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Francesco Domenico Guerrazzi Apologia della vita politica IntraText CT - Lettura del testo |
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XIX.
Della contradizione notata dai Documenti dell'Accusa fra la potenza e la impotenza di resistere alle pretensioni del Partito repubblicano.
Or come, dice l'Accusa, potete voi sostenere a un punto la potenza e la impotenza a reprimere? Questo suona contradittorio: anzi, deve dirsi, che siccome a parecchie enormità opponendovi le impediste, così a tutte le altre successe voi non vi opponeste, nè le voleste impedire. (Decreti del 10 giugno 1850 § 54, e del 7 gennaio 1851 § 53.) Due erano, come ho detto, i fini che io pensai essermi affidati, e mi affidarono certo gli onesti cittadini e il Parlamento: la salute della società, e questo principalissimo; l'altro di preservare il Paese da avventurosi esperimenti; o, se si vuole più chiaro, di consultare con pacatezza i Toscani intorno al modo col quale intendevano essere governati. Al primo scopo provvidi, e corrisposi, confido almeno, alla aspettativa universale; ma in questa parte ebbi a compagni anche gli onesti Repubblicani, i quali pure aborrivano dalle violenze, dalle rapine, e dal sangue; la coscienza pubblica mi sovvenne con la sua grande voce; e una tal quale esitanza provavano ancora quelli che procedevano più rotti, sicchè, comunque aspra lotta durassi, pure, Dio aiutando, mi venne fatto conservare illesa, anche in mezzo ai trambusti, l'antica fama di civiltà, di cui, meritamente, godeva, e dovrebbe continuare a godere il nostro Paese. Ma se a tutto non avessi potuto riparare, come sarebbe giusto imputarmelo? Se portai le mille libbre e non potei le due mila, i miei Giudici non solo mi negheranno la mercede per le mille libbre portate, ma pretenderanno multarmi per le mille che non ho potuto portare? Egli è invano, che i miei Giudici rigetterebbero questo paragone e questa conseguenza; i loro argomenti procedono sempre così. In quanto poi al secondo scopo che mi era proposto, ecco come riuscii a salvare la somma delle cose. Vuolsi principalmente avvertire, come principio emesso dai Repubblicani, in ispecie quando si agitò la questione se la Lombardia dovesse unificarsi al Piemonte, fu consultare il voto universale, imperciocchè, abolita ogni idea di diritto divino, reputino il Popolo origine di tutta sovranità. Il quale principio oggi non pure è dei Repubblicani, ma vi si accostano eziandio quelli che si mostrano caldi promotori delle regie prerogative. «Io credo che la sovranità, secondo la teoria costituzionale, risieda esclusivamente nel Popolo, il quale delega a questo il potere legislativo, a quell'altro il potere esecutivo;» diceva il Montalembert (il quale, credo che non importi avvertire che non è Repubblicano) nell'Assemblea di Francia il 10 febbraio 1851. Il Governatore di Livorno con Dispaccio dell'8 febbraio avvisava, come Giuseppe Mazzini arrivato (al mal fagli male), su l'alba di quello stesso giorno, a bordo dell'Ellesponto, arringando al Popolo avesse concluso: «che la Toscana doveva aspettare le determinazioni della Costituente - e di Roma198.» E sue precise parole furono: «La nazione, per mezzo dei rappresentanti del Popolo, eletti col suffragio universale e con libero mandato, farà conoscere le sue volontà, e noi c'inchineremo al sovrano199.» Questo stava bene in teoria; ma in pratica non istava più bene; anzi, secondo le contingenze, aveva ad esser tutto a rovescio. Là dove il Popolo propende alla Repubblica, si consulti col voto universale; dove no, cotesto diventa fastidioso puritanismo, e bastano le petizioni dei Circoli, gl'indirizzi dei Municipii (che oggimai noi conosciamo a prova di che cosa essi sappiano), e i clamori di piazza. Logica è questa di ogni Partito di cui lo scopo consiste nel riuscire a qualsivoglia costo. - In Toscana il Popolo, non ostante la vertigine che lo agitava, consultato a cose quiete, non avrebbe risposto nella maggioranza alla Repubblica: questo aveva subodorato Giuseppe Mazzini, ed invero, informando l'Assemblea