da dovere aspettare, senza però che io sapessi nè su che cosa, nè con chi le avesse pendenti; in questo secondo incontro eravi anche il Generale Zannetti, che venne via meco, e non rammento se dicesse ritornare.» - Chiarini. «Nespoli Emilio offrì farlo scortare dalla Guardia Nazionale fino alla Stazione della Strada ferrata: il signor Guerrazzi ricusò per aspettare le comunicazioni del Municipio dietro i concerti già tenuti precedentemente.» - Zannetti. «Non lo ricordo particolarmente, ma è possibile, che io mi ci sia trovato (col Nespoli), ed anche abbia promesso al Guerrazzi di tutelarlo, perchè non facevo che adempire al dovere del mio grado.» E più oltre: «In aggiunta devo dire che anche nella mattinata del 12 io ebbi a trovarmi col signor Guerrazzi in Camera delle Conferenze, unitamente a molti Deputati, ed una Deputazione del Municipio, composta dei signori Digny, Martelli, e Brocchi; e poi più tardi nelle stanze del Ministro della Guerra; e come tanto là che qui si trattasse in sostanza di unire il voto della Camera a quello del Municipio; come fosse incaricato il signor Guerrazzi di stendere la formula del Decreto per la nuova Commissione Governativa; come appunto per ottenere l'unione del voto della Camera con quello del Municipio si proponesse dal signor Guerrazzi di associare alla Commissione il signor Professore Taddei che rappresentava la Camera per esserne Presidente, e il Professore Zannetti come Generale della Guardia Nazionale. La Commissione Governativa non aderì accettare la formula data dal signor Guerrazzi per quanto la Commissione del Municipio avesse aderito.» Interrogato solennemente, - s'è vero quello che il Guerrazzi dice di essersi fermato a Firenze a disposizione della Commissione Governativa, e più tardi essersi dato nelle mani ai Membri del Municipio fiorentino, ed a Lui Testimone nella sua qualità di Generale, sotto fede che non si sarebbe attentato alla di lui libertà; - risponde senza ambagi: «È innegabile quanto dice il signor Guerrazzi, ed è appunto per ciò, che io diceva nel principio, o nel corso di questo mio esame, e precisamente quando mi richiamava al giorno 12, - che mi riconduceva ad una epoca dolorosa, - perchè, contro mia volontà, diventai complice di una mancata parola!»

Esaminiamo Digny, e Brocchi. - Brocchi. «L'Avvocato Guerrazzi.... chiedeva una missione onorifica per Livorno, ed ebbe evasiva risposta.... e qui dirò una volta per sempre, lo che avrei dovuto forse premettere, che lo stato del mio animo il 12 era tale da non potermi oggi riportare alla mente, che dei fatti complessi, molte circostanze tornandomi nuove, come se in quei fatti io non avessi rappresentato una parte principale.» - Messala, cavaliere romano, avendo rilevata una sconcia battitura sul capo, dimenticati tutti i numeri, non gli rammentava che dall'uno al cinque; - ma indi a poco la memoria del Brocchi, cessato lo ecclissi, s'illumina di nuovo per affermare, che il Collega Martelli confonde epoche e fatti, e per ricordarsi, che non essi offrivano a me, bensì io proponeva loro recarmi a Livorno con missione onorevole, come si rileva ancora dalla mia scrittura indirizzata alla Commissione Governativa: «Guerrazzi minutò» (il Brocchi dichiara) «un Proclama per conciliare i diversi, anzi i contrarii atti pubblicati dal Municipio, e dalla sedicente Assemblea; - mi pare proponesse una Commissione mista da aggiungersi al Municipio; - mi pare, ma non ricordo bene, portassi io questa minuta al Municipio, - ma per concorde opinione di non accettare quella proposta, intorno alla quale tanto io, che Digny, non ci eravamo impegnati a nulla.» - Digny. «Andai a cercarlo nelle stanze del Ministro della Guerra: quivi Guerrazzi e i Deputati per evitare collisioni persistevano a domandare un Proclama comune col Municipio; sebbene io facessi sentire difficile» (si noti) «una transazione, Guerrazzi da un lato, Cipriani dall'altro, si mettono a formulare progetti!» Qui Guerrazzi gli dice: «voi già sapete, che io vedeva volgere le cose alla Restaurazione» (il Brocchi non concorda; egli ha inteso, che le mie parole suonavano: «tutti lavorammo nel senso della Restaurazione»); «la vostra grande difficoltà è Livorno; io posso accomodare ogni cosa; potreste mandarmici per interino;» ma egli avendo risposto evasivamente, io soggiungo: «ho rubato tanto, che non ho un quattrino, e ve lo dico per vostra regola...;» però dichiara non potere asserire di ripetere le precisissime parole. - E fa bene ad avvertirlo, perchè sono parole ebbre coteste sue. - Più oltre nel recarsi in Palazzo con tutti i Colleghi seppe, che il Guerrazzi desiderava vederlo in serata. - Più oltre dichiara: «Essere un fatto che il Guerrazzi, e gli altri, che volevano indurre il Municipio a concertarsi coll'Assemblea, si appoggiassero specialmente sul bisogno dello appoggio (sic) dei Rappresentanti di tutte le Popolazioni toscane per essere riconosciuto da esse, ed in questa idea (e non può reputarsi cattiva) avere il Guerrazzi ed altri Deputati composti varii progetti di Proclami; ritenere forse il Guerrazzi per richiesta le parole che io dissi: - fate se credete nuove proposizioni.» E se vuolsi conoscere per confessione sua propria quale sia la fede di questo Conte, basta considerare quanto non dubita raccontarci più oltre, e confrontarlo con le parole superiormente trascritte: «facevo sentire difficile una transazione: - del resto io rammento benissimo che io andava per la seconda volta in Palazzo, con la certezza che nessuna transazione sarebbe accettata. - Bulgarini e Capaccioli, avvisarono, credo, il Guerrazzi della risoluzione definitiva, e per Capaccioli Guerrazzi mi fece dire che desiderava vedermi in serata;» onde non sa come io ritenga aver egli promesso di vedermi con ordini od altro. Io non istò ad analizzare questo mucchio di lordure; tutta l'acqua dell'Arno non basta a lavarle.

