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Francesco Domenico Guerrazzi
Apologia della vita politica

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  • CONSIDERAZIONI GENERALI.
    • XXV.   Spedizione di Lucca.
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XXV.

 

Spedizione di Lucca.

 

§ 1. Dimostrazione storica.

 

Dove io indirizzassi la parola ai benevoli soltanto, mi sarebbe avviso procedere a modo di storico, risparmiando loro il tedio di leggere una serie di allegazioni non sempre piacenti, qualche volta tristissime; ma essendo io accusato, e favellando ad uomini che meco certo non vogliono fare a fidanza, è pur mestieri che io vada piuttosto compilando documenti, che dettando storie. Per ora mi aiuto con le notizie che mi somministrano taluni libri e giornali e qualche persona dabbene a cui duole questo mio strazio, e il Volume dell'Accusa a cui questo mio strazio punto non duole; anzi le piace. Quando mi saranno consegnati gli Archivii, potrò confermare lo esposto ed ampliarlo a maggiore edificazione dei cultori della giustizia; nonostante, anche quello che mi è venuto fatto raccogliere basterà al mio assunto presso gli onesti: e forse, o io erro a partito, ce ne sarà di avanzo.

Continuando pertanto la Dimostrazione storica impresa nelle precedenti pagine, metterò prima di tutto un Proclama che fu diffuso a migliaia di esemplari. Di questa sorta pubblicazioni avrebbe potuto adunare l'Accusa copia bene altramente abbondevole; contentiamoci di quello che ci dà. A caval donato non riguardiamo in bocca. Dallo stile e dai modi parmi fattura lombarda; in molte guise, e, per la temperie, efficacissime, egli intende provocare la Unione della Toscana allo Stato Romano:

«Popoli di Toscana!

Nella lunga e travagliata vita delle Nazioni Dio suscita un pensiero che debbe rinnovarle; quei Popoli che non l'intendono e lasciano trascorrere il tempo prefisso, soscrivono di per sè la loro sentenza di morte politica e civile.

Toscani! Ora noi ci troviamo in questa condizione. Colui che per molti anni tenemmo a Principe, l'uomo che la intera Toscana a furia di affettuose dimostranze s'ingegnò di persuadere a farsi iniziatore della nostra nazionalità, è fuggito; fuggito non per lasciare una terra che ne lo cacciava, ma sì per farsi simulacro di guerra civile, per infiammare tutte le malvagie passioni che il senno del Popolo aveva saputo spengere; fuggito per disgregare gli animi, sperando, a cotesto modo, di sostituire alla suprema guerra di principio la guerra de' fratelli.

E fuggendo, esso ha fronte di scrivere che in ciò obbediva alla sua coscienza. Questa gli acconsentiva pure di sottoscrivere liberamente al Programma del Ministero Guerrazzi-Montanelli e alla Legge fondamentale per la Costituente; lo raffreddava in altri tempi, allorchè la intera Toscana, credendo alla possibile colleganza fra i suoi interessi e quelli del Principe, chiedeva la Guardia Nazionale, e con la sola forza dell'affetto lo poneva sulla via di fortificare il suo potere. Ma allorchè le libere istituzioni, per la logica conseguenza, gli mostrarono come bisognasse romper guerra allo straniero, allorchè, per comunione di dolori, Italia chiese di tornar Nazione, la coscienza di quest'uomo si ribellava, gli permetteva di dire e disdire, ed anzi gl'imponeva di farsi segnacolo di dissidii civili. Dal Porto di Santo Stefano cotesta sua coscienza attende che batta l'ora della nostra sventura.

Toscani! Facciamo per modo che esso attenda invano. Il nostro maraviglioso passato, il nostro senno, la nostra dignità c'ispirino; maestri di civiltà in altri tempi, mostriamo all'Europa che le libere tradizioni vivono intiere negli animi nostri, che in noi non vi ha ira di parte, ma sì febbre di riscatto nazionale, e che se fummo infelici e divisi per le congiurate previsioni di Principi, liberi ora, sapremo volere e tornar grandi. Considerate di qual sorte sia la coscienza di quest'uomo. Essa gl'impone ora di lasciare così gli amici come i nemici in balía della incertezza; lo forza di aderirsi allo scomunicatore di Gaeta e di assistere dalla lunga alle soffiate vampe di Empoli; lo mette d'accordo coi consigli dell'Austria che ne concertava la fuga, e lo fa rinnegare il proprio Popolo, la propria parola. Circondato da arme, e vinto da interessi stranieri, quest'uomo si confida di seminar paure, di suscitare stragi e rapine nel suo nome. Disperato per la prevalenza d'un principio, esso si appiglia ad una fazione ingannata, specola sulla ignoranza dei Popoli della campagna, e pone così il suggello al proprio decadimento. Nell'ora della fuga i Principi tutti si somigliano, e interamente si palesano: e questa è opera di Dio.

Cacciato non da noi, ma dalle sue fallaci promesse e dai fatti arcani e dai vincoli di sangue che l'uniscono all'Austriaco, Leopoldo di Lorena non intende il Popolo nè l'Italia. Toscani, mostriamo ad esso che la Libertà, l'Ordine, le Leggi non s'incarnano in un uomo, non riposano sopra una volontà. Il Principe può andarsene, ma il Popolo rimane, e con esso il sentimento della propria dignità e de' suoi diritti. Col Principe adunque gli errori del passato, con noi le salde speranze di un riposato futuro, la gloria del combattuto presente.

I Martiri di Curtatone, il fiore più eletto della giovine Toscana non debbono essere caduti indarno. Se non giovarono alla causa dei Principi, essi tuttavia rimangono sacri a quella più schietta de' Popoli. Percossi in terra tornata a servitù, attendono che la Toscana con sapiente ardimento raccolga il frutto del loro sacrifizio. Fortifichiamo i nostri liberi ordinamenti politici, acciocchè l'Europa li rispetti e vegga in essi la unanime volontà di un Popolo al quale tutte le classi hanno diritto e debito di appartenere, il saldo proposito di una Nazione ridesta. Imperocchè le Potenze non si attentano di combattere i Popoli che vegliano concordi, ma sì quelli che, divisi in fazioni, guastano il concetto nazionale. Ricordiamo che la guerra civile è il più valido aiuto alla oppressione straniera, che i Potenti la soffiano, che i Principi la incitano. Essa è la loro arma, quindi non può esser mai quella dei Popoli.

E poichè la veneranda Roma, scossa la vergogna secolare, impaura i nostri eterni nemici col supremo grido di libertà, e li fa maravigliare del suo senno; adoperiamoci per metterci in grado di partecipare all'ineffabile amplesso. Affrettiamo senza esorbitanza l'adempimento delle nostre promesse; smessa ogni gara di Municipio, le città sorelle della Toscana aiutino la impresa, e stretti in una benedetta comunanza d'interessi e d'intendimenti, vegga il nimico d'Italia che i Popoli non si vincono quando fra essi riescono ad intendersi.

Firenze 15 febbraio 1849.»

Il Governo Provvisorio attendeva a chiamare la gioventù alle armi; i Circoli, nello scopo di soverchiare il Governo, ecco si recano in mano questo mezzo di forza per adoperarlo contro me, o piuttosto a vantaggio dei loro disegni. Una cosa essi promettono, un'altra ne fanno: danno ad intendere, a cui ci voleva credere, avere decretato spedire in Provincia Commissarii onde prestare opera vantaggiosa al Governo in questo negozio, per cui ottengono che il Ministro dello Interno lasci stampare sul Giornale Ufficiale una specie di avviso concepito così: «Il Circolo del Popolo di Firenze, nelle gravi circostanze nelle quali è costituita la Patria, ha decretato inviarsi in tutte le Provincie dei Commissarii muniti di apposita credenziale per organizzare Circoli, per eccitare lo spirito pubblico, per promuovere il più generale armamento delle popolazioni in difesa della Patria. Restano perciò invitati tutti i buoni cittadini di accoglierli ed aiutarli nella sacra loro missione.» - (Monitore, 17 febbraio 1849.)

E per inspirare maggiore fiducia al Governo scopertamente si affaticano a questo ufficio: «Ieri il Circolo del Popolo teneva una pubblica seduta in Piazza, sotto alla Loggia de' Lanzi, ad oggetto di eccitare questa popolazione ad accorrere in gran numero alla difesa della Patria, facendosi inscrivere nei ruoli dei Volontarii aperti a quest'uopo dal Governo Provvisorio toscano. Un numero considerevole di cittadini assisteva all'adunanza ec.» - (Supplem. al Nazionale, 17 febbraio 1849.)

Ma il Giornale che si annunziava Monitore del Circolo di Firenze, se poi gradito banditore o mal gradito io non so, il segreto fine subito dopo palesava: «La pronta Unione con Roma fu argomento principale, anche ieri sera, alla discussione nel Circolo. E questa volta fu coronato da un voto. Il Circolo decise, a unanimità, di spedire 25 Commissarii, cinque per compartimento dello Stato Provvisorio, per invitare tutti i Circoli, corpi morali e Guardie Nazionali ad esprimere i voti, o mandare deputati a Firenze, per chiedere al Governo Provvisorio la solenne dichiarazione di unirsi a Roma.» - (Popolano, 17 febbraio 1849.)

Per questi indizii, e più per gli avvisi tanto ufficiali come amichevoli, io ottimamente comprendeva quale bufera stesse per iscoppiare. Con molta industria, di lunga mano, si erano indettati i Circoli provinciali col Circolo fiorentino d'inviare a Firenze, pel giorno 18 di febbraio, gente più accesa in forma di Deputazioni, affinchè forzassero il Governo a dichiarare la Repubblica.

«Circolo politico popolare di Barga.

Cittadino.

Con deliberazione di questo Circolo nell'adunanza straordinaria del 16 corrente fu creata, alla unanimità ed acclamazione, una Commissione nei cittadini Avv. C. B., Avv. D. C., Dott. A. M., affinchè nel giorno di domenica, 18 stante, si presenti a cotesto Circolo del Popolo, e, di concerto con quello, domandi, a nome del Popolo di Barga, al Governo Provvisorio toscano la immediata unificazione e fusione con la Repubblica Romana, senza attendere l'apertura delle Camere.

Ha fiducia questo Circolo che accetterete di buon grado un tale incarico, essendo ben noti i vostri sentimenti politici, democratici, italiani.

Salute e fratellanza.

Dalla residenza del Circolo Popolare, li 16 febbraio 1849.

Al Cittadino Avv. C. B., Firenze.

Il Vice-Presidente.»406

Da Lucca il Prefetto avverte il Governo nel 17 febbraio:

«Il Prefetto di Lucca al Ministro dello Interno.

Alle ore tre e mezzo pomeridiane, dal Circolo politico di questa città è stata inviata al Governo Provvisorio una Deputazione il di cui mandato si è di manifestargli il desiderio della unificazione dello Stato Toscano a quello di Roma. La Deputazione è composta degli appresso cittadini. (Seguono i nomi.)

Il Prefetto Landi.»407

Il Governatore di Livorno, il medesimo giorno, manda:

«Poco fa ha avuto luogo una dimostrazione numerosissima, con cartelli e bandiere, per chiedere la pronta Unione con Roma. Sono stato costretto a parlare. Ho promesso d'informare il Governo, e, senza promettere niente, mi sono limitato a lodare la Repubblica Romana. Credo di sapere che domani si portino costà deputazioni di tutti i Circoli per chiedere quanto sopra.

17 febbraio 1849.

Pigli.»408

E quando mai l'Accusa desiderasse imparare se manifestazioni siffatte avessero o no potenza per costringere, può considerarlo da sè stessa, leggendone il racconto nel Corriere Livornese del 17 febbraio 1849: «Al mezzogiorno il Popolo, muovendo da tutte le Associazioni Parrocchiali con bandiere e cartelli esprimenti i suoi alti desiderj, si è diretto sulla Piazza del Popolo, da dove con le bande musicali ha poi mosso verso il Palazzo del Municipio. Immensa era la folla; e le grida di viva la Repubblica Italiana, viva l'immediata Unione con Roma, viva la guerra, riempivano l'aria; giunta la moltitudine in Piazza Grande, ha fatto sosta presso la Comunità, ove si è recata una Deputazione. Il Gonfaloniere ha esternato ai deputati, confortanti e ragionate parole, le quali poi ha ripetute al Popolo festante dalla terrazza, ricambiate coi più fragorosi evviva. La folla ha voluto poi salutare l'egregio cittadino Governatore, che ha dette al Popolo calde e generose parole. Quindi la moltitudine pacificamente si è sciolta, nel pensiero di riunirsi dimani alla Capitale coi fratelli di tutta la Provincia Toscana e concorrere uniti a compiere un atto, al quale oggi sono più che mai rivolti tutti i nostri pensieri, come àncora della salvezza d'Italia.

La sera, nel Teatro Rossini, vi fu adunanza del Circolo Nazionale e di tutte le Associazioni Parrocchiali della città. Il concorso fu straordinario; la platea, i palchi, l'orchestra ed il palco scenico rigurgitavano di Popolo. Fu discusso intorno allo inviare domenica (dimani) al Governo Provvisorio una Deputazione di tutti i Circoli, del Municipio, della Guardia Nazionale e di Popolo, per dimandargli la immediata unificazione della Toscana con la Repubblica Romana; e la deliberazione in proposito avvenne tra le assordanti ripetute e generali grida di viva la Repubblica, viva l'Unione immediata con Roma repubblicana.

Fu deliberata pure per l'indomani una solenne dimostrazione al nostro Municipio, onde invitarlo a concorrere per parte sua ad appoggiare le dimande del Popolo.»

Io riporto, senza farvi osservazioni, le storie dei Partigiani della Repubblica; in breve ne rileverò gli errori, che artatamente essi v'insinuavano. Venne il giorno 18; e quale egli fosse, uditelo ora descritto dalla Costituente Italiana, Giornale compilato da scrittori lombardi, i quali, per adoperare la penna, posavano un momento la spada: «Ogni giorno, ogni ora il Popolo chiede sollecito al Governo la parola che sanzioni e che compia la sua rivoluzione, che dia un significato a questa agitazione perenne, la quale è desiderio, bisogno di vita italiana: esso sventola innanzi al viso dei suoi rappresentanti la bandiera della patria, e mostra loro la nappa di unione, onde scrivasi il patto fraterno, si tolgano i confini segnati colla spada, si decretino i nostri destini. - E quest'oggi anche Livorno, Pisa, Lucca e altre città toscane avevano inviate le loro Deputazioni, affinchè il Governo, rafforzato innanzi ad una Rappresentanza Toscana, potesse coscienziosamente rispondere ai voti comuni, e il Paese passasse nella tranquillità di una determinata situazione.

Un programma del generale Laugier palesava vie più la necessità della Unione immediata. Vedevasi, per esso, come Leopoldo restasse ancora a Porto Santo Stefano con una speranza nel cuore, con un pensiero alla bella Firenze e al magnifico Pitti, con un piè sulla nave che lo tragga lungi dai popoli che lo sdegnano, e l'altro sulla terra ove fu re. - Vedevasi come, esso Laugier, nel di lui nome, innalzasse il vessillo della ribellione, e si preparasse a marciare su Palazzo Vecchio, Zucchi del Granduca, spacciandosi avanguardia di 20 mila Piemontesi, Spagnuoli della Toscana; quindi maggiore la necessità di gettare un fatto compiuto in faccia a queste speranze, di opporre a questi tentativi una forte posizione militare.

Recavansi le Deputazioni accennate, unitamente a una rappresentanza fiorentina, unitamente ai Volontarii accorsi all'appello della Patria, per presentare un'altra volta al Governo la volontà del Paese. Chiedeva tempo il Governo a rispondere, fino dopo il banchetto che imbandivasi dal Circolo del Popolo alle Deputazioni delle Provincie e ai Volontarii, fra le Loggie del Palazzo degli Ufizii. - Bello ed utile pensiero degli uomini del Circolo di adunare questi prodi al desco fraterno, di mostrare ai cittadini i primogeniti della Patria, di offrir loro questo tributo di affetto e di riconoscenza, questo plauso universale. - Era uno spettacolo gaio, commovente, questo convito modesto, ove officiali e soldati si alternavano i bicchieri, ove ai Viva la Repubblica succedevano i cantici della libertà, ove, nella fratellanza della città repubblicana, si iniziava l'intima domestichezza del campo! - E Francesco Ferruccio impalmava la bandiera tricolore, e portava il berretto frigio sul capo;» - (Ah! Francesco Ferruccio si copriva il capo di celata di ferro, non già di berretto frigio; e quando minacciava il nemico, beveva un sorso di vino in piedi, ed anche Dio glielo annacquava409!) - «era il connubio della Repubblica del Savonarola colla moderna Repubblica nell'ultimo martire repubblicano caduto sul campo.

Finito il banchetto presentavansi sotto la Loggia dell'Orgagna il presidente del Circolo del Popolo, del Comitato Italiano, e Giuseppe Mazzini venerato apostolo di libertà. - Parlava Mazzini; e provato come le nazioni nei momenti supremi non si salvino che per audacia ed abnegazione, chiedeva se volessero proclamare l'Unione con Roma e la Repubblica, e votarsi tutti alla difesa delle frontiere. Un grido di approvazione copriva la voce dell'oratore, e le bandiere di tutta Toscana ondeggiavano salutando la Repubblica Italiana. Allora leggevasi una formula di Decreto col quale era stabilita l'Unione a Roma; era proclamata la Repubblica; nominando frattanto un Comitato di difesa composto di Guerrazzi, Montanelli e Zannetti, coll'aggiunta di una Commissione di altri benemeriti cittadini, dichiarando definitivamente decaduto Leopoldo Austriaco, e traditore della patria il generale Laugier. Ad ogni parola interminate acclamazioni, ovazioni sincere, ed in fine la richiesta che tutto subito si presentasse all'accettazione del Governo Provvisorio. - Il Governo ricevette con giubilo le attestazioni di fiducia, dichiarò che la voce del Popolo interpretava il cuore anche de' suoi rappresentanti, e ch'esso aderiva ai voti e alla volontà sì costantemente e generalmente manifestati; che però la proclamazione definitiva dell'Unione Repubblicana rimetterla all'indomani, affinchè avesse luogo con quella solennità e in quell'apparato di forza che esige un atto nazionale.» - (Questo era falso, ma la menzogna è necessità nei Faziosi.) - «L'ebbrezza del Popolo fu quale l'abbiamo conosciuta nei primi giorni di questa rivoluzione; a un tratto s'illuminarono le vie, suonarono a festa le campane, e Firenze echeggiò dei canti di guerra. Il Popolo volle innalzato l'Albero della giovine Libertà, a simbolo di quella libertà che palpita nei nostri petti, a promessa di quella libertà che pianteremo nelle nostre istituzioni410

Il Popolano, fidus Achates, del pari nel foglio del 20 febbraio 1849: «A ore 2 pomeridiane i Volontarii, già riuniti presso il Circolo, mossero con bandiere e tamburi, unitamente a molti socj, Deputazioni e gran folla di Popolo ec.

Finite le mense fra la letizia e i cantici, cominciossi a gridare: La Repubblica; e poi, convenuta la maggior parte del Popolo sulla Piazza del Popolo, gli oratori, fra' quali primeggiò Giuseppe Mazzini, cominciarono ad arringarlo. Ivi, innanzi al grande uditorio del Popolo, quanto la gran piazza ne poteva capire, fu proclamata la Repubblica e la riunione con Roma, e lette varie risoluzioni che il Popolo approvò. Tutto ciò in risposta e dopo pubblica lettura del bugiardo proclama di Cesare De Laugier. Non mancò chi promise di subito pubblicare la biografia di tanto infame, degno imitatore di Zucchi. Quindi da una Deputazione furono portate le risoluzioni al Governo Provvisorio, come esprimenti il desiderio di tante migliaia di Popolo e di tante Deputazioni. Il Governo Provvisorio gridò, come sempre, i voti del Popolo, confermò la ridicola ribellione del Lorenese Laugier, e disse che il Popolo mostrasse di volere difendere la Repubblica con dare 2,000 reclute per la mattina seguente.

Nella serata, in mezzo al generale tripudio fu innalzato l'Albero della Libertà con bandiera in cima, sulla Piazza del Popolo, tutto all'intorno illuminata dalla gioia dei cittadini.»

E già nel foglio antecedente del 19 febbraio 1849, per meglio imprimere la memoria del fatto nella mente del Popolo, aveva raccontato: «18-19 febbraio. - Ieri aveva luogo sotto le Loggie degli Ufizii un grande banchetto pei Volontarii ascrittisi nei ruoli aperti nel Palazzo dei Priori e al Circolo del Popolo.

Più di 1,000 erano i banchettanti. E il Popolo tutto prese parte al convito.

 Intanto giungevano le Deputazioni dei Circoli di Livorno, di Lucca e di altre principali città toscane.

Udivasi la nuova della defezione del generale De Laugier, ed unanime fremito suscitavasi in ognuno, unanime imprecazione contro il traditore della Patria.

Il Circolo del Popolo di Firenze decretava una sentenza di cui più oltre diamo il contesto411.

Intanto lo spirito pubblico animavasi ognor più: gran numero di Livornesi, uniti al Popolo fiorentino, al Circolo del Popolo ed agli altri Circoli, convenivano nel concetto esser venuto il giorno del solenne riscatto, nè potersi più oltre indugiare l'atto formale di Unione alla Repubblica di Roma.

La Repubblica veniva così proclamata e di diritto e di fatto in Toscana.

Fino da ieri sera, l'Albero della Libertà era piantato sulla Piazza del Popolo e salutato da rumorose salve di applausi e dal suono di tutte le campane di Firenze. Grandi processioni di Popolo festeggiante, con faci e cantici patriottici, percorsero per tutta notte la città.

Invitavansi intanto i Volontarii inscritti a recarsi, alle 8, nella mattina del 19, sulla Piazza del Popolo per partire immediatamente alla volta dei confini.»

Il Nazionale, non amico mio, pure narrando i casi della giornata del 18, sovveniva allo sforzo del Governo:

«Oggi fino a ora tarda della sera, Firenze ha risuonato di suoni e canti, e sulla piazza che ora si chiama del Popolo ha stazionato continuamente un folto gruppo di persone a udire discorsi e proposizioni che si facevano dalla Loggia dell'Orgagna. - Fu letto un Proclama del generale Laugier, comandante la truppa ai confini di Massa e Carrara. - Il Proclama in nome del Granduca esortava i Toscani a tornare all'obbedienza; prometteva amnistia generale, quelli eccettuati che prendessero le armi dopo la promulgazione del Proclama. - A grida generali si dichiara il Laugier traditore della patria. - Sulla sera in faccia al Palazzo Vecchio era piantato l'Albero della Libertà. - Noi siamo avversi a ogni sorta di violenza, da qualunque parte si eserciti. - Noi c'inchiniamo alla sovranità del Popolo tuttoquanto chiamato a libere elezioni; da sè medesimo crei la sua rappresentanza, alla quale confidi le sue volontà, e la cura di provvedere allo eseguimento412

E meglio ancora nel numero del 19:

«Il principio di autorità fu rappresentato sinora dalla dinastia; la dinastia lo ha abbandonato; il Popolo deve raccoglierlo e con la sua libera volontà ricostruirlo. Ma noi, rispettando sempre i suoi decreti, non lo loderemmo se lasciasse forzarsi la mano, e si acquietasse a premature determinazioni uscite dai clamori incomposti della piazza: non lo loderemmo se tornasse ad affidare le sue sorti alle dinastie, che sono un fatto transitorio e perituro, senza prima circondarsi di forti e inespugnabili guarentigie. - Il Popolo sappia con ordine e dignità esercitare la libertà, che gli tornò piena ed intera, ec.»

Intanto che cosa faceva il Conciliatore? Appesa l'arpa al salice super flumina Babilonis piangeva; e nello incendio, che consumava il Paese, salilo in pulpito gravemente ammoniva i Popoli dicendo: il fuoco scotta; e se sarete bruciati, io non so proprio che farci.

«Ai tempi che corrono, il cercare rimedj adeguati alla gravità del male, sarebbe impresa soverchiante le forze umane. Pio IX forse lo poteva, iniziando i nuovi moti pubblici col principio religioso. Ma oggi sventuratamente anche questo salutare freno è tolto, e la corrente straripa a sua posta, secondo gl'impeti delle acque che già ruppero ogni argine. - Però noi contempliamo dolenti questo crescere continuo di rovine, questo stravolgimento d'intelligenze ognora più terrìbile413

Ben fastidiosa prefica è quella che imprende a cantare l'esequie all'uomo che non è anche morto! Il giorno dopo questo Giornale, riavutosi, raccomanda al Governo la sicurezza dei cittadini, l'ordine della città; ma considerando la desolazione predicata nel giorno diciotto, non si sa come avesse il coraggio di farlo da vero; molto più che con rugiadosa insinuazione andava sussurrando, che il Governo non aveva preso parte ostensibile negli avvenimenti del 18 febbraio, tirando per così dire l'orecchio al sospetto, affinchè dubitasse che egli forse ve l'aveva presa segreta facendo fuoco nell'orcio. Il qual contegno quanto in sì estremo pericolo fosse, non dirò onesto, ma savio, lascerò che altri consideri.

«Ieri mattina giunse in Firenze una numerosa Deputazione dei Circoli di Livorno, con bandiere, cartelli e berretto rosso. Alle ore due ebbe luogo un banchetto pubblico sotto gli Ufizii, dato dal Circolo popolare ai Livornesi, ed ai Volontarii che sono inscritti per difendere la Patria. Alle ore sei, il Niccolini di Roma, Presidente del Circolo popolare, proclamò la Repubblica sotto la Loggia dell'Orgagna a nome del Popolo Fiorentino. Sulla sera fu piantato l'Albero della Libertà sulla Piazza del Popolo. - Nella sera suonavano a distesa tutte le campane delle chiese, e si sparavano fucili in segno di gioia. - Il Governo Provvisorio non ha preso parte alcuna, almeno ostensibilmente, a questi diversi atti. - In tanta incertezza di avvenimenti ed in tanto pericolo, noi non possiamo far altro che raccomandare a chi tiene il Governo di provvedere alla sicurezza pubblica, ed a tutti gli onesti cittadini di adoperarsi per mantenere l'ordine nella città414

Il Popolano del 19 febbraio accusa il Governo di frode, quasi le promesse fatte ieri non volesse più mantenere oggi:

«Oggi noi pubblichiamo un documento e un articolo intorno ad un fatto che forse, fra qualche anno, a chi non ha la chiave che schiude i misteri di Stato, apparirà enigma indecifrabile.

L'articolo che togliamo dalla Costituente Italiana è lo esatto ragguaglio di quanto ieri accadeva sulla Piazza del Popolo di Firenze e dentro il Palazzo della Signoria.

Il documento è un Proclama che va sfornito di taluni adempimenti di voti nostri e del Popolo, di cui cotesti fatti eran promessa, di cui le misure iniziate dal Governo eran garanzia, ma va per altro arricchito da una grata e lieta novella, cosicchè lo acquisto per l'una parte compensa la mancanza che appare dall'altro lato.

Mancanza è, e per la Costituente (giornale) e per noi, la proclamazione definitiva della Unione Repubblicana, che il Governo aveva detto di rimettere allo indomani (cioè oggi), affinchè avesse luogo con quella solennità e in quello apparato di forza che esige un atto nazionale.» (Sono parole della Costituente.)

«Acquisto prezioso si è la certezza pervenuta nel corso della notte al Governo, che stolta e infame invenzione del traditore De Laugier era la nuova starsi pronti 20,000 Piemontesi ad invader la Toscana, per riporre l'ultimo Leopoldo sopra un trono cui volontariamente egli aveva rinunciato fuggendo e lasciando senza timone la nave sdrucita dello Stato.

I Piemontesi protestavano solennemente contro la taccia che dar gli voleva l'uomo del 29 maggio di satelliti di tirannia, di degeneri Italiani, di uomini che per passività di obbedienza fosser pronti a mostrarsi fratricidi; e insanguinare la sacra terra d'Italia di italiano sangue. I Piemontesi protestavano, giammai voler porre ostacolo al riordinamento della Toscana, e intendere lasciarla libera di reggersi secondo la forma politica che più fosse per piacerle: volerci Toscani fratelli e compagni nella guerra contro il comune nemico - l'Austriaco: ma giammai volerci nemici e combattenti sovra limiti di provincia che un dì o l'altro debbono esser totalmente remossi, per dar luogo ad un solo e potente Stato: - la Italia Una e Repubblicana.

Ed altra notizia, ella pure aggraditissima e inaspettata, era lo appoggio e l'amicizia di una grande e formidabile potenza, alla cui ombra è oggi lecito alla Repubblica della Italia Centrale il metter salde radici e con minor precipitazione che non li avvenimenti minacciati dall'imminente avvenire ci facessero ieri parere indispensabile.

In grazia di tali rassicuranti novelle, noi consentiamo a subire in santa pace quella specie (ci si perdoni la inconvenienza della espressione) di giuoco di bussolotti accaduto fra ieri ed oggi nel Palazzo della Signoria.

Ad onta di tutto ciò, ad onta di sentirci coll'animo più libero, e colla mente meno angustiata da funesti pensieri, noi non cessiamo però, nè cesseremo giammai, dal deplorare i danni del provvisorio, dallo invocarne il pronto e definitivo termine. Noi non cessiamo nè cesseremo di deplorare, come una perpetua e feconda sorgente di discordia e di guerra civile, la presenza di Leopoldo di Austria in Toscana.»

L'aria dintorno diventa densa, e infuocata; già si scrivono e già si leggono parole somiglievoli alle grosse goccie di pioggia precorritrici della tempesta; e tempesta di sangue temevasi: nel Popolano del 21 febbraio si dichiara, che la seguente scrittura era dettata fino dal giorno 19:

«La grande tela ordita dai Principi è compiuta. Tocca ora ai Popoli il metterla in brani colla punta delle loro baionette e colla mitraglia dei loro cannoni.

La condotta dei Regnanti Italiani si svela oggimai ed apparisce nella sua piena luce.

Pio IX, Carlo Alberto, Re Bomba e Leopoldo d'Austria van perfettamente d'accordo, e congiurano ad un sol fine, ad operare dietro un solo impulso, in un medesimo momento.

Se sulla infamia e sul tradimento di tutti costoro restasse alcun dubbio in qualche credula mente, basterebbe a dissiparlo il vedere, il riflettere come contemporaneamente Radetzky occupi Ferrara, Re Bomba ingrossi le sue truppe ai confini romani, Carlo Alberto le sue spedisca in gran furia a quei di Toscana, e Pio IX, senz'armi e senza eserciti, per far qualcosa, fulmini nuove proteste colla affiochita sua voce dalle spiaggie di Gaeta.