romana su le condizioni della Toscana, spiega chiaro: «che le tendenze della parte più energica, più importante della popolazione, sono altamente unificatrici, e dicendo unificatrici intendo escludere il dubbio vocabolo di unione. Tutti i Giornali sono unanimi in questa espressione.... tutti i Circoli, - molti Municipii, - parecchi Comandi della Guardia Nazionale, dichiararono nella penultima domenica del mese scorso, con una manifestazione solenne seguita da altre adesioni nei giorni seguenti, che il voto della Toscana era la forma repubblicana e la unificazione con Roma200.» Le quali parole lasciano pur troppo intendere, che la parte più energica era per la Repubblica, ma lo stesso non poteva dirsi della più numerosa. Però Mazzini intende, ma non approva più che sia consultato il Popolo.... «perchè l'unica legalità nelle rivoluzioni sta nello interrogare.... nello indovinare il volere del Popolo, e nello attuarlo201.» Tra interrogare e indovinare passa divario grande, quasi quanto tra il complice e lo impotente, o tra tutti e taluno dell'Accusa. Ma egli è così: là dove lo spirito di parte detta i giudizii, si affacciano sempre le medesime formule di sofisma. Fatto sta, che si voleva commuovere, rimescolare il Popolo, e, s'era ebbro d'acqua arzente, dargli a bere olio di vetriolo. Così s'incendiano gli Stati, non si costituiscono, ed io non ho voluto rovine. E poi neanche poteva conseguirsi quello a cui tendeva, perchè ai deliranti non faceva mestieri aumentare delirio, e pei repugnanti ogni argomento tornava inutile, per la ragione dichiarata poco anzi dello starsi a vedere e poi chiudere le finestre. - Abbiamo veduto altrove Popoli interi muoversi e insorgere al nome di Repubblica: ma io credo che vadano grandemente errati coloro che immaginano le moltitudini si muovessero unicamente per forma di governo, che neppure intendevano; parte si mossero per fame, parte per ingiurie patite, parte per odio di feudali istituti, parte per amore di libertà: altri per altre cose. La formula delle rivoluzioni somministrano gl'intelligenti, le passioni, il Popolo: donde avviene che tutte le tendenze unite a distruggere, disaccordino poi sul modo di fabbricare. La ragione, per la quale i Partiti compaiono a prova prodigiosamente deboli a governare, si è questa, che il fascio, stretto durante la battaglia, si scioglie dopo la vittoria. Or qui in Toscana mancavano (e prego Dio che abbiano sempre a mancare) ingiurie sanguinose a vendicare, odii antichi a sbramarsi; solo in molti, ma non nei più, Toscani, era vaghezza di forme repubblicane; molti ancora, non può negarsi, si agitavano per cupidigie o per bisogni, e, non frenati, stavano per partorire deplorabili lutti; piantatrice e spiantatrice degli alberi della Libertà, per la massima parte, era di questa sorta gente, che ama le baruffe e le provoca solo per pescare nel torbido; taccio di quelli che non erano di qui. Ma per amore della Repubblica, per quante ne sapessero fare, non si muovevano davvero i mezzaioli in campagna, nè i borghesi in città, i proprietarii grandi, la nobiltà, il clero. - Agitate, agitate, perchè le minorità vincono le maggiorità; - le vincono, è vero, o piuttosto le stupefanno, ma per durare ci vogliono gli annegamenti nella Loira, le mitraglie di Lione; e questi estremi rendono spaventevole la Libertà, e la fanno precipitare alla tirannide soldatesca. Tuttavolta, questo volevasi, intendetelo bene, signori Giudici, e questo sarebbesi fatto: e poichè la vostra coscienza non ve lo ha saputo dire, vi dica il Paese intero, cui mi giova sperare non ingrato, chi impedì questo, e a qual prezzo. - Agitate, agitate, e troveremo cannoni, armi ed armati; - ahimè! la esperienza ha dimostrato non succedere così; e senza un buon nervo di esercito disciplinato, i volontarii o fuggono, come i Francesi a Grand Pré, o muoiono, come i Toscani a Montanara - gloriosamente, sì, ma non vincono.... Finchè pertanto i Repubblicani si stavano ai ragionamenti, che erano: inutile consultare il Popolo, dacchè per le petizioni dei Circoli, dei Municipii, della Guardia Civica, e