Prove razionali sono la facoltà mia di partire: partirono tutti, perchè non io? Me aveva affidato di accoglienza e di asilo il Britanno Legato; me ad ogni evento, col mezzo del suo Segretario, l'Ambasciatore Francese profferiva tutelare con bella gentilezza fino dalla mattina nel suo palazzo; me vollero trarre seco loro i Deputati che pei passi sgombrati accompagnai onde uscissero incolumi. Me il Colonnello Nespoli e il Generale Zannetti erano venuti a prendere per iscortarmi fino alla Stazione della Strada Ferrata; me il Tommi, me il Manganaro proffersero condurre via; che più? Il Municipio stesso e la Commissione mandavano a invitarmi, o intimarmi, o comandarmi a partire; perchè dunque rimasi? Alle azioni umane, in ispecie se così inopportunamente singolari, bisogna pure assegnare proporzionato motivo. Digny si arrampica ai ragnateli per escludere il convegno, e allega la chiamata del Capaccioli; questi non sa, che io rispondevo alla domanda del Conte, e tali per lo appunto suonavano le mie parole: «Ditegli, che lo aspetto nelle mie stanze.» E se non fosse così, a qual fine, per qual causa, doveva io mandare pel Conte? Forse, com'egli dichiara, per dirgli io che volevo andare a Livorno?.... Gagliofferie sono queste. - O che bisogno avevo io di chiamare alle ore quattro del pomeriggio il Conte per dirgli la sera che volevo partire per Livorno, mentre a cotesta ora potevo essere arrivato? - Avevo dato parola, e lo aspettai, quantunque non mi paresse sicuro il fermarmi. Rideranno certo i giovani Riformatori della Società della mia pertinacia ad osservare la parola, ma io già sono vecchio, e quando era giovane trovai che nel mondo costumavasi ancora mantenere le parole date.

Nell'originale "Munipio". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]

Esodo, cap. X.

In certi tempi si manifestano tali eccessi di febbre nelle civili società, che le stesse Assemblee forza è che assumano indole democratica, e con estrema caldezza favoriscano la causa del Popolo. Nè questo successe unicamente ai tempi nostri, ma il Consiglio di Castiglia, il Parlamento di Francia, e le Assemblee degli stessi nostri antichi Baroni somministrano altrettanti esempii in conferma di questa verità.» - (Edinburgh Review. Vita di Lord Melbourne, Ministro inglese.)

Siccome le prove non sono mai troppe, mi capita tra i piedi il Popolano del 7 marzo 1849, ed in proposito delle elezioni mi occorre questo passo: «Tutto compreso, conviene confessare che la idea rivoluzionaria, repubblicana, unitaria, non brilla per la dappocaggine di quelli che la dovrebbero rappresentare nell'Assemblea dei 120.»

L'avvivai, l'atteggiai, le diedi moto,

Le diedi affetto.....

 

(Versi sotto il ritratto di Masaccio.)

Le parole in carattere italico sono testuali del Conte.

Testimoni. - Pellegrini. «Di parlargli (a Guerrazzi) non ebbi luogo; bensì lo vedevo, perchè passeggiava fumando per le stanze, ed anzi aveva qualche volta attorno a sè una bambina sua nipote, la quale piangeva nel sentire gli schiamazzi di piazza, e le cose che si dicevano contro di lui, ed il Guerrazzi sentivo che la consolava dicendole: «non avesse paura, che non gli facevano nulla.» Alla interrogazione se mi mostrassi turbato, il medesimo testimone risponde: «vidi, che non faceva altro che passeggiare in su e in giù con serietà, e fumando; ma io poi non so qual fosse il suo carattere.» Bernicchi, Armannini, Chiarini, Pellegrini, Mosti, Zucconi, Papadopulo e Ulacco: - ai miei occhi pareva, che fosse com'era sempre, serio, e sostenuto: - lo vedevo passeggiare, ma sempre tranquillo. Il signor Guerrazzi anche lassù nel Forte vedevo stare pensieroso, e passeggiare, ma senza dir nulla. - Era tranquillo, e faceva coraggio a noi. - Noi eravamo sgomenti, ma egli ci dava coraggio, e pareva tranquillo.»