Noi siamo lieti, grandemente lieti di questa potente congiura, perocchè essa è il segnale del definitivo scioglimento della grande questione italiana.

Noi siamo lieti, grandemente lieti nello udire che i Tedeschi sono vicini; e a noi par quasi sentire il nitrito dei loro feroci destrieri, già ci par vedere lo sperpero delle campagne e la fuga de' nobili signori ch'eransi iti a rintanare nei loro aristocratici covi per congiurare contro la patria e contro la libertà.

Nobili infami!... A che cosa vi sarà valso il congiurare, e il seminare reazioni, divisioni, disordini? il far gridare: Viva il Tedesco, Viva Leopoldo II?

Oh vedrete, vedrete, insensati quanto iniqui, se il vostro Leopoldo II vi salverà lo scrigno dall'artiglio croato; vedrete, vedrete, codardi, se vi varrà plaudirne lo arrivo per risparmiare le vostre figlie all'oltraggio, i vostri campi e le vostre ville al saccheggio, le vostre fortune al forzato tributo!...

Noi siamo lieti, grandemente lieti, che l'ora della strage, l'ora del sangue sia venuta: ora vedremo, per Dio, quanti siamo d'Italiani in Italia, ora ci conteremo tutti, e il sangue dei traditori bagnerà, insiem con quello del Tedesco, le nostre vie che han d'uopo di un battesimo di sangue acciò lavarne l'onta delle passate ignominie per i corsi romorosi, per le sciocche dimostrazioni, per le festose processioni; per avere, insomma, sostenuto tanti e tanti anni i passi oziosi e lenti di tanti e tanti cittadini inerti, baloccheggianti, perduti dietro puerili vaneggiamenti, immersi in discussioni ozjose, parolaj senza fatti e senza azioni.

Si fondano in cannoni le campane, si spoglino le chiese dei vani ori e dei male spesi argenti: si reclutino, marcino, combattano e frati e monaci e preti, come in altri paesi fu fatto; si costringa i contadini a marciare per la difesa comune, e i recalcitranti si pongano dinanzi ai cannoni o ci servano di mitraglia ai nemici: ogni pezzo di ferro, ogni pezzo di bastone sia messo a profitto: ai pali si aggiunga una ferrea punta, e servano ad armar lancieri: si riempiano pure le carceri, purchè si vuoti di nemici lo interno dello Stato. In quanto a noi, ne facciamo sacramento a Dio ed alla Patria, appena la campana del Popolo suonerà a stormo, getteremo a terra la penna, e, impugnando il fucile, sdegneremo riprenderla finchè l'ultimo dei Tedeschi non abbia sgombrato l'Italia, - finchè l'Italia non sia più un nome, ma una nazione libera e vincitrice.

E se questo momento sarà domani, i lettori nostri si tengano per avvertiti, - il nostro Giornale non apparirà che col riapparire del vittorioso vessillo repubblicano fralle mura della redenta Firenze.

Queste nostre parole erano scritte 24 ore innanzi degli avvenimenti di ieri sera.»

Più cauta in parole, ma di partiti violenti punto meno bramosa, la Costituente del 21 febbraio predicava:

«Cittadini del Governo Provvisorio di Toscana. - Il Paese è minacciato, l'Italia ci domanda soccorso; voi pure avete un debito da adempire, un debito grave e solenne verso la gran madre comune. Gridammo armi ed armati, gridammo denari, energia, impeto di rivoluzione, e di patria carità ardente ed efficace; or come fummo ascoltati?

Battete a dritta ed a manca, sospingete, sforzate. Le risorse vi sono, la buona volontà vi corrisponda; l'ardimento dei più vi sorregge; camminate adunque, camminate adunque, camminate liberi e forti. I ricchi paghino il proprio debito di oro, come il Popolo generoso offre il proprio sangue; non ismarritevi nell'inestricabile labirinto di minute preoccupazioni, ma seguite la via larga delle misure vaste e risolute. I giorni passano, i giorni sono preziosi e numerati; - che non trascorrano più lungamente senza frutto! -

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Debbe (il Governo) agire fortemente a reprimere qualunque rinnovazione di minaccie così inique, qualunque possibilità e principio di tumulti. Versiamo in circostanze straordinarie, in mezzo a pericoli supremi; - si adoprino misure straordinarie, mezzi supremi. - L'esempio di Romagna non è da disprezzarsi: si proclami la Legge Eccezionale; essa emana dalla legge normale della salute della patria.

Debbe agire fortemente, per raccogliere denaro, subito e molto. Prenderlo dov'è, senza troppa esitanza, poichè ogni altra trafila finanziera non corrisponde alla gravezza istantanea del bisogno. Ori e argenti di tutti, prestito forzato. I Croati a Ferrara, mentre porgono l'esempio, danno stimolo a tutti a concorrere per non subire con vergogna e paura una simile sorte.

E soldati, per Dio! soldati vogliamo. La Guardia Nazionale riorganizzata si offre, anela forse a una mobilizzazione. Ma per questo ha bisogno di esser educata, di avere quel corredo di istituzioni e di armi speciali che possano farla entrare in campagna; si provveda a tutto questo, - si incominci almeno a provvedere. Poi fa d'uopo anche pensare alle armi, di cui vi ha visibile scarsezza. Noi siam ben lontani dall'avere in pronto i mezzi per l'armamento universale del Popolo, qual è nella nostra mente, e qual è forse nel pensiero dello stesso Governo; si procurino dunque le armi, e possibilmente da Venezia, o altrove, nel minore spazio di tempo che può essere concesso. Armi, soldati e danaro: è la nostra parola d'ordine, il nostro grido giornaliero, il ritornello incessante a cui siamo legati per coscienza. Armi, soldati, danaro; Unione con Roma di diritto e di fatto immediata, è il nostro programma, il codice della nostra politica nelle circostanze presenti. Noi lo verremo sempre ripetendo e insegnando, ec.415»

Per questi successi ed eccitamenti, Toscana agitavasi tutta. Il Governatore- Pigli, non curata la condizione apposta dal Governo al proclama della Repubblica, la bandisce assolutamente:

«La Repubblica è proclamata. Il Popolo è Re. - Guai a chi tentasse strapparti lo scettro pagato per lunghi secoli con le lacrime, e il sangue, e le opere della più sublime virtù, della quale ti conserverai, ne sono certo, indefettibil campione.

Popolo, compi i tuoi gloriosi destini! Pensa, che la tua capitale è Roma, che la tua patria è la Italia; chi ti conferisce lo imperio è il tuo diritto! Chi ti consacra è Dio. Viva l'Italia. Viva la Repubblica.

 

Livorno, 19 febbraio 1849.

C. Pigli.»

 

E senza neppure consultare il Governo. nella ebbrezza del trionfo, ed ormai considerandosi dei Capi, o prossimo a diventarlo, della bandita Repubblica, ecco istituire un giorno di feriato, con tutte le sue sequele; al quale scopo è necessaria una legge, che per certo non istà nelle attribuzioni di un Governatore promulgare.

«Cittadini!

Per festeggiare il presente memorabile giorno, viene disposto che il medesimo a tutti gli effetti di ragione debba considerarsi come feriato solenne, e che non si possa quindi procedere al protesto delle cambiali, ed altri recapiti mercantili.

Livorno, 19 febbraio 1849.

C. Pigli.»

E in altro Proclama affermava:

«La Repubblica è stata proclamata ieri in Firenze con l'adesione del Governo, il quale ha bensì impegnato quella città a dare in questo stesso giorno 2000 uomini416

Questo non era vero. Il Governo aveva mandato: «La Repubblica è stata proclamata. Il Governo l'ha accettata a patto, che il Popolo fiorentino dia per domani 2000 uomini armati417

Ma al Pigli, ed ai suoi nuovi amici, importava far credere diversamente. Su l'ora della mezzanotte le Deputazioni, forse unite in gran parte, e certo indettate con i partigiani di Firenze, piuttosto stizzite che vinte, volendo sgarare chela Repubblica andasse innanzi ad ogni modo, con bande, gridi e schiamazzo infinito, destano la città, e abbindolati i cittadini piantano l'Albero della Libertà, e proclamano la Repubblica.

«Tutto era calma e tranquillità per la fiducia degli uomini che reggevano il Governo: quando alla mezza notte il ritorno improvviso delle Deputazioni da Firenze spargeva la lieta novella della proclamazione della Repubblica in Toscana, dell'adesione di quei Tribuni generosi alle volontà manifeste di un Popolo ivi raccolto da tutte le Provincie. Livorno sebbene a quell'ora tarda prendeva immediatamente un aspetto festivo: bande musicali percorrevano le vie, ed il Popolo acclamava con mille evviva a quell'atto solenne d'italiana rigenerazione. Un Albero della Libertà contornato di bandiere tricolori era piantato come per incanto nel mezzo della piazza, fra il suono a festa di tutte le campane e le grida alla Repubblica, a Roma, a Venezia, a Sicilia, a tutti i fratelli d'Italia: il nuovo sole sorgeva ad illuminare il più gran fatto nel nostro risorgimento418

Il Governatore di Livorno intanto, come colui che guarda per vedere se il tiro ha colto nel segno, scrive a ore tre pomeridiane del 19 febbraio al Ministro dello Interno:

«Qui è stata fatta una solenne manifestazione per festeggiare la Repubblica Toscana. Oggi alle quattro si canterà il Te Deum. È necessario bensì smentire immediatamente una voce, che comincia a circolare intorno la dimissione del Guerrazzi e del Montanelli, e la istallazione al Governo di soggetti che non sarebbero graditi. È di assoluta necessità pronta risposta419

Che cosa fu risposto? L'Accusa dagli Archivii Governativi ha tolto quello che le piacque, poi chiudendoli si è posta la chiave in tasca, e ha detto a me che li voleva esaminare per conto mio: «Concedertelo non dipende da me, figliuolo; e quando dipendesse da me, tu devi indovinare prima, o rammentare quello che contengono, ed esporne il contenuto: allora giudicherò io quali delle carte possono fare al caso tuo, e quali no; lasciati governare da me, rimettiti nelle mie braccia: vieni, addormentati sul mio seno; se le mie mammelle contenessero latte, te le porgerei a poppare. Ad ogni modo, avendo me per tutrice, sto per dire che tu se' nato vestito, io provvedo a tutto, e credi che lo todo lo que hazo, lo hazo per to bien.» Tenerissima Accusa!

Da Pisa il Prefetto Martini, a ore 1 pomeridiana, avvisa il Ministro dello Interno, per via telegrafica:

«Il Popolo è adunato numeroso volendo proclamare la Repubblica, sia vera o falsa la notizia che lo stesso è avvenuto a Firenze. Molti cittadini s'interesseranno per trattenere questo atto, ma ormai pare inevitabile. Batte la generale. Si dice fatto altrettanto a Livorno, quindi la mossa di Pisa420

Il tenore di questo Dispaccio dimostra chiaro, che il Prefetto Martini, corrispondendo alle istruzioni del Governo, s'ingegnava con altri a parare quel colpo, ma che disperava venirne a capo.

A Siena già nel giorno 20 febbraio, erano tutti Repubblicani per convinzione o per paura421.

Grosseto nel 20 febbraio bandiva anch'essa la Repubblica, e piantava l'Albero422. Partito appena S. A. da Porto Santo Stefano, fu nel giorno 22 di febbraio salutata la Repubblica423.

Intanto in Firenze si agitava segreta la cospirazione, che scoppiò nella notte del 21 febbraio 1849; infaustissima fu quella notte, ma più infausto giorno le poteva tenere dietro. Il Monitore ne dava ragguaglio nella guisa che già fu detto a pagine 279-282 di questa Apologia.

Ho esposto altrove, e con documenti provato, come Giuseppe Montanelli facesse opera veramente cristiana salvando dal furore del Popolo la gente arrestata, e come in tanto stremo il Governo con provvido consiglio ricorresse al Circolo medesimo, impegnandolo a mandare taluno dei suoi concionatori tanto efficaci a rimescolare le moltitudini, perchè inspirasse loro sensi di carità e di mansuetudine. Se poi mi domandassero perchè io affermi essere stato cotesto savio consiglio, mi parrebbe dovere rispondere, che gli uomini i quali non sieno del tutto perduti ordinariamente s'ingegnano mostrarsi meritevoli della fiducia, che in essi viene riposta, e quantunque ai giorni nostri i traditori non sieno appesi, e molto meno s'impicchino da sè, pure quel brutto nome di Scariotte a nessuno accomoda. Così Lamartine condotto dal medesimo concetto, che animò (ne sono convinto) i miei Colleghi, creava la Guardia mobile a Parigi togliendo al disordine le forze per conservare l'ordine: egli se ne loda, e credo, che in questa parte abbia ragione424.

E qui faccio tregua con le citazioni, osservando, che se lo edifizio non riuscì come avrei desiderato completo, non è mia la colpa; però desiderando, piuttosto che sperando, non essere tratto a compirlo, basterà quello che fu detto per somministrare notizia dei tempi; imperciocchè

 

Ogni erba si conosce per lo seme.

 

Ora io voglio un poco confrontare questi nostri successi con altri, i quali, a un punto più celebri e più terribili, hanno dato al mondo una lezione di spavento.

 

 

§ 2. Confronto storico.

 

Nel 1792 erano in Francia uomini infiammati nei cerebri dai vapori delle speculazioni astratte, i quali reputando, che il male degli uomini derivasse non già dalle ree passioni che gli agitano, bensì dalla forma della Società, come se non fossero essi e le opere loro che gli hanno ridotti nello stato in cui sono, drizzarono la mente a capovolgerla di cima in fondo. Però non tutti accordavano su i fini, nè penso, come allora, in futuro saranno per accordarsi giammai; e questo è sommo bene. Alcuni di loro intendevano, mercè le riforme politiche, arrivare alle sociali; altri alla rovescia, nè tutti volevano trascorrere fino al punto di abolire la fede di Dio; e quelli che pur volevano cassato Dio, più che altro sembravano Titani ciechi brancolanti in cerca di scogli per avventarli contro il cielo; e negli scritti e nei ragionamenti loro manifestavano piuttosto la convulsione della rabbia, che un discorso considerato della mente. Spettava ai giorni nostri sopportare la vista di uomini, che lontani dai ravvolgimenti politici, con la pacatezza del filosofo, e la soavità dell'uomo dabbene, si affaticano a dimostrarti per filo e per segno, che tu non sarai felice mai là dove tutta questa macchina morale, civile, religiosa e politica, non vada in fascio. Certo, chi dette simile impulso ai moti rivoluzionarii del tempo, sortì grande la potenza dello ingegno. Lo spirito del male lo deve avere baciato proprio su la fronte dicendogli: tu sei il figliuolo della mia predilezione. La grande maggiorità dei diseredati, che forma la base della piramide sociale, gl'infiniti figliuoli della Natura, che dalla madre loro credono essere stati benedetti con uno schiaffo, poco si commuovono per Repubblica o per Monarchia; imbestiati dal miserabile costume i grossolani appetiti è forza gratificare dapprima; più tardi verranno i bisogni dello spirito, e il desiderio di razionale reggimento, tanto più duraturo quanto meglio gli uomini saranno ad apprezzarlo capaci. Lasciamo che questo avviso assai si rassomigli a quello di dar fuoco alla casa, nella speranza che ci venga rifabbricata più bella; egli è certo che per isconvolgere la Società non si poteva inventare leva più pericolosa, nè più sicura di questa. - Noi vediamo ordinariamente i Partiti intenti a distruggere, venire a capo dei concetti disegni per due precipui motivi: primo, perchè su le mosse vanno di accordo, quantunque più tardi pieghino chi a destra, e chi a sinistra, chi di loro vuole trascorrere, e chi stare fermo; tuttavolta siffatte discrepanze lo Stato già sconvolto rendono infermissimo: secondo, perchè l'assalto procede sempre più fervido della difesa, nè lo assalito può in un punto da tante parti salvarsi, e l'assalto gli sopraggiunge addosso continuo, impreveduto, e difficilmente prevedibile. Un rimedio ci è, o almeno, se non basta questo, agli altri è inutile pensare; ma lo vedo respinto, però che come tutti i farmachi sappia un po' di ostico a cui ha il gusto avvezzato a malsani dolciumi. Gli umori rivoluzionarii tengono della natura di quelle infermità, che, per ispogliarle del maligno, bisogna inocularle. Il reggimento costituzionale, da senno praticato, sarebbe la vaccina salutare; ma tanto è, le vecchie balie non ne vogliono sapere, e gli armano contro tutti gli errori per questa volta non popolari, ma signorili; intanto il male cova, e a tempo debito se non ucciderà il fanciullo, te lo lascerà concio, che Dio ve lo dica per me.

Le grandi Assemblee di rado trascendono ad enormezze, o, se pure irrompono in quelle, durano poco; e là dove per istituto si ragiona, se qualche volta la passione accieca, anche a tastoni, la via diritta smarrita io ho veduto ritrovare sempre; però i Rivoluzionarii di professione le Assemblee e i Poteri costituiti detestano, o se gli sopportano, vogliono ad ogni patto dominarli. I Rivoluzionarii in Francia avevano, a vero dire, seguito grande nell'Assemblea legislativa in virtù dei Deputati che per sedere sopra i più eccelsi scanni si chiamavano Montanari, e per la pressione delle conventicole; e nonostante questo, non pareva loro essere sicuri a bastanza, ove del tutto non la riducevano in servitù. Se l'Assemblea voleva vivere, doveva rassegnarsi, ed essere nelle costoro mani quasi un suggello, per legalizzare le immanità che si accingevano a commettere. Così, per siffatto disegno, la Comune accanto all'Assemblea a poco a poco diventò Governo; in seguito più che Governo. Nel Palazzo Municipale si radunarono i più violenti; di là spaventarono, quivi usurparono, là ordirono in segreto quanto in palese non avrebbero mai osato, non che fare, dire.

Qui fra noi mancava l'Assemblea. La eletta con l'antica legge elettorale, oltre all'essere stata disciolta per volere del Popolo, nè si sarebbe attentata di adunarsi, e se adunata, avrebbe fornito materia allo infuriare della moltitudine, che pure si voleva attutire. Ora io ho veduto che per placare il toro, non gli si agita mica davanti gli occhi la bandiera vermiglia che odia, e trema; ed è eziandio così da avvertirsi, come da evitarsi che le prime offese chiamino le seconde; imperciocchè la vittoria insuperbisca, e quello che ti riesce ottenere dalla paura, che poca o molta accompagna sempre la prima esperienza della forza, invano chiederai dopo la prova riuscita prosperosa per coloro che intendi reprimere. Però di questo a suo luogo più copiosamente. Intanto reggeva il Governo Provvisorio; per sua natura debole; sostenitore degli ufficiali governativi piuttosto, che sostenuto da quelli. A questo gli ufficiali tutti, a questo i cittadini, amorevoli o no, pongano mente, poichè all'Accusa non preme badarvi: che il Governo Provvisorio potè salvare uomini e cose, fondato appunto sul transitorio, che gli serviva di pretesto a non imprendere mutamenti; - uscendo nel definitivo per impeto di passioni rivoluzionarie, pensate un po' voi dove vi avrebbe balestrato cotesto turbine. La Fazione violenta riusciva a sforzarmi in molte cose, non in tutte, nè nella suprema in ispecie, presso cui le altre erano nulla: di qui l'agonia di volere ad ogni patto imposta la Repubblica a tumulto, e di qui, trovatomi oppositore e custode dei diritti dell'universo Popolo, il proponimento palese in molti, segreto in taluno, di sostituire al Governo Provvisorio un Governo che la desiderata Repubblica proclamasse.

In Francia la stampa della Opposizione, spaventata, tace; dei tipi e dei torchj si spoglia, e ai propagatori delle opinioni rivoluzionarie si donano: qui pure alla stampa, nemica della violenza, voleva imporsi silenzio.

In Francia i Rivoluzionarii intendono impadronirsi di quella facoltà, la quale mentre dura la tempesta degli sconvolgimenti politici non merita più essere chiamata Giustizia, e neppure diritto di punire, ma sì piuttosto potenza di mal fare, conciossiachè, ottimamente avverte il Thiers425, arrestare e perseguitare i supposti nemici formi per i Faziosi principalissima e ambitissima libidine. - Quale e quanta poi sia la tristizia e la rabbia delle persecuzioni politiche, non importa discorrere! - Donde nascesse la prima radice dei Tribunali rivoluzionarii di Francia, insieme con gli altri Storici lo dichiara Luigi Blanc: «La mollezza e la esitanza dei Poteri governativi da una parte, e dall'altra il sospetto e la paura fanno nascere la prima idea del Tribunale rivoluzionario. Dupont di Nemours fu che il propose; e per questo modo dalle mani di un Consigliere di Parlamento furono poste le basi del Tribunale rivoluzionario426

La Storia, non senza che le tremi nella destra lo stilo, registra nelle sue tavole, come a sbramare le rabbie della scapigliata licenza e del bilioso assolutismo non fecero mai difetto uomini tristi; i quali comecchè vestissero toga nè nome di Magistrati meritarono, nè Magistrati furono; come per vetro traverso a loro si vedeva il carnefice. E che cosa importarono quei luridi scartafacci curialeschi, martirio della ragione umana, e scuola di calunnia? Chi ingannarono? Dio forse, o la coscienza propria, o gli uomini? Ah! nessuno, nessuno ingannarono; avrebbero operato più presto e più lealmente, a prendere una pietra e mettersi ad affilare il taglio della mannaia. Deve essere profonda davvero la satanica voluttà di abbracciare il male, e dirgli: «Tu sei il mio bene!» se la vendetta umana spesso, e la divina sempre, il disprezzo presente, la esecrazione dei posteri, e le visioni della notte e i terrori del giorno, non bastarono a rattenere dal truce mestiere. Ahimè! Che importa che Fouquier-Tinville, giudice carnefice della tirannide libertina, muoia come Ciro nel sangue che ha versato? Che giova che Jefferies, giudice carnefice della tirannide regia, spiri ammaccato dai colpi come un lupo? La morte loro non richiamerà dal sepolcro l'illustre Bailly, la egregia Madama Roland, le pie Granut e Lady Lisle, e Cornish innocentissimo. Io non ardisco interrogarlo, - ma è ben profondo, ben soverchiante la ragione nostra, il consiglio - per cui vedemmo per le Storie la nequissima stirpe di cotesti due togati carnefici rinnovellarsi copiosa, mentre fu scarsa quella di Papiniano che osò guardare in volto Caracalla, e dirgli: «essere più facile commettere il fratricidio che scusarlo.»

E qui non pure tra noi si pretendeva che il Governo instituisse Tribunali rivoluzionarii; ma i Faziosi, già già diventati Governo da per sè stessi, siffatti Tribunali creavano, i loro Giudici carnefici eleggevano, uno esercito di mille cagnotti ad accompagnarli disegnavano. Il Governo Provvisorio queste infamie impediva, e, fingendo adempire egli alle sformate voglie della Fazione, mutava in comune salvezza quello che nelle mani altrui sarebbe stato esizio universale. Lo impugnate voi? Su, vengano innanzi le vedove che abbiamo fatto, escano fuori gli orfani per causa nostra, e ci pongano accusa. La pena più lunga, che fu applicata dal Romanelli, questo nuovo Carrier del contado aretino, non arriva al terzo della nostra carcere di custodia!

In Francia, a Parigi segnatamente, spaventavano le persone, solite a trovarsi in tutte le Capitali, per costume depravate, d'istinto feroci, per abitudine di trambusto fatte convulse, perpetuamente oscillanti fra lo ergastolo e la taverna; tanto più rese terribili adesso, che sciagurati predicatori le ammaestravano a colorire le inique passioni con la politica. - Fra noi terribili erano gli scherani nostri, e non pochi, ma non sì, che, come in numero, in ferocia non venissero superati da quelli che ci mandava la vicina Romagna, cui pure adesso con molta fatica contiene grossa mano di armati, vigilanti ai confini.

Vedete in Francia uomini improvidi del domani, non aborrire accendere oggi uno incendio, che non sapranno più spegnere, e dal quale eglino stessi rimarranno a posta loro distrutti; e Cammillo Desmoulins, stracciando lo ingegno bellissimo, gittarne i brani al Popolo feroce, per vie più inferocirlo. «Abbiamo uno esercito, egli diceva, latente sì, ma ordinato e in procinto. Nè causa al mondo fu della nostra più sacra per combattere; nè premio maggiore destinato alla vittoria. Quarantamila palazzi, case, castelli, due quinti delle terre di Francia, ecco il bottino di guerra. Chi presumeva conquistare sarà conquistato, chi vincere vinto. Il Popolo andrà mondato dagli stranieri, e dai mali cittadini; e tutti quelli che il bene proprio al bene comune preferiscono, saranno sterminati.»

E qui tra noi si urlava: «I danari si piglino dove si trovano, le Chiese dei sacri arredi si saccheggino, a viva forza i signori si spoglino, e le spoglie si dividano fra il Popolo, caparra e saggio di più abbondante raccolta.» E' furono giorni pieni di pericolo cotesti; e chiunque comprende quanto efficace maestro sia il bisogno, e quanto la cupidigia docile scolara, ne andrà persuaso di leggieri. I miei Colleghi furono stretti a mettere una Legge nel 22 febbraio, con la quale fu ordinato ai benestanti ripatriassero; dove no, sarebbero multati: ma nessuno fu multato, e vagarono quanto seppero e vollero; - testimone Don Tommaso Corsini. Questi eccitamenti non avendo trovato in Francia nel Governo quei supremi contrasti che in Firenze trovarono, bensì plauso ed istigazioni, ecco in breve spazio di tempo in quali fatali rovine fu visto precipitare quel nobilissimo Stato. - Parte di Popolo ardeva i castelli, ne decapitava i padroni; le mozze teste fitte sopra le picche, trionfo infame, portava in processione per le strade; dai braccioli di ferro dei lampioni pendevano cittadini impiccati; e l'altra parte del Popolo plaudiva e urlava; qualche volta ancora, tratto argomento di arguzia dalla nefanda tragedia, rideva. Desmoulins, furente di rabbia rivoluzionaria, assumeva il titolo di Procuratore Generale del Lampione.

Oppressione antica nel reame di Francia, governativi errori, insolenze patrizie e abusi universali, di lunga mano apparecchiarono il bisogno di riforme; peregrini intelletti somministrarono argomenti e favella al gemere lungo del Popolo; forse il Principe cedeva, ma i Privilegiati non vollero, meno teneri della Monarchia che di sè stessi, ed invidiosi che questa, sviluppandosi da loro, senza loro durasse. Tutto lo edifizio monarchico e feudale doveva salvarsi o perire, e ciò parve amore, e veramente fu astio; ma così amano sempre i Partiti: - próstrati a terra, e adorami; io ti darò i regni della terra. - Satani sempre, e a tutti; anche a Gesù! - Di qui ebbero origine, da un canto, le trappolerie, gl'inganni, e le slealtà, poi le mene segrete, al fine le scoperte opposizioni; e dall'altro, rancori, rabbie, pretensioni quotidianamente crescenti, e il subentrare continuo dello impeto della passione ai nobili discorsi del pensiero; poi, aumentando lo scambievole odio, si venne alle ingiurie; il trapasso all'offesa fu breve; quegli ebbero ricorso alle forze ordinate del dispotismo, questi alle forze scomposte dell'anarchia; i primi, se avessero vinto, avrebbero ucciso la Libertà stringendole il collo; i secondi, vincendo, la condussero a morte aprendole le vene. Il sospetto non chiuse più occhio, e la vigilia infiammò il sangue del Popolo; e siccome quanti più scalini scendiamo per la scala della ingiustizia, sempre più copiosi troviamo i motivi di offendere, al sospetto, alla miseria, alla cupidità, al furore ecco accompagnarsi la paura; fra i cattivi consiglieri, pessimo: - la paura, Ciclope acciecato, che di tutto teme, anche dei camposanti, però che il vento che zufola per le croci le metta spavento; onde impreca alle croci, e vorrebbe anch'esse sepolte. Pareva che ormai la ferocia degli uomini avesse toccato il fondo del suo inferno, e non era niente; l'ultima furia e la più truce di tutte dormiva sempre. Negli ultimi giorni di agosto 1792, si sparge la voce in Parigi, i Prussiani, espugnato Longwy, accostarsi a Verdun. Male davvero conosce la natura delle rivoluzioni chi pensa che siffatte novelle giovino ad abbattere gli animi esaltati; la rabbia vedemmo allora diventare delirio, e destarsi e stendere le braccia insanguinate la furia delle vendette. Il sospetto cerca le cospirazioni pronte a scoppiare, spesso le immagina, qualche volta le trova, la paura l'esagera, e nella propria sua ombra teme il sicario; la minaccia esterna inasprisce, facendo, per così dire, rientrare nella massa del sangue la infiammazione della cute, e un grido sussurrato di orecchio in orecchio a voce sommessa, come si costuma ai funerali, dice: «Siamo traditi, il pericolo delle armi sta lontano, e non è quello che ci stringa più urgente; il pericolo sta qui nei nemici che abbiamo in casa. I Generali alla frontiera badano ai Prussiani, noi qui dentro dobbiamo badare agli aristocratici cospiranti sempre contro la Libertà427. La causa della rivoluzione potrà salvarsi, se accorriamo tutti ai confini; ma lasciandoci dietro le nostre famiglie abbandonate, i nostri nemici le trucideranno; dunque è necessità mettere mano al sangue: forse la causa della rivoluzione soccomberà, dunque vendichiamoci anticipatamente della temuta disfatta sopra questi aborriti, che dispererebbero la nostra agonia con gl'insulti del trionfo; sia che vinciamo, sia che perdiamo, bisogna far sangue.»

Riandate col pensiero le citazioni allegate nelle pagine precedenti, anzi aggiungetevi anche questa: «Per combattere il nemico straniero bisogna non temere che il nemico interno c'insidii e ci minacci alle spalle. La Fazione, non c'inganniamo, è numerosa, e potente. La coscienza della causa dà il debito, e il diritto della vittoria: questo fa legittimo, e sacro ogni mezzo428;» e vedete se la mossa del Laugier partoriva in Firenze i medesimi furori. Lascio la decadenza del Principe gridata a furia; lascio la Repubblica proclamata per gittare, come dicevano, un fatto compíto davanti ai suoi nemici; non ricordo il bando di traditore posto addosso dalle turbe invelenite; ma, con ribrezzo, mi trovo costretto a rammentare la empia gioia della vicina strage, gli eccitamenti orribili a purgare con battesimo di sangue le strade della nostra città: e qui mi taccio, perchè nel ravvolgermi per queste memorie mi prende al cuore una tristezza infinita, che poco è più morte.