per le acclamazioni delle genti, il voto si dimostrava patente; io rispondeva: tanto meglio: s'è vero come supponete, apparirà solennemente manifesta la propensione dell'universale per la Repubblica; ma non falsiamo il principio del suffragio da voi stessi predicato: guardate a non comparire apostoli bugiardi: parmi, ed è indegno di uomini che si vantano creatori di nuovo ordine di cose, incominciare con la menzogna, ch'è vizio della viltà. Così non ho mai veduto incominciare i reggimenti gagliardi. Romolo inizia il suo regno con un atto di ferocia, ma non di bassezza. Ora con quale fronte vorrete adoperare voi le medesime arti, che più diceste aborrire negli avversarii vostri? Voi sostiene la opinione di lealtà; di amici sinceri del Popolo, voi diventate sopraffattori e tiranni. Voi, Mazzini, avversaste Vincenzo Gioberti, quando, prima che la vittoria decidesse le fortune italiane, voleva che Lombardia si aggiungesse al Piemonte, e dicevate non essere quello il momento di sturbare con importune trattative il pensiero dei Popoli, che unico doveva concentrarsi nella guerra della Indipendenza; ed io vi detti ragione202. Ed ora quello ch'era buono per Lombardia e Piemonte, non è più vero per Toscana e per Roma? Ma lasciamo questo da parte: come potete pretendere onestamente proclamata la Repubblica a tumulto, mentre l'aria dura commossa dalla vibrazione della vostra voce, che diceva: «che la nazione deve dichiarare la sua volontà per mezzo dei rappresentanti eletti col suffragio universale?...» E fino dal 16 febbraio a Mazzini opponeva Mazzini, gittandogli in volto le sue dichiarazioni predicate a Livorno; «ecco le parole piene di fede, e di senno, che Mazzini rispondeva al Popolo di Livorno, che saputa la fuga del Granduca domandava ad alte grida la Repubblica: - Io repubblicano per tutta la mia vita, vi esorto ad attenderne la iniziativa da Roma; sono là i veri rappresentanti del Popolo, e noi dobbiamo inchinarci a quel potere sovrano203.» - L'Accusa io qui l'ascolto esultare dicendo: dunque, vedi, anche tu accennavi aderire all'Assemblea Costituente di Roma, - ed io le rispondo: tu non capisci niente; - allora importava non irrompesse la Repubblica a furia, e non era a guardarsi la natura del rimedio, purchè salvasse dal male presente: poi cosa fa cosa, e tempo la governa. Mazzini pertanto, ed i seguaci suoi non potevano replicarmi in viso senza inverecondia, imperciocchè adoperava a combatterli le loro stesse parole. Allora furono tentate altre vie. Imitate, dicevano i Repubblicani, il Governo Provvisorio di Francia; ordinate provvisoriamente la Repubblica, salva la sanzione del Popolo, come fece Lamartine. Per questo modo, proseguivano essi giovandosi degli argomenti di lui, farete cosa a un punto rivoluzionaria, e conservatrice; imperciocchè da un lato lo sperimento della Repubblica, durante certo spazio più o meno lungo di tempo, sarà sempre tanto guadagno fatto pei governi liberali, e pei vantaggi del Popolo; dall'altro, dove anche più tardi l'Assemblea disfacesse la Repubblica, partorirà adesso entusiasmo nel Popolo, soddisfazione agli animi agitati, maraviglia alla Europa, impulso e forza per traversare lo abisso senza fine cupo della rivoluzione204. E questo era intoppo duro davvero. Se non che, ripreso animo, io rispondeva: di grazia, ascoltatemi; voi altri sapete come il Cormenin, favellando del Lamartine, abbia detto che un castaldo avvezzo alle faccende di villa mostrerebbe facilmente a prova, anche in quelle della politica, più giudizio del Lamartine; ed io del Lamartine, del Cormenin, e degli altri uomini di Stato francesi non ripeterò, chè non sarebbe giusto, quello che già scrisse il Machiavelli di loro, cioè, che i mali orditi del cervello sanno rinforzare con le mani; e nè anche quello che ei disse al Cardinale di Ambosa: «di Stato, voi altri Francesi, non intendete niente;» ma è certo, che tutti quelli i quali in Francia fanno professione di politica, non intendono troppo. Però posto questo da parte, e stringendoci a ragionare del Lamartine, vi pare egli discorso cotesto suo di mettere in cimento