Orsini. «In cotesta sera mi fece calare per mezzo di un lenzuolo sul tetto, che resta di sotto, ma mi fece subito ritirare su; - peraltro, prima che fossi calato sul tettino, ci si voleva calare egli.» - Pellegrini. «Intenda bene, che il signor Guerrazzi non è che cercasse fuggire, almeno per quello che diceva, ma unicamente per salvarsi dal furore del Popolo, che gli minacciava la morte.» - Orsini, Papadopulo, e Armannini: «Sentii che lo persuadevano a mettersi in salvo dal furore del Popolo, che minacciava sfondare la porta di Palazzo Vecchio» (così almeno davano ad intendere) «ed entrare in casa. Il Guerrazzi ricusava dicendo: «che non aveva fatto male a nessuno, che aveva impedito il più possibile la guerra civile, che aveva governato il meglio che avesse potuto.» Insistendo peraltro, egli disse: «bene, vediamo se ci è modo.» - Chiarini. «Unicamente come misura di precauzione per sottrarlo al furore del Popolo, fu fatto non so da chi scendere il Rossino onde vedere se vi fosse stato luogo a celare il signor Guerrazzi nel caso in cui il Popolo avesse potuto irrompere, - sicchè le pratiche ulteriori furono più lo effetto delle premure di tutti, che sue.»

Pellegrini. «Una Guardia Nazionale, - venuta circa le ore 2 dopo mezza notte - a portare un biglietto al signor Guerrazzi...» Vedi in fondo del libro il Registro dei malati, feriti, e morti dell'armata toscana nella campagna di Lombardia, alla lettera G. - Questo giovanotto, di casa, piuttostochè comoda, doviziosa, mi venne presentato tuttavia infermo dal padre suo mentre sedevo Ministro di S. A. Taluno (ai Ministri di rado mancano lusingatori) m'insinuava procurargli dalla generosità del Granduca la Croce del Merito, al che risposi: «Ai miei parenti sia più bello meritare Croce, che portarla.» E si ebbe come gli altri la comune medaglia.

Questa è la ragione per cui vedremo in breve nel Mandato della Comune inserita la frase: «imprestito a carico del R. Erario.»

E sì, che bastava dicesse per me le poche parole che per testimonianza di Santo Antonino Arcivescovo di Firenze, non pure gli amici, ma i neutrali favellavano, quando prevalsi gli emuli volevano condurre a morte Cosimo dei Medici il vecchio: «Alii non solum amici, sed neutrales ad bonum et pacem Reipublicæ intendentes e contrario loquebantur dicentes: - quid mali fecit homo iste?» - (Opera, T. III, p. 523.) - Io pure comparendo davanti al Popolo fiorentino avrei adoperato la formula antica con la quale gli s'indirizzava Dante Alighieri: «Popule mi, quid feci tibi?»

Dopo la perdita di 77 mila uomini Maometto s'impossessò di Negroponte, di cui sostenne l'assedio Paolo Erizzo. Ridotto agli estremi egli ebbe a capitolare; e fu una condizione della resa avere salva la testa. Maometto per odioso cavillo fece segare il prode guerriero pel mezzo procurando non gli fosse minimamente offesa la testa. Questa efferatezza però deve porsi tra i fatti di cui giova dubitare, dacchè molti accidenti della vita di Maometto la smentiscono, e Marino Sanuto, esattissimo fra gli storici di quei tempi, non la rammenta. - (Daru, Storia della Repubblica di Venezia. Capolago, T. III, pag. 346.)

Papadopulo e Ulacco. «La mattina dopo ritornò lo Zannetti con uno, che non mi rammento chi fosse, e pei corridori dei Pitti lo condussero a Belvedere promettendogli fargli avere un passaporto onde andasse subito all'estero.» Il Cavaliere Martelli e il Generale Zannetti tornando in Palazzo persuasero i servitori Armannini e Zucconi, che furono poi ritenuti carcerati in San Giorgio, e alle Murate, e finalmente rilegati (povera gente!) uno a Pescia, l'altro a Casciana, e Ulacco anch'esso a Parrana. - Zucconi. «Nel quartiere di Palazzo Vecchio stemmo fino al 13 aprile: in quel giorno il signor Guerrazzi essendo stato trasportato con quelli della sua famiglia a Belvedere, io lo seguitai anche costì, perchè il signor Generale Zannetti e l'Architetto signor Martelli, che lo avevano accompagnato, tornati al quartiere indussero tanto me che l'altro servitore Luigi Armannini ad andare noi pure in quel Forte a continuare il nostro servizio presso al signor Guerrazzi, lusingandoci che dopo due o tre giorni quando in ispecie fosse stato un poco quietato il Popolo, che faceva chiasso, e minacciava di morte il signor Guerrazzi, saremmo usciti.