Confrontate il linguaggio, che qui si udiva, in Toscana, con quello, che costumavasi in Francia, e ditemi poi se i giorni del terrore vi paressero imminenti! «I motivi sono eglino puri? Il fine approfitta la Rivoluzione? Giova o no alla causa della libertà? - Ciò basta... Si deve parlare della Rivoluzione con rispetto, e dei provvedimenti rivoluzionarii co' riguardi che meritano. La Libertà è una vergine di cui è colpa sollevare il velo429.» Vedete se qui come in Francia proclamavasi la sentenza, ai Rivoluzionarii non pure spettare il diritto, ma incumbere il dovere di fare di ogni erba fascio per salvarsi: «empia massima e atroce, che somministra ai minacciati il diritto di combattere con armi pari, e distrugge lo Stato Sociale per surrogarvi la guerra430

Siffatti eccitamenti condussero in Francia le giornate del settembre. Che cosa pagherebbe mai la Francia per potere strappare coteste pagine dal volume della sua storia? Forse quelle che narrano dei gesti del Condé; e se non bastassero, ci aggiungerebbe le altre che parlano del Turena; e, se più si volesse, anche quelle di Napoleone; e finalmente quante altre mai favellano di gloria, purchè cotesto vituperio cessasse. Nè dovrebbe reputarsi troppo caro il riscatto, conciossiachè i Popoli s'infamino peggio pei fatti scellerati, che non si esaltino pei gloriosi.

Coloro che quelle immanità ordinarono non ne sentirono rimorso, almeno sul momento; all'opposto, le confessarono come provvidenza necessaria di Stato; e questo avviene quante volte, pervertito ogni senso morale, il cervello guasto dai sofismi pesa sul cuore come una lapide di sepolcro: quelli poi che l'eseguirono n'ebbero orrore; ed anche questo è ragione, perchè il Popolo traviato dalla passione chiude le orecchie alla voce della coscienza, ma per via di cavilli non sa strozzarla.

E avvertite, che non per ordine dell'Assemblea, ma in onta sua, fu commessa la strage. I violenti l'avevano soverchiata instituendo Governo fuori del Governo, per quei tempi onnipotente quanto feroce. La Francia spaventata imparò lo eccidio del settembre per via di questa Circolare spedita dal Comitato di Salute Pubblica col sigillo del Ministro della Giustizia:

«Prevenuto che torme di Barbari si avanzavano contro la Francia, la Comune di Parigi usa diligenza ad informare i fratelli di tutti i Compartimenti come una parte degl'iniqui cospiratori detenuti nelle prigioni è rimasta spenta per virtù del Popolo. Comparve necessario questo atto di giustizia» (e sempre giustizia rammentasi da coloro che meno vogliono e sanno adoperarla) «per contenere con la paura le legioni dei traditori chiuse dentro le mura, mentre stavamo in procinto di muovere contro il nemico; e il Comitato non dubita che il Popolo di Francia, dopo la serie dei tradimenti lunghissima la quale lo spinse su l'orlo dello abisso, si studierà imitare questo partito tanto vantaggioso quanto necessario, e dirà come il Parigino: - Noi correndo contro al nemico non lasceremo dietro a noi scellerati che scannino le nostre mogli ed i nostri figliuoli...!»

I posteri incolpano meritamente la memoria del Danton, come partecipe ed eccitatore di cotesti misfatti; ed è da credere che dove risolutamente vi si fosse opposto, forse gli sarebbe venuto fatto stornare tanta sciagura dalla Francia, tanta infamia dal suo capo; però che la voce del Magistrato sia autorevole a dissuadere le turbe da promiscue stragi, come da qualsivoglia altro atto di efferata barbarie, dalla quale per religione, per educazione e per naturale istinto esse repugnino: e bene ammonisce il signor De Barante nei frammenti citati, che il Danton, stimolando la plebe a insanguinarsi, non fece affatto prova di audacia, bensì di codardia, solita nei capi di parte, che, per mantenersi in favore dei proprii soldati, alle voglie loro, quantunque disordinate, sempre vilissimamente acconsentono.

E di vero il Danton invece di trattenere, ecco come spingeva la plebe: «Il dieci agosto ci ha divisi in Repubblicani e in Realisti: poco numerosi sono i primi, molto i secondi. In questa debolezza noi ci troviamo esposti a due fuochi; a quello dei nemici fuori, e all'altro dei realisti dentro,» e concludeva col truce attraversare della mano su la gola, e colle più truci parole: «Bisogna atterrire i realisti431

Così procedono i fomentatori della Rivoluzione, e non la trattengono, nè il proprio corpo in mezzo alla strada attraversano, affinchè il carro sanguinoso si arresti.

La sentenza gravissima del signor De Barante, da noi riportata poco anzi, ci porge occasione, confrontandola con certe parole dell'Accusa, a dimostrarne la manifesta stupidità. Costretta l'Accusa a confessare con amarezza inestimabile com'io mi fossi valoroso oppositore delle più accese voglie della Demagogia, subito dopo, per cancellarne il merito, aggiunge che questo feci per conservare nelle mie mani il male acquistato potere.

Innanzi tratto la mia autorità, per sua natura transitoria, non poteva prorogarsi che per ispazio brevissimo di tempo, sia che l'Assemblea deliberasse la Repubblica, sia piuttosto che il Principato costituzionale restituisse; nel primo caso, è da credersi che non avrebbero scelto a governare la Repubblica, tale che accusavano averla contrariata; nel secondo, di questa pasta non si fanno Principi, e penso che non ci bisogni dimostrazione. Ancora: non qui in Toscana, ma a Roma, il Potere Esecutivo e i Ministri sarebbersi dovuti eleggere; onde se in me fosse stata vaghezza di durare al governo con la Repubblica, e commettermi alle sue fortune, insensata opera faceva travagliandomi ad avversarla in Toscana: lasciato quaggiù, come suol dirsi, sacco e radicchio, avrei dovuto prendere le mosse verso Roma, dove supremo seggio, più volte, mi avevano offerto, e l'ho provato altrove. - Per durare al potere, in virtù del beneplacito della moltitudine, signora assoluta delle cose, nuova arte c'insegna l'Accusa. - La Storia ci mostra come i vogliosi di dominare abbiano sempre piaggiato, non contrastato il Popolo; ma che cosa cale all'Accusa di Storia? Ella sa di dire sempre bene. Anche Cromvello e Napoleone, che furono così assoluti e si sentivano gagliardi su le armi, si gratificarono i Popoli con ogni maniera di lusingheria. Perpetuo aborrimento loro erano i corpi deliberativi; sicchè quando vollero dominare signori, Cromvello nell'aprile del 1653, invaso il Parlamento co' suoi soldati, ne cacciava a vituperio i Deputati, e chiusa la sala se ne ripose la chiave in tasca, ordinando che vi appiccassero un cartello che dicesse: «Stanze da appigionare432.» Buonaparte, nel novembre del 1799, faceva saltare, a San Clodio, dalle finestre i Membri del Consiglio dei Cinquecento433. Io convocai l'Assemblea Costituente toscana, perchè delle sorti toscane statuisse nello spazio di tempo che mi fu dato più breve.

Adesso come, - esclamerà l'Accusa levando le mani al cielo, - con paziente animo può sopportarsi in bocca di questo bagnato e cimato prevenuto sì superbo vanto! Possono eglino questi agnelli toscani paragonarsi co' lupi parigini del 1792? Dove il coraggio, dove le mani sariensi trovate per far sangue? A diversis non fit illatio. Abbassa le mani, Accusa, e ascolta: già non sono io che queste cose penso essere state possibilissime qui; ma tu, che descrivi la Fazione con tali orribili colori, che se fosse stata composta di tanti diavoli scatenati dallo Inferno, non avresti saputo e forse nè anche voluto fare peggio.

Ma io metto, che fosse mansueta quanto una vergine, eppure anche di questa il buon Parini filosoficamente poetando insegnò:

 

«Ahi da lontana origine

Che occultamente noce

Anco la molle vergine

Può divenir feroce...»

 

Oppure tu pretendi, o Accusa, la Fazione pusillanime e codarda? E per questo appunto la si doveva temere spietata. La virtù, che si esercita gagliardamente contro la resistenza, si arresta dinanzi al nemico supplichevole di mercede: ma la pusillanimità, per vantarsi, che anch'essa fu della festa, non potendo mostrarsi nella prima opera, si prende per sua parte la seconda, che è di sangue, e di strage. I macelli dopo le vittorie ordinariamente commettonsi dai bagaglioni, e dai saccardi, e la cagione delle immanità inaudite, per le quali le guerre civili diventano infami, consiste appunto in questo, che la plebe imbelle gavazza nel tuffare le braccia fino ai gomiti nel sangue e nel cincischiare un cadavere steso ai suoi piedi, sentendosi affatto di prodezza incapace:

 

Et lupus, et turpes instant morientibus ursi,

Et quæcumque minor nobilitate fera est.

 

Narrano le Storie che Alessandro crudelissimo tiranno di Fere, mentre si deliziava a ordinare i veri strazii di tante infelici vittime, non poteva soffrire i finti di Andromaca e di Ecuba rappresentati sopra i teatri. L'Imperatore Maurizio essendo avvertito in sogno e per altri prognostici, che un Foca soldato in allora sconosciuto lo avrebbe messo a morte, interrogò il suo cognato Filippico intorno ai costumi, alla indole, e alle azioni dell'uomo, ed intendendo com'ei si fosse pauroso e codardo, ne concluse subito, ch'egli doveva essere ancora omicida e crudele434.

Leggi, Accusa, il grave De Barante, e t'insegnerà come anche in Francia la sete del sangue a poco a poco si sparse, e a poco a poco crebbe; saprai che nello esordio della strage dei prigioni della Badía gli ammazzatori se giungevano ai cinquanta non li passavano; vedrai come alieni molti di costoro da così immani delitti, al cessare del delirio che gli aveva invasi, presi da malinconia, agitati da visioni notturne, diventassero matti; udrai come uno armaiolo, detenuto nel carcere della Conciergerie, al quale i sicarii fecero patto salvargli la vita se gli aiutava a scannare, accettasse, ma, dato il primo colpo, gittasse via il ferro micidiale, e gridato con quanta voce aveva in gola: «Uccidetemi; io eleggo essere piuttosto vittima che carnefice!» cadesse trafitto martire della sua umanità435; e se ne avrai voglia, apprenderai «come dato una volta il segno, e prevalsa la idea che bisogna sacrificare vite per la salute dello Stato, tutto si disponga a questo atroce fine con incredibile agevolezza. Ognuno opera senza repugnanza, e senza rimorso; la gente vi si abitua nel modo stesso che il magistrato a condannare, il chirurgo a vedere gl'infermi patire sotto i suoi arnesi, il generale a spingere ventimila uomini alla morte. Viene composto un fiero linguaggio corrispondente alle opere; e perfino si trovano motteggi e lepidezze per esprimere idee di sangue. Ciascuno corre strascinato, intronato dal moto universale; e furono visti uomini, i quali nel giorno innanzi si occupavano pacifici di arti o di commercio, trattenersi con la medesima facilità di distruzione e di morte436.» Sicchè per queste e per altre notizie, tu, se ne avrai talento, potrai, o Accusa, conoscere come un Popolo lieto, giocondo, amabile, ai sensi di carità di leggieri inchinevole, religioso così che mediamente ebbe nome di cristianissimo, mutato, in breve giro di tempo, genio e costume, vincesse d'immanità assai le più feroci belve, e rinnegasse non solo i riti religiosi, non solo lo Dio dei suoi Padri, ma tutto Dio, e facendo l'anima morta col corpo, operasse da bruto. Veramente ogni Popolo presenta una sua speciale fisonomia; però andrebbe errato di molto colui che presumesse in queste nostre parti occidentali tanto un Popolo dall'altro diverso che, sottoposti entrambi al medesimo impulso, uno dall'altro, agendo, differisse; questo starebbe contro il naturale ordine delle cose e contro la esperienza quotidiana. Nelle medesime condizioni di civiltà tanto più si livellano i pensieri, gli appetiti e gl'impeti, che anche in condizioni differenti gli abbiamo veduti procedere a un di presso uguali. Così, a modo di esempio, nella peste di Milano del 1630 il Popolo ebbe fede alla presenza degli untori, e furono processati e morti, imperciocchè quale infamia, qual tirannide e quale errore patirono penuria di Giudici per sentenziare, di Carnefici per giustiziare? E nella moría del Cholera chi di noi non rammenta avere udito gente, e non mica di piccola levatura, bensì di ordinario discorso dotata, affermare che uomini perversi, toccando con arnesi imbrattati, il mortale morbo trasfondevano? - E mentre questi successi accadevano sotto i miei occhi a Livorno, non leggevamo di cittadini dabbene precipitati dalla credula plebe parigina nei pozzi, perchè temuti manipolatori di veleni cholerici?

Qui, come in Francia, sconfortate le moltitudini e indifferenti, e ce lo racconta la stessa Accusa437; qui la forza pubblica inerte; qui sciolti i vincoli politici, rilassati i religiosi; qui insomma poteva a buon diritto ripetersi quello che Garat Ministro dello Interno diceva all'Assemblea: «Enormezze incomportabili in Parigi quotidianamente commettonsi, e temesi peggio. La forza pubblica rimane spettatrice inoperosa, e si scusa adducendo difetto di ordini: intanto, prima che gli ordini arrivino, i perversi ragunano il Popolo, lo infiammano, lo strascinano, e il male cresce irrimediabile.»

No, - senza supremo di Dio benefizio, a cui prima dobbiamo grazie infinite, e l'opera di me, fatto segno di vituperevole guerra, Toscana piangerebbe adesso giorni funesti quanto quelli che nel 1792 successero in Francia438. Questa è la mia gloria, e nessuno me la può tôrre. Se in secolo meno tristo io fossi nato, se fra gente più generosa vivessi, tradotto innanzi al Tribunale avrei detto: «in questo giorno, e in questa ora le furie rivoluzionarie invadevano la Patria nostra, traendo seco i mali, che fanno piangere un secolo. Dio aiutando, a me fu dato salvare la Patria. Popolo e Giudici, che facciamo noi qui? Andiamo in Chiesa a rendere grazie a Dio pel ricevuto benefizio.»

Queste sono reminiscenze pagane; oggi i cristiani più civili farebbero condurre Cicerone alle Murate, a starsi in compagnia con Cetego e con Lentulo.

 

 

§ 3. Stato in che mi trovo ridotto nei giorni 18, 19, 20.

 

Vedevo imminente formarsi la tempesta, e attendendo fra tanto pericolo a preservarne lo Stato, il quale era da temersi che ne andasse sommerso, pensai in primo luogo occupare le menti col rumore dello apparecchio delle armi, poi nel negozio delle elezioni. Consideravo così tra me, che scemando i motivi dello ardore, e frastagliandolo in tanti scopi diversi, poteva sperarsi che quel fattizio impeto per la Repubblica quietasse. In simile intento nel giorno 17 febbraio, con data del 16, era bandito questo Proclama, e col Proclama provvedimenti relativi allo scopo del Proclama consentivo, e ordinavo.

«Toscani!

La nostra bella contrada si disfà, se quanti hanno cuore italiano non sorgono animosi a salvarla.

Bande di facinorosi col pretesto della fuga di Leopoldo II, ed anche senza pretesto irrompono al saccheggio e allo incendio. Il Governo ha represso gli scellerati, e saranno puniti.

Alcuni soldati figli di questa terra a noi dilettissima, abbandonavano le bandiere, e con sacrilegio maggiore disertavano i confini alla fede del sacramento loro affidati. Una cosa sola conforta l'animo travaglialo, ed è questa, che i più, pentiti, sono ritornati. Possa in breve un battesimo di fuoco reintegrarli nella pienezza dell'onore, che non doveva mai rimanere offeso.

Ora corre il momento solenne. Momento di eterna infamia o di eterno onore. Non sapremo noi spargere altro che lamenti codardi, e lacrime vane? Vorremo noi offrire di nuovo lo spettacolo allo straniero di una emigrazione troppo spesso derisa?

No, i mali sono grandi, ma non minori alla costanza del buon Cittadino. Non è mai lecito disperare della salute della Patria.

Coraggio! La Legge intorno ai Volontarii fu pubblicata; breve lo ingaggio, di un anno e un giorno; la ricompensa giusta, l'onore grandissimo.

Non più parole, ma fatti. Se trentamila Toscani volontarii non corrono alle armi, chi è quaggiù che ardirà parlare di Libertà? Se il Popolo sarà pari alle sue promesse, il Governo non mancherà al suo dovere.

Egli saprà vincere l'anarchia interna, egli si difenderà aggredito dalle invasioni straniere: farà quanto Dio e la coscienza gli impongono.

Rammentinsi i tepidi e gl'infingardi e gl'inerti, che a tale siamo noi che restare è peggiore che andare, e che il partito più fecondo di mali sta nel non far nulla.

Voi vi ritirate nelle vostre case, sciagurati! Chi ve le salverà dallo incendio? Voi nascondete il vostro denaro e lo negate alla voce della Patria! Chi vi difenderà se lo avrete a dare sotto al bastone croato? Voi pervertite il cuore dei campagnuoli e li dissuadete dalla guerra! Chi preserverà i colti dalle scorrerie dei cavalli nemici?

Non ci credete? Guardate la Lombardia, e vedrete se questa è verità.

Firenze, li 16 febbraio 1849.»

Mirava ad attirare le menti commosse verso l'elezioni la Circolare ai Prefetti, pubblicata nello stesso giorno 17 febbraio.

«Circolare del Governo Provvisorio Toscano ai Gonfalonieri.

Signor Gonfaloniere.

Il primo pensiero del Governo Provvisorio, appena si trovò chiamato ad assumere in momenti così supremi le redini dello Stato, fu quello di circondarsi di un'Assemblea Nazionale, onde la volontà del Popolo avesse tutto il suo peso nel Governo del Paese.

Così fosse stato nell'umana potenza, come era nel desiderio dei Cittadini che governano, improvvisare all'istante un'Assemblea Nazionale! Ma volendo far tutto che era umanamente possibile per affrettarne la convocazione, fu dettato un Regolamento nel quale, piuttosto che a giorni, ad ore, vennero misurate le operazioni elettorali.

Infatti per la preparazione, formazione, correzione e pubblicazione delle liste, fu imposta una sollecitudine per la quale si richiede tanta alacrità nei Parrochi e nelle Autorità Municipali, che solo la gravità dei tempi fa sperare secondata da tutti. Le ulteriori operazioni fino alla convocazione delle Assemblee Elettorali, e le successive, fino alla proclamazione dei Deputati di che parla l'Articolo 39 del Regolamento de' 13 corrente, sono così compendiate nel tempo che il Governo le ordinò, non senza tema che fossero giudicate impraticabili. Non si ebbe riguardo a sacrificare il ricorso, che in tempi ordinarii non avrebbe potuto negarsi, contro le risoluzioni dei Prefetti in domande di rettificazione di liste; e per le trasmissioni di carte da luogo a luogo, si fece conto che le Autorità interessate non avrebbero profittato dei modi di ordinaria corrispondenza comunque spedita, ma avrebbero, come debbono usare, mezzi al tutto straordinarii di più celere comunicazione.

Signor Gonfaloniere! all'Autorità Comunale, a Voi, è specialmente affidata l'esecuzione del Decreto Elettorale: da Voi specialmente dipende che il 15 marzo tutti gli Eletti del Popolo sieno in solenne convegno attorno al Governo Provvisorio. Gli indugi toscani non sieno più che una memoria. Pensate che il Paese vi guarda ed attende. Studiate in precedenza tutto il meccanismo del Regolamento, onde non vi sorprenda dubbio nel momento dell'azione: e quando sentiate bisogno di alcuna dilucidazione, chiedetene per tempo ai Prefetti, a Noi.

Le operazioni elettorali sono una catena. Se un anello non corrisponde, la macchina si ferma. E la macchina deve andare a ogni costo.

Li 16 febbraio 1849.»

Sembra che il sospetto di trovarsi prevenuti, consigliasse i Congiurati ad anticipare, non aspettando che da tutti i paesi, come avevano disegnato, giungessero genti a Firenze. Verso le ore sei pomeridiane del 17 febbraio, ecco arrivarmi da Livorno questo Dispaccio.

«Pigli a Guerrazzi.

Poco fa ha avuto luogo una dimostrazione numerosissima con cartelli e bandiere, per chiedere la pronta Unione con Roma. Sono stato costretto a parlare. Ho promesso informare il Governo senza promettere niente; mi sono limitato a lodare la Repubblica Romana. Credo sapere che domani si porteranno costà Deputazioni di tutti i Circoli, per chiedere quanto sopra439

Accorto da qual parte spirava il vento, e avendo oggimai conosciuto, che del Governatore non mi poteva fidare, spedisco senza mettere tempo fra mezzo il mio familiare Roberto Ulacco, e credo averlo fatto accompagnare da Emilio Torelli con lettere urgentissime pel signor Dottore Antonio Mangini, persona a me aderente, e preposta ai miei negozii in Livorno; con queste lettere gli commetteva, che col Gonfaloniere si accontasse, e palesatogli il mio concetto, facessero opera insieme presso gli amici, affinchè il disegno dei partigiani della Repubblica non avesse seguito. Spediti i messaggeri, per mezzo del telegrafo ammoniva il Gonfaloniere in questa sentenza:

«Il Presidente del Governo Provvisorio al Gonfaloniere di Livorno.

Il Dottore Mangini a questa ora deve avere una nota del concetto del Governo. Dovrebbe fare un Proclama. Se non lo ha fatto, sollecitalo. La condizione nostra è piena di pericolo. Il Paese sta sopra un filo di rasoio. Quello che importa, è, che corrano alle armi. L'anno e un giorno è una formula; assicura che lo ingaggio sarà per un anno fisso. Qua abbiamo mille Volontarii, - domani speransi duemila. Livorno sarà minore di Firenze. Vergogna, vergogna.

«Febbraio 17, ore 10, min. 20 pom.440»

Questo pericolo nostro, o piuttosto mio, consisteva nel presagio d'impotenza a resistere allo sforzo repubblicano; l'oscillazione del Paese sul filo del rasoio riguardava la quasi sicurezza, che, attesa la inerzia dei più, sarebbe stato stravolto dalla Fazione audacissima. Consultato adesso da me il signore Mangini intorno ai fatti di cui fu parte, risponde nella guisa che sarà esposta fra poco. Importa intanto considerare, come, dalle carte raccolte nel Volume dell'Accusa resultando la notizia data al signor Dottore Mangini del mio concetto intorno ai successi del tempo, il suo possesso di una mia nota per compilarvi sopra un Proclama, e la raccomandata conferenza in proposito col signor Gonfaloniere di Livorno, nè l'uno nè l'altro sia stato su questo punto ricercato; però se importava considerarlo, non deve recare maraviglia alcuna, dopo averlo considerato. L'Accusa, che nel suo ufficio ravvisa un duello da combattere, s'ingegna con tutte le arti a facilitarsi e ad assicurarsi la vittoria.

La gran bontà dei cavalieri antiqui stava bene appunto fra i cavalieri antiqui; gli Accusatori di siffatte cortesie non sanno o non curano; e' vogliono sgarire ad ogni modo; e a questo scopo intendendo essi, quanto offende raccolgono, da quanto difende aborriscono.

Non racconto novelle, ma cose che io stesso vidi. Fu già un uomo di cervello balzano, a cui venne in testa di fare raccolta di cornici; empito che n'ebbe un magazzino, cangiata voglia, si dette a comprare quadri e ad accomodarli dentro di quelle. Ora accadeva sovente che i quadri non capissero nelle cornici, di che il buono uomo punto si turbava, ma tagliato quel tanto che sopravanzava ce li faceva entrare di santa ragione. Così tagliò fin quasi ai ginocchi un quadro giudicato di Rubens, che rappresentava il caso della coppa di Giuseppe rinvenuta nel sacco di Beniamino, il quale, rimasto nella mia Patria, rende perpetua testimonianza della barbarie dell'uomo. L'Accusa, non so se abbia comprata da altri, o se abbia fabbricata con le sue mani una cornice; fatto sta, che ha preso testimonianze e documenti, e ce gli ha provati; quei, che a parere suo c'incastravano, ella ve gli aggiustò con amore; a quelli che non v'incastravano ha tagliato inesorabilmente le gambe ribelli.

Ecco come scrive il Dottore Antonio Mangini: «Nel giorno successivo all'Adunanza del 16 febbraio, per mezzo di Roberto Ulacco, da lei specialmente ed appositamente inviato, ricevei una lettera urgentissima, nella quale accludendomi un lungo scritto tendente a dimostrare la inopportunità della Unione con Roma, e della proclamazione della Repubblica, mi commetteva lo pubblicassi a modo di Proclama, e per tal modo ne rendessi convinti i Circoli, e il Popolo di Livorno. Comunicai questo scritto al Dottore Mugnaini, a cui restò. Questo Proclama era intempestivo, perchè veniva dietro la deliberazione presa. Non ostante questo, il Dottore Mugnaini voleva servirsene nel miglior modo possibile. Immantinente conferii col Gonfaloniere Fabbri, il quale conobbe essere impossibile arrestare la opinione prevalente. Nulladimeno, mi promise intervenire la sera al Circolo, dove dovevano essere eletti i Membri componenti la Deputazione del Circolo Politico, che doveva partire per Firenze la domenica mattina successiva. Infatti il Fabbri intervenne al Circolo, ma indarno: non prese parola, perchè non vi fu discussione, essendo partito già preso; e indarno il Dottore Mugnaini volle opporsi, e con esso altri pochi. La domenica a Firenze avvenne quello che a tutti è noto. Interpellato oggi il Dottore Mugnaini per lettera, ha convenuto essere rimasto a lui quel Proclama, ma dichiara non averlo più trovato, e probabilmente essersi perduto fra moltissimi altri suoi fogli. Questi sono i fatti di cui sicuramente mi ricordo.»

Mentre ingrossano senza riparo le turbe nella Capitale per proclamare la Repubblica, e mentre qui stanno tali, di cui Europa armata anche adesso paventa, per condurle, ecco cadere, non come favilla no, ma come folgore sopra le polveri incendevoli, la notizia: il Generale De Laugier essersi dichiarato contro al Governo Provvisorio; abbandonata la custodia delle frontiere, muovere contro la Capitale; avere sostenuto il Delegato Regio Conte Staffetti; minacciare fucilazioni e stato di assedio; percorrere le vie con sembianti terribili, e finalmente avere pubblicato il seguente Proclama:

«Toscani!

Il nostro amato Sovrano Costituzionale Leopoldo Secondo si degna avvertirmi:

I. Non avere mai abbandonato la Toscana, perchè rimasto sempre in questi pochi giorni a Santo Stefano con Guardie d'onore inglesi.

II. Nell'allontanarsi da Siena aver nominato un Governo Provvisorio.

III. Aver proibito alle Truppe di sciogliersi dal Giuramento.

IV. Essere Egli sempre l'ardente amatore della Libertà e dell'Indipendenza Italiana.

V. Ordinarmi quindi richiamar tutti alla fedeltà e al dovere, ripristinare l'ordine e la quiete.

Le Truppe Piemontesi, in numero di 20,000 uomini, passare adesso le frontiere per sostenerlo.

VI. Essere conservati i gradi nella Milizia stanziale.

VII. Perdono ed oblio per tutti, meno per quelli, che dopo questo Proclama tentassero di fare spargere una sol goccia di sangue cittadino.

In Massa, li 17 febbraio 1849.

Viva Leopoldo II Principe Costituzionale.

Viva la Libertà.

Viva la Indipendenza Italiana.

Il Generale - De Laugier.»

 

Altre voci succedono mescolate, siccome avviene, di vero e di falso, esagerate dalla fama, dalla rabbia e dalla paura: il Generale levare di Lunigiana artiglierie e milizie; abbandonare la frontiera indifesa alle invasioni nemiche; avere stracciato gli avvisi del Governo Provvisorio, posta Pietrasanta in istato di assedio441.

Concionatori su le piazze crescevano legna al fuoco; era da per tutto tremendo anelito e delirio furente; immensi urli gridavano traditore De Laugier, Repubblica, morte ai nemici del Popolo; i sospetti si arrestino, le porte chiudansi, le case si perquisiscano; se il Governo vuol fare queste cose lo soccorreranno, se si rifiuta lo metteranno in pezzi, e faranno da sè; e questo sarebbe il meglio, perchè ormai, e si era visto a prova, il Governo non sa camminare con passi rivoluzionarii, verso i nemici della Patria procede con indulgenza colpevole, tepido poi si mostra e incapace degli estremi partiti; e questi abbisognare adesso, e questi ad ogni modo volere. Più che mai ardenti e minacciosi tornavano ai rimproveri avventati contro me fino dai primi giorni di febbraio442.

In quel giorno i Settarii andavano insinuando malignamente parole mortali contro il Governo Provvisorio, o piuttosto contro di me: «già la calunnia investe i nomi rispettabili dei componenti il Governo Provvisorio; già i reazionisti esitanti fino all'ultimo momento a mostrarsi a visiera alzata, susurrano iniquamente gli uomini del Governo nostro temporeggiare per concerti fraudolenti col despota piemontese, insinuano volere essi conservare lo Stato allo austriaco Leopoldo, e, senza compromettere sè stessi, lasciare che il loro Partito si comprometta, e si perda443. Così fingevano compiangere i mali, che eglino stessi seminavano: lacrime di coccodrillo erano coteste. Ed in quel giorno G. B. Niccolini strillante come uccello del malo augurio, più spesso che mai avesse fatto, andava urlando dintorno: «Giù il Guerrazzi dalle finestre, e chiunque si oppone!» Incominciava per costui a diventare idea fissa quel mandarmi capovolto dai balconi del Palazzo; nonostante questa ed altre tali tenerezze, l'Accusa ritiene, che il Niccolini «continuò a godere, almeno per certo tempo, come in avanti, della confidenza e intimità dei Triumviri, non escluso il Guerrazzi

La fiumana, rotti gli argini, allaga; la Repubblica in mezzo a fremiti è bandita, il Principe si urla decaduto, chiamato a morte De Laugier, l'Albero... ma che parlo io di Albero? una foresta di Alberi sorge su per le piazze e pei crocicchi di Firenze; e non solo la Repubblica, la Decadenza del Granduca, la Unione immediata con Roma, e la morte del Generale De Laugier si urlano, ma si riducono in Plebisciti.