la Repubblica, come si farebbe, a modo di esempio, nelle scuole, di un calcolo, o di una dimostrazione geometrica? A questo ufficio bastano una lavagna e un pezzo di pietra da sarto; e se il calcolo non riesce, si strofina col ruotolo della cimosa, e da capo. Volendo sperimentare la Repubblica, se ti attieni al metterne fuori unicamente il nome, converti il Governo in bersaglio, onde tutti i Partiti contrarii gli tirino addosso di punto in bianco; ma al nome solo non puoi attenerti, nè devi; quindi per durare anche una settimana ti trovi condotto a imprimere nel Governo e nel Popolo un moto corrispondente al fine proposto, accomodarvi i provvedimenti e le leggi, scansare gli uomini disadatti o contrarii, altri sostituirne amorevoli e acconci, distruggere antichi interessi, altri crearne,... e tutto questo per prova? E tutto questo, incerti se la Repubblica possa sostenersi? Bel giudizio davvero, moltiplicare le cause di perturbazioni e di contrasti, allorchè vi proponete ricomporre l'ordine sociale sconvolto! Poi, Francia è Francia, e Toscana è Toscana: la Repubblica in Francia può dare argomento di maraviglia alla Europa; in Toscana, di riso: costà fra 36 milioni di uomini, qualche milione può sorgere a sostenere con le armi la opinione del Governo, e propria; ma qui fra noi conviene starci contenti alle migliaia, ed anche poche. Nè mi parlate di Roma, di Sicilia e di Venezia: queste ultime due, male si reggono in vita; e invece di trasmettere altrui, chiedono forza per loro. Roma e Toscana, sommate insieme fanno una debolezza, perchè non possiedono armi, nè pecunia, nè eserciti addestrati, i quali da un punto all'altro non si arriva a formare. Ancora: Francia, per lunghi anni educata nella vita politica, per avventura potè credersi giunta al grado convenevole di maturità per adattarsi alla nuova forma di Governo, quantunque voi sappiate come grave sia il subuglio dei Partiti colà, perfidiandosi intorno alla libera scelta della Repubblica, con danno inestimabile alla reputazione di questa: ma Toscana si leva adesso, e non ha ben desti gli occhi; gli animi vi sono rimessi, inerti a molti gli spiriti, i partiti estremi impossibili; speculatori arguti sono per la più parte i Toscani, e più facili a fare per consiglio della mente che per subitezza del cuore; anzi quel continuo rombo di parole superlative, e di concetti esorbitanti, gl'inquieta come api che fuggono dai bugni, se odano rumore di lebeti percossi; e sopra tutto vi raccomando a considerare, che la Toscana delle libertà costituzionali si chiamava non ha guari soddisfatta; nè ella operò rivoluzione alcuna; nè credo che la voglia operare: lo scettro è in mano al Popolo, non perchè ei volesse strapparlo, o lo strappasse, ma perchè gli fu lasciato. Questo abisso di mandare in perdizione la Società, noi da vicino non minaccia; di comunismo per ora, se spruzzate, non paionmi contaminate le moltitudini; la Repubblica, anzichè diminuire le perturbazioni, avrebbe virtù di aumentarle, e rendere forse disperato un male di per sè stesso gravissimo. Ad ogni modo, che il Popolo universo a decidere delle sue sorti consentisse, questo prometteste, questo promisi, e questo hassi a mantenere: leali vi chiamaste, e leali perdurate, chè bene v'incorrà della conservata rettitudine. - E alle ragioni, che procrastinando si sfiduciavano gli animi, i malfermi alienavansi, sfocavansi gli ardenti, e si dava luogo a insinuare che il Governo procedesse avverso alla Repubblica, io replicava: questo non essere da temersi, imperciocchè il Governo fino dai suoi primordii aveva dichiarato, che per pronunziare la decadenza del Principe e la Repubblica, dovesse aspettarsi che lo universo Popolo toscano emettesse liberissimo il voto. La requisitoria del Pubblico Ministero Regio dichiara francamente, che tutto il mio sforzo si ridusse a persuadere, ed agire in qualche contingenza, perchè non venisse la Repubblica attuata troppo sollecitamente: la requisitoria del Pubblico Ministero Repubblicano, rappresentato dal sig. Carlo Rusconi, mi accusa: «Che giunto al Potere, ebbi modo di fare proclamare