Quantunque io creda fermamente, che gli Ufficiali di questo corpo non possano essere confusi co' loro ribaldi soldati, i quali a questa ora saranno stati espulsi di certo, pure io dichiaro, che il contegno loro fu quale si conviene a persone onorate. Questo poi io dico perchè è vero, e non per vili riguardi, e penso che cotesti bravi Ufficiali mi crederanno.

Illustrissimo Signore.

Al seguito della richiesta di V. S. Illustriss.a a mia cura inoltrata al Ministro di Giustizia e Grazia, ricevo commissione di parteciparle che le Carte e Documenti esistenti negli Archivii delle RR. Segreterie, da esaminarsi nello interesse della nota causa di Perduellione, sono posti a disposizione del Tribunale Istruente, e perciò il Ministro incaricato potrà presentarsi a tale uopo, ogni qualvolta lo creda opportuno, dirigendosi per migliore indicazione al signor Segretario aggiunto del Ministero dell'Interno, Ottavio Andreucci.

Frattanto con distinta stima ho il pregio di confermarmi,

Di V. S. Illustrissima,

Devotiss. e Obbligatiss. Servitore

A. Lorini.

 

Dall'Uffizio del Regio Procuratore di Firenze, li 11 giugno 1849.

(Ricevuta il 12 detto.)

 

Al Signor Giudice Direttore degli Atti Criminali.»

 

 

 

«N. B. Il sottoscritto Ministro, appena passatagli la presente Officiale, essendosi, per l'oggetto di che in essa, trasferito al Ministero dell'Interno presso il signor Segretario aggiunto Avvocato Andreucci, e successivamente, di concerto con lui, a quello di Giustizia e Grazia, è rimasto quivi stabilito che a sua cura si sarebbero riunite le Carte e Documenti di che si parla in questa medesima Officiale, ed esistenti negli Archivii delle RR. Segreterie ed altrove, per esserne poi fatta la trasmissione al Tribunale Istruente.

 

«Dini.»

 

(RISERVATISSIMA.)

«Illustrissimo Signore,

Quest'Uffizio accompagna a V. S. Illustrissima numero 36 Documenti, la maggior parte lettere originali, più N° 12 Ricevute e riscontri di pagamento parimente originali, e N° 10 Minute di Dispacci telegrafici, perchè ne sia fatto l'uso di ragione nella Causa di Perduellione costì pendente.

Vi troverà annessa una nota di riscontro, che firmata vorrà tornarmi nell'accusare il ricevimento di quanto sopra. E mi pregio segnarmi con distinta stima,

Di V. S. Illustrissima,

Devotissimo Servitore

F. Fortini ff.

 

Dalla Residenza del Regio Procuratore Generale

alla Corte R. di Firenze, li 10 settembre 1849.

(Ricevuta il dì 11 settembre.)

 

 

«Al Signor Giudice Direttore degli Atti Criminali di Firenze.»

Alle istanze del Guerrazzi poi l'Accusa sentite come rispondeva:

«Il Regio Procuratore Generale,

Vista la presente istanza defensionale nell'interesse di Francesco Domenico Guerrazzi;

Attesochè non sia nelle facoltà dei Tribunali di ordinare che sieno aperti e posti a disposizione dei terzi, ec. - ancorchè Difensori, ec. - gli Archivii contenenti il Carteggio e le Corrispondenze del Ministero ec., e si ritenga solo ammissibile la domanda di comunicazione di certi Documenti relativi a certi fatti perchè abbiano rilevanza in causa ec.;

È di parere che la istanza medesima non debba essere accolta, ec.

Fatto li 11 ottobre 1850.

Bicchierai.»

Il Marchese di Pomeras nell'11 novembre 1671, condannato a morte, passando per Laval assistè al suo supplizio, e molto si dolse col pittore, che assai male ne aveva rappresentato la effigie; la sera poi andò a cenare, e a dormire col Giudice, che lo aveva condannato. Lo narra la Contessa di Sévigné. - (Fletcher, I grandi giorni dell'Avernia. - Revue des Deux Mondes, Tome 11e, Paris, pag. 21.)

Cavaliere Senatore Professor Giovanni Resini. Biografia del Prof. Pietro Obici. Pisa, Nistri, 1851, pag. 6.

Nelson raccomandò nel suo testamento Emma, la Erodiade della tradita capitolazione Ruffo, al Governo inglese, ma questo ricompensò tutti i membri della sua famiglia, e passò in oblio Emma Hamilton la mala femmina, come quella che lo aveva spinto a disonorare una vita tutta gloria con azione vituperosa. - (Vita di Nelson. Rev. Brit. Tomo VII, p. 117.)

Come in questa seconda, e troppo più iniqua replica.

Come in questa seconda, e troppo più iniqua replica!

Alexandre Dumas, Impressions de Voyage

Querini. Vita di Carlo Zeno.