Dall'alto dei balconi del Palazzo Vecchio vedevamo quel mareggiare di teste in burrasca, e udivamo cotesto inferno di gridi, Sir Carlo Hamilton ed io; e lo interrogava dicendo: «Ora come potrò resistere? Ah! fui gittato come uno schiavo alle fiere.» Ed egli, fieramente turbato: «Cedete su tutto, ma salvate la vita e le sostanze dei cittadini.»

Quando il Popolo irruppe allagando camere e sale, ed io solo nel vano di una finestra (al salto periglioso eravamo vicini, e il caso di Baldaccio dell'Anguillara mi traversava la mente), con ragioni, con preghiere, con rimproveri, e finalmente con arguzia potei schermirmi da cotesti furiosi, dovevano venirmi a canto i Giudici. Allora avrebbero veduto e sentito se incitai i Popoli, o se con pertinace resistenza, che a Dio piacque benedire, li contenni. Allora avrebbero inteso quali fieri accenti scambiassi con Giuseppe Mazzini, che delle parole dette a Livorno non voleva più sapere, e la Repubblica pretendeva, e subito s'instituisse; i quali, comecchè pronunziati nello impeto della passione, non è bello nè onesto riferire. Se in quel giorno i Giudici e gli Accusatori che fin qui mi stettero schierati di contro fossero stati fra i difensori dell'ordine al fianco mio, il giorno 18 febbraio così si sarebbe loro scolpito nel cuore, che forse avrebbero sentito vergogna di affermare, che alla proclamazione della Repubblica mi opposi soltanto dopo la disfatta di Novara. Ma dei miei Giudici e dei miei Accusatori fin qui non fu istituto difendere, bensì offendere; e tutto il mondo, non dubitino, di ciò si è accorto da buona pezza di tempo. Però, se cotesti Giudici e cotesti Accusatori non vi erano, vi ero io, e vidi intorno a me, soldati dell'ordine, il Gonfaloniere Peruzzi, il Generale Zannetti e quello Adami che osarono processare, e Romanelli e Franchini che ardirono accusare, ed altri parecchi cittadini onoratissimi i quali con la vista e con la voce mi confortavano a durare cotesta lotta mortale.

L'Accusa, cui sembra poca cosa differire, può intanto conoscere che per essere state differite in quel giorno la decadenza del Principe e la proclamazione della Repubblica, nè allora nè poi furono atti compíti cotesti.

Sentiamo adesso come ha coraggio incolpare l'Accusa. Il Decreto del 10 giugno, e con poche varianti sul medesimo tema il Decreto del 7 gennaio, e l'Atto di Accusa del 29 gennaio 1851, sostengono, la Spedizione armata volta verso Lucca essere in gran parte composta della gente straniera, la quale allora infestava il Paese: guidandola io, avere incusso da per tutto paura d'incendio e di saccheggio alle campagne che la impresa del Laugier e la causa del Principe si fossero attentate a favorire: Laugier da me con Decreto messo fuori della Legge, e da me costretto a rifuggirsi, quasi solo, in Piemonte, abbandonato dalle sue milizie per opera nostra spaventate e corrotte.

A Cesare De Laugier mi legava amicizia antica; e veramente la meritava, come quello che dell'onore italiano si mostrò tenerissimo sempre. Di questo fanno fede le opere che, con lungo studio, dettò sopra i gesti degli Italiani in Ispagna e in Russia (dove i nostri soldati combatterono per le glorie di un Popolo, a cui, almeno per ora, non piacque porre la gratitudine nel novero delle virtù che gli fanno corona), e il desiderio di accendere dalle scene, scuola vecchia di vizio e di viltà, con drammi guerreschi la mente dei giovani alla milizia. Egli procurò rendere popolare in Toscana la storia dei fatti di arme pei quali suonò onorato il nome degli esuli italiani su le remote spiaggie di Montevideo; e primo scrisse erudimenti per la milizia cittadina, ahimè! staccata acerba dall'albero dove avrebbe maturato rigogliosa e salutare. Per queste e per altre cagioni erami caro Laugier: egli pertanto scrivendomi, con lodi che mi parvero troppe, intorno al Decreto del 9 febbraio sul giuramento delle milizie, ammoniva mal consiglio essere stato quello di sciogliere le milizie dal giuramento, però che, già troppo inferme, per lo sciogliersi anche di cotesto vincolo sarebbonsi per avventura sbandate; i soldati avere già balenato con pessimi segni, più tardi avrebbe saputo ridurli al fine commessogli; lasciassi fare a lui, che egli gli avrebbe col tempo ridotti. Così egli scriveva a me; quello che al Ministro della Guerra scrivesse, ignoro; questo chiariranno gli Archivii del Ministero. Io gli rispondeva dandogli ragione, ed esponendogli come il Decreto fosse stato impresso nel Monitore senza la mia firma, anzi contro il mio consenso. Potrei io invitare Cesare De Laugier, a nome della verità, di ritornarmi, almeno in copia certificata conforme, la mia lettera? Diligente conservatore delle sue carte io so il Generale, ed egli in parte la citò nella sua relazione da Sarzana: giustizia vuole si conosca intera.

Della improvvisa mossa del Generale De Laugier tanto maggiormente io mi ebbi a restare sorpreso, in quanto che nel giorno stesso in cui egli muoveva con le sue forze contro lo interno del Paese, nel 17 febbraio, mandava al Ministro della Guerra: «Tenere bene le frontiere guardate; dove occorresse, farebbe il suo dovere di soldato444

Ora questa amicizia con Cesare De Laugier mi tornava funesta; tale non gli fu, nè gli sarebbe mai stata la mia; i miei avversarii cominciarono a susurrare prima, e poi dire alla scoperta al Popolo febbricitante: «Ora vi siete chiariti? Non vel presagivamo noi? Sotto i governativi languori non covava la trama? Guerrazzi del traditore Laugier è amico antico; in ogni occasione tolse sempre le sue parti, così a Livorno come qui a Firenze, e sempre; seco lui tiene corrispondenza segreta; per certo di questa infamia egli era a parte, forse macchinata e condotta da lui. Quest'uomo non si mostrò propenso alla Repubblica mai; ed ora chi è che l'avversa? Forse non egli solo? Perchè, con quale intento le insorge egli contro? Chi non è con me, è contro me; e questo, io vo' che sappiate, ha detto tale che non può fallare. Che cosa significa questa tenerezza di conservare intatti i regii ostelli? Ha paura che noi li guastiamo? E di ciò a lui che ha da calere? Quali pensieri del Rosso sono questi suoi? Non sono eglino roba nostra? e se li guastiamo, dovrà egli risarcirli a sue spese? Inoltre, noi sappiamo, e ve ne abbiamo avvertito le mille volte, che il Guerrazzi se la intende di lunga mano col Ministro Gioberti per farci venire i Piemontesi in casa. Quel benedetto Montanelli, piuttosto che chiamare intorno a sè il Guerrazzi, faceva meglio a mettersi l'esca accesa negli orecchi. Ancora, udite, e questa è prova espressa contro la quale non ci è da ripetere; noi sappiamo il Guerrazzi avere mandato tutti i suoi bauli a Livorno, e con essi la famiglia, tranne il nipote e un familiare rimasto ammalato; ora che cosa significa fare bauli? - Significa che l'uomo si apparecchia a viaggiare: egli dunque tenta fuggire; egli fugge; egli è traditore.»

Deh! Non fate le meraviglie se il Popolo armeggiasse in siffatta guisa; per avventura abbaca con miglior senno o con più coscienza la gente che tira salario a posta per ragionare? Almeno il Popolo dice le sue sciocchezze gratis.

E badate, queste voci, comecchè triste, pure avevano in sè qualche fondamento di vero, consistendo appunto la calunnia nell'arte di mescere il vero col falso. Vera la relazione antica col De Laugier; vero il mio pronto sostenerlo in parecchie occasioni tanto in Livorno che in Firenze; a Livorno, in ispecie, quando nelle feste del settembre 1847 la milizia uscì fuori armata, mentre, per quanto si asseriva, egli aveva promesso mandarla fuori senz'armi, e non era vero; a Firenze, quando mi mandò un suo segretario affinchè mi adoperassi a fare approvare la sua condotta al Consiglio Generale, la quale venne amplissimamente approvata; vero lo invio delle valigie e di tutta la famiglia a Livorno, tranne il nipote che meco venne a Massa; vero che, temendo prossimi i tempi, dai quali la mia anima rifugge, avrei preferito morire nel tentativo di fuga, che vivere in terra insanguinata445. Stampavasi in Piemonte, e pubblicamente dicevasi, avere io domandato lo intervento delle milizie piemontesi a Vincenzo Gioberti; ed era vero all'opposto avergli scritto, a mediazione dell'amico Pasquale Berghini, lettere ortatorie onde nol consentisse: nonostante per siffatto modo si dilatò la voce, che io ebbi a smentirla nel Monitore del 13 marzo 1849: «Brevi parole e schiette. Da Torino mi giungono notizie che il signor Vincenzo Gioberti va susurrando avere io domandato lo intervento piemontese. Dove ciò fosse vero, dovrei dichiarare il signor Gioberti mentitore, e gli raccomanderei a rammentarsi che gli uomini pubblici devono cadere con dignità. Però, in questi tempi copiosi di vani romori, spero che le notizie pervenutemi ritengano appunto siffatta natura. Nonostante giovi ad ogni buon fine questa mia dichiarazione,»

Nel Messaggere Torinese del 14 marzo si leggeva: «Vediamo con piacere le imprecazioni (del Gioberti contro di me), perchè i nuovi fautori del Gioberti si affannavano in Piemonte a sparger voce che il toscano intervento fosse concertato col Guerrazzi, voce che, per quanto combattuta dagli amici del prigioniero di Portoferraio, andava acquistandosi qualche credito.»

Nè già si creda che fossero nuove queste notizie; al contrario, esse avevano incominciato a circolare fino dal novembre 1848, come occorre nel N° 30 novembre del Monitore: «Nel Corriere Mercantile del 28, sotto la rubrica di Genova 27 novembre, si legge, che in quella mattina partirono sul Vapore San Giorgio 350 soldati delle riserve piemontesi chiamati in Toscana, a quanto si dice, dal Ministro Guerrazzi.»

E fu smentito; ma la calunnia è un'acqua torba, che, per chiarire che si faccia, lascia sempre la posatura in fondo; almeno così insegna Don Basilio, nell'arte del calunniare professore solenne.

Alla fine il Popolo sconvolto si avventò con le sue ondate contro i gradini del Palazzo Vecchio, fremendo ed urlando: «Il Guerrazzi fugge - è fuggito - è traditore.»

Hanno mai provato i miei Giudici il Popolo quando viene in siffatto arnese a visitarvi a casa? - Se lo avessero provato, se anche veduto, o se almeno fattoselo raccontare, io quasi quasi mi persuado che non avrebbero scritto la coazione poca, o nulla, o esclusa dai primi atti co' quali, e ne' quali, ec., come in altra parte fu detto.

E gli urli mi percossero nella mia stanza, dove stavo di corpo infermo, e della mente peggio, però che quel contendere ogni momento la fama e la vita, è tale martirio che logora viscere di bronzo. Qui non vi era tempo da perdere. Se il Popolo tornava imperversando nell'ostello già violato, mi lacerava di certo; risolvei, per subita ispirazione, andare contro lui. Presi (nè so bene il perchè, non potendo l'uomo negl'improvvisi moti dell'animo rendere ragione a sè stesso dell'operato) uno squadrone, e correndo giù per le scale mi presentai al Popolo dicendo: «Chi è che mi accusa di tradimento? Io non fuggo, chi ha cuore mi seguiti446

Il Popolo brontolando si acquietò alquanto; ed ecco come mi trovai sospinto a partire per Lucca. Così i Francesi sospetti, nella prima Rivoluzione, riparavano al campo per sottrarre il capo alle parigine stragi.

E avvertite che appena uscito da Firenze, o sia che per le relazioni dello Inquisitore, che mi avevano messo al fianco, della mia fede dubitassero, o sia che per sospetto spontaneo le consuete ubbie riassumessero; fatto sta, che allo improvviso mi giunse dietro per staffetta il richiamo: al quale, non senza sdegno, rispondendo io per via telegrafica da Lucca il 22 febbraio 1849 diceva: «Non posso partire di qua senza vergogna, e senza che mi si dicano le ragioni della chiamata447.» L'Accusa fra i suoi Documenti riporta un conto dell'oste Bordò pel Niccolini, e da cotesto conto appunto si conosce ch'egli meco non venisse, nè io meco lo conducessi, imperciocchè se fosse stato del mio seguito nei miei quartieri e non altrove avrebbe albergato, alla mia mensa, e non a quella dell'oste, seduto448. L'Accusa, inoltre, cita ricavandone motivo a mio danno l'espressioni contenute nel Dispaccio spedito da Massa il 23 febbraio 1849, le quali dichiarano: «Ho servito fedelmente, e lo dico con franchezza, il Principe Costituzionale: servirò con uguale fedeltà il Popolo, non ne dubitate449.» Queste parole testimoniano aperto com'io venuto in sospetto m'ingegnassi inspirare la fede che meritavo; come ai miei stessi Colleghi, che di me, non pur gli atti, i pensieri conoscevano, la mia devozione religiosa agli interessi del Principato Costituzionale contestassi, e finalmente, e di ciò mi onoro, che con zelo e sagrifizio pari mi sarei, siccome invero mi sono, consacrato agl'interessi del Popolo, per liberarlo a un punto dagli scellerati furori degli anarchici, e dei reazionarii.

Ma i Giudici appongono: tutto questo è nulla; il Guerrazzi aveva detto non avere paura, dunque non la doveva avere, e poteva resistere al Popolo in tutto e per tutto.... A simili opposizioni, le quali riesce giudicare impossibile se patiscano maggiore il difetto di discernimento, o quello della riconoscenza, comecchè grandissimi entrambi questi mancamenti appariscano, io mi sono confessato e mi confesso stremo di difesa.

Oltre le ragioni a me speciali, stranissima (e potrei dire stupida) cosa è supporre che uomini di carne avessero potenza di resistere a tutto, in mezzo a così orribile trambusto, e rifiutare la sanzione al Plebiscito, che Laugier traditore della Patria dichiarava, mentre io riusciva a evitare l'altro relativo alla decadenza del Principe, e al bando della Repubblica. Stranissima e stupidissima cosa è supporre, che il Governo potesse astenersi da ordinare una Spedizione, che Popolo armato, e gente accorsa da più parti, non che di Toscana, d'Italia, imperiosamente imponevano. Qui non sovveniva ripiego di sorta; non si potevano opporre qui le teorie dai Repubblicani predicate, nè le promesse dai medesimi fatte poco anzi; non giovava addurre la necessità di consultare il Popolo; bisognava ed era prudente obbedire, avvegnachè, se per una maggiore resistenza avessero rotto l'ultimo freno, che cosa mai sarebbe accaduto di me? Dichiarato traditore, sarei stato messo in brani a furia di Popolo. - Questo c'importa poco, avvertiranno i miei Accusatori; ed io dirò: in fede di Dio voi parlate discretamente, perchè davvero trovarmi straziato dal Popolo, o da voi, potrebbe parere lo stesso, dove non pensassi che il Popolo si ravvede sempre, e piange, e voi non vi ravvedete, nè piangete mai; ma se non per pietà altrui, per voi medesimi almeno avrebbe dovuto premervi, che il Paese non venisse in balía di chi esaltava per santo qualunque partito, per istrascinare il Paese alla Repubblica, e danari dov'erano voleva arraffare, e dei sacri argenti spogliare le Chiese, e tribunali rivoluzionarii istituire, e rivoluzionarii eserciti disegnare, e impiegati sospetti e traditori non pure destituire, ma ammazzare450: avrebbe dovuto, sciagurati, premervi che lo Stato non cadesse nelle mani di chi esultava nella prossima strage, il sangue con aperte narici quasi bestia feroce fiutava, le strade con un battesimo di sangue cittadino intendeva purificare. E sì, e sì, che queste cose con le proprie mani avete raccolto, e co' vostri occhi avete letto come i Faziosi cospirassero a imporre silenzio perpetuo agli avversarii loro; e sì che avete provato, come già voi stessi di contumelie e improperii vituperassero, e con più disonesto attentato manomettessero. Ora io vi domando, perchè dal nuovo pericolo percossi vi rivolgeste a noi, e ci chiedeste protezione? Se voi estimaste che la mala turba fosse aizzata per noi, o con qual senno o consiglio a noi vi raccomandaste? Voi mi credeste custode allora della civiltà toscana; e voi credeste, che avrei voluto e potuto difenderla. Ditemi, non vi difendemmo noi? Si tacque forse la nostra voce? A procurare tostano castigo dei colpevoli non fummo solleciti noi? Noi dalla rivoluzione vi difendemmo; come mi avete difeso voi dalla reazione? Io non parlo di altri; parlo di voi, i nomi dei quali ho letto sotto i Decreti e le Requisitorie compilate fin qui; e a voi rivolgendomi dico, che per onore vostro avreste dovuto continuare a credere oggi come credeste allora, e che me in voi stessi avreste dovuto rispettare.

 

 

§ 4. L'Accusa non sa leggere.

 

Il Decreto della Camera di Accuse del 7 gennaio 1851, firmato da Giuseppe Orsini, Giovan Battista Aiazzi e Luigi Pieri, il quale ne fu relatore o compilatore, come si abbia a chiamare, a pag. 88, § 32, dice in questa maniera:

«Il De Laugier con Decreto del giorno successivo (18 febbraio 1849), firmato dal Guerrazzi e dal Mordini, fu posto fuori della Legge come Traditore della Patria, e vennero dichiarati ribelli i soldati che l'obbedivano.»

Nel Volume che serve di fondamento all'Accusa, a pag. 838, cotesto Decreto occorre riportato, e dice in quest'altra:

«Il Governo Provvisorio toscano

Considerando, che il Conte De Laugier col suo Proclama del 17 corrente si è fatto eccitatore della guerra civile;

Considerando, che il Governo Provvisorio toscano legittimamente costituito dal Popolo mancherebbe a sè stesso, e al debito che egli ha di tutelare la vita e gli averi dei cittadini, se non facesse alla colpa succedere immediatamente la pena; ha decretato e decreta:

Art. 1. Il Conte De Laugier è dichiarato traditore della Patria, e come tale posto fuori della legge.

Art. 2. I soldati tumultuanti sono dichiarati ribelli.

Art. 3. I bassi uffiziali, che rimarranno fedeli terranno il posto immediatamente superiore a loro, occupato dagli uffiziali traditori.

Il Ministro Segretario di Stato pel Dipartimento della Guerra è incaricato della esecuzione del presente Decreto.

Dato in Firenze questo dì diciotto febbraio milleottocento quarantanove.

 

G. Mazzoni

Presidente del Governo Provvisorio toscano.

 

Per il Ministro Segretario di Stato pel Dipartimento della Guerra,

 

Il Ministro Segretario di Stato

pel Dipartimento degli Affari Esteri,

A. Mordini."

 

Fui indiscreto io, se a giudicare di me pretesi Giudici che sapessero leggere? - Tremendi diritti mi somministrerebbe la Difesa, ma carità di Patria mi prega che io chiuda in cuore il giustissimo sdegno, e mi taccia.

 

 

§ 5. Della lettera del 19 febbraio 1849 indirizzata al Pretore del Porto Santo Stefano.

 La Requisitoria del Regio Procuratore generale, a pag. 126, afferma essere stata questa lettera dal signor Marmocchi composta sopra minuta o appunto del Guerrazzi. Il Decreto della Camera di Accuse, a pag. 87, aggiunge, che per essa lettera non si deponeva punto il pensiero della cacciata del Principe. Ecco la lettera:

«Cittadino Prefetto.

I provvedimenti da voi adottati, dopo le notizie delle quali avete informato questo Ministero col foglio vostro in data del 17 stante, non possono non rimanere pienamente approvati. - Noi corriamo alla frontiera dalla parte di Massa. Colà urge il pericolo. Leopoldo penso che attenda a fuggire. Voi intanto mandate a Orbetello, Massa, S. Filippo, e Rocca S. Caterina. Il Pretore di San Stefano si porti dal Granduca, e gli dica, che il Governo, eletto dalla Assemblea e dal Popolo, gli partecipa che la reazione non può avere luogo; che la sua presenza ecciterà, come ha eccitato, qualche facinoroso al delitto; che è indegno di Principe cospirare a turbare l'ordine, che dice raccomandare. La Nazione giudicherà di Lui come Sovrano. Il Pretore faccia il suo dovere; se non può farlo, protesti all'Ammiraglio, che con la minaccia dei cannoni inglesi s'impedisce il Magistrato ad eseguire gli ordini del Governo. E vi saluto.

Li 19 febbraio 1849."

Prima di tutto, come possa da uomo di mente sana conservarsi il concetto di cacciare via tale, ch'ei pensa in procinto di partire, è per vero dire uno dei tanti prodigi di ragionamento, che l'Accusa ci abituò ad ammirare senza insegnarci, almeno per ora, ad intendere. Io poi ho serbata a questa sede del discorso la lettera del 19 febbraio, perchè l'attenzione del lettore si fermi a considerare il tempo e lo stato delle cose in cui fu dettata.

Ora è da sapersi come il signor Gustavo Mancini con Dispaccio del 12 febbraio 1849, in assenza del Prefetto di Grosseto, domandasse le istruzioni, e come dopo cinque giorni il Prefetto medesimo, non le vedendo comparire, per averle insistesse. Dunque da ciò si rende manifesto, come io da ben sette giorni mi andassi indugiando a rispondere intorno al Granduca, però che scrivere spontaneo cosa che gli tornasse spiacente io non voleva, e cosa che a me e ad altrui nuocesse io non poteva. Giunto a Firenze nel giorno 18 febbraio il Dispaccio nel 17 mandato da Grosseto, che instava, affinchè al Pretore del Porto San Stefano le istruzioni domandate fino dal 12 del mese stesso si mandassero, il signor Marmocchi, il quale esercitava allora l'ufficio di Ministro dello Interno, meco per certo ne avrà conferito, e con altrui. Nel Volume dei Documenti occorrono di mio carattere due scritti relativi a questa lettera: il primo veramente è appunto come per ordinario ponevo nel margine dei Dispacci, contenente il concetto della risposta, che si doveva fare; il secondo è copia precisa della lettera mandata.

Lo appunto dichiara: "Le istruzioni furono date. Se S. A. ama, come dice, il Paese, repugna alla dignità e lealtà sue rimanere in parte ove serve di bandiera alla guerra civile. Rammenti, che la situazione attuale del Paese fu creata da lui, non già dal suo Popolo innocentissimo451."

La copia della lettera del 19 febbraio suona in diversa guisa: "Approvansi i suoi provvedimenti. Noi corriamo alla frontiera dalla parte di Massa. Colà urge il pericolo. Leopoldo penso che attenda a fuggire. Mandi a Orbetello, a Massa, San Filippo, e Rocca Santa Caterina. Il Pretore di Santo Stefano si porti dal Granduca, e gli dica, che il Governo, eletto dalle Assemblee e dal Popolo, gli partecipa che la reazione non può avere luogo; che la sua presenza ecciterà, come ha eccitato, qualche facinoroso al delitto; che è indegno di Principe cospirare a turbare l'ordine, che dice raccomandare. La nazione giudicherà di lui come Sovrano. Il Pretore faccia il suo dovere; se non può farlo protesti all'Ammiraglio, che con la minaccia dei cannoni inglesi s'impedisce il Magistrato ad eseguire gli ordini del Governo452."

Ora parmi chiaro, che meco conferendo e con altri il Ministro dello Interno ricevesse commissione di comporre il Dispaccio dietro le traccie dello appunto trascritto sopra la lettera del signor Mancini del 12. Questo naturalmente successe nelle prime ore del giorno 18, dopo lo arrivo della posta. I casi avvenuti in cotesta fiera giornata, le ardenti accuse mosse contro il Governo di avere con negligenza colpevole somministrato motivo alla guerra civile, e la necessità di difenderci all'uopo da persone, che si erano arrogate il diritto di sorvegliare i nostri atti, i nostri moti di ora in ora, e perfino di minuto in minuto, persuasero di certo alla svegliata prudenza del signor Marmocchi di mettere nel Dispaccio parole più colorite, e provvedimenti, che nè allora seppi, e neppure adesso so che cosa mai potessero importare. Lascio, come anche ora che scrivo, frugando nella mia mente, Rocca Santa Caterina che sia, del pari ignoro; bensì chiunque abbia intelletto di stile, di leggieri comprende, che la copia della lettera del 19 non è mio dettato453. Interrogato il Ministro circa il Dispaccio trasmesso, io, secondo ch'egli mi veniva dicendo, scrissi su i margini della lettera del signor Prefetto, onde potere mostrare ai miei Inquisitori come le istruzioni fossero date, e quali: molto più, che difetto nel mandarle vi era, ed aveva mestieri schermirmi da giusto rimprovero d'inerzia.

Arrogi quello che soventi volte ho dichiarato, non correre nè potere correre allora stagione opportuna a restaurare il Principato Costituzionale pochi giorni dopo che egli lasciava il campo, senza fare neppure le viste di resistere a parte repubblicana. Ella è follia espressa pretendere quiete il giorno seguente alla rivoluzione. La Inghilterra, che stette ferma all'urto della rivoluzione francese del 1830, pure, a giudizio di Lord Melbourne, durò per bene quattro anni a tentennare454. Nè questo è tutto: distraendo in altra parte le forze che tenevo apparecchiate col Generale D'Apice per impedire tumultuarie aggressioni contro Porto Santo Stefano, molte e gravi fortune potevano accadere alle quali importava grandemente ovviare. Come le terre di Maremma ardessero tutte, abbiamo veduto; certo La Cecilia le descrive diverse, ma altri dissente da lui; varii i giudizii secondo le impressioni; bensì il fatto dimostra che meglio i secondi opinassero, dacchè per le città e terre di Maremma, non annuente il Governo, vollero proclamare la Repubblica, e la proclamarono; e al Porto Santo Stefano eziandio, appena ebbe quinci rimossi i piedi il Granduca.

Pertanto considerando maturamente la qualità dei successi, i tempi fortunosi, i pericoli, la inanità, anzi il danno espresso di rimontare contro pelo la corrente quando strascina più rapida, e la sicurezza di riuscire dando tempo al tempo, e modo di riaversi con la quiete consigliera di giusti partiti ai Toscani tutti, costituzionali ed anche esaltati, io per me, se avessi tuttavia seduto nei Consigli della Corona, le avrei detto:

"Altezza. L'autorità che, debole e disarmata, non senza sforzo reggeva all'urto della Fazione avversa al Principato, impossibile parmi che possa ricuperarsi adesso per forza, adesso che di propria mano ha schiuso la porta ai suoi nemici. Che la Toscana per la massima parte, e gli uomini di senno pressochè tutti, sieno del costituzionale reggimento tenerissimi, V. A. lo sa, lo ha veduto, senza timore d'inganno lo ha detto più volte, ed è vero così. Si danno epoche per la umanità, che io volentieri chiamerei di contagio politico; e la presente è fra quelle: testimone la Europa. Quali argomenti si adoperano contro il contagio? Giova talvolta sostenerne imperturbati lo assalto, e, senza lasciarsi sbigottire, far prova di vincerlo col valore e con l'arte; tale altra parve più utile scansarsi, aspettare che la malignità dell'aere cessasse per tornare poi nelle purificate dimore. Praticare in un punto questi due partiti è impossibile. Del presente stato male s'incolperebbe tale o tale altro uomo, tale o tale altro Popolo. Stupidezze di menti meccaniche sono queste. Siffatte perturbazioni politiche non dirò che sopraggiungano alla sprovvista per tutti, bensì sempre ai Governi fatali, generate di lunga mano, per molti umori disposte, come sarebbero appunto le pestilenze ed altre maniere di perturbazioni fisiche. Ora poichè dei due partiti fu scelto quello di scansarci, scansiamoci, e provochiamo da questo i frutti che ne dobbiamo raccogliere, i quali, a senno mio, matureranno presto, e felici se lasceremo gli esaltati a straccarsi nello inane tumulto, se torremo loro prudentemente dinanzi gli argomenti i quali, gittandoli a disperate risoluzioni, chiuderebbero loro al rinsavire ogni via; in qualunque Stato che muti forma di reggimento con sicurezza di durata, il trapasso dal vecchio al nuovo noi vedemmo sempre doloroso per necessarii subugli; immaginiamo ora se accadrà di quieto questa trasformazione priva di potenza vitale. Voi vedrete i neghittosi diventare prodi per lo spavento della prossima anarchia. Tutto il male sarà attribuito alla Rivoluzione; ogni speranza di pace riposta nella restaurazione del Principato Costituzionale; dalla speranza al desiderio, dal desiderio al bisogno di ristabilirlo è brevissimo il tratto, se pure tratto ci corre; il moto poi riuscirà irresistibile, imperciocchè gli avversarii non pure troverete avviliti negli sforzi infecondi, ma vinti dal sentimento della propria impotenza, ed è questa fortuna suprema nelle faccende politiche dove la forza doma, ed anche per poco, - non vince; i traviati troverete all'abituale devozione ricondotti, gli ignavi, scottati dall'acqua calda, solleciti ora a guardarsi anche dalla fredda; riassicurati i timidi; tutti acclamanti; gli amici vostri, non della vostra fortuna, esulteranno e procederanno modesti; gli amici della vostra fortuna, e non di voi, si mostreranno insolenti, e voi con la prudenza e gravità vostre ne saprete tenere corti gli ugnoli. Fra pochi mesi V. A., tornando chiamato dal voto universale della Nazione, esclamerà: io ne vado sicuro, come Carlo II reduce a Londra, che suo fu il torto di andarsene o di non essere tornato più presto fra Popoli amatissimi e amantissimi455. Ogni altro consiglio, Altezza, come pernicioso a Voi, esiziale alla autorità che importa ricostruire, nemico al Popolo, deh! vi scongiuro, rifiutate. Ricondotto dalle armi, e sieno pure piemontesi, aprirete nel cuore delle genti una ferita che per tempo non sana, e gli esempii del secolo ce lo hanno fatto vedere456. Confidando nei moti interni, adesso che la febbre dura, avverto, che per lo meno insorgeranno contrasti, e questo è ciò che ho dimostrato doversi prudentemente evitare, conciossiachè l'uomo, animale di contradizione, soglia, per contrasto, ostinarsi, e, per offesa, nello errore confermarsi. Nè sono a temersi contrasti ed offese individuali soltanto, ma nascerà, e già è nata la guerra civile, di cui V. A. ha meritamente ribrezzo: l'anarchia stenderà, e già ha cominciato a stendere, le mani ladre, e, orribile a dirsi, alza l'augusto vostro nome a bandiera! Altezza, se orrore di sanguinosi conflitti l'animo vostro mansueto persuase ad allontanarvi da Siena, deh! considerate che, a cagione della presenza vostra a Santo Stefano, questi conflitti.... per ora.... non cessano.... ma crescono; - dacchè, durando le cause che in questo momento li provocano, anzi essendo diventate maggiori, la distanza di poche miglia non può avere virtù di spegnerli. Sceglieste il partito di dare tempo al tempo; io lo avrei combattuto con tutte le forze prima che voi, Altezza, lo aveste preferito; ora che lo sceglieste, giova seguirlo; se non m'inganno, ormai è quello che vi ricondurrà con pace nell'onorato seggio: mite foste, mite mantenetevi; gli altri consigli rigettate, però che se per essi (cosa che adesso subito parmi ad accadere difficile) vi fosse restituito lo scettro.... V. A. lo rigetterebbe da sè perchè sarebbe insanguinato."