la Repubblica, e non volli. - Che quando mi fu dato unificare due provincie assecondando i voti del Popolo, comecchè unitario ed entusiasta del Popolo mi fossi detto, bramai persistere in una disunione insensata. - Il dottore Maestri inviato da Roma instava perchè - il desiderio di unificazione, che nel Popolo si manifestava, fosse appagato. Lottando quotidianamente col toscano Triumviro, a cui tutti quegli argomenti adduceva che sogliono far forza in chi non ha preconcetta opinione ec.» Chi ci era, racconta che quotidiane erano le istanze, (e istanze di gente arrabbiata, fanatica, e forte su le armi, si sa che cosa vogliano dire); chi non ci era sostiene che furono rade; chi ci era mi accusa che procrastinando rovinai il concetto repubblicano, chi non ci era, sprezza cotesta opera come di piccolo momento. I Repubblicani, i quali di rivoluzioni s'intendono più assai del Regio Procuratore Generale (e spero che questi non me lo vorrà contrastare) dicono, che occasione passata è occasione perduta; ed hanno ragione: la Repubblica poteva instituirsi in Toscana, ma nel modo che nelle antecedenti carte ho avvertito; ed io ripeto, fui tutore del Paese, non capo delirante di fazione. Anche quando fosse vero, come non è, che il mio sforzo tendesse unicamente a procrastinare, l'Accusa dovrebbe sapere che ciò sarebbe più che non bisogna nelle rivoluzioni. Una notte di pensiero cangia le tendenze dell'animo, il quale senza impulso veemente ed attuale schiva, almeno nei più, precipitare a partiti disperati. Devo confessare come fra le infinite umiliazioni con le quali fu saziato il mio cuore, nessuna tanto profondamente mi tocca quanto quella del trovarmi condotto a esporre la mia ragione a tale, che le verità volgarissime della Storia s'infinge ignorare; e dico s'infinge, conciossiachè riesca duro a credere, che abbia animo per giudicare di politica chi di politica si senta siffattamente inesperto. Il sig. De Barante, uomo di senno antico, e per pratica di negozii pubblici rinomato assai, dettando il suo libro della Storia della Convenzione di Francia, assicura che tutto il male della Rivoluzione venne dal non trovarsi persona capace a resistere allo impeto dei primi moti, onde si componesse una opinione giusta delle cose, una bandiera sorgesse dove i cittadini sbigottiti si assembrassero; - all'opposto, persuasi fino dai primi giorni che ogni Governo era cessato, si trovarono in balía di tutte le autorità imposte di mano in mano dalla violenza, le quali comandavano in virtù del meccanismo delle sètte, mentre l'ordine nella Società era venuto meno. - Tutto il mio sforzo si ridusse ad agire perchè la Repubblica non venisse attuata troppo sollecitamente! - Fatto sta, che la non venne proclamata mai; pur sia come vuole lo Accusatore: ma sa egli, che cosa importi un giorno, una notte nelle rivoluzioni? Lo vuole egli sapere? Se di una notte sola avesse potuto ottenere indugio il virtuoso Malesherbes, per presentare le sue osservazioni sul modo di contare i voti, la vita di Luigi XVI era salva; e certamente poi, se nella giornata del 19 gennaio fosse stato vinto il partito dello aggiornamento alla esecuzione della sentenza: «car (nota Thiers) un délai était pour Louis XVI la vie mème205.» Vuol egli sapere, che cosa giovi un'ora? La mattina dell'8 termidoro cadde reciso il gentil capo di Andrea Chènier, a cui, poveretto! doleva morire così giovane, e con tanta potenza di poesia nell'anima... Un poco più tardi, nel sangue che aveva fatto versare, affoga Robespierre, e seco va disperso il regno del terrore206. Infatti il Regio Procuratore Repubblicano afferma, che non mi mancavano gli avvertimenti: «come nulla vi fosse di peggio in politica, specialmente in tempi di rivoluzione, che il non far nulla, e lo aspettare gli avvenimenti con la stolta lusinga di dominarli207.» Ma i condottieri della fazione repubblicana erano oltre ogni credere tenacissimi, e vedendo che le parole non bastavano, fecero prova di operare una nuova rivoluzione nel giorno 18 febbraio. Nel giorno 18 febbraio una immensa moltitudine conveniva in Piazza; nel 