Questo Documento occorre fra quelli, che l'Accusa non ha reputato di suo interesse stampare nel mostruoso Volume.

Mirifica procuratione abjectissimum negotium pro amplissimo ornamento expedendum Thebanis reddidit.» - (Valerio Massimo, Factorum Dictorumque memorabilium, Lib. III, cap. 7.)

Il condannato alla galera a vita, poichè vi aveva consumato 30 anni, domandava e otteneva per benigna consuetudine la grazia della rimanente pena. Se venisse rispettata, il maximum dell'Ergastolo non dovrebbe passare 22 anni e mezzo; la Casa di Forza non dovrebbe prolungarsi oltre i 4 anni e mezzo; e quella di Detenzione non dovrebbe durare più di un anno; ma non è così in pratica; e mi dicono perfino di condannati alla Casa di Forza a 97 mesi. - Se le cose stanno come mi suppongono, parrebbe, che grande incertezza governasse tanto importante soggetto.

Il Nuovo Messia, la sua legge e i suoi discepoli, o le Rivoluzioni nella Penisola italica spiegate per mezzo delle loro cause. Catechismo morale-polilico-teorico-pratico, estratto dalle opere del sig. Guerrazzi avvocato livornese; del Padre Pasquale Cappuccino nel Convento di Gibilmanna in Sicilia. Traduzione dal Francese. Firenze 1849.» Tale è il titolo di una opera di 12 pagine! - O uomini di Mindia, diceva Diogene vedendo le porte sperticate di cotesta terra, chiudete le porte, che non abbia a scappare la città!

La Italia. Storia di due anni 1848-1849, scritta da C. Augusto Vecchi; - dedicata ai Forti, alle Madri, e alle Vergini innamorate.» (Torino. C. Perrin, 1851.)

Citando a memoria commetto alcuni errori, che sono emendati da quanto vengo esponendo qui oltre.

E non è vero.

Senza ira, come senza rancore: riuscì a voi salvare la Repubblica Romana?

Questo mettere a un mazzo Guicciardino e Machiavello non a giudizioso. Chiunque però si faccia a governare gli Stati con sicurezza di sbagliare meno che può, forza è che adoperi il modo sperimentale di considerare le umane cose da cotesti due politici gravissimi insegnato. Altro è il modo di esaminare, ed altro lo scopo: quello è l'arnese, e questo è la opera. Lo scopo ai dì nostri diversifica assai da quello dei tempi del Machiavello; il modo di esaminare è ottimo ancora al presente, perchè fondato sopra la esperienza.

Le manifestazioni, che mi vedeva fare dintorno, davvero non mi ricordavano punto nè Leonida, nè Pietro Micca, nè il vescovo Germanos. Molti dei prodi giovani erano morti!... - Altri accorsero alla voce nostra per difendere la Patria, ma ohimè! inesperti, e neppure moltissimi, male potevano avventurarsi in campagna aperta; soccorsi, e confortati dal consenso universale, avrebbero potuto guardare i posti alla frontiera, e salvare l'onore; di più non credo, nè altri può credere con fondamento, che potessero fare.

Forse per avere scritto romanzi e poesie si ha da crederebbe si possa fare la guerra senza cannoni, e senza soldati? - Intorno alla virtù dello entusiasmo ho detto altrove; divina cosa ella è, ma non si possono pretendere prodigi da quella; e questo entusiasmo non ha bisogno delle perette per sollevarsi; nè il Paese allora era disposto a dare corpo alle immaginazioni degli esaltati. Nelle opere che leggo, vedo Filippiche sempre, o nere o rosse; non istorie, nè materia da storie.

Qui due errori: uno di giudizio; l'altro di fatto. Non è vero, che il voto universale fosse di unirsi con Roma; non è vero, che fossero eletti i Deputati a formar parte della Costituente Italiana.

Messa da parte la tumida esagerazione delle parole, e del concetto di questa scrittura, devo confessare, che la persona meno acconcia a persuadermi era il signor Maestri, il quale appoggiandosi agli esaltati del paese, e di fuori, opponeva ai ragionamenti le fantasie di mente accesa, la violenza, e spesso ancora parole meno che oneste. Proconsolo sì, non Legato, e la Repubblica Romana ai giorni nostri non mi pareva tale che potesse o dovesse spedire Popilii.

Voto popolare, è vero; ma non voto universale del Popolo, nè espresso nei modi convenienti di chi dispone di cosa solenne.

Ministro mi fece il Principe; Membro del Governo Provvisorio le Camere del Parlamento Toscano, e il Popolo; Partiti opposti io non blandii: fummo d'accordo a consultare il voto universale; e questo difesi. I Repubblicani presentendo sfavorevole il voto universale si sforzarono strascinare il Popolo, o metterlo in compromesso tale, che non potesse più tornare addietro; e queste sono male arti, e in tutti così, rossi come neri.

Lo Scrittore servendo al Partito giudica senza esame: egli non ha mai letto i miei Scritti politici. Appena vennero i tempi opportuni per occuparmi praticamente delle cose del Paese, l'Apologia prova come sempre le Dottrine Costituzionali sostenessi.