Così con non savie forse, ma affettuose parole, io avrei favellato a Leopoldo II, se mi fosse stato concesso recarmi a Santo Stefano; e questo era il concetto che in nota succinta registrava il 18 febbraio 1849 sul Dispaccio inviato al Governo dal Consigliere di Prefettura di Grosseto il 12 di quel mese457.

 

 

§ 6. Motivi per muovermi contro il Generale Laugier.

 

Ora si voglia supporre per un momento, che stesse in facoltà del Governo astenersi dalla Spedizione a Massa. Innanzi tratto, io vorrei domandare se i Giudici credono davvero che quando un soldato alza una bandiera, sia pure in nome del suo Sovrano, devano tutti sotto pena di ribellione prestargli fede, e seguitarlo. Badino, che quello che dicono, come pare, è veramente enorme, e potrebbe tirare grandemente a male.

Per buona sorte servendo l'Accusa alla sua passione ha rinnegato la scienza, ed ha commesso gli errori deplorabili, di cui, invocata la dottrina dei pubblicisti, la incolpa l'Avvocato Adriano Mari nella Difesa che presentò alla Cassazione per Leonardo Romanelli.

Il terreno che io ho da percorrere brucia: scerrò quello che scotta meno; e dirò soltanto, che più meditava il Proclama del 17 febbraio del Generale Laugier, meno mi riusciva intenderlo. Per nessun segno io poteva ritenerlo sincero.

Infatti il Proclama dichiara, che il Granduca nello allontanarsi da Siena aveva nominato un Governo Provvisorio: ora questo era patentemente falso, nè conosciuto in quel tempo, nè mai; anzi contradittorio con la lettera e con lo spirito delle dichiarazioni granducali del 7 febbraio: con la lettera, perchè nulla contenessero espressamente in proposito; - con lo spirito, perchè raccomandando a noi i regii servi (e non invano), cosiffatta raccomandazione a privati non si poteva indirizzare; e se il Principe avesse eletto un Governo Provvisorio, noi privati cittadini ridivenivamo: inoltre pensava, che se il Principe avesse lasciato qualcheduno a rappresentarlo, sarebbe stato un Luogotenente, non un Governo Provvisorio. L'affermazione del Proclama accennava a due cose: prima, a una menzogna; seconda, ad uno errore commesso, o fatto commettere, perchè il Paese versasse nell'anarchia. Sosteneva inoltre avere vietato alle truppe di sciogliersi dal giuramento, ed anche di questo non era comparsa notizia. - Della Commissione conferita al De Laugier, nessuno fu avvertito dal Principe in modo autentico; in quanto a me, dopo l'ultima lettera particolare del signor Commendatore Bitthauser da Siena, nella quale mi si prometteva prossimo il ritorno del Principe, e intanto a suo nome mi si raccomandava la quiete della città, non ebbi avviso di sorta, neppure verbale. Nè anche Sir Carlo Hamilton mi riportò invito, ordine, raccomandazione, o che altro, da Santo Stefano. Al Governo, eccetto la lettera e la dichiarazione del 7 febbraio, non pervenne altro atto dalla Corona direttamente nè indirettamente. Ma non soli noi; non il Senato, non la Camera dei Deputati, non il Municipio, nessuno insomma ricevè avviso, che appo loro accreditasse il contegno del Generale Laugier.

Ingrate materie io tratto, e con ingrato animo; ma se dei generosi non è spento il seme, ricorderanno, che io mi difendo da capitale accusa, e deploreranno con me chi mi ha ridotto in questo non giusto stato. - Sopra tutto mi faceva andare pensoso la chiamata dei 20,000 Piemontesi. Gli uomini che presiedevano allora ai consigli del Re Carlo Alberto si erano mostrati, non dirò poco benevoli, ma con mio sommo rammarico avversi alla Toscana. In altra parte di questa Apologia ho favellato delle quistioni col Governo di Piemonte poi confini; fu visto che per comporre coteste faccende era stata proposta al Ministro Pareto una commissione mista di Piemontesi e Toscani; accolto il partito, riceveva un principio di esecuzione. Avenza (come ognuno conosce) fa parte di Carrara: occupata prima dai Piemontesi, dopo l'armistizio Salasco la sgombrarono: allora, gli Avenzini imploranti, presero a presidiarla i Toscani. Il Piemonte a un tratto, sopportando ciò molestamente, c'impone la uscita non senza aggiungere minaccie. A questo punto, salito al Ministero io, trovai la quistione. Proposi allora alla Corona saggiare un po' di quali frutti sarebbe stata portatrice la Costituente, fino dal 12 Maggio 1848 da lei bandita fra cotesti Popoli, opposta come mezzo di difesa al Piemonte; e piaciuto il consiglio sfidai in certo modo il Governo Sardo a rimettercene al voto universale. Il Piemonte aderiva: proseguendo nelle trattative, fu convenuto una forza mista di milizie piemontesi e toscane, fino al giorno della votazione, presidiasse Avenza; in quel giorno si ritirasse; due commissarii, uno per parte, alla votazione assistessero. I Sardi, presentendo sfavorevole lo esito del negozio, adesso si danno a mettere in campo cavilli: opposi a tenacità tenacità; il convenuto solennemente ebbe ad adempirsi, ed è cosa degna di considerazione, come due soli voti ottenessero i Piemontesi. Con voglie prontissime gli Avenzini confondevansi alla famiglia toscana458. Ottimo esperimento era cotesto, e pegno felice a bene sperare della Costituente quando le vicende politiche ci avessero persuaso o costretto di ricorrere a lei. Piemonte, mal soddisfatto, metteva innanzi non so quali irregolarità di votazione, e mandava di nuovo Carabinieri ad Avenza per tenervi lo ufficio. Inestimabile, e l'ho detto, fu la contentezza della Corona per l'esito di questo suffragio universale. Pareva a lei, come a chiunque altro, che procurare alla Toscana confini naturali fosse un bello acquisto, - e più ne letiziava il cimento prosperoso del voto.

Nel decembre i Piemontesi tentano torci Panicale, per la qual cosa il Regio Commissario conte Del Medico si risentiva gagliardamente scrivendo al Delegato di Sarzana:

"Devo significarle il dispiacere e la sorpresa che ho provato nel ricevere dal signor Sabatini, R. Delegato di Pontremoli, la notizia che a Panicale si fossero avvisati di procedere ad una votazione assistita soltanto da alcuni Sarzanesi, senza la presenza di verun Toscano, e, dirò di più, accompagnata da minaccie e da violenze. - Come non sentirne dispiacere? Oltrechè quei modi non sono civili nè onesti (non parlo della legalità la quale niuno vorrà per certo affacciare), non si addicono poi a popoli di amiche Potenze, e molto meno ad Italiani del nostro tempo."

Più tardi (referisco le parole del Monitore), correndo il 12 decembre, il villaggio di Parana fu preso da alquante milizie piemontesi, che ne cacciarono fuori le toscane459; tennero dietro i dissidii per Mulazzo, Calice, Pallerone, e terre altre parecchie, su di che vedi il Monitore del 3, 12, 27 decembre 1848, e 6 febbraio 1849, e le corrispondenze officiali, quando me le daranno.

Per queste tribolazioni sarde assai si turbava la Corona, e penso non dilungarmi troppo dalla verità, se confermo, che principalissimo motivo a renderle accetta la Costituente fu quello di potere opporla quando il bisogno stringesse alle tendenze corrosive sarde, che lievi adesso, ma tenaci, davano a pensare del futuro assai. Meschina contesa fu quella, per non dire di peggio; intorno alla quale una considerazione mi conforta, ed è questa, che la si deve attribuire unicamente a colpa degli zelanti, flagello dimenticato dal Profeta Natan, e fatale a qualunque Governo, il quale comunque per ordinario diligente venga distratto da cure supreme.

Con simili premesse, come io dovea credere che di punto in bianco dal sospetto si traboccasse nella sconfinata fiducia? E come supporre vero, che, mutata di subito politica, la Corona si gittasse a occhi bendati in braccio al Piemonte? Non era mica indovino io; e badate, se anche avessi indovinato, non per questo mi sarei trovato meno deluso, conciossiachè se la Corona, cedendo a improvvidi consigli, chiamò un giorno il soccorso sardo, il giorno veniente lo disdisse: però io avevo buon fondamento a ritenere il soccorso sardo non vero, perchè non verosimile460.

E qui ripeto, che l'obbligo di soccorrere quei Popoli alla nostra fede commessi ci correva grandissimo, dacchè pareva duro, dopo averli alienati dai Piemontesi, esporli adesso al loro risentimento, che pur talvolta provano anche i generosi quando si vedono disprezzati. Ad ogni modo il nostro dovere era cotesto, perchè, se i fati non ci vogliono uniti nel grembo di una stessa famiglia, la gente apuana serbi almeno per noi stima di probi, amore di fratelli.

Quando conobbero menzogna lo intervento piemontese, cotesti Popoli mostraronsi a viso aperto contrarii al Generale Laugier, e con lettere pressantissime e messaggi dicevano: "Ci affrettassimo a liberarli dalla insopportabile molestia. Non essersi dati alla Toscana per patire le stravaganze di un soldato, che non adempiva al dovere, voltando la faccia colà dove non erano nemici461."

La chiamata dei Sardi con volontà della Corona, a cagione delle cose esposte, mi pareva incredibile; pure il Generale De Laugier bandiva in quel punto 20,000 Piemontesi passare la frontiera, sicchè malgrado avvisi in contrario era a dubitarsi che fosse così. Io pensai che Cesare De Laugier italianissimo come perpetuamente vantava, preso da vaghezza di lode presente, e più dalla cupidità di fama futura, avesse di repente abbracciato il partito di unire la Toscana al Piemonte: non era strano, nè forte, supporre in lui il disegno, che intendesse collegare il suo Paese ai destini di un grande Stato italiano forte in su le armi, invece di lasciarlo andare in balía della cieca ed avventurosa unificazione con Roma. In questa opinione confermavami la notizia di un Partito piemontese agitantesi da tempo remoto in Toscana; la permanenza di Piemontesi di gran seguito quaggiù, a cui mettevano capo con molta ostentazione tutti coloro, che si reputavano od erano parziali al Piemonte, e il Generale Laugier, non dico che fosse, ma si riteneva fra questi462; la riunione di parecchi personaggi al Golfo della Spezia per macchinare nuovità; e finalmente la natura stessa del Generale De Laugier, uomo della prestanza militare del quale non è da dubitarsi, però non sempre seco, per quanto parve, pienamente concorde. Nè questo agitarsi non dei Piemontesi, ma pei Piemontesi, a Lucca, era solo; temevansi eziandio le mene, provocate da cui non voglio dire, a favore di Carlo Ludovico, che, incominciate da parecchi mesi indietro463, furono rinvenute vitali dalla procedura conclusa col Decreto della Camera di Accuse della Corte Regia di Lucca in causa Santarlasci e consorti, da me citata a pag. 459-460 di questa Apologia.

Ed oltre ai moti politici, da tempo antico covavano nel contado lucchese, e vi si erano manifestate, enormezze in senso di anarchia.

"Il Prefetto di Pisa al Ministro dello Interno. - Oggi alle 4 circa, vetturini ed altri paesani lucchesi hanno rotto 4 o 5 verghe della strada ferrata a due miglia da Lucca, verso Pisa, e si sono opposti alle riparazioni che i lavoranti della strada volevano subito fare ecc. - 31 decembre 1848."

Parevami (e ciò sia detto, s'egli è mai possibile, senza inasprire gli animi che pur troppo dureranno inacerbiti), parevami eziandio che in tale impresa, dove più che nelle armi era da farsi capitale nella benevolenza dei Popoli, non fosse da preferirsi il Generale Laugier, essendo noto a tutti quanto da lui repugnassero e Lucca e Pisa e Livorno, nè troppo gli procedessero benevoli neppure in Firenze: colpa, io voglio credere, non sua, bensì dei mutabili umori del Popolo, a cui per rendersi accetto egli non omise argomento di sorta. Ma, insomma, quando vogliamo conciliarci il Popolo per via di blandizie, è pur mestieri non prenderlo a contro pelo nelle sue affezioni, ed anche nelle sue fantasie.

E avvertite, che non fui mica il solo a credere che il Generale Laugier mancasse di mandato a operare come faceva. In certa sua Apologia, datata da Sarzana il 1° marzo 1849, e impressa nel Risorgimento, egli medesimo ne informa: "Non vedendosi comparire i Piemontesi, gli animi abbatteronsi: si suppose mia invenzione lo intervento, e perfino la lettera del Granduca."

Pensoso, e gravemente pensoso del pericolo che minacciava la città per la estrema esasperazione, solita accompagnare la paura del pericolo e la violenza rivoluzionaria, intendendo al disegno di distrarre la mente accesa delle turbe cittadine dalla Spedizione di Porto Santo Stefano, e dal proclamare a tumulto la Repubblica, mi parve operare prudentemente, prima col Dispaccio del 18 febbraio a volgere i corpi volontarii armati, senza dilazione, verso Lucca, e più tardi a vuotare Firenze, se mi venisse fatto, di quanta più gente armata potessi: quantunque (e si noti con prudente discernimento) nel medesimo giorno alle ore 6 pomeridiane io sapessi, che i Piemontesi non sarebbero entrati464, e su le prime ore del giorno 19 mi giungesse la conferma di questa notizia per la parte del Delegato Regio di Massa465. Ho detto, che anche un pensiero di personale sicurezza mi spinse; della mia persona niente importa all'Accusa, e troppo bene lo dimostra in ogni suo atto; ma se un cotal poco di me a me premesse, vorrà ella per questo incolparmi di criminlese? In marcia i soldati non attendono ad agitazioni politiche, nè i cittadini stanno loro alle orecchie per sobillarli. Di questo mi rampogna l'Accusa, ma davvero anche qui ella si è affrettata troppo, però che io deva confessare avere sortito il mio concetto meno che mezzo. I soldati non toscani formarono piccolissima parte della colonna spedita a Lucca, ed è agevole riscontrarlo negli Ufficii del Ministro della Guerra. Vennero alcune compagnie lombarde da molto tempo condotte ai nostri stipendii466: la massima parte erano Toscani; con loro partii; in mezzo a loro io stetti inerme. Mi circondavano i soldati medesimi che avevo trovato tumultuanti in Fortezza di S. Giovanni Battista. Le genti in mezzo alle quali io passava, nel vedermi circondato di ufficiali al nome italiano poco, ed a torto, creduti amorevoli, mormoravano. Ai soldati e agli Ufficiali toscani poi nemmeno mancava chi insinuasse condurli D'Apice ed io per tradirli nelle mani dei Piemontesi. Così nei tempi torbidi la perfidia mesce mostruose novelle, e così facile le accoglie l'armento degli uomini467.

 

 

§ 7. Di una lettera del R. Delegato di Massa e Carrara.

 

Ho voluto differire a ragionare in questo luogo della lettera del Delegato Regio di Massa e Carrara del 13 febbraio. Il Decreto della Camera delle Accuse del 7 gennaio così dichiara alla pagina 84:

"Al Prefetto Staffetti il quale faceva noto al Guerrazzi con lettera del 13 febbraio, come le truppe acquartierate ai confini ricusassero di prestare giuramento e si sbandassero, il Guerrazzi con lettera privata rispondeva che calunniasse e screditasse il Granduca nell'animo di Laugier, onde indurlo a seguitare il nuovo Governo."

Importa, come sempre, prima di tutto rettificare il fatto. Il Regio Delegato di Massa e Carrara queste cose mandava: 1° la milizia toscana a Pontremoli, negato il giuramento, sbandarsi, e verso la Capitale incamminarsi; 2° d'accordo col comando generale egli spedire Ufficiali a incontrarla per ricondurla al dovere; 3° ancora inviare parte della Guardia Civica a Fosdinovo per agire secondo i casi; 4° a Massa avere temporeggiato a deferire il giuramento alle milizie; 5° mancata la truppa di Linea, difficilissimo mantenere l'ordine nel Paese468; 6° doversi organizzare 5 o 6 compagnie di bersaglieri; 7° da Fivizzano indirizzare una Deputazione in cerca di truppa piemontese temendo invasione nemica.

Se ciò sia vero si conoscerà leggendo la lettera stessa del Delegato, stampata a pag. 208-209 dei Documenti:

"In questo momento giunge avviso al Comando generale da Pontremoli che la truppa non ha voluto prestare giuramento, che ha incominciato a sbandarsi, dichiarando incamminarsi verso la Capitale.

Di accordo col Comando generale, si spediscono alcuni Ufficiali per incontrarla verso Fosdinovo e procurare di ricondurla al dovere. Nel tempo stesso io parto per Carrara, per mobilizzare una parte di quella Guardia Civica, e la invio egualmente a Fosdinovo per agire a seconda delle circostanze. Vi è colà una compagnia di truppa di Linea, colla quale si vorrebbe impedire il contatto di questi traviati.

Qui, conoscendo le difficoltà d'indurre immediatamente come si voleva la truppa a prestare nuovo giuramento, si è temporeggiato, predicando la necessità di mantenere l'ordine, e procurando di disporla a poco per volta al giuramento stesso; ma le notizie sopracitate, unite ad altre che sono giunte di Lucca ed altri paesi, non so quale effetto potranno produrre.

Se manca la truppa di Linea non so cosa potrà accadere in questi paesi. Io faccio e farò risolutamente quanto sarà in mio potere per il mantenimento dell'ordine, ma questa volta l'affare è serio davvero.

Mandami subito il Capitano Franzoni che ti diressi con lettera pochi giorni sono, e manda qui a chi credi l'incarico di organizzare 5 o 6 compagnie di Bersaglieri, le quali potranno essere utilissime. Io non mi ricuso di fare quanto possa essere utile. Addio.

Massa, 13 febbraio 1849.

Tuo affez.

Del Medico Staffetti.

 

Notizie del momento.

Da Fivizzano è stata mandata una Deputazione a Sarzana per cercare la truppa piemontese temendo di una invasione nemica. - Manderò staffette ogni qualvolta sia necessario.»

La minuta, o appunto della risposta, dichiara in questa maniera:

«Prefetto ed Amico,

Tieni forte: fa quanto credi; arma Bersaglieri: difendi i confini: lusinga, loda ed eccita l'onore del Laugier; senta nel profondo che Leopoldo II, senza pretesti, senza plausibile motivo, lasciò il Paese all'anarchia e all'invasione. Portò seco quant'oro potè; e sull'estremo lito, con un piede in terra e un piede sopra un naviglio inglese, sta speculando la guerra civile. Creeremo un'armata, troveremo denaro; e quando nulla potrem fare, anderemo all'aria.»

Tieni forte, riguarda la difesa dell'ordine: fa quanto credi, si riferisce al mettere in moto la Guardia Civica: arma i Bersaglieri, considera la difesa dei confini: le altre parole sono dirette a indurre il Generale ad operare gagliardamente in pro della Patria, e in benefizio di cotesti paesi. Quanto fosse in noi l'obbligo e lo interesse di difenderli, ho esposto altrove; se fosse necessario confermare in qual conto da noi Toscani meritamente si tenessero, io non avrei a fare altro che allegare le istruzioni dal Ministero Capponi conferite nel 22 settembre 1848 al Marchese Ridolfi inviato straordinario e ministro plenipotenziario del Granduca di Toscana alle conferenze di Brusselle, in quella parte in cui queste provincie gli si raccomandano:

«.... Ciò che il Governo granducale chiede, e lo chiede opinando di avere molti titoli per ottenerlo, è la conservazione dei suoi attuali confini, quali furono determinati dall'atto di accettazione del 12 maggio 1848. La perdita di questi territorii nuovamente aggregati alla Toscana sarebbe per essa cagione di vivissimo rammarico; e ciò non tanto per la diminuzione che essa soffrirebbe del suo territorio o per altro fine di proprio e particolare interesse, ma perchè il Governo granducale è sinceramente convinto che i popoli della Lunigiana e della Garfagnana, recentemente aggregati, siano toscani e per geografica posizione e per rapporti commerciali e per affetto, e che la prosperità, che ai medesimi può derivare dal far parte della famiglia toscana, non sia per essi possibile di trovare nella unione con qualsivoglia altro Stato. I voti e l'affetto di queste popolazioni, la lealtà costantemente dimostrata dal Governo di S. A. R. nella questione italiana, i sacrifizii da esso fatti per la causa nazionale costituiscono altrettanti titoli degnissimi di considerazione, per i quali questo desiderio della Toscana non potrebbe senza ingiustizia non appagarsi....469»

Certo le parole contenute nella estrema parte di cotesto mio appunto, dimostrerebbero animo mal disposto pel Principe là dove spontanee mi fossero uscite dalla penna. Ma quando furono esse vergate? Vogliasi rammentare: nel giorno 14 febbraio 1849, in quel giorno stesso nel quale, come confido avere dimostrato nelle pagine precedenti, la prepotenza della Fazione mi costringeva a spedire al Governatore di Livorno l'ordine di apparecchiare gente onde essere poi inviata per la Maremma. Agl'Inquisitori e' fu mestieri fare copia della lettera del Regio Delegato; accesi quindi gli avvisi e i comandi; coteste espressioni contengono l'eco di quanto stampavasi pubblicamente, e predicavasi; ed io scrissi lo appunto in discorso per acquietare cotesti arrabbiati; ma la ricerca, che doveva proporsi l'Accusa, e sopra la quale avrebbe potuto fondarsi, allorchè fosse stata quella scrittura spontanea, consisteva nel conoscere se il foglio fu spedito, se ricevuto dal Conte; se, adoperando gli argomenti indicati, ei si era fatto a scrollare la fede del generale Laugier.

Ora tutto questo non prova l'Accusa, e non fu. Perchè non interrogò ella i miei Segretarii, tanto gli eletti quanto i reprobi, voglio dire tanto i mantenuti in carica, quanto i congedati, se compilarono Dispaccio alcuno sopra le traccie di cotesto appunto? Perchè non ne ricercarono lo egregio conte Del Medico? Veramente, a cagione del suo amore per la Toscana, male gl'incolse, e forse, mentre io tribolava in carcere sotto le torture degl'interrogatorii, questo illustre amico mutava in terra non sua gli amari passi dello esilio; ma nel modo (ed è questo uno dei singolari trovati della presente Procedura) che i dimoranti in Firenze, per lettere s'interpellavano; anzi un po' a voce, e con giuramento, e un po' per via di epistole s'invitavano a raccontare il fatto loro; potevasi col medesimo mezzo richiamare anche il Conte, a somministrare schiarimenti in proposito.

Veramente l'Accusa, sommando i suoi addebiti, di cotesta lettera non fa capo d'incolpazione, ma intanto ella la cita, ella la converte in risposta, la suppone spedita, e ricevuta; le giova nella composizione non giusta nè leale dell'atmosfera criminosa, nella quale si studiò sempre e si studia immergermi dentro.

Io penso avere provato quanto la pressione da me patita fosse materiale e continua, tale da soddisfare la Legge anche nei casi ordinarii; ma per chiarire come altre forze e di altra maniera necessità valgano a costringere gli uomini politici, mi giovi riportare certa sentenza profferita da Odilon Barrot nella Seduta dell'Assemblea di Francia del 19 luglio 1851 che mi cade adesso sott'occhio: «Bisogna confessare, che occorrevano allora una certa corrente d'idee, tali e siffatte preoccupazioni degli spiriti, certe morali necessità, le quali fanno sempre sentire la loro pressione sopra gli uomini politici. Quante volte nelle nostre secrete discussioni intorno ai punti che adesso si affacciano, circa i pericoli che avevamo preveduto, e la esperienza confermò, quante volte non intesi io rispondermi: - Certo voi avete ragione, non oggi però; più tardi: adesso lo stato degli umori, la corrente, le preoccupazioni impediscono ad accettare le vostre idee!»

 

 

§ 8. Minaccie d'incendii e di saccheggi.

 

E poichè sento in cuore carità di patria, andando, confidai prevenire i casi pei quali tutta guerra civile viene esecrata meritamente. La fortuna (ed io perciò le perdono ben molte offese) di tanto mi era in questa parte benigna, che lo esito rispose alla speranza. Onde io rimasi sbigottito davvero, quando mi conobbi accusato di avere incusso timore di saccheggio e d'incendii. Questa turpe accusa è scomparsa, come piace a Dio, nel Decreto del 7 gennaio 1851 e nell'Atto di Accusa; ma fu scritta nel Decreto del 10 giugno 1850: onde riesce pieno di sconforto pensare come uomini cristiani possano con tanta leggerezza aggravare di scellerate accuse il capo di un uomo cristiano.

Di me troppo era consapevole, avvegnadio quasi per iniziare il carattere di cotesta Spedizione, appena giunto in Empoli, volli ogni trascorso rimesso agli Empolesi, e riceverli in grazia come buoni fratelli: e già mostrai in che guisa premurosamente ammonissi i Livornesi, passando per Empoli, ad osservare buona condotta, e a rammentarsi che cotesti popoli, comecchè momentaneamente traviati, ci erano pur sempre fratelli. Tanto riposi solertissima cura a inspirare sensi di umanità in tali fortunose vicende, dove la voce di lei per ordinario si fa meno ascoltare! Nonostante rilessi affannoso se per avventura taluno vi avesse aggiunto qualche espressione maligna, e la Dio mercè di simile minaccia io non trovai vestigio. Questa sarebbe stata contradizione al mio scopo, il quale fu implorare pace, e portarla; impedire effusione di sangue; appena nata, sopprimere la guerra civile. Di ciò dia prova, che informato come la colonna condotta dal Petracchi si avanzasse sopra Pietrasanta precorrendo la colonna D'Apice, nello intento di ovviare ogni probabile conflitto, anzi ogni ingiuria, e anche semplice iattanza, non meno che per istudio della militare disciplina, non esitai ad avventurarmi solo per vie non sicure; e giunto in tempo, le ordinai riprendesse la via di Viareggio. L'ordine venne eseguito, non ostante la stanchezza dei soldati, e il non celere obbedire470. Ne sieno prova il comando ai soldati di portare fronde di olivo nella bocca dello archibugio scarico e su i caschi, e il perdono concesso largamente a tutti. Se questo non feci a De Laugier, ciò avvenne, perchè prima di attendere la risposta si era fuggito; però ai signori Compagni e Salvioni, intercedenti per lui, dissi che non sarebbe stato senza grave pericolo rimanersi allora in Toscana, e che lo consigliavo a ritirarsi in Piemonte, dove liberissimo intendevo lasciarlo andare.

In qual parte, pertanto, incussi timore di saccheggio e d'incendii? Forse nel Dispaccio da Pisa inviato nel 21 febbraio 1849 al Prefetto di Lucca? Quivi si parla del Decreto del Presidente del Governo Provvisorio contro De Laugier; si protesta ritenere per apocrifi gli atti di lui, perchè nè il Governo nè il Municipio ha ricevuto da Leopoldo II veruna dichiarazione autentica in proposito; avere il Governo sentito il bisogno di reprimere la guerra civile nei suoi primordii; venire io mandato con 3,000 uomini e D'Apice generale, a disperdere gli autori dello attentato.

Per avventura i saccheggi e gl'incendii s'incontrano nell'Ordine del Giorno ai Soldati, in data di Lucca, del 21 febbraio? Ma no, quivi anzi si palesa il modo col quale intendevo mandare ad esecuzione il Decreto, che poneva il Generale De Laugier fuori della Legge: - fugga, sgombri dalla nostra terra; - e quivi è l'ordine di non combattere: «Portate un ramo di olivo sopra i vostri caschi, perchè voi non venite a suscitare, ma a reprimere la guerra civile.» Con quale, non dirò probità, ma fronte, avrei potuto io nel giorno 22 febbraio volgermi ai Cittadini, ponendo la condotta del Governo in parallelo con quella del Laugier, se avessi minacciato gli orrori dello incendio e del saccheggio?

«Cittadini! - Un soldato ribelle ordina si straccino le Notificazioni del Governo Provvisorio, eletto dall'Assemblea nazionale e dal Popolo. Il Governo Provvisorio all'opposto ordina, che le stampe di cotesto soldato vengano diffuse e affisse sopra le cantonate. Il Governo intende che il Popolo, confrontando, giudichi e veda: come il soldato adoperi parole di menzogna, il Governo di verità; - il soldato ecciti la maledetta guerra civile, il Governo si affatichi richiamare i fratelli a concordia, necessaria sempre, santissima adesso che l'Austriaco torna a minacciare la desolazione nel nostro diletto Paese; - il soldato tolga il presidio alle frontiere, il Governo spinga la gioventù, atta alle armi, a difenderle; - il soldato calpesti la legge e la nazione, il Governo legge e nazione sostenga; - il soldato tenti spegnere la civile libertà nel sangue dei cittadini, il Governo procuri conservarla intera; - il soldato semini l'anarchia, susciti la Patria a sanguinose reazioni, il Governo voglia conservare l'ordine e gridi pace, pace.