18 febbraio Niccolini arringando diceva con parole aperte: «Il Popolo ingannarsi sul conto mio, avversare io la Repubblica, intendermela col Granduca; entrasse il Popolo in palazzo, mi costringesse a proclamare la Repubblica: se assentissi, bene; se no, giù dai balconi!» Questa minaccia fu ripetuta più volte: si aizzava il Popolo a trucidarmi. Quanti tremavano allora per la mia vita, che ora non dirò lieti, ma in parte certo profondamente indifferenti, del mio non degno infortunio! Ma allora ero una trincera dietro la quale riparavano sbigottiti; adesso sono diventato documento increscioso d'ingratitudine. Però fu detto dei nostri vecchi: mala bestia è quella, che dà di calcio al vaglio dopo avere mangiato la biada... Poco dopo, il fatto tenne dietro alla minaccia. Il Popolo allagò imperante e furioso. Che cosa fare? A qual Santo votarmi? In mezzo al tumulto era difficile farmi intendere, e folle il parlare quello che sentivo; ridotto allo estremo, dicevo: «Ora via, Cittadini, dacchè volete la Repubblica ad ogni costo, e Repubblica sia; a patto però, che mi mostriate domani duemila giovani fiorentini armati, e disposti a combattere per la Repubblica.» Risposero urlando: «trentamila ne condurremo!» Ed io di nuovo: «Bastano duemila.» Era cotesto un ripiego che il mio buon genio mi suggeriva per ischermirmi dalla tremenda violenza che faceva una moltitudine capace d'ingombrare sale, scale e piazza; e al punto stesso era prova, con la quale intendevo certificare il Partito repubblicano della vanità dei suoi conati a strascinare il Popolo intero. Firenze non ebbe i duemila soldati per la Repubblica, mentre gli aveva avuti, e generosissimi, per la guerra della Indipendenza italiana, bandita dal Principe Costituzionale. Così preservai in quello accidente il Paese, la opinione del Partito repubblicano fu indebolita, e cresciuta a dismisura la sua rabbia contro di me. Questo io operava con pericolo mio contro la moltitudine arrabbiata il 18 febbraio, non già dopo la disfatta di Novara, come con offesa manifesta del vero non aborrisce affermare l'Accusa208. Nè per questo i Repubblicani si davano punto per vinti: mediante il Ministro romano sig. Maestri presentano una Nota contenente diversi articoli per approvarsi subito dal Governo toscano. Se le cose richieste fossero state ammesse, non lasciavano più il Paese in potestà di deliberare. Io mi professai incapace a discernere la importanza della proposta, e dissi, il mio dovere impormi mandarla al Consiglio di Stato; sperare che il Consiglio l'accoglierebbe; lo avrei sollecitato a rimettermi il suo parere. - Nello inviarla al Consiglio, gli commisi scevrasse nelle cose richieste quelle che avrebbero pregiudicato la libera votazione, dalle altre che la lasciavano illesa. Così fece il Consiglio: grandissimi si elevarono i clamori per questo, e tuttavia durano. Io giunsi appena a sedarli, facendo notare, che la imminente votazione dell'Assemblea avrebbe reso inutile qualunque restrizione209. Ecco in qual modo pervenni a impedire le urgenti molestie per la proclamazione della Repubblica, e gli attentati contro la sicurezza dei cittadini. Le altre improntitudini, per la loro natura non somministravano uguali rimedii; non pativano dimora; erano cose da farsi su l'atto; non potevo dei loro stessi principii comporre un freno per ritenerle; e non avevo meco la opinione pubblica, che mi sorreggesse: tacevano, tremavano i dabbene cittadini, e si contentavano a pregare Dio che mi desse forza a resistere. Riguardo a destrezze, nè sempre giovano, nè sempre si affacciano alla mente nella subitaneità dei casi che succedono. - Ora, senza distinguere il modo della resistenza, e confondendo la ragione delle cose, ricavare dai conati riusciti a bene argomento per accusare dei fatti che non poterono ripararsi l'uomo che si sagrificò alla salvezza comune, parmi tanto crudelmente assurdo, quanto iniquamente ingrato.