Amo il Popolo davvero, e quindi aborro prevalermi della sua esaltazione per perderlo: tutti desidereremmo la Italia unita in una sola Nazione, ma questo non importa già che nutrendo simile desiderio l'uomo politico deva rigettare il bene possibile, per tenere dietro a cosa, che i tempi non consentivano nè gli uomini.

Richelieu scrisse tragedie, Canning poesie, Martinez della Rosa commedie, nè penso che governassero gli Stati con le loro opere letterarie. Lo Autore può scrivere quello che vuole: il Ministro fa quello che deve; e le reti dello Ambasciatore sono prette immaginazioni; e chi sia questo Ambasciatore dalle mille miglia non è facile a comprendersi.

Il Piemonte mi offriva pegno di accomodare probabilmente le cose d'Italia; la Repubblica

Romana a scomodarle sempre più. Qui nota, lettore; gli zelanti del Piemonte mi accusano

propenso alla Repubblica Romana; gli zelanti Repubblicani propenso al Piemonte!

Volendo reggere col positivismo, per necessità dovevo accostarmi al Partito dei positivi. E ritenute le proposizioni, che pure va dettando lo Scrittore, - che la fuga del Principe non appresi per cosa di grave momento, e vidi sempre in lui il filo per uscire dal laberinto; - che fui oppositore costante alla Unificazione con Roma, in ispecie a quel misleale bandirla, e lasciare poi alla Costituente la libertà del ratificarla; - che giunto al Potere ebbi modo a fare proclamare la Repubblica, e non volli; - che propenso al Piemonte erami spino negli occhi la Repubblica Romana; - che la Unificazione con Roma prima della battaglia di Novara per non increscere a Piemonte respinsi, e dopo per evitare, come credeva, la invasione straniera; - che finalmente i Repubblicani avrebbero dovuto mettermi in prigione: - ritenute tutte queste proposizioni, non mi sembra che stia a martello supporre che volessi rendermi necessario a tutti i Partiti; almeno del Repubblicano non diventavo benemerito; ma Partito e Logica non si sposeranno mai. Il signor Rusconi ha voluto fare di me la seconda edizione di lord Ashley, che poi fu conte di Shaftesbury, ed uno del Ministero Cabal sotto Carlo II; ma egli ha mancato di avvertire come questo uomo insigne per improbità politica non si opponeva mai ai Partiti, bensì si gettava in balía di quello, che più gli appariva zelato, e promosso dal Popolo. Parteggiò col Cronvello finchè visse, e dopo la sua morte attese ad unirsi alle fortune della Restaurazione. Salcio sempre, e ferro mai; così stette a galla sempre; ma, ripeto, Logica e Partito non sono destinati a sposarsi. (Vedi Hume, Storia d'Inghilterra, Capitolo 65.)

E prima, e dopo lo infortunio di Novara, pretesi che con buona fede s'interrogasse la universalità dei Toscani sopra le sorti del Paese. Tutto è qui; la mia anima non si noleggia ai Partiti, e la mia rettitudine per scilocco o tramontana non varia. Il Paese doveva consultarsi; anche i Repubblicani ne andarono d'accordo: dunque il voto universale doveva rispettarsi, e aspettarsi: poi i Repubblicani il voto universale pretesero non rispettare nè aspettare; ma allora, era il Popolo, o un Partito, che voleva imporre la Repubblica?

Questo è vaniloquio. L'onore dell'uomo di Stato consiste nel procurare il maggior bene, e nello evitare più che possa mali al suo Paese. Noi non avevamo a sostenere per punto di onore la Repubblica, perchè non l'avevamo proclamata.

Chi mi fa rimprovero di non essere morto, quantunque Ministro di Repubblica, prima di tutto è vivo! Ciò posto, dirò: appunto perchè conoscevo i sentimenti del Popolo aborrii di eccitarlo, e strascinarlo come si pretendeva; invece di salvare me solo nello esizio di tutti, operai in modo da salvare gli altri e perdere me solo. - Il signor Rusconi, che fu Ministro, dovrebbe sapere, che i Ministri non si dilettano a immaginare, ma a raccogliere i fatti, e su quelli fondare i giudizii e le azioni; chi altramente fa, sè perde ed altrui.

Il Dottore Maestri pur troppo si atteggiava, come ho detto, a Proconsolo, piuttostochè a Ministro di Stato amico. Lascio considerare se le sue teorie fossero accettabili: mettere a cimento la salute di un Popolo per principii, che appartenevano ad un Partito violento sì, ma in minorità nel Paese, non è probità di cittadino, bensì opera di fazioso. Il signor Rusconi pensa accusarmi, e, se non isbaglio, fa la mia apologia. Io che sono uomo all'antica, per esempio, credo, che il Popolo si accomoderebbe più volentieri con un Re come Enrico IV, che s'ingegnava a fare in modo che tutte le domeniche avesse la gallina in pentola, che col signor Rusconi, il quale s'ingegnerebbe a farlo impiccare per la maggiore gloria ed esaltazione della Repubblica.