Tacciano le discordi opinioni, tregua alle parti. Soldati toscani, il vostro posto non è contro il soldato toscano, ma sì alle frontiere contro il comune nemico. Cittadini, l'odio vostro non contro voi, ma deve volgersi contro l'Austriaco, che vede le vostre discordie, e ride. Il Governo co' voti più ardenti del suo cuore supplica Dio che cessi, appena nata, l'empia guerra: richiama i traviati ad avere pietà se non di altrui almeno di sè stessi; spera dovergli bastare a questo fine una parola di affetto, desidera essere risparmiato da più penoso ufficio; ma quando accadesse diversamente, sappiano i perversi pertinaci avere dichiarato il Governo, chiunque con parole, con scritture, o con fatti si adoperi aizzare la guerra civile, traditore della Patria, e come tale doversi punire con tutto il rigore della Legge. Il Governo farà in modo, che la sua dichiarazione non rimanga parola vana, e lo abbiano per inteso471

Vedasi il Proclama diretto ai soldati del Generale Laugier in data di Camaiore, del 22 febbraio (il quale non pervenne loro, e fu inutile, perchè già eransi sbandati): in quello io dico, «che voglio abbracciarli, dimenticare ogni trascorso, perdonare lo involontario fallo; tornino in famiglia per combattere il solo nemico che abbiamo, lo straniero.» Vedasi la Notificazione datata da Camaiore nel medesimo giorno, essendomi qui pervenuta nuova della intenzione manifestata da alcuni di arrestare la madre del Generale Laugier;....472 di qual tenore ella fosse vedete qui sotto. Mi risponderanno, preservare uno annoso ed innocente capo dalle furie di uomini perversi, fu dovere, nè può somministrare adesso argomento d'ingenerosa iattanza. Ed io dico: sta bene; dovere fu, non argomento di lode; non mi si dia, non la cerco; ma neppure si converta il dovere in subietto di accusa. Ed io mi difendo da accuse. Se poi taluno volesse appuntarmi per l'espressioni che adoperai in cotesto Proclama, lo pregherei a tenere sempre fisso nella mente lo esempio del Lafayette e del Fauchet, che non dubitarono valersi di parole bene altramente gravi, per salvare Foulon, o Luigi XVI; e la Storia, invece di biasimarli, gli loda per l'arguta loro pietà473.

Nelle tempeste rivoluzionarie se si avesse a guardare le parole, che la necessità pone su le labbra, o su la penna, guai a tutti quelli, che sederono, sedono, e sederanno Ministri! Sarebbe più agevole far passare un cammello traverso la cruna dell'ago, che assolvere un Ministro da queste stolide imputazioni; gli uomini di Stato e i Politici opinano così: è opera di Accusa, quando speculando il suo calendario crede il sole entrato nel segno del mastino, andare a cercare il nodo nel giunco, e dai detti e dai gesti ricavare materia di perduellione. Non senza raccapriccio, io credo, gli Storici prudenti noteranno, e già hanno notato, come la Riforma Leopoldina del 1789 di cosiffatte esorbitanze purgava la Toscana. Del progresso abbiamo avuto assai: oh! chi ci fa stornare, di grazia, sessantadue anni!......

Nulla d'incendio e di saccheggio nel Dispaccio spedito al Presidente del Governo Provvisorio datato parimente da Camaiore il 22 febbraio; il quale mi giova riferire non solo per mostrare che non fu mai proposito ricorrere a questo mezzo ch'è infamia dei popoli civili, ma eziandio che non ve ne fosse bisogno, atteso l'arrendevolezza per tutto incontrata.

«Al Presidente del Governo Provvisorio.

Al mio giungere in Lucca, senza perdere tempo, deliberai correre contro Laugier e verso i nostri fratelli in tre punti. Uno per la strada littorale di Viareggio, dove mandammo i Livornesi con ordine che fossero sostenuti per mare dal Vapore il Giglio. In Val di Serchio furono lasciati in riserva i Civici Pisani. Il secondo verso il Monte-Chiesa, dove il Maggior Petracchi si era spinto col solito generoso ardore, distendendosi fino a Macellarino. Il terzo per la via di San Quirico verso Camaiore, dove Laugier aveva raccolto maggior copia di gente e posto tre pezzi di artiglieria.

Era ordine  a tutti di procedere a schioppo scarico con ramoscelli di olivo nella bocca del medesimo e sui caschi; dove avessero incontrato resistenza fossero andati innanzi, domandando se per la empietà di un uomo i fratelli dovessero trucidare i fratelli. L'anima mi esulta nel poterle dire che i Toscani ingannati da Laugier, appena seppero che per la parte di San Quirico mi avvicinava col General D'Apice, protestarono che non intendevano combattere contro i loro concittadini, onde da Montemagno, ove Laugier aveva posto un pezzo d'artiglieria e diverse compagnie, si ripiegarono sopra Camaiore, e quinci, per quanto ci viene riferito, sopra Pietrasanta. Entriamo adesso a Camaiore, alle 5 e mezza pomeridiane, fra il suono delle campane e gli applausi di tutte le popolazioni accorse dalle campagne circostanti, che acclamavano al Governo Provvisorio, alla Italia, alla Libertà. Il Municipio indirizza la protesta che si compiega qui dentro.

Appena riposati qualche ora, è proponimento nostro passare oltre. Qui mi giunge la consolante notizia che il Petracchi con la sua colonna è entrato in Viareggio in virtù delle medesime disposizioni dei nostri fratelli Toscani.

Nessuna nuova di perviene di mosse piemontesi, anzi avendo mandato un amico mio474 e del Gioberti a Sarzana per sapere un po' se, egli Ministro, i Piemontesi avessero a comprimere la Libertà in Toscana, con promessa che, ove trovasse dato simile ordine al Generale Piemontese colà stanziato, sarebbe tornato ad avvisarmi, od altrimenti avrebbe proseguito per Torino, non si è più visto; e tutto porta a credere che la invasione Piemontese fosse una brutta calunnia del Laugier. Dove, contro il diritto delle genti e lo interesse medesimo dei Piemontesi, questi passassero la frontiera, noi anderemo loro incontro collo stesso ulivo in cima alle armi, e gl'interrogheremo se i nemici dei Piemontesi sono i Toscani o se gli Stranieri, e gli costringeremo a nome della Patria e della Libertà a procedere uniti con noi alla difesa della Patria. Credo debbano esser queste per tutti i cuori generosi liete novelle. Nella fiducia di potergliene partecipare ben presto anche migliori, mi dichiaro di Lei ec.

Camaiore, 22 febbraio 1849.»

Perchè incutere timore di saccheggio e d'incendio, se le popolazioni mostravansi lietissime di accoglierci, e noi invitavano a liberarle con incessanti messaggi? Dove dalle mie labbra fosse uscita la immanissima minaccia, come avrei avuto abilità di lasciare ai Lucchesi il seguente Manifesto? Io vado lieto per averlo dettato, perchè spira intero l'anima mia. Del mio intelletto ho, com'è debito, opinione rimessa; ma non così leggermente concedo che altri possa vincermi per altezza di cuore.

«Lucchesi!

I deboli nella inaspettata vittoria si mostrano crudeli. Il Popolo nel trionfo dei suoi diritti, come colui che si sente fortissimo, è sempre generoso. Il Governo, nelle cui mani fu confidata la rappresentanza del Popolo, sa mantenersi all'altezza del suo mandato: egli non ricorda le ingiurie disoneste ed ingiuste di cui era posto segno ne' tempi passati; e se le ricorda, le perdona. Come vinse i suoi nemici armati con fronde d'ulivo, così egli intende vincere i suoi detrattori colla persuasione e con la magnanimità. Si assicurino pertanto tutti i suoi avversarii, perchè la passata malevoglienza, invece di somministrare al Governo argomento di persecuzione, dà titolo loro di amplissima tutela. Quelli soltanto che le procedure iniziate paleseranno cospiratori contro la Patria saranno giudicati a norma delle leggi veglianti; depongano il pensiero che il Governo intenda procedere a modo di Dittatore e rinnovare le proscrizioni sillane. Egli assunse il carico di mantenere tranquillo il Paese, finchè l'Assemblea nazionale non decida delle sue sorti: questo intende fare, e questo con ogni supremo sforzo farà. Il Governo darà opera infaticabile a stringersi con gli altri Stati Italiani per combattere la sacra guerra della Indipendenza. Tutti quelli che sentono carità di Patria devono cospirare a questo scopo. Il Governo indirizza le sue preghiere ad ogni classe di cittadini, e segnatamente poi ai Sacerdoti, onde essere sostenuto nell'arduo assunto. I copiosi di beni terreni ricordino che con poco danaro dato alla Patria acquisteranno onore grande e sicurezza di non rimanere disfatti dai rapaci stranieri. I Sacerdoti tengano in mente che l'albero della Libertà deve crescere fortunato accanto alla Croce. Una volta la Libertà fu bandita coll'abolizione di ogni culto divino; adesso si predica Cristo iniziatore di Libertà. Noi abbiamo fatto molti passi verso i Ministri dell'Altare; deh! ne muovano essi uno solo verso di noi. Anche la Libertà è una Religione nutrita di lacrime di popoli desolati, santificata col sangue dei Martiri, ed essa pure merita la benedizione del Cielo. Non sieno i Sacerdoti ribelli ai voleri di Dio, perocchè Dio con segni manifesti protegga visibilmente la Causa Santa della Libertà e della Indipendenza Italiana475. Possano queste parole, che ci partono dal cuore, avere virtù di vincere gli animi più renitenti, indurli a deporre gli odii e gli sdegni, e ad unirsi una volta nel concorde volere di dare salute alla povera Patria, che a mani giunte a tutti i suoi figliuoli supplica PACE.

Lucca, 26 febbraio 1849.»

Se io con gli atti smentii le mie parole; se la lingua dolosa pronunziava ipocriti accenti, sorga l'accusatore, e mi vituperi: possano i miei avversarii, come me in questa parte, aspettare il giudizio degli uomini e di Dio senza paura.

A completare i Documenti che furono mia fattura, mi giova citare una frase del Dispaccio telegrafico del 21 febbraio 1849 riportato a pagine 487 del Volume dell'Accusa: «Le cose andranno bene. Penso al Piemonte;» e l'altra contenuta nella lettera del 22 febbraio riportata poc'anzi: «ho mandato a Sarzana uno amico del Gioberti, e mio.» Come pensavo io al Piemonte? In che guisa? Con quali termini? Certo gl'Inquisitori dei Circoli non mi si staccavano dai fianchi, ma adesso, in Lucca, era più libero; mi confidava con persona amica in procinto di partire. A Pasquale Berghini io consegnava questo scritto pel Ministero Piemontese:

«Berghini,

Siete amico mio, e più della Patria; quindi vi dichiaro essere la verità:

Che la Costituente Italiana fu liberamente accettata dal Principe col consiglio del Ministro d'Inghilterra.

Che partì da Firenze sempre promettendo sollecito il ritorno.

Che tardando a tornare, e mandandogli noi la nostra dimissione, rispose, stessimo al nostro posto, sarebbe quanto prima tornato.

Che dopo simulata infermità andava via senza indicare il luogo ove intendeva celarsi.

Che il Ministero, considerando da una parte offeso il patto costituzionale, dall'altra la impossibilità di governare, depose, come doveva, i suoi poteri nel seno dell'Assemblea.

Che l'Assemblea e il Popolo elessero il Governo Provvisorio per provvedere alla quiete e all'ordine del Paese. Sostenere adesso da taluno dei Deputati che non votarono con libertà, è menzogna:

1° Perchè la necessità li costringeva ad eleggere un Governo Provvisorio;

2° Perchè nella Sala delle Conferenze anche prima di entrare in Seduta pubblica, e prima che il Popolo invadesse l'emiciclo della sala, avevano determinato l'elezione del Governo Provvisorio;

3° Perchè i Deputati in parte uscirono, ma per le mie veementi rimostranze, cacciato via il Popolo, i Deputati tornarono, mentre nessuno li costringeva, unitamente al Presidente, e votarono, dopo discussione, all'unanimità.

Il Governo non poteva governare con Camere nate da legge elettorale conosciuta difettosa, e perciò le ha convocate di nuovo sulla base del voto universale. Queste Camere sono convocate pel 15 marzo: più presto non si poteva. Il Popolo irrompe e vuole Repubblica. Il Governo con tutte le forze ricusa prendere la iniziativa per dichiarare la Repubblica, e la fusione con Roma. Intende che tutta la Nazione rappresentata legittimamente, e con maturità di consiglio, decida delle sue sorti. Ma sforzato da questa posizione, che gli sembra ed è legalissima, in primo luogo si difenderà dalle ingiuste aggressioni, ed in secondo luogo, ritirandosi, lascierà a cui spetta, tutta la odiosità d'avere protetto, mentre invadeva il comune nemico tedesco, la guerra civile in Italia.

Lucca, 21 febbraio 1849.

Guerrazzi.»

Lo scrissi allora, nè mi sembra dovermene pentire adesso. Se Vincenzo Gioberti, invece di essere preso da quella sua caldezza che parve soverchia, e se invece di stimarmi, a torto, dei maneggi politici di Giuseppe Mazzini svisceratissimo, avesse voluto sperimentare da sè, io vado convinto che noi ci saremmo trovati d'accordo; però che io non mi senta presuntuoso così da ostinarmi nel mio concetto, e quanti mi conoscono sanno che di buon grado ascolto, e, dove trovi avere errato, di leggieri il confesso. La mia scrittura pertanto apriva l'adito a interrogazioni e a schiarimenti, e a senno mio le prime potevano ridursi a due: Perchè la Convocazione dell'Assemblea col suffragio universale? Qual fine ve ne ripromettete voi? Io gli avrei risposto, con parlare succinto, quello che verrò diffusamente ragionando fra poco, e allora io penso che il Ministro Gioberti avrebbe potuto, con vantaggio grande della Patria comune, interporsi mediatore fra il Paese e il Principe; certificarlo dello scopo mio, e confortarlo ad aspettare lo esito del rimedio proposto, siccome quello che si addiceva meglio ai tempi, al Paese, al decoro, e alla contentezza dell'universale476.

Il signor Farini nel tomo III della Opera altrove citata a pag. 223 afferma: «Queste dichiarazioni del Guerrazzi erano consentanee a quelle che il Governo Provvisorio aveva già pubblicate, nè a mutare le risoluzioni del Governo Piemontese potevano essere efficaci.» In primo luogo ha da notarsi, che lo intervento piemontese in Toscana fu concetto particolare a Vincenzo Gioberti, non già del Governo Piemontese, se dobbiamo ritenere per vere le dichiarazioni parlate da Urbano Ratazzi nella Seduta del 21 febbraio 1849 della Camera dei Deputati piemontesi, e le scritte da Domenico Buffa, che in quei giorni governava Genova. In secondo luogo domando: e perchè le mie dichiarazioni non dovevano avere la virtù di mutare il concetto di Vincenzo Gioberti intorno allo intervento piemontese in Toscana? Forse la bandita Costituente toscana chiudeva irrevocabilmente l'adito a qualsivoglia mezzano partito? La Costituente doveva per necessità sopprimere il Governo Costituzionale in Toscana? I rimedii vi erano, e buoni, e lo stesso signor Farini gli ha scritti, ma non ha meditato, come agli storiografi si addice, a sufficienza su quelli; o forse gli obliò, o forse, e questo parrebbe più grave, gli ha voluti dimenticare. Quando Roma nel gennaio del 1849 ebbe bandita la Costituente, Vincenzo Gioberti non reputò rotta ogni via di accordo col Pontefice; all'opposto tenne, che per essa potesse condursi a fine la pratica di onorevole e fortunata conciliazione. «Illustrissimo signor Presidente. - Ricevo da Gaeta la lieta notizia, che il conte Martini fu accolto amichevolmente dal Santo Padre in qualità di nostro ambasciadore. Tra le molte cose che gli disse il Santo Padre pel conto degli affari correnti, questi mostrò di vedere di buon occhio che il Governo Piemontese s'interponesse amichevolmente presso i rettori ed il popolo di Roma per venire ad una conciliazione. Io mi credo in debito di ragguagliarla di questa entratura, affinchè ella ne faccia quell'uso che le parrà più opportuno. Se ella mi permette di aprirle il mio pensiero in questo proposito, crederei che il Governo romano dovesse prima di tutto usare influenza, acciocchè la Costituente che sta per aprirsi riconosca per primo suo atto i diritti costituzionali del Santo Padre. Fatto questo preambolo, la Costituente dovrebbe dichiarare che per determinare i diritti costituzionali del pontefice uopo è che questi abbia i suoi delegati e rappresentanti nell'assemblea medesima, ovvero in una commissione nominata e autorizzata da essa Costituente. Senza questa condizione il papa non accetterà mai le conclusioni della Costituente, ancorchè fossero moderatissime, non potendo ricevere la legge dai proprii sudditi senza lesione manifesta non solo dei diritti antichi, ma della medesima costituzione. Se si ottengono questi due punti, l'accordo non sarà impossibile. Il nostro Governo farà ogni suo potere presso il pontefice affinchè egli accetti di farsi rappresentare, come principe costituzionale, dinnanzi alla commissione o per via diretta, od almeno indirettamente: ed io adoprerò al medesimo effetto eziandio la diplomazia estera, per quanto posso disporne. Questo spediente sarà ben veduto dalla Francia e dall'Inghilterra, perchè conciliativo, perchè necessario ad evitare il pericolo d'una guerra generale477

Perchè Vincenzo Gioberti, che sì manieroso mostravasi a Roma, voleva dare alla Toscana il pane con la balestra? Hassi a ritenere pertanto, che Gioberti un po' per isdegno concepito per mendaci rapporti, un po' cedendo alle insistenti suggestioni di cui non importa dire, deviasse in questa faccenda dalla prudente gravità dell'uomo di Stato.

Questi Documenti, la difesa del mio onore mi ha persuaso allegare; e non tanto per respingere da me la temeraria imputazione appostami dal Decreto del 10 giugno 1850, ma molto più ancora, perchè porgono manifesta testimonianza di tre cose a ritenersi notabili:

Prima, come io reputassi e dovessi reputare la mossa del Generale Laugier operata senza il consenso della Corona, e contraria agl'interessi della Patria, a parte qualunque quistione intorno alla forma di reggimento.

Seconda, come in tutti questi atti emanati da me, sempre circuito dallo inquieto sospetto degli Inquisitori rivoluzionarii, pure lontano alquanto dalla violenza immediata io non adoperassi verbo nè facessi allusione alcuna relativa alla Repubblica: riscontro sicurissimo dell'animo mio intorno a questo particolare.

Terza, come per me non fossero incarcerati, nè si ordinasse incarcerarsi Sacerdoti; i quali no, mai, se Sacerdoti davvero, io mi condurrò a credere nemici della Patria nostra, a noi tutti, quanti sortimmo nel suo grembo la vita, per tanta bellezza, e più per tanta sventura sommamente diletta.

 

 

§ 9. Corruttela delle milizie laugeriane, e di tutte in generale, e accusa del giuramento.

 

A materia ingrata subentra altra ingratissima. Nel modo di concepire dell'Accusa, so bene io che cosa ella intenda per corruttela, e come non le piaccia nè le giovi distinguere; a me all'opposto talenta analizzare ed esporre dirittamente la materia al giudizio altrui. Ora, se per corruttela si voglia indicare la indisciplina delle milizie, apparirà strano davvero che a me si attribuisca; se invece per corruttela s'intende la parzialità dimostrata a difendere la Patria, la repugnanza a seguire, e la prontezza ad abbandonare il Laugier, si vedrà del pari come male possa essermi attribuita. E innanzi tratto, favelliamo del Decreto che scioglie le milizie dal giuramento. Questo Decreto fu apparecchiato per ordine di non so cui, e presentato alla firma; io ricusai firmarlo, sì perchè i nostri sindacatori non lo esigevano, sì perchè ho piccola opinione dei giuramenti, i quali dovrebbero legare moltissimo, ma alla prova vediamo che stringono pochissimo: ne abbiamo uditi tanti di questi benedetti giuramenti! - Breve; di giuramenti non sono partigiano gran fatto, perchè l'uomo probo, e che teme Dio, non ha mestiero di altro ritegno, che il timore di offenderlo; e per lo improbo, i giuramenti sono come funi a Sansone quando aveva i capelli cresciuti.... E Cristo maestro lasciò scritto: «sia il tuo parlare: sì, sì; no, no; il soverchio a queste parole viene dal maligno.» Ho letto ancora, che Ugo Foscolo, il quale per fede intemerata fu, piuttosto che raro, unico al mondo, soleva portare uno anello dove erano incise le parole: est, est; non, non; nobilissima impresa, che ognuno che voglia può meritare. Nonostante la mia opposizione e la mancanza della mia firma, il Decreto venne stampato, e col mio nome. La sera il Generale D'Apice accorse ad osservarmi come gli paresse cotesta provvidenza inopportuna, ed io gli rispondeva approvando il suo concetto; solo non comprendere il motivo delle sue riflessioni, però che io mi fossi astenuto da firmare il Decreto, e non avere voluto che si stampasse. Egli replicava averlo letto: io soggiungeva essere impossibile; finalmente chiesto il Monitore, esaminando, trovo il Decreto stampato. Procedei alle debite indagini, interrogai ufficiali e stampatori, e chiarii come lo sconcerto nascesse dal costume, che mi assicurarono antico, di raccogliere i Decreti dalla tavola dei Ministri, e farli firmare dopo stampati. Più del costume pessimo ed antico, scusava poi la nuova pressura, imperciocchè ai Decreti nostri sovente accadde quello ch'ebbe a sperimentare il Governo Provvisorio di Francia nei suoi, «i quali, pretesi con gridi impazienti da quelli che accorrevano a dimostrarne la urgenza, erano portati via e stampati, prima che fossero sottoscritti dai Componenti il Governo Provvisorio478

Questo fatto molto di leggieri poteva chiarire l'Accusa interrogando gli ufficiali del Ministero dello Interno, tanto gli eletti quanto i reprobi, e qualcheduno degl'impiegati alla compilazione del Monitore; potevasi eziandio ricercare il Generale De Laugier, che presentasse la mia lettera, dove di questo fatto gli si ragiona; e al D'Apice era dato somministrare in proposito testimonianza pienissima; ma tanto è pervertito il fine dell'Accusa, così, falsato il suo instituto, ella dimentica lo ufficio che le commise la Società, che il vero teme, e fugge, se nuoccia al fine della condanna.

Nè qui, nè a questo soltanto si limitò l'Accusa; e quante volte i testimoni vollero deporre quello che venne loro dettando la coscienza, udironsi dire da taluno degli Esaminatori: «basta.... non importa altro

Questo nasce dal pervertimento delle nozioni più ovvie intorno allo ufficio del Ministero Pubblico, che fino dal principio di questo lavoro noi con l'autorità del Guizot deplorammo. Non è duello, no, lo incontro del Ministero Pubblico col prevenuto; questo sarebbe scelleratissimo, imperciocchè rinnuoverebbe lo spettacolo dell'uomo inerme gittato alle bestie feroci; - sarebbe pagano. Un credente di Cristo, Santo Telemaco, incontrò il martirio perchè questa infamia presso gli antichi Gentili cessasse nei circhi; ora potremmo noi moderni cristiani patirla rinnuovata nei fôri? No; - la Legge e la Società non hanno istituito il Ministero Pubblico avvocato, furiere e provveditore del patibolo; egli non deve fare dell'accusa un patrimonio suo proprio: non deve mettervi gara, come se si trattasse vincere un palio. Se, non vincendo l'Accusa, il Ministero Pubblico corresse pericolo dell'azione della calunnia, comprenderei, se non la fede, almeno il bisogno del sostenerla tenacemente. La Società e la Legge chiudendo il prevenuto, e sequestrandolo da ogni relazione, circondandolo di terrori, saziandolo con pane d'angoscia.... hanno confidato alla religione di chi presiede al Ministero Pubblico d'indagare sottilissimo le ipotesi della innocenza e della colpa; altrimenti il giudizio diventa assassinio giuridico. La Società e la Legge non sentono bisogno, molto meno vantaggio, a punire: in ciò non guadagnano la prosperità, nè la morale, nè la economia pubblica, nè nulla. Se alla religione del Ministero Pubblico la Società non confidasse altro che la vittoria della pena, come potrebbe resistergli il prevenuto? Chi cercherà le difese per lui? Chi lo assisterà? Chi supplirà con lo ingegno e la pacatezza a quanto gli rapiscono il tedio del carcere, e le ansietà della procedura? Come mai il prevenuto, sbigottito e solo, durerà davanti l'Accusa fredda, acuta, esercitata da lunghissima scherma, sovvenuta da cento braccia e da cento occhi, terribile Briareo? No; - l'Accusa è tutela di verità: se dimentica il suo instituto, o lo calpesta; se le prove della innocenza sopprime; se i testimoni favorevoli esclude, o non ascolta, o non provoca a dire quello che sanno; se i mezzi per chiarire la verità rigetta, - paga solo di quanto ella pensa capace per la condanna.... allora, perchè si raddoppiano impieghi? Perchè si commettono inutili spese? Il carnefice può fare tutto da sè.

Continuando adesso io dico, che se l'Accusa con le sue imputazioni vuolsi referire alla mia visita nel Castello di San Giovanni Battista, io colà mi recai in compagnia del signor Montanelli con la semplice intenzione di esaminare la indisciplina della milizia, che da ogni parte mi affermavano vergognosa. Trovai la Fortezza chiusa, remosse le sentinelle, Popolo stipato sotto le mura, parte dei soldati alle trincere, parte vaganti, e le milizie e il Popolo avvicendarsi ingiurie e sassate. Fatto aprire le porte, il Popolo vi sì precipitò, ma venne, con molta difficoltà, respinto, adoperandomivi io stesso. Dentro, tumulto infernale. Anche cotesta fu trista giornata. Le milizie schieraronsi in tre file, due laterali, una di faccia; da sinistra i Volontarii gridavano: Viva la Libertà! Viva il Governo Provvisorio! - Verso questi si avviò il signor Montanelli. Io, accompagnato dal Colonnello Baldini, m'incamminai al centro. Qui sorgevano diverse le grida; alcuni urlavano: Viva Leopoldo! - Altri: vogliamo andarcene! - Altri finalmente, e questi erano i troppo più: vogliamo la massa! Alcuni artiglieri, ma rari, minacciavano volerci puntare contro i cannoni. Passando davanti alla Linea, non una, nè dieci, ma cento volte dissi: che il Governo non costringeva nessuno; e chiunque volesse ritirarsi, lo facesse liberamente; noi poi non essere nè padroni, nè signori, nè nulla; soltanto preposti a mantenere illeso lo Stato a benefizio dello Stato medesimo, e di quello a favore di cui si sarebbe dichiarato il voto universale; ognuno di loro avrebbe potuto votare come meglio credeva.

E queste cose diceva in parte suggeritemi dagli stessi Ufficiali, che mi assicuravano come i soldati ritenuti a forza avrebbero voluto partire; e lasciati partire, avrebbono voluto rimanere. Così invece di esortare i soldati al giuramento, e incutere timore ai repugnanti, la verità è, che per me concedevasi a tutti facoltà amplissima di restare o di andare. Le mie proposizioni compariscono vere dalle cose che seguono:

Nel giorno stesso ci pervenne la seguente Protesta:

«Ai Signori Membri del Governo Provvisorio.

L'ordine, la Patria e la Guerra della Indipendenza, essendo la divisa di tutti gli Uffiziali toscani, quelli della milizia stanziale di Firenze protestano altamente pel loro onore in faccia alla Toscana e alla Italia tutta, che i loro sentimenti non concordano con quelli espressi questa mattina da una parte dei loro sottoposti ai signori Membri del Governo Provvisorio, e pregano il Governo suddetto a rendere di pubblica ragione la presente dichiarazione.

Firenze, dalla Fortezza di S. Giovanni Battista, li 11 febbraio 1849.»

Questa Protesta presentava l'intero collegio degli Ufficiali dei Volontarii, del Reggimento di Artiglieria e del 4° di Linea: l'originale è negli Archivii, la copia nel Monitore.

Pochi soldati si prevalsero della facoltà di partire; e i partiti, come gli Ufficiali presagivano, tornarono chiedendo essere ammessi al giuramento, che avanti rifiutavano. - (Monitore, 12 febbraio 1849.)

A Pontremoli i soldati reputandosi sciolti dalla milizia, disertano con arme e bagaglio; ma breve tratto di cammino percorso, tornano addietro, e parte spontanei, parte persuasi dagli Ufficiali, giurano. - (Monitore, 15 febbraio.)

A Portoferraio varii soldati tumultuano; vengono repressi dai Sedentarii, timorosi che non si vogliano unire ai galeotti per mandare in subbisso la città. - (Monitore, 15 febbraio.)

Gli Ufficiali delle milizie stanziate all'Elba mandano al Governo Provvisorio la seguente Protesta:

«Gli Uffiziali del 2° Battaglione del 3° Reggimento di Linea, di guarnigione a Portoferraio, protestano, nulla avere risparmiato per quanto loro incumbeva, onde prevenire gli eccessi commessi nei tre precedenti giorni da molti individui del Battaglione medesimo. Quindi solennemente dichiarano di avere disapprovato l'accaduto, avvenuto con loro dolore per subdoli raggiri, e di non approvare quanto fosse per seguire di consimile, giacchè i sottoscritti intendono di servire fedelmente alla Patria, all'Onore, al Governo Provvisorio, e a tutto ciò che per le superiori disposizioni potrà contribuire alla tanto sospirata Indipendenza Italiana.

Portoferraio, 13 febbraio 1849.»

A questa Protesta accenna il Dispaccio del Ministro della Guerra, al Governatore di Portoferraio, del 16 febbraio 1849. «Pervenuta a questo Ministero per l'organo del Maggiore Orselli Comandante il Battaglione che trovasi ora in cotesta Città, una Protesta di cotesti Ufficiali, che fa loro onore, il Ministero medesimo non può che esternare su di ciò la piena sua soddisfazione, scorgendo in essa quei sentimenti che non possono andar disgiunti da chi apprezza la Patria, l'onore, ed i voleri di un Governo eletto dalla pluralità dei voti di un Popolo479

Sessanta soldati soli partirono dalla Elba, e sessanta tumultuarono a Livorno. Qui il Popolo gli arrestò. Lo Stato Maggiore del presidio di questa Piazza protestò devozione al Paese rappresentato allora dal Governo Provvisorio. Sopra gli altri il maggiore Pescetti, che non rifiniva di persuadere i soldati, com'essi non avessero a badare tanto in là, e dovessero difendere con tutta l'anima da qualunque invasione straniera la Patria, che gli nudrisce e paga durante la vita intera, perchè col braccio la proteggano un giorno. - (Monitore, 15 febbraio 1849.)

A Lucca, tranne pochissimi, soldati e Ufficiali si mostrarono pronti di obbedire al concetto di mantenere il Paese quieto dentro, difeso fuori, fino al resultato del voto universale; e invece di aspettare insinuazioni o abbisognarne, mandavano agli altri proclami per trasfondere in essi lo ardore dal quale, a sentirli, si dicevano animati.

La Linea senza riguardi voleva la Repubblica:

«Fratelli d'Italia! Non seconda è la Linea a quei sentimenti che Veliti e Granatieri hanno mostrato alla Nazione; essa pure sente nel cuore l'alto disimpegno che l'è affidato, sente gli affetti di Patria, l'idea sacra della Libertà. Il traviamento di pochi, che ogni sforzo all'opera non omesso a ricondurli al giusto e perfetto sentiero (sic), non sia per dare idea di corruzione nel totale.