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p. - 198 Monitore Toscano del 9 febbraio 1849. 199 Corriere Livornese del 9 febbraio 1849. - Merita grandissima considerazione che nei tempi antecedenti il Partito repubblicano in Firenze instasse con tutti i nervi pel suffragio universale. «Il Circolo del Popolo di Firenze nella sua adunanza del dì 4 corrente ha deliberato di fare un indirizzo al Ministero perchè presenti, fino dal principio della sessione, una Legge elettorale col voto universale diretto; una domanda alle Camere perchè la votino; una lettera a tutti i Circoli e Municipii dello Stato perchè domandino lo stesso; ed un invito al Popolo perchè, alla convocazione della Camera il dì 10 corrente, acclami con solenne e tranquilla dimostrazione il voto universale.» - (Popolano, N° 203, 8 gennaio 1849.) Quando poi la parte repubblicana, meglio avvisata, comprende che il voto universale non le tornerà favorevole, allora la sua dottrina imperturbata smentisce, disvuole ciò che volle. Mazzini non istà più a' patti, e muta parola; che cosa importa il consenso dei non Repubblicani, e perchè si aspetta? Basta quello dei Democratici puri. La penna stessa, che tracciava le linee citate, senza scomporsi registrerà queste altre: «Quella adesione, la cui mancanza ogni dì serve di pretesto al Governo Provvisorio toscano per indugiare la promulgazione della Unione nostra con Roma e quella del regime repubblicano, ogni giorno al Governo Provvisorio si fa maggiormente manifesta per l'organo della pubblica opinione, per le proteste dei Circoli, per la impazienza del Popolo. Tutta Toscana Democratica non ha che un voto, che un desiderio, - Unione con Roma, - Repubblica, - e se tutta Toscana Democratica esprime cotesto voto, non sappiamo vedere il bisogno, vedere la prudenza di avere anco l'adesione della parte di Toscana che non è democratica. Oggi è il Circolo democratico di Montalcino..... il quale alla sua volta viene a fare la sua propria professione di fede al Governo Provvisorio toscano. E il Governo Provvisorio toscano che cosa fa? Il Governo Provvisorio sul suo organo officiale, il Monitore, riporta delle parole che ei pretende uscite dalla bocca di Mazzini: parole che consigliano i Livornesi ad aspettare, per dichiarare Repubblica, la decisione della Costituente Italiana in Roma. Tali parole noi le ignoriamo ecc..... Certo sappiamo che nel suo discorso ai Fiorentini..... ei disse doversi pronunziare immediatamente la Toscana, non già per mezzo di una Assemblea, ma de' suoi Circoli, de' suoi Municipii, delle sue rappresentanze già costituite. E quand'anco Mazzini avesse detto quelle parole, noi domandiamo al Governo Provvisorio toscano come mai egli invoca la autorità di un nome, la sentenza di un uomo, quando non riconosce l'autorità di una popolazione, quando chiama non legale, non sufficiente il desiderio espresso e palese di migliaia d'individui?» - (Frusta Repubblicana del 18 febbraio 1849.) Il Popolano riportava con le medesime parole il principio di questo scritto. - Vedi il N° del 18 febbraio 1849. 200 Monitore Romano, marzo 1849. 201 Monitore Romano, medesima Seduta. 202 Corriere Livornese, Art. Gioberti e Mazzini, 10 maggio 1848. 203 Monitore del 16 febbraio 1849. 204 Lamartine, Révolution de 1848, Bruxelles, 1849, Tomo I, pag. 202. 205 De Barante, Histoire de la Convention. Estratti comparsi sul Débats. - Thiers, Histoire de la Révolution. Brux., 1838, T. I, pag. 255. 206 Thiers, Idem. T. II, pag. 87. 207 Rusconi, Opera citata, pag. 167. 208 Io non compongo un libro di arte, ma una difesa; così i miei lettori non mi sapranno mal grado se dei casi esposti in una parte di questo libro mi verrà fatto tenerne discorso altrove. Più tardi ritornerò su la giornata del 18 febbraio. Per ora valga riferire la testimonianza del professore Zannetti sul mio operato in cotesta congiuntura: «fu in questa circostanza (quando egli solo si opponeva a tutti coloro che volevano la promulgazione del Governo Repubblicano e della Unione con Roma) nella quale mi accòrsi della prontezza del suo spirito, quando non potendo resistere alle esigenze delle Deputazioni riunite in Palazzo Vecchio..... consentì a dichiarare nel giorno appresso la Repubblica, anche senza il consentimento della Camera, che voleva convocata, purchè alle 9 della mattina fossero in Piazza 2000 uomini armati e pronti a sostenere la nuova forma di Governo.» (Proc. 2241, f. 111.) 