Il sig. Rusconi erra: non io accettai, ma il signor Montanelli accolse le trattative sopra 8 punti come si è veduto nella Apologia; ed in questo fummo discordi, sicchè egli mi lasciò a discutere solo il negozio con lo insistentissimo signor Maestri: la violenza di questo Signore giunse a tale, che io scrissi a Roma, lo avrei fatto scortare ai confini se non si richiamava, e mi fu promesso. - Tutto per forza, e sempre hanno preteso da me e da altrui. - Finchè non incontrano opposizione essi sono larghi di blande parole, ma se taluno si avvisa contradirli indracano, violentano, e oltraggiano..... come tutti i Partiti in generale, senza eccezione di alcuno.

Non dica il Popolo, ma la parte del Popolo, che unita ai non Toscani dominava tiranna

in quel momento. E in quanto a sincerità, io non aveva promesso nulla.

Fu parlato di cambio di milizie, ma il Governo di Roma voleva mandare Volontarii, ed io non gli accettai. - Quello che più importava era la difesa comune; invitato a inviare per questo scopo ufficiali a Bologna, gli mandai, e non trovarono nessuno! - Questo fatto mi somministrò la misura della concludenza delle proposte fattemi. Il signor Berti Pichat venne da Bologna portando carta del Governo per farne danaro con qualunque sagrifizio; e questo fatto mi somministrò la misura dei termini ai quali si trovava ridotta la finanza romana, che si voleva mescolare con la nostra. Delle proposizioni senza ambiguità dissi avrei accettato quelle, che per giudizio del Consiglio di Stato non avrebbero pregiudicato la libertà del voto del Popolo Toscano. Giudicate come vi pare, ma narrate secondo la verità e la rettitudine. I passi ce gli spianava pur troppo la Repubblica Romana, ma bisogna andare prima d'accordo sul dove ella ce gli spianava.

Non feci io il Discorso di apertura, nè lo lessi: lo scrisse e lo lesse il signor Montanelli. Consideri il signor Rusconi, che con tanta inesattezza non si giudica, nè si condanna.

Anche questo non è vero; dimostrando la difficoltà, che il Popolo Toscano aderisse alla Unificazione, gli diceva che non avrebbe acconsentito a perdere i vantaggi di Stato a parte; e che gl'interessi materiali non si possono ad un tratto distruggere: ma è proprio una miseria parlare di questi negozii ai Repubblicani socialisti, i quali presumono condurci alla ricchezza universale traverso il fallimento universale. Il signor Rusconi è socialista, e sul principio della sua opera, senza pietà neanche pei suoi amici, li dichiara apertamente ignoranti tutti; pensiamo un po' che cosa dovessi parergli io, che non sono dei suoi! Ma perchè anche egli non ha esposto il suo balsamo per sanare i mali della Società? - Questi uomini siffatti di dura cervice non vogliono capire come invano si strascinino Popoli a cose a cui reluttino. Sia male o bene la vitalità municipale in Italia qui non importa discorrere, ma la pretensione di passare la spugna sopra la medesima è follia. Sicilia e Venezia pure allegavano le stesse ragioni per ricusarsi alla Unificazione, e il Rusconi si arrovella contro gli uomini che gli palesavano queste repugnanze nazionali. Le idee fisse generano questo male, che vedendosi un lato solo della quistione, gli altri non si vogliono guardare, e si termina col non capire più nulla. - Intorno poi ai motivi del differire a proclamare la Repubblica, mostrai essere semplicissimi, e consistere nel non volerla i Toscani, e nel pretendere (e qui errai) che anche i Partitanti della Repubblica, oppressi dalla evidenza dei fatti da me e da altri in cotesto tempo raccolti, se ne persuadessero.

Ripeto, che il Discorso non fu mio; fu composto, e letto dal signor Montanelli. Con tanta inesattezza probità non consente giudicare.

Anzi cospirava a rovesciarmi: ma una volta la Costituente Toscana riunita, io era sottoposto; e quando una Assemblea uscita dal voto universale non voleva intendere di Repubblica e di Unificazione, si ha da credere che esprimesse il parere della maggiorità della nazione, e lo esprimeva. Se non è così, voto universale che significa? Votate liberissimamente come vogliamo noi; non era un po' questa la pretensione repubblicana?

Quanto sia vero questo, si è veduto.

L'Assemblea conoscendo le mie intenzioni mi prescelse, e non mi disfeci. Montanelli desiderò andare altrove perchè conosceva a prova la inanità delle pretensioni repubblicane, anzi socialistiche, e si partì amico da me, nè crede adesso, che io gli abbia fatto torto.

Falso anche questo: furono i partigiani del signor Rusconi che a forza vollero pubblico

questo rapporto, e lo ebbero secondo la verità. Forse era falso? - Può dirlo falso il

signor Rusconi? E se fu, com'era, vero, dovevo io mentire all'Assemblea, che ordinò le si dicesse

pubblicamente la verità, proponente Pigli? Così non si giudica con probità.