Pronta ed avida di far mostra di sè al mantenimento dei diritti sociali, alla difesa della Libertà e della Indipendenza d'Italia, anela quel momento di stringere la mano d'unione al Popolo, per nuovamente combattere il comune nemico, quando chiami la tromba all'onorato appello.

Sì, Fratelli! giura altamente esser con voi e con le altre milizie, nella brama che la Patria risorga, e vendicare quei valorosi che un dì pugnando morivano sui campi lombardi.

Viva il Governo Provvisorio toscano! Viva la Repubblica Romana ec. ec. ec.

Livorno, 15 febbraio 1849.

La Linea.»

Più rimessi i Granatieri, pubblicavano parole portentose a dimostrare la gran voglia che provavano di farsi fare a pezzi, pei fini di che avverte lo stupendo loro Proclama,

«Livornesi!

Alcuni soldati, dimentichi di sè stessi, ignari del proprio dovere, a scherno di noi tutti, tentarono la fuga, e corse voce per ogni via di Livorno, essere dei Granatieri; ma, siccome galleggiano in seno al mare le navi, così l'innocenza più leggiera galleggia sopra l'infamia e i delitti480. Vi supplichiamo a disprezzare e non credere i retrogradi che amano porre discordie fra il Popolo e i Soldati.

No, non vogliamo che rida su di noi lo straniero, non vogliamo che le Armi Fraterne, intente alla difesa della Patria, brandiscano contro i petti nostri, ma anzi l'impeto del nostro furore le faccia sfavillare nella gente nemica allorquando pugneremo a fronte i diritti della bella Penisola, e la tanto sospirata Libertà. (sic.)

Livornesi! ogni cittadino è soldato; or dunque facciamo di noi salda catena, la quale sarà di cilicio al barbaro Croato che tenterà spezzarla.

Sì, giuriamo tutti sul tricolore Vessillo, di farci fare in brani pria che vederlo sventolare in mani tedesche. Fratelli! scordate quei detti pestiferi vomitati da Vipere velenose, amanti di discordia fra noi, la rovina di tutta l'Italia; è loro che fuggitivi (sic) vogliamo che sentano il peso di quella pena quale si deve ai Traditori di Patria. Uniamoci, e la vittoria è certa.

Viva il Governo Provvisorio! Viva l'Italiana Indipendenza! Viva l'Unione.

S. B. -

I Granatieri.»

Le Guardie di Finanza (e fecero bene, e le lodai allora di Palazzo, e torno a lodarle adesso di prigione) accorsero spontanee a tenere in rispetto Empoli che sembrava volere rinnuovare il guasto della odiata strada a vapore481. Nè mancarono i Veliti, chè anzi primi fino dal 12 febbraio, non contentandosi di favellare ai soldati Toscani, si rivolsero a tutti quelli d'Italia, e loro dicevano.... Ma sarà meglio ch'eglino stessi i proprii concetti manifestino:

«A tutti i Soldati Italiani di Toscana!

Fratelli! Camerati! L'affetto e la riconoscenza ad un uomo è un lodevole sentimento; ma il sentimento più puro e più nobile è quello del Cittadino verso la sua Patria. Prima di rivestire una uniforme di soldato noi eravamo Cittadini, e tuttora siamo Cittadini a buon titolo, poichè vestiamo le insegne e portiamo le armi dei difensori della Patria. Rispettiamo noi stessi nei Governanti eletti dal voto del Popolo, di quel Popolo di cui noi pure facciamo parte. Riserbiamo le ire contro il nemico comune, contro lo straniero oppressore dell'Italia, e giuriamo di volere essere soldati e difensori di questa Italia, madre comune di tutti noi, di questa Italia che fino a quest'oggi fu debole perchè divisa in brani, ed ora comincia ad esser forte perchè si unisce al cenno di Roma, della città che Dio ha posto a capo e centro della forza e della gloria italiana. Fino a quest'oggi il superbo straniero rideva dei soldati toscani del Papa, e gl'insultava chiamandoli guardie del Santo Sepolcro. Ma lo straniero non riderà e non insulterà ai guerrieri della grande Nazione Italiana. Uniamoci dunque in un amplesso fraterno ai nostri concittadini, e gridiamo con loro:

Viva il Popolo Italiano! Viva Roma eterna! Viva l'Italia!

Firenze, 12 febbraio 1849.»

(Seguono le firme dei componenti il Reggimento Veliti.)

E non si voglia dimenticare, in grazia, che in quel giorno stesso, 12 febbraio, io mi opponevo allo inalzamento dell'Albero della Libertà in Firenze, e che nel giorno seguente, 13, soldati toscani e Popolo empievano i cortili di Palazzo Vecchio, con tremende grida proclamando la Repubblica; in fine, che soldati erano quelli che, poche ore prima, avevano appeso bandiera rossa alla magione reale.

Il giuramento non conteneva in sè espressione o concetto il quale, in modo irrevocabile, alienasse i soldati dalla Monarchia Costituzionale: presentava anch'esso il carattere di provvisorio; e quando pure avesse dovuto ritenersi permanente, anche alla restaurazione dello Statuto applicavasi: «Giuro fedeltà e obbedienza alle Leggi e ai Poteri esecutivo e legislativo costituiti e da costituirsi dal libero assenso del Popolo. Giuro difendere e sostenere col mio sangue la sacra bandiera italiana sotto cui ho la fortuna di militare, e di non mai abbandonare o vilmente cedere il posto che mi verrà affidato. Giuro sdegnare qualunque relazione col nemico della Patria. Giuro di non usare le armi che contro i suoi nemici sì interni che esterni. Giuro di prestare obbedienza a tutti i miei superiori, e rispettarli e difenderli482.» Porge testimonianza della verità di quanto poco anzi affermai, che nessuno soldato fosse stato violentato, anzi nemmeno blandito a rimanersi, l'Ordine del giorno dell'11 febbraio 1849: «Il Capitano interrogherà ciascun soldato della sua volontà di servire la Patria, oppure abbandonare le bandiere. Quelli che vorranno continuare saranno raccolti ec. - I soldati poi che avranno deciso abbandonare le bandiere, verranno immediatamente licenziati senza congedo alcuno. Il Governo Provvisorio rilascerà loro la giacchetta di panno e il berretto di fatica483.» L'Auditore Padelletti nell'Atto del 27 agosto 1849 dichiara: «Non feci Processo verbale perchè non vi era bisogno, essendo liberi di andarsene quelli che non volevano servire il Governo Provvisorio484

Come a me poco importasse di questo giuramento l'ho dimostrato riportando la lettera spedita al Consigliere Paoli nel 13 febbraio 1849, nella quale si legge la sentenza: «Non abbiamo bisogno di giuramento; ma se pure lo prestano, meglio che mai485

Nè quanti rifiutarono giurare ebbero a patire per parte del Governo Provvisorio molestia: all'opposto si accettarono di nuovo, reintegrandoli facilmente nei loro gradi e titoli di anzianità. «Il Governo Provvisorio, volendo attribuire ad aberrazione momentanea di mente, anzichè a mala volontà, il fatto di quei militari che ricusarono di prestarsi al giuramento di fedeltà alle nuove istituzioni, ha ordinato che vengano riammessi al servizio, senza perdita di anzianità, tutti coloro che pentiti del commesso fallo si sono di già costituiti e si costituiranno alle militari bandiere per riprendervi il corso della rispettiva Capitolazione. - Firenze 17 febbraio 1849486

Dai quali fatti deduco, ed il dedurlo è lieve, non avere punto bisogno le milizie toscane delle mie insinuazioni per dichiararsi favorevoli al Governo Provvisorio; recandomi inerme e solo in compagnia del Montanelli, non potere usare violenza alla milizia, ma all'opposto essere in facoltà della milizia ritenerci prigioni; gli Uffiziali delle tre armi, onoratissima gente, se le mie parole non fossero state ristrette in questa formula: «Qui non si tratta altro che di difendere la Patria, e questo di voi altri soldati è dovere supremo. In quanto al Principe o forma di Governo, dipenderà deciderne all'Assemblea toscana eletta con suffragio universale. Voi pure, soldati, darete il voto alla persona, o persone, che penserete più acconcie a sostenere il vostro voto;» (se, dico, così da una parte e dall'altra non fosse stato detto ed inteso), è da credersi che da me, inerme, in mezzo a loro, dentro Fortezza chiusa, avrebbero con equo animo ascoltato proposizioni di tradimento? Può egli supporsi, che essi avrebbero mandato spontanei, senza che nessuno gliela chiedesse, padroni del Castello assoluti, la protesta del 12 febbraio contro una parte della milizia, se i sensi manifestati da questa fossero stati tutti affetto, tutti spiranti benevolenza e devozione al Principe? Avrebbero eglino pregato il Governo a rendere pubblica la dichiarazione di non concordare co' sentimenti espressi da una parte della milizia? - No, ripeto, qui non si trattava tradire nessuno, lo intenda bene l'Accusa, sibbene tutelare la Patria fino al voto dell'Assemblea: - no, le grida dei pochi soldati non suonavano devozione, ma sì piuttosto impazienza di servizio militare, e cupidità di recuperare le masse perdute.

Adesso esamino se le milizie laugeriane potessero essere per opera mia corrotte, o spaventate da me. Le milizie dopo le rotte sogliono rilassare la disciplina; questo noi vedemmo accadere anche negli eserciti incliti per militari ordinamenti, come a mo' di esempio quelli di Napoleone; le nostre milizie, dicasi con rammarico, non avevano mai avuto il pregio della disciplina, e per maggiore stroppio erano state vinte. Non è mio studio trattare qui dei modi di comporre ed istruire lo esercito in Toscana; basti dire, ch'eglino erano tali, da produrre effetti pessimi, e li partorirono. Gli Ufficiali disprezzavano i soldati a un punto, e temevano; i soldati avevano a vile gli Ufficiali, e gli odiavano; non fu spettacolo capace di rassodare la disciplina davvero la mutua detrazione. Il Generale Laugier, preso da impeto, coperse di obbrobrio a Valleggio gli Ufficiali, al cospetto dei soldati. Per avventura poteva avere ragione di concepire amarezza inestimabile contro gl'imbelli, ma si ha da confessare eziandio, che il modo tenuto tagliò alla radice la disciplina. Cotesti Ufficiali non potevano più durare al comando. Non importa che io dica come occorressero nobili eccezioni, e non poche, e queste al confronto quanto da un lato facevano risaltare la bontà dei soldati virtuosi, così dall'altro svelavano come il male fosse profondo pur troppo. Che cosa, di rovina in rovina, diventasse il nostro esercito sarà bello tacere, imperciocchè dopo la vergogna vediamo avanzare una strage nefandissima dalla quale il pensiero inorridito rifugge487. Io narrai come la massima parte dei soldati raccolti in Castello di San Giovanni Battista, indifferente ad ogni sentimento, urlasse: «Vogliamo andarcene! La massa! La massa!» La soldatesca laugeriana, uguale in tutto a questa, non aveva in bocca gridi diversi.

Nello scritto che ho citato sopra, impresso nel Risorgimento, egli stesso, il Generale Laugier, dichiara che nel 16 febbraio: «aumentava la diserzione e la indisciplina nelle truppe; mancava il danaro per pagarle.» Più oltre: «Moltissimi ordini di previdenze militari non sono eseguiti.» Ancora: «Truppe e cavalli non avevano preso nutrimento; compagnie senza cappotto; mancano fieno e biada; cavalleggieri privi di portamantelli. - A Montemagno ordino strattagemmi guerreschi, che non furono eseguiti con diversi pretesti.» - «Le truppe, egli aggiunge, erano piene di entusiasmo, non però quelli, fra queste, che temevano di pericolare il proprio sostentamento, e famiglia.» A cui coteste parole accennassero, di lieve si comprende, imperciocchè i soldati semplici non abbiano famiglia, nè il soldo loro sia tale da farli paurosi di perderlo. Convoca gli Uffiziali e propone loro o ritirarsi in Piemonte, o far testa a Fosdinovo: rigettano l'uno e l'altro partito; vogliono capitolare. - A un tratto gli giunge notizia del campo di Porta in piena rivolta; - «ai soldati essere stato assicurato (egli continua) averli io traditi, e fuggito in Piemonte. Gli esorto a ricondursi all'ordine, e seguirmi a Fosdinovo, ma rifiutano ostinatamente gridando: A casa! La paga! La massa! - Il Colonnello Reghini e molti Ufficiali assistevano impassibili a quella brutalissima scena. Coloro stessi che io reputai più fidi, mi avevano abbandonato. Volli che il Commissario di Guerra Pozzi mi mostrasse la cassa; negava: la pretesi; costretto, aprì; eranvi poche centinaia di lire; l'obbligai a consegnarle al Capitano Traditi, e ne feci ricevuta. - Ordinai all'artiglieria, alla cavalleria, ai buoni soldati, seguirmi a Fosdinovo. Gli Uffiziali non mossero. - Cercai coloro che formavano parte del mio Quartiere Generale, ed avevano oggetti per me necessarii, che avevo loro affidati al momento della partenza: non potei mai trovarli! - Mi fermai all'Avenza con la speranza di vedermi, se non altro, raggiunto da quelli che mi avevano le mille volte giurato non volere la loro dalla mia sorte dividere, o almeno restituirmi quello che avevo loro affidato. Inutile!»

Riuscirebbe difficile, per non dire impossibile, ritrarre con tinte più scure la indisciplina soldatesca, nè questa poteva essere opera del momento, sibbene derivata da origine remota; e come si vede, poco, anzi nulla, desumeva da opinioni politiche, ma tutto da voglia di ridursi a poltroneggiare a casa co' danari della massa. Nè dicasi che questo portento di disordine nascesse dal mio Proclama del 22 febbraio 1849, però che óstino due ragioni, una più forte dell'altra; la prima, perchè cotesto Proclama non fu impresso, nè pubblicato; la seconda, perchè innanzi che io muovessi da Lucca, De Laugier, deliberato a partirsi, mandava l'ultimo addio ai Popoli della Versilia. E queste mi paiono ragioni, che anche dall'Accusa si potrebbero capire.

I soldati toscani un po' per colpa dei successi, e moltissimo per quella degli uomini, erano ormai ridotti a tale, che, qualunque mutamento in loro accadesse, non poteva essere che in meglio. Don Mariano D'Ayala, personaggio di quella rettitudine che tutto il mondo sa, si dimise dal Ministero della Guerra, sgomento di riuscire a condurre la milizia a termine ragionevole di disciplina488. Quello che il Generale D'Apice ne pensasse, può ricavarsi da questi brevi cenni, contenuti nella lettera del 27 febbraio 1849, pubblicata nei Documenti dell'Accusa a pag. 72: - «Alla mia entrata in Massa, vi trovai il Caos; ed ho dovuto mandare le truppe di Laugier ad organizzarsi altrove, per dopo richiamarle. - Una compagnia italiana dovei spedire a Firenze, per evitare la dissoluzione di quel corpo, conseguenza della indisciplina della truppa, della quale io non ho colpa. - Gli Uffiziali del mio Stato Maggiore sono animati del migliore spirito, e pieni di zelo e di attività. Cosa farà la truppa? Lo ignoro

Il Ministro della Guerra, Colonnello Tommi, malgrado i suoi sforzi lodevolissimi, non venne a capo di nulla; ond'è che giustamente commosso, uscì col seguente Ordine del Giorno, che ben dimostra quale e quanta fosse la disperazione del male, atteso i rimedii gagliardi, ch'egli si proponeva adoperare:

«Uffiziali, Sotto-Uffiziali, Soldati!

La giustizia non può sostenere più a lungo la indisciplina che disfà l'armata. Ogni mite consiglio, ogni mezzano temperamento sarebbe una ingiuria alla Patria, che versa in tanto rischio, da esigere come dal cittadino ogni sagrifizio estremo, così dal soldato ogni prova più estrema di valore. Nè il valore può essere disgiunto dall'ordine, che solo costituisce la forza degli eserciti; e l'ordine è calpestato da voi. Fiacchezza nei comandi, ribellione nelle compagnie, soldati faziosi, inobbedienti, disertori; ecco il miserando spettacolo che la Toscana ha dinanzi ogni giorno. E la Toscana non può soffrirlo, noi non vogliamo, voi nol dovete, ove pensiate uno istante alla ignominia vostra e del vostro Paese. Su dunque, sentite per voi stessi una volta riverenza di uomo, ed amore di soldato; e trattenete con contegno migliore la mano della Giustizia, che pende inesorabile sopra di voi. Noi l'amministreremo senza pietà, poichè la pietà sarebbe così per voi estrema rovina, come per noi incancellabile vergogna.»

Se non che a guasto antico male si ripara con parole; e le minaccie, e i rigori stessi, tornano inefficaci nella estrema corruzione; sicchè il meglio è disfare, ed a questo partito penso che si sieno attenuti; ma tanto basti allo increscioso argomento di dimostrare come le milizie del Generale Laugier e le toscane tutte fossero di per sè e da gran tempo corrotte.

Prima però che io mi parta dallo ingrato soggetto promosso dalla suprema indiscretezza dell'Accusa, e da me assunto per necessità di difesa, abbiano meritata lode i generosi soldati che si mostrarono degni di fortuna, non di causa migliore; - con grato animo io la profferisco loro, e desidero ch'essi non l'abbiano meno accetta, perchè venga dalla parte di un prigioniero.

 

 

§ 10. Perchè il Generale Laugier si partisse da Massa.

 

Apparisce chiaro del pari, che non per me il Generale De Laugier fosse costretto ad allontanarsi. Due vie egli aveva per riuscire alla impresa: o una forza irresistibile e materiale, o un consenso universale di Popolo. Per la prima aveva mestieri del soccorso piemontese, per la seconda no. La seconda era scevra da conflitto sanguinoso, e da guerra civile; la prima difficilmente, imperciocchè le armi allora non erano poche in Toscana, terribile il furore della gente armata, e la concitazione di parte del Popolo maravigliosa; ed una volta venute a riscontro le due schiere, l'una avrebbe voluto andare innanzi, e l'altra spingere indietro, la quale cosa come possa definirsi senza zuffa tra uomini che tengono le armi in pugno, e si reputano nemici, io non so vedere. Ad ogni modo questo partito venne meno, col rifiuto o con la disdetta dello intervento piemontese489. Avanzava l'altro; ma non correva la stagione opportuna, nè poteva farlo riuscire De Laugier, come ho notato poco anzi: questo doveva partirsi dal centro ed estendersi alla periferia: alla rovescia, senza molto polso di armi, non vedemmo mai riuscire simili moti, perchè hanno sembianza di aggressione, e trovano i Popoli indifferenti o contrarii; nè ricorrere alla forza diventa meno incomodo a cui l'adopera che a quello contro cui si adopera, conciossiachè per esempii quotidiani rimanga chiarito come quegli che usa la forza si trova sempre, per vicenda di casi, tratto più in là che non voleva; e sostenuto da gente cupida, e spesso anche pessima, almeno in parte, ch'è del pari pericoloso accettare o ricusare, comincia co' consigli proprii e termina sempre o quasi sempre con gli altrui: per le quali cose, trovandosi debole suo malgrado, è costretto ad abbracciare partiti violenti, e, posto ormai sul pendio, bisogna che vada.... e vada tuttavia - prima di passo, e poi di corsa a precipizio. Il tempo pertanto non era opportuno; e il modo anche meno: ritornerò fra poco su questo argomento. Frattanto giovi notare come De Laugier, incontrate appunto le popolazioni indifferenti o avverse, depose giù dall'anima la impresa avventata prima assai che io mi muovessi da Firenze. Di vero, la mia partenza fu il 20 febbraio, ed egli ci racconta nella sua Relazione del 1° marzo, che nel 17 già era solo; non secondato che da pochi, contrariato segretamente dalle autorità politiche e governative, in niun luogo aveva appoggio, meno in lui solo490. Viareggio non si mostrava disposta a contrastare co' Livornesi, essendo fra loro dimestichezza grande a cagione dei commerci491; più tardi protestò apertamente contro De Laugier492. Pietrasanta non si commosse493, Lucca e Massa mormoravano contro di lui494. Carrara gl'insorgeva nemica, Camaiore ci accoglieva festosa; soldati Piemontesi non venivano; i suoi per fame, per difetto di paga, per indisciplina, sbandavansi; tutto questo basta, e ce n'è di avanzo, per fare capitare male un disegno importuno. Ma in conferma del vero, stiamoci agli stessi laugeriani Proclami. Nel 21 febbraio, appena entrato io a Lucca, egli così avvisava i Pietrasantini.

«Pietrasantini!

Io voleva sostenere i diritti di Leopoldo Secondo mio legittimo Sovrano; le popolazioni non hanno corrisposto; siamo pochi, e perciò mi ritiro, perchè mi ripugna di versare il sangue cittadino.»

Nelle prime ore del giorno 22 febbraio mi pervenne nelle mani questo altro:

«Popoli della Versilia!

Voleste risparmiar l'orrore di una guerra abbominevole, io vi aderisco; nessuno desidera versare il sangue cittadino, meno dell'Italianissimo Generale De Laugier.»

Veramente nella sua Relazione datata 1° marzo, Sarzana, copiosa d'inesattezze, egli c'insegna come nel 21 febbraio fosse deciso andare a Lucca, e nella notte ritirandosi avesse ordinato a Montemagno strattagemmi guerreschi; e se non condusse a fine il primo proponimento, e' fu perchè le milizie nol vollero, o nol poterono seguitare; il secondo (che non mi sembra diretto a risparmiare sangue) gli fallì, perchè sotto diversi pretesti non venne eseguito. - Che che di ciò sia, il Generale Laugier nelle prime ore del giorno 23 partiva per Sarzana. - A me si presentò la Deputazione Massese in Pietrasanta, nel giorno 23 febbraio, verso le ore 2 p. m.495

Da tutto questo, se non erro, mi sembra provato: che io a Lucca andai per sottrarmi a presentissimo pericolo; nel concetto di allontanare dalla città in momenti di esasperazione gente arrabbiata; per rendere innocua la Spedizione, la quale, senza me e contro me, con offese e con morti sarebbesi fatta; e rimane chiarito eziandio, come non paure d'incendii o di saccheggio io incutessi, ma parole civilissime e cristiane favellassi, perdono a tutti concedessi, i soldati del Generale Laugier non corrompessi (poichè tanto, più guasti di quello ch'erano non si potessero fare, nè pervenisse a loro il mio Proclama; anzi prima che io lo scrivessi, si fossero, molto per colpa loro, moltissimo per colpa di chi li lasciò senza paga e senza pane, sbandati); Laugier non costringessi a partire, come quello che i Piemontesi non vollero soccorrere, le popolazioni seguitare, i soldati obbedire; finalmente che in tutto quel successo io non favorii la Repubblica, anzi neppure la rammentai nei pubblici Atti, malgrado i focosi eccitamenti degli uomini mandati dalla Fazione repubblicana a sorvegliarmi; e che pei fatti e per le ragioni politiche io ritenni, e doveva ritenere, la mossa del Generale Laugier, operata senza il consentimento del Principe, contraria agl'interessi della Patria.

Che mal consiglio fosse cotesto, e capace di sobbissare il Paese con la guerra civile, universalmente, crederono, ed io allora credei, e credo ancora. I Popoli se ne commossero prima, e se ne rallegrarono poi come di lutto domestico evitato. Santissimi Vescovi ne resero, spontanei, grazie solenni a Dio!

 

 

 






p. -

406 Documenti, pag. 111.



407 Documenti, pag. 483.



408 Documenti, pag. 482.



409 Si accenna alla pioggia che cadde breve ora innanzi alla battaglia di Cavinana, e fu il Principe di Oranges, che vedendo piovere mentre i soldati bevevano disse: «Soldati! Noi non anderemo punto imbriachi alla guerra contro i nemici, poichè con tanto favore Iddio ci adacqua con le sue sante mani il vino.»



410 Costituente Italiana, 19 febbrajo 1849.



411 Questa sentenza poi non fu stampata, ma bandita a voce di Popolo e affissa manoscritta per le cantonate.



412 Il Nazionale, 18 febbrajo 1849.



413 Il Conciliatore, 18 febbraio 1849.



414 Il Conciliatore, 19 febbraio 1849.



415 La Costituente Italiana, 22 febbrajo 1849.



416 Tutti questi Proclami sono stampati a pag. 836-837 del Volume dei Documenti.



417 Dispaccio telegrafico, a pag. 420 dei Documenti.



418 Corriere Livornese del 19 Febbraio 1849.



419 Documenti, pag. 485.



420 Ivi.



421 «I Sanesi in questo momento, codini o non codini, sono tutti Repubblicani: - quello che non aveva fatto la ragione ha fallo la paura.» - (Lettera riservata al Ministro dell'Interno. - Vedi Documenti a pag. 215.) - In cotesta lettera si leggono le seguenti espressioni, le quali l'Accusa non mancò distinguere con carattere italico: «Dal Rapporto straordinario di questa Prefettura vedrete cosa si è operato per secondare le superiori disposizioni, e per ispingere la Città a seguitare il movimento repubblicano.» Superiori disposizioni di cui? Del Governo no, dacchè al movimento repubblicano si opponeva. Il Rapporto della Prefettura di Siena, che si legge nella medesima pagina, ed è documento officiale, dichiara avere agito nello interesse, non già per ordine, del Governo. Che qualcheduno della sua carica abusasse, può darsi; questo accade in ogni Governo, e considerati i tempi e gli umori degli uomini, tanto più era da aspettarlo nel nostro; ma io amo credere piuttosto, che lo scrivente la lettera riservata accennasse a disposizioni superiori simili a quelle che imprimevano moto alle operazioni del Governo di Livorno; e però a me intieramente estranee.



422 Documenti, pag. 320-846.



423 Documenti, pag. 848.



424 Lamartine, Histoire de la Révolution de 1848. Bruxelles, 1849 Tomo I, pag. 237.



425 Histoire de la Révolution, tomo I, pag. 160, edizione citata.



426 Luigi Blanc, Histoire de la Révolution, edizione citata, tomo II, pag. 462.



427 Thiers, Révolution française, edizione citata, t. 1, p. 166.



428 Alba del dì 11 febbraio 1849.



429 Thiers, Histoire de la Révolution, Cap. 4. Convention.



430 Guizot, De la Justice politique, edizione citata, pag. 27.



431 Thiers, Opera citata, pag. 162.



432 Hume, Storia d'Inghilterra. Capolago. Cap. 60, p. 336



433 Thiers, Opera citata, tomo II, p. 570.



434 Couardise mère de la cruauté. Montaigne, c. 27, l. 2.



435 Lamartine, Les Girondins. Bruxelles, 1847, tomo III, pag. 271.



436 Thiers, Histoire de la Révolution, edizione citata, t. 2, c. 4.



437 Attesochè 21 del Decreto del 10 giugno 1850, altrove citato.



438 Nel confronto storico contenuto in questo paragrafo, quantunque io abbia citato varii scrittori, avverto essermi giovato principalmente della opera del sig. De Barante, che conosco per via dei brani riportati nel Giornale dei Débats.



439 Documenti, pag. 490.



440 Documenti dell'Accusa.



441 «Pietrasanta, 20 febbraio. - Questa città è stata posta dal De Laugier in istato d'assedio; domani si teme la legge stataria; è stata proibita la dispensa dei Giornali; pattuglie di Linea e Veliti percorrono la città guarnita da 400 uomini e da una batteria. Sono venute delle Compagnie dalla Lunigiana, si crede che l'abbandoneranno tutta a discrezione del Tedesco. - Sono state spedite delle forze a Viareggio, a Camaiore, e verso Monte di Chiesa. - Il popolo accusa di tutti questi mali lo spirito retrogrado di alcuni cittadini.» - (Monitore Toscano del 21 febbraio.) - Anche qui è di necessità la corrispondenza officiale intera: per bene giudicare un fatto bisogna conoscere esattamente le cause che lo produssero, e le circostanze che lo accompagnarono.



442 «Altri errori e non pochi, sebbene meno gravi, ha commesso il Governo Provvisorio, errori che han tenuto il Popolo sospeso e timoroso, errori che han fatto correr rischio alla città di vedersi innaffiata di sangue cittadino, - e qui vogliamo alludere allo abbandono fatale in cui per varii giorni fu lasciata la truppa in balía di capi spergiuri o mal fidi; errori che han fatto nascere la reazione laddove non era che malcontento, - e qui vogliamo alludere alla incuria con che il Governo ha lasciato in balía di sè stesse le provincie, vogliamo alludere alla sua inerzia inescusabile nello scaldarsi le vipere in seno, lasciando al maneggio degli affari, alla vigilanza della pubblica sicurezza, al mantenimento delle leggi, uomini ligii allo antico ordine di cose, uomini sordidi e ignoranti, uomini o traditori od infami.» - (Il Popolano, 14 febbraio 1849.) - Se questi erano i peccati veniali, ogni uomo può immaginare quali mai dovevano essere i mortali.



443 Il Popolano, 14 febbraio 1849.



444 Monitore del 20 febbraio 1849. - Alba del 21 febbraio 1849.



445 Prova di questo, e, molto più, prova dell'animo disposto a partire quando avessi potuto farlo senza pericolo della Patria e di me, sta appunto nello invio dei familiari e delle cose più necessarie a Livorno: «Al Governatore di Livorno. - Mandi a casa mia ordinando a Maria che faccia valigia, o valigie di vesti, biancherie, e scarpe, e quanto altro per me, e pel nipote può occorrere, e spedisca immediatamente a Lucca al Palazzo della Prefettura. Guerrazzi.» - (Dispaccio telegrafico del 20 febbraio 1849. - Documenti dell'Accusa, pag. 421.)



446 A questa disposizione dell'animo, e a questo fatto accennano l'espressioni del Proclama del 20 febbraio 1849: «Quanti sentono in cuore affetto alla Patria e alla Libertà, con tanto sudore e con tanto sangue acquistata, sappiano fare com'essi: prendano un'arme, e accorrano a difenderle



447 Documenti dell'Accusa.



448 Avverti, che questo conto incomincia dal 22 febbraio e va al 27 del medesimo mese. Altrove ho detto da chi, e perchè questo conto fosse stato pagato.