209 Il signor Montanelli, non io, come afferma la requisitoria del Regio Procuratore Repubblicano Rusconi (Op. cit., pag. 167), fece inserire nel Monitore del 28 febbraio 1849, che stando a cuore del Governo la unificazione della Toscana con la Repubblica Romana, aveva intavolato trattative sopra i seguenti articoli: 1. Unificazione dei due territorii togliendo la linea doganale. 2. Parificazione di tariffe per importazione, estrazione e transito. 3. Unificazione del sistema postale. 4. Reciprocità pel corso della moneta, e moneta uniforme. 5. Reciprocità di corso pei Buoni del Tesoro, e carta monetata. 6. Unità di rappresentanza all'Estero. 7. Istituzione di comune difesa. 8. Sussidio a Venezia da dividersi dai Governi. Queste cose concesse, rimaneva inutile deliberare: poichè non erano riusciti a entrare per la via maestra, tentavano i tragetti. Insorse grave discussione fra me e il signor Montanelli principalmente intorno agli Articoli 1. 2. 5. Dice il signor Rusconi, che Roma agevolava un passo alla Toscana; mi pare anzi che gliene agevolasse più di uno..... ma per dove? Il signor Montanelli, giustamente commosso dalle mie considerazioni, chiese allontanarsi, come invero si assentò col pretesto di visitare le frontiere. Io rimasi a strigarmela co' Ministri romani. L'Articolo 7 concessi senza esitare, e stesi gli appunti per adempirlo, non che le istruzioni pei Commissarii, le quali poi vennero ridotte in bella scrittura dal signor Achille Niccolini: spedii eziandio i signori colonnello Manganaro e capitano Araldi a Bologna per sollecitare un tanto scopo. Il Governo romano non aveva mandato nessuno; aspettarono parecchi giorni invano, e se ne tornarono sconclusionati! Accolsi anche l'8°. Gli altri furono rimessi al Consiglio di Stato. Il R. Procuratore Generale pensa che questa operazione fosse un nonnulla: il signor Rusconi Procuratore Regio della Repubblica all'opposto acerbamente l'accusa. Fra questi due Procuratori fortunatamente occorre il Consiglio di Stato composto di uomini valorosi, e che temono Dio, i quali dietro le traccie del mio Dispaccio del 4 marzo 1849 (Qui in parentesi mi permetto due domande. 1° In questo giorno era accaduta la infausta battaglia di Novara? 2° Perchè fra le centinaia di carte inutili, per cui il Volume dell'Accusa si assomiglia più che ad altro alla bottega di un Cenciaiolo, non fu stampato questo mio Dispaccio del 4 marzo?) mi risposero in questa sentenza: «E ravvisando come pienamente civile e giusta la idea, che nel suo dispaccio de' 4 corrente marzo viene dal Governo significata, di volere serbare il suo carattere di Provvisorio e deferire all'Assemblea Nazionale ogni decisione intorno alle future sorti della Toscana, ha creduto - che al Governo stesso converrebbe astenersi dal pregiudicare in verun modo, e sia pur anche per Trattati, meramente preparatorii a quella unificazione o veramente assoluta e piena di un solo Stato con la Repubblica Romana, e della Toscana, od anche semplicemente federativa dei due Stati, la quale per essere coerente alla sua natura di Provvisorio non può l'attuale Governo non lasciare intatta e libera alle Deliberazioni dell'Assemblea Nazionale, che tra pochi giorni sarà convocata. - E ciò perchè nel primo caso di completa unificazione, Toscana spegnerebbe in tutto la sua propria individuale esistenza, e vita; e nel secondo, di unione federativa, la diminuirebbe, e molto considerevolmente. - Ora ciascuno intende, che la Nazione soltanto può avere balía di sè stessa, e che di ciò vorrà deliberare con gravissima maturità di consiglio, e senza veruno impaccio di precedenti trattati i quali menomamente scemino quella libertà, ch'è tanto necessaria.» Dunque se io facevo qualche cosa di civile e di giusto, come può sostenere l'Accusa che facevo nulla? Da quando in qua, a mente dell'Accusa, le cose giuste e civili sono diventate cose da nulla in Toscana? |
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