Che io al desiderio del Montanelli compiacendo consentissi ad allontanarlo, è vero; ma che io lo allontanassi con forza o con astuzia, non è vero. Montanelli conobbe inevitabile la Restaurazione, la volle operata secondo il mio concetto; e amò andare lontano per salvarsi dalle quotidiane molestie degli amici del signor Rusconi.

Qui occorrono spropositi quante parole. Io volli nulla, ripeto; volli quello che al Popolo piacque, pacato e illuminato sopra i suoi interessi. La unione al Piemonte è un sogno. Il Granduca poteva tornare senza armi straniere, se la resistenza di Livorno non era; e Livorno non avrebbe resistito (e lo dichiarò), se il Municipio Fiorentino avesse accettata l'adesione dell'Assemblea Costituente; e se il Principe voleva assicurarsi con un polso di armati, una Legge votata gli dava facoltà di condurre 5000 uomini da potenza amica, e costituzionale, e non vi sarebbe stato bisogno di chiamare, o forse, come credo piuttosto (nonostante le apparenze contrarie), sopportare gli Austriaci. E le mie risoluzioni perchè non dovevano essere leali? Non è egli desso quegli che dichiara non avere voluto io mai la Repubblica? aver potuto bandirla, ed essermi opposto prima e dopo la sventura di Novara? Dunque, in che, e come non erano leali? Questi Procuratori Regii, repubblicani, o no, ragionano tutti ad un modo.

Ai Corpi Lombardi; che venivano per mare, facevo osservare come fosse più giudizioso proseguire per quella via fino a Civitavecchia, - e meno che al signor Rusconi, a tutti parrà, com'è, così; agli altri che si presentarono dalla parte di terra fu data abilità a passare, ed ebbero soccorsi. Non sono stato mai così stupido da credere alla gratitudine degli uomini: ho pensato a fare il mio dovere, e basta. Io poi sono di quelli, che non vedono che gloria sia innalzare una bandiera per abbandonarla subito nel sangue e nel fango; i tentativi insensati scemano il credito e tolgono il coraggio. I Toscani furono eccitati a difendere le frontiere, e lo hanno dimostrato i Documenti. La difesa per salvare l'onore si sarebbe fatta, ed anche per dare motivo alla diplomazia di tenere lontano lo straniero; di più non credo; ma ci voleva tempo. - Il signor Rusconi appartiene alla scuola di coloro, che danno allo entusiasmo la virtù dei denti del serpente di Cadmo. Venezia prima che si dichiarasse Repubblica non difese forse la sua Indipendenza? Falsare il vero non è virtù da Repubblicano, che io sappia.

Dai solenni svarioni intorno a quanto avvenne in Firenze nell'11 aprile, e che tutti conoscono, si argomenti la esattezza e la probità dello Scrittore. Così Scrittori neri e rossi, indemoniati dal maligno spirito di Parte, alterano i fatti, o gl'immaginano, falsano i giudizii, buona fede e morale e onestà calpestano per servire ai proprii furori. Anch'essi faranno bene, perchè insegneranno ai Popoli il fastidio delle esagerazioni, e porranno in credito il linguaggio sincero, sperimentato ed esatto, che si desidera dalla gravità delle cose, e di cui i nostri padri ci lasciarono nobili documenti, a modo di esempio il Machiavelli (che il signor Rusconi disprezza) nei Discorsi su le Deche di Tito Livio.

Tutto questo è un finimondo di bugie.

Cioè dai Repubblicani; ed ecco come è consentaneo seco lo Autore, che io volevo rendermi necessario a tutti i Partiti. Il Partito vinto mi voleva mettere in prigione! il vittorioso mi ci ha messo. Raccomando la Storia del Dottore.

Come! Poco sopra i miei scritti predicano il sagrificio, la gloria, la Repubblica ec. - Adesso porto il pessimismo dei miei scritti nel Governo. - . E con questa coerenza ed esattezza si scrivono Storie! Machiavelli, e Guicciardini, bisogna dire, che le scrivevano con più fondamento.

Il signor Rusconi mi darebbe diritto di recriminare intorno alla falsità dei suoi fatti, e alla fallacia, per non dire peggio, dei suoi giudizii, ma le condizioni fra noi sono diverse; egli è tristamente esule, io beatamente prigione, e sotto processo. Renunzio a questo diritto per augurargli però miglior mente, e miglior cuore: miglior mente, per astenersi dal dettare scritture che sono una contradizione perpetua fra loro, e ponderare con più gravità quanto gli sfugge dalla bocca; perchè se il parlare (e si vede) poco gli costa, tacere gli costerebbe anche meno; - migliore cuore, onde comprenda quanto sia disonesto gravare la reputazione di chi non può, come vorrebbe, difendersi, e sta in carcere, scontando le insanie o le perfidie altrui.

Ovidio, de Remedio Amoris, libro I.

Documenti, pag. 448, 511, 513, 514, 525. - A Livorno Piemontesi furono coloro, che le armi del Console sardo abbatterono. - (Ivi, pag. 513.)




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