449 Documenti dell'Accusa, pag. 288.



450 Notai altrove come il Segretario cav. Allegretti scrivesse al signor Biavati, che guaio grande sarebbe venuto addosso alla Toscana, se io avessi abbandonato il Governo; ora avverto, secondo che la memoria mi viene ricordando, come sovente, andato a prendere il signor Adami per recarci a casa insieme, incontrassi nella sua stanza il Segretario cav. Menzini, e quivi trattenendomi alquanto lamentava le soverchie fatiche, e la non sopportabile contesa contro lo impeto della Setta prevalente, e apriva l'animo mio deliberato a scansarmi appena me ne capitasse sicuro il destro; alle quali proteste il Segretario Menzini commosso mi pregava a mutare consiglio, imperciocchè se io avessi ciò fatto poteva stare sicuro, che tutti i buoni impiegati mi avrebbero tenuto dietro. Crederei far torto al signor Menzini uomo di molta sufficienza, e di ottima indole, se lo confortassi a non volersi dimenticare, mentre io mi disfaccio in prigione, quello ch'egli mi diceva in Palazzo.



451 Documenti, pag. 208.



452 Documenti, pag. 321. Il Dispaccio occorre a pag. 296.



453 Invero non penso che per me sarebbonsi usati tre infiniti uno dopo l'altro della medesima desinenza: "cospirare a turbare l'ordine, che dice raccomandare." E certamente poi non avrei scritto la frase: "l'Ammiraglio, che s'impedisce," ch'è solennissimo svarione grammaticale; ma sì l'ammiraglio che impedisce.



454 Edinburgh Review, citata altrove.



455 Hume, Storia d'Inghilterra, cap. 72.



456 "Ah! on ne fait pas de l'autorité avec du gouvernement, avec de l'administration toute seule. On ne fait pas de la prospérité avec de la compression ou avec de la prospérité matérielle seulement. On ne fait de l'autorité qu'avec les principes, les hommes, les vertus de l'autorité." E lo bandisce De Falloux, l'ardente realista, all'Assemblea di Francia, nella Discussione del 13 luglio 1851, intorno alla necessità del rivedere la Costituzione.



457 Non è fuori di proposito avvertire, che il Monitore Toscano del 22 febbraio avvisava la partenza del Granduca senza riflessioni, senza dimostranza alcuna, che rivelasse contento di scopo ottenuto: "Riceviamo da Grosseto la seguente notizia officiale. Leopoldo II, dopo avere imbarcato tutto il suo equipaggio, e dopo aver tenuto un lungo Consiglio con i Ministri Esteri presenti a Santo Stefano, si è recato a bordo del Vapore inglese Bull Dog insieme alla sua famiglia e parte del seguito. Ciò accadeva a 10 pom. precise." Ma quello che più importa è, che Giovanni Sordini, che fu ospite di Sua Altezza, invece di perdere la fiducia del Governo, con molta querimonia della Fazione Repubblicana, fu messo a parte della Commissione di Sicurezza pubblica, e non incontrarono molestia il Nieto e il Lambardi, che si erano mostrati devoti al Principe nell'ora della sventura. Ed eccone la prova: "Vedete, che cosa vuol dire, che il Governo Provvisorio non abbia impiegati fedeli al suo servizio. Con un Tenente del Porto granduchista per eccellenza, ed uno dei primarii, e più furbi reazionarii, non potrà sapere mai nulla. E per aggiunta questo Tenente è, come sapete, anche Gonfaloniere. Nel Comitato di pubblica Sicurezza vi è il Sordini, quegli che ha tenuto in casa il Granduca....." - (Corrispondenza dell'Alba, Nº del 28 febbraio 1849.)



458 Il Prefetto di Pisa al Ministro dello Interno. "Scrive il Delegato di Massa perchè comunichi subito: la votazione ha avuto luogo senza il concorso dei Sardi. Avenza è nostra: due soli voti pel Piemonte. Tutto è proceduto con calma; ora gran festa. Io vado a prendere possesso con la truppa. La Popolazione ci viene incontro festante dalla..... a un miglio d'Avenza." - (Dispaccio telegrafico del 12 decembre 1848. - Documenti a pag. 466.)



459 Nel Volume dei Documenti a pag. 469 leggo questo Dispaccio: "Il Prefetto di Pisa al Ministro della Guerra. - Trascrivo il presente Dispaccio del Generale De Laugier, che me ne incarica. - Massa Ducale, 24 decembre 1848. Ore 4 pom. - Forza maggiore piemontese cacciò via con minaccia di fuoco da Parana i Toscani. Protestammo. Istruzioni per ciò, ed anche per Avenza al bisogno. Il Generale De Laugier, - Ore 2, 55 min. ant."



460 Questo fatto nel libro di Luigi Carlo Farini, intitolato Lo Stato Romano, così si racconta:

"... Ma nel momento in cui i Costituzionali toscani si ponevano a grave repentaglio tentando aiutare l'impresa del Laugier, i consigli della Corte di Santo Stefano cambiavano intieramente. Erano colà giunti da Gaeta sopra un battello a vapore il Bargagli ministro presso la Santa Sede ed un Saint-Marc francese, faccendiere legittimista, i quali col granduca e colla sua famiglia ebbero confidenti colloquii per un giorno intiero, senza che i legali fossero chiamati a consiglio od avessero sentore degli avvisi che quelli recavano. Avevano recate lettere del Santo Padre pel granduca, lettere e consigli del cardinale Antonelli, della Corte di Napoli, della Duchessa di Berry, dell'Esterhazy, dei legittimisti, pel granduca, per la moglie, per la sorella, per la Corte Toscana. Il giorno appresso, convocati i legati, il granduca disse, avere ricevuta una lettera di Gaeta (che poi quelli seppero essere del papa), in cui si diceva, che l'Austria non permetterebbe mai che il Piemonte intervenisse in Toscana, e che non prima le truppe piemontesi passerebbero la frontiera, il maresciallo Radetzky muoverebbe sopra Torino; che presto Austria, Francia, Spagna e Napoli restaurerebbero coll'armi il papa, e che il Piemonte era al bando dell'impero e del sacerdozio. Per le quali cose, soggiunse il granduca, aveva dovuto convincersi, essere suo debito di ammonire prontamente il re di Sardegna dei pericoli che correva, dichiarandogli, non volere essere cagione delle disgrazie che lo minacciavano, e quindi aveva rinunziato all'aiuto ricercato prima, ed aveva mandato ordine al generale Laugier di astenersi o dare indietro dall'intrapresa che gli aveva affidata. I legati furono maravigliati ed afflitti da questo discorso, se si eccettui monsignor Massoni internunzio pontificio, che fece segno d'assenso. Un d'essi, lo Svedese, notò che la notizia mandata da Gaeta delle deliberazioni dell'Austria non poteva essere fondata sulla verità, perchè a Gaeta non si poteva avere sentore il giorno 18 d'una determinazione qualunque presa dall'Austria in Olmutz intorno all'intervento piemontese chiesto con lettera del granduca, giunta a Torino soltanto il giorno 17. Le notizie di Gaeta adunque, soggiungeva, facevano fondamento in un desiderio, forse in un consiglio di là mandato all'Austria, o in una semplice supposizione, e perciò non doveva il granduca fondare in quelle i suoi giudizii e le sue deliberazioni. Pensasse, che avendo l'Austria accettata la mediazione della Francia e dell'Inghilterra a Brusselle, non poteva credersi nè che il Piemonte, contro l'avviso della Francia e dell'Inghilterra, pigliasse l'impresa della restaurazione in Toscana, nè che quelle permettessero all'Austria di assalire il Piemonte per simigliante cagione: perciò conchiudeva, che il granduca dovesse scrivere di nuovo a re Carlo Alberto, non già rivocando la domanda del soccorso, ma sì disdicendo la lettera che aveva mandata per rivocarlo, ed avvertendolo semplicemente delle notizie che di Gaeta aveva ricevute. Parve Leopoldo arrendevole a questi ragionamenti e consigli, e fatto venire innanzi a sè il Legato Sardo, gli consegnò una nuova lettera pel suo re...."

Però io sono ben lontano di fondarmi sopra uno Scrittore, il quale, per mostrarsi svisceratissimo del Piemonte, fatto di ogni erba fascio, tanto è feroce contro coloro, che reputa poco disposti a caldeggiare le fortune piemontesi. Il suo zelo per cotesto nobile Reame io lodo, la passione di avvantaggiarlo con ogni possa approvo, ma io non so quanto primieramente alla sua coscienza provveda, e poi gratifichi ai Popoli subalpini, assalendo con falsità manifeste e continue la fama di tale, che, quando pur volesse, non gli potrebbe rispondere: egli sovente si duole, che la parte a lui avversa non abborrisca dalla calunnia, ed a ragione la rampogna; ma, fratello, tu vedi la paglia nell'occhio altrui, e nel tuo non ti accorgi del trave; invece di maledire la calunnia, parmi, che tornerebbe meglio evitarla; oh! da siffatti aiuti aborrono i generosi; nè penso io, che imprenda opera patria colui, il quale invece d'indagare pacato gli errori di tutti, e riprenderli mite per documento del futuro, inacerbisce gli animi affannati sotto il flagello della lingua dolosa. Ai magnanimi piacciono i magnanimi, non i saccardi, che traggono dietro agli eserciti per ispogliare i morti, e graffiarli nel volto con disonesta ferita. - E tanto basti; però in proposito della citazione estratta dal libro del signor Farini avverto, che non mi sembra verosimile la terza lettera del Granduca al Re Carlo Alberto, o almeno del tenore che egli asserisce; imperciocchè, se disdicendo la disdetta avesse S. A. confermato la chiamata delle milizie piemontesi, la sua partenza dal Porto Santo Stefano, secondo che ragione persuade, avrebbe dovuto somministrare motivo ad affrettarne la marcia piuttostochè a differirla, e a contrammandarla. Intorno al fatto in discorso, sappiamo come fosse motivo della dimissione del Presidente Gioberti dai Consigli del re Carlo Alberto. Da quello che resultò nella celebre Seduta del Parlamento Sardo del 21 febbraio 1849 sembra potersi ritenere, che Gioberti, inconsulti Colleghi e Parlamento, offrisse intervenire con le milizie piemontesi in Toscana.



461 Io ho chiesto le Corrispondenze ufficiali, e fin qui non mi si vollero dare; sicchè con che cosa io abbia a difendermi non si sa vedere. Nel Monitore trovo il seguente Dispaccio del Comandante di Piazza di Carrara al Ministro della Guerra, in data del 19 febbraio 1849:

"Il General De Laugier s'è messo in aperta ribellione col Governo Provvisorio, giacchè avanti ieri essendosi recato a Pietrasanta vi lesse un Proclama di Leopoldo d'Austria, quindi da pochi birbaccioni fece suonare le campane a festa, e lacerare tutti i proclami del Governo Provvisorio; in seguito, presa mezza batteria, la fece trasportare al forte di Porta appostandola in direzione ostile, guardata da circa dugento soldati che io stesso vidi. - Il Delegato di Massa già aveva protestato contro l'infame attentato del De Laugier; mi trasferii subito a Carrara.

I Carraresi si sono condotti degnamente, giacchè tanto il Municipio che la Guardia Nazionale e tutta l'intiera Popolazione non hanno voluto riconoscere il potere militare di De Laugier, ed hanno fatto rispettare tutti i decreti del Governo Provvisorio che stanno affissi nelle muraglie; agli stessi pochi soldati che qui stanziano, è stato comunicato lo spirito della popolazione di Carrara, stantechè il proclama di Leopoldo d'Austria, ch'era stato affisso alla porta del loro quartiere, è stato da loro stessi lacerato, e ve ne hanno sostituito un altro in favore del Governo Provvisorio, dimodochè penso che l'attentato del De Laugier sia ormai sventato, non avendo ottenuto, come egli sperava, l'appoggio morale di queste popolazioni."

Nei Giornali del tempo trovo quest'altra corrispondenza:

"Massa, 21 febbraio. - Noi ci troviamo in tale incertezza, in tale stato d'inquietudine, che vi giuro mai provammo l'eguale. Il Generale De Laugier, dopo aver fatto affiggere una protesta in nome di Leopoldo, si diede quindi a correre le nostre contrade seguito da parecchi Dragoni a cavallo, e gridando Morte ai Repubblicani, Viva Leopoldo II. Il Municipio, composto d'uomini deboli o peggio, non ha fatto alcuna protesta pubblica contro di esso. Solo il Circolo popolare alzò la sua voce di disapprovazione, dichiarando che il Popolo di Massa non parteggiava per alcuno, ma solo per l'Italia e per l'Indipendenza; ciò procurò da parte del De Laugier una minaccia di oppressione, stato d'assedio, e peggio. Non sappiamo nulla di positivo della Toscana; correte però presto a liberarci, che le tiranniche violenze di questo piccolo despota ci sono insopportabili."

Dispaccio telegrafico del Prefetto di Lucca del 18 febbraio: "Il Vicario che oggi mi scrive era impedito ieri, perchè guardato a vista; - non posso sapere il vero stato delle cose, perchè a Massa e Carrara Laugier esercita potere sovrano e dittatoriale, a quanto si dice."



462 Le corrispondenze officiali, di queste mene non tacciono. La Sentenza della Corte Regia di Lucca del 4 giugno 1880 dichiara: "Attesochè altri non manchino i quali affacciano il sospetto, che fra i segreti agitatori delle campagne alcuni vi fossero avversi a un tempo alla democrazia e alla Dinastia Lorenese, e coltivassero la occulta mira per ricondurre il già Ducato di Lucca a condizione di cose impossibile;" - ma più esplicitamente i Giornali dei tempi intorno alle mene pei Piemontesi.

Il Popolano del 15 febbraio 1849 così allarma il Governo Provvisorio con le sue corrispondenze lucchesi, che in sostanza erano vere: "A Lucca pure i fervidi patriotti perdon coraggio per la fiacchezza del Governo, che sembra volontario ficcarsi negli occhi le dita per nulla scorgere di quanto gli succede dattorno. Note di adesione al Governo Sardo circolano sempre per la città, e diecimila Piemontesi sono alle frontiere, presso Sarzana, desiderosi di porre il suggello del fatto compiuto alla perfida macchinazione della trista combriccola della Riforma, foglio svergognato e venduto, a cui, nei tempi che corrono, e nel bisogno di unione e di quiete interna che supremo impera, non dovrebbe bastare lo invocare la libertà della stampa per proseguire nelle sozze sue opere; e come austriaco, e come traditore della patria, esser dovrebbe messo fuor della legge, e condannato alla pena dei facinorosi."

"Le più allarmanti notizie fannosi correre in quel paese (Lucca) pieno di generosi intelletti, ma dallo iniquo partito, soverchiante, tenuti isolati e divisi.

"Ieri abbiamo da lettera di onesto cittadino tenersi colà per certo l'accordo del De Laugier col Piemonte. Alla menzognera notizia una mano di soldati con insolita burbanza dirigevasi sulla piazza di San Michele, dichiarando ad alta voce non volere eglino prestar servigio al Governo Provvisorio, perchè - urlavan essi - composto di tre assassini, e proseguirono in altre esecrande invettive finchè parte di Popolo non gli ebbe ricondotti a forza nella loro caserma, dopo essersi impossessata delle armi. I cittadini spontaneamente si dettero a pattugliare per la città, ove niun disordine ebbe luogo, ma non fu però potuto impedire fossero sparsi fogli sediziosi fralle truppe, colle quali insinuavasi dovere eglino persistere nel loro proposito di non servire ad un Governo che ci conduce al macello. Di tutta la Ufficialità risiedente in Lucca due soli hanno parlato a pro di esso: gli altri permisero che alti personaggi s'introducessero nel quartiere militare, e vi spargessero danari per sovvertire sempre maggiormente i soldati.

Questi fatti avvenivano in Lucca parimente il dì 12, e se una protesta a stampa, scritta dai buoni soldati, circola e condanna la mala condotta dei traviati compagni, ciò non dee mica impegnare il Governo a starsene inerte spettatore delle lotte intestine, nè ad aspettare che la battaglia cessi o per mancanza di combattenti, o per breve sosta prodotta da stanchezza più che da persuasione." - (Popolano del detto giorno.)



463 "Noi Io abbiamo sempre predicato: la libertà e gli eccessi appianano la via alla reazione!... Sì, la persuasione del si stava meglio prima, sentita nei cuori di gente ignorante ed illusa, potè essere tradotta nel grido forsennato di Viva Carlo Lodovico; e l'eresia politica della separazione trovar numerosi partigiani..... Ora dunque tocca al Governo ad unire l'opera sua con quella dei buoni cittadini, perchè le difficoltà che ci circondano sieno dissipate, e sia tolto ogni pretesto alle mene di reazione che ci minaccia." - (Riforma, 2 gennaio 1849.)



464 Dispaccio telegrafico del Governatore di Livorno, 18 febbraio ore 6, m. 3 p. m. - Documenti, pag. 484.



465 Documenti, ivi.



466 Ivi, pag. 284.



467 "Gli esuli lombardi accorsero tutti a difendere la libertà minacciata, e la legione pollacca, sebbene rientrata in Firenze da poche ore, dimenticò la fatica e la stanchezza per accorrere a difesa della terra che l'ha ospitalmente raccolta." (Monitore del 22 febbraio 1849.) - Dunque se nella notte del 21-22 Lombardi e Pollacchi erano a Firenze, non potevo a un punto essermeli tratti dietro il 20. L'Accusa volle sempre mostrarsi esatta così.



468 In Massa i Partiti, secondo le informazioni, erano tre, e fierissimi tutti, che attendevano il destro di romperla crudamente fra loro, il Repubblicano il più ardito, lo Estense il più numeroso, il Costituzionale il minore.



469 Merita esame profondissimo la seguente lettera da me mandata al R. Delegato conte Staffetti, mentre io durava nei Consigli della Corona: per essa si comprende come la mia politica fosse la conseguenza franca e decisa del Decreto del 12 maggio 1848 - (Ministero Compini, - e della Commissione data il 22 settembre al Marchese Ridolfi - (Ministero Capponi), - sia intorno alla consulta del voto popolare, sia intorno alla necessità di accorrere con tutte le forze in soccorso dei Lunensi:

«Al signore Conte Andrea Del Medico Staffetti Delegato R. di Massa e Carrara.

Signore Delegato, Amico carissimo.

Io ho motivo fondato per credere che le minaccie, e le paure relative al paese alla fede vostra commesso, e che voi con senno pari alla energia governate, si abbiano a reputare per vane; e nonostante, quando fossero vere, il Ministero è deliberato difenderlo con ogni supremo sforzo, così persuadendo la politica, l'onore, e il dovere.

Uno Stato, perchè duri, e non sia uno scherno geografico, concedetemi la espressione, ha mestieri di confini naturali. La natura gli ha dati alla Toscana; essa ha potuto conseguirli; e adesso deve mantenerli. - La difesa esterna, alla quale ogni Stato che non si voglia ridotto nella condizione di schiavo tremante ha diritto, così ordina. L'amministrazione interna, per le ragioni che ogni uomo intende, senza pure tôrmi il pensiero di esporle, così domanda. - Il Trattato di Vienna ormai, nella divisione territoriale del nostro Paese, fu chiarito assurdo, e Dio volesse che fosse stato assurdo in questa parte soltanto!

Qualunque sieno le sorti che la Provvidenza riserba alla Italia, confido in questo, che, se avranno a decidersi co' Congressi, agli antichi errori verrà riparato col senno; se poi con le guerre dei Popoli, saranno emendati con la spada. Ad ogni modo vogliono essere corretti, se non si ama perpetuare gli argomenti della inquietudine, e saranno.

E ciò posto da parte, noi vi abbiamo aperto le braccia, voi vi ci siete precipitati dentro, e ormai questo amplesso ha da essere indissolubile. La libera votazione del Popolo è l'unico, e il santo diritto divino dei Principi: infatti la libera volontà dell'uomo, determinata dalla segreta ispirazione del suo Creatore, è il modo col quale in simili bisogne Dio si rivela agli uomini; e questa dottrina io penso che non abbisogni essere dimostrata.

Non sarà detto che voi abbiate ricevuto danno per la benevolenza dimostrata con modi così solenni a noi Toscani. Voi siete per natura, e diventaste adesso per libero consenso della mente, quasi carne della nostra carne, ed ossa delle nostre ossa. Noi vi difenderemo da tutti, e ci salveremo, o periremo insieme.

Poche sono le forze nostre, e non pertanto bastano contro i nostri nemici; e poi stanno per noi la ragione, e il buon dritto, che, come la esperienza insegna, fanno forza agl'Imperii più poderosi.

Queste leali ed esplicite dichiarazioni avranno, io spero, virtù di assicurare i timidi, e confermare i risoluti.

S. A. R. rimase oltremodo commossa dello amore dimostrato in tale occasione da cotesti Popoli; io vi commetto lo incarico onorevole di farglielo palese, e assicurarli ch'essi vengono con altrettanto affetto ricambiati; e il Principe e il suo Ministero vi aspettano con ansietà, mio egregio Signore, per consultare insieme intorno ai provvedimenti valevoli per promuovere ogni maniera di prosperità di coteste popolazioni benemerentissime.» - (Monitore, 20 decembre 1848.)



470 Dispaccio al Prefetto di Lucca del 23 febbraio 1849 - citato altrove: «Sono giunto a Pietrasanta: poco dopo è arrivata la colonna condotta dal Maggiore Petracchi, la quale, preso un poco di ristoro, si dirige immediatamente verso Viareggio. Qui attendo il Generale D'Apice. Mi vengono notizie avere Laugier inchiodati i cannoni al posto di Porta, e fuggir via; indietreggiato fino a Massa, avere sciolto i soldati, che percorrono sbandati il Paese, ed Egli essersi salvato



471 Documenti dell'Accusa, pag. 814.



472 L'Accusa, spigolando per nuocere, trova che il Prefetto di Lucca annunziava: «Il Dottore Casali avverte il Presidente, che un amico livornese ha deciso per lo arresto della madre di Laugier, e se tuttora è in Livorno sarà custodita.» - (Documenti dell'Accusa, pag. 484.) - Ma l'Accusa non ha riportato il mio Proclama per salvare da tanta infamia il capo della povera madre; e lo riporto io: «Essendoci pervenuta la notizia come alcuni del Popolo crucciati per lo empio attentato di Cesare Laugier abbiano manifestata la intenzione di arrestare sua madre dimorante a Pisa: Si ordina sotto pena della indignazione del Governo, che sia rispettata religiosamente..... - Camaiore, 22 febbraio 1849.» - (Era Novella, 24 febbraio 1849. - Conciliatore, 26 febbraio 1849.)



473 Thiers, Histoire de la Révolution (Convention), pag. 232, edizione citata. - Blanc, tomo 2, pag. 445, edizione citata.



474 Berghini, di cui ragionerò fra poco.



475 Non è già per cattare sacerdotale benevolenza, ma per dire il vero, che qui ricordo con quanto studio io cercassi porre i Preti in grazia al Popolo; invero, aprendo a caso l'Alba del 1848, a c. 1264, trovo: «Alla lettura dei nomi dei due Canonici, alcuni hanno obiettato: non vogliamo preti; Guerrazzi ha fatto osservare, che fra questi vi sono anche molti buoni, e che uno della Deputazione» (erra, parlai di Monsignor Gavi) «era dispensatore ai poveri di molte migliaia di lire l'anno. Il Popolo ha annuito.» - Io, che sono un uomo tagliato all'antica, tenevo sempre la mente volta a quello che il Segretario Fiorentino dice, nei Discorsi su le Deche di Tito Livio, della religione dei Romani, ammonendo con ragioni e con esempii buoni com'essa fu parte non piccola a formare in loro la virtù per cui conquistarono il mondo.



476 Il signor Farini, nel Vol. III, a pag. 255, della sua Opera su lo Stato Romano, parlando di Vincenzo Gioberti, scrive: «i ministri toscani (obbrobrio!) lo ingiuriarono villanamente.» Vincenzo Gioberti, uomo di mente, e perciò di cuore grande, deplora questi importuni ricordi, come li deploro io; ed entrambi (ne sono certo) daremmo molto, ma molto assai, perchè i fatti che somministrano argomento a simili scilomi andassero obliati, o, se possibile fosse, non fossero accaduti: ora aizzare l'uno contro l'altro non è opera a cui bastino gl'ingenerosi: le nostre destre non si sono potute toccare; ma con gli spiriti già ci siamo abbracciati, piangendo sopra la Patria, e su noi.... Fermo questo, come spero, devo ammonire il signor Farini, che anche qui erra; e mi conceda, che io gli aggiunga, ciò accadergli troppo spesso, onde il suo Libro, che pure è dettato con vaghezza di stile, si levi alla dignità di Storia. - L'Accusa, a cui cotesto libro (e veda il Farini a che cosa meni la parte di Don Marzio nel mondo) è servito di lanterna, e, come a Dio piacque, fallace, per impegnarsi dentro al laberinto delle sue bugie, stampa nel Volume dei Documenti a pag. 860 la prova, che il Governo Provvisorio toscano non insultò, ma fu insultato. La dichiarazione del Governo Provvisorio di Toscana del 17 marzo 1849 fu provocata dalle furiose e non degne parole contenute a riguardo nostro nel Saggiatore, Giornale politico. Quanto era meglio pel signor Farini, ed anche per tutti, non accennare a questa miseria, molto più se si considera ch'ei lo fece allo scopo di aggravare con menzogna me travagliato anche troppo!



477 Lettera di V. Gioberti al Muzzarelli, del 28 gennaio 1849.



478 Lamartine, Histoire de la Révolution de 1848, Bruxelles 1849, tom. 1, pag. 194. - Qui ho parlato di Decreto pubblicato senza ch'io lo firmassi: nell'Appendice terrò discorso di altro Decreto da me firmato senza averlo letto.



479 Documenti. pag. 549.



480 Pare che l'estensore di codesto Proclama in quel giorno fosse di Guardia alla punta del Molo!



481 «Nuovi avvenimenti minacciavano di tornare ad alterare nel decorso giorno in Empoli l'ordine pubblico, e la quiete della popolazione. - Non appena tal notizia giungeva a cognizione delle Guardie di Finanza appartenenti alla Brigata di Firenze, che spontanee ed animose si offrivano di andare a tutelare quanto ha di più caro e di più sacro il cittadino che veracemente ama la sua Patria diletta. Esse partirono alla volta di Empoli la decorsa sera, condotte dall'Aiutante Maggiore Pietro Giovannoli. Possa un tale esempio di paterna affezione essere apprezzato quanto merita, e seguitato quanto n'è il bisogno, da tutti i buoni Toscani i di cui costumi, la di cui concordia, il di cui sagace e retto intendimento ne assicurano, che anche in questi solenni momenti non ismentiranno quella commendata opinione, che per tali virtù sempre mai si meritarono. Firenze, 23 febbraio 1849.» - (Documenti dell'Accusa, pag. 846.)



482 Documenti, pag. 247.



483 Documenti, pag. 247.



484 Ivi.



485 Documenti, pag. 286.



486 Ivi, pag. 249.



487 L'Accusa pare, che faccia nascere i sassi

 

Dal più profondo e tenebroso abisso,

 

per urtarvi dentro: invero la disciplina militare difficilmente troverebbe cultore più passionato di me; quando mi pervenne la notizia della strage del Giovannetti la mia voce si levò nel Parlamento, perchè fosse sottilmente ricercata, e punita.

«Guerrazzi. - Mi vengono sicure notizie non solamente a carico della compagnia dalla quale si suppone che possa essere derivata la uccisione del Colonnello Giovannetti, ma ancora relative al pessimo contegno tenuto da tutto il Corpo dei Granatieri nella presente Campagna.

Mi si annunzia di più che le provocazioni, le minaccie e gli scopelismi usati contro il Giovannetti datano da tanti tempi remoti; e per conseguenza domanderei al sig. Ministro della Guerra affinchè si facesse dovere di affrettare una simile inchiesta. Privatamente lo faremo anche noi, affinchè, corrispondendo a questa inchiesta le notizie che mi vengono date, sia proceduto con tutto il rigore della Legge, non solamente a carico della compagnia, ma anche contro tutto questo corpo di Granatieri; il quale, essendo corpo scelto, doveva dare esempio di disciplina, e, secondo le informazioni ricevute, avrebbe fatto tutto al contrario.

Ministro della Guerra. - Dal momento in cui le nostre truppe mossero per la Lombardia fu istituito un tribunale militare a cui incombe l'incarico di fare le indagini necessarie dei fatti tumultuosi o dei disordini che avvengono nel campo. Io, nonostante, tornerò ad eccitare il tribunale, affinchè si occupi di queste indagini.

Guerrazzi. Contiamo nella vostra lealtà e nella vostra giustizia affinchè questo abbia luogo.» - (Monitore, Seduta del 16 agosto 1848.)



488 Vedi la sua dimissione mandata al Governo Provvisorio, negli Archivii.



489 «Il Prefetto di Lucca al Ministro dello Interno. Trascrivo un biglietto del Delegato di Massa e Carrara, che mi perviene in questo momento, così concepito - Massa 18 febbraio. Signor Prefetto. I Piemontesi non entrano. Laugier è sconcertato. Qui calma dignitosa. Altrettanto sia in Toscana, ed il folle progetto cadrà per la sua propria incostanza. Dirami questa notizia, e sopra tutto la comunichi al Governo.

P. S. Io non sono ancora libero, nè le mie comunicazioni. Domani spero poter dare migliori notizie.» - (Documenti, pag. 484.)



490 Documenti, pag. 366.



491 Documenti, pag. 484.



492 Documenti, pag. 486.



493 Ivi.



494 Ivi.



495 Trovo sopra i Giornali così narrati i casi del 23 febbraio. A me non furono referiti diversi quando giunsi a Massa. «Massa, 23 febbraio. - Alle ore 10, mentre vi scrivo, il paese è in grande allarme. È ritornato a briglia sciolta tutto il treno con 22 pezzi di cannone e tutta la truppa a marcia forzata. Giunti sul piazzone del Palazzo, la popolazione in massa si è slanciata sui soldati del treno, lottando con essi, e gridando: Non partano più i cannoni. Allora gli artiglieri hanno staccati i cavalli che sono stati condotti in una stalla e guardati dal Popolo, i soldati tutti si sono sbandati, fuggendo chi per la Toscana, chi per le montagne, chi vendendo la roba per mangiare, essendo digiuni da 48 ore. Veduto Laugier tutto questo, abbenchè dicesse non voler cedere la Piazza, è uscito dal Palazzo a cavallo scortato dai Dragoni con sciabole sguainate, ed ha gridato: Valorosi soldati, seguitemi; io ho la cassa, andiamo a unirsi a Fosdinovo: chi mi vuol bene mi segua. - Dopo questo parole è scappato come il Demonio con la Cavalleria verso Fosdinovo; si crede però che i Dragoni torneranno indietro.» - (Alba, 23 febbraio 1849.)





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