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Francesco Domenico Guerrazzi
Apologia della vita politica

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  • CONSIDERAZIONI GENERALI.
    • XXVIII.   Mio disegno; motivi che lo persuasero, ed espedienti per conseguirlo.
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XXVIII.

 

Mio disegno; motivi che lo persuasero, ed espedienti per conseguirlo.

 

Come il tempo negli antichi marmi corrompendo taluna lettera, e tale altra consumando, rende le iscrizioni a leggersi difficili, così la forza degli eventi, esercitandosi sopra le opere dell'uomo politico, quasi sempre ne scompone il disegno; però, nel modo stesso che periti archeologhi sanno ricostruire le prime, e ridurle ad ottima lezione, uomini che la scienza del governo degli Stati professano, indagando, ritrovano in mezzo alle scosse della fortuna, e alle deviazioni della necessità, il concetto dell'uomo politico. - E non sarà soltanto legge di giustizia storica, bensì di giustizia universale, giudicarlo non già con le norme assolute del retto, e del giusto, bensì con lo esame dei tempi nei quali visse, e degli avvenimenti che lo costrinsero ad operare551. Che se questa sentenza dettata da Ugo Foscolo fu reputata vera, ragionando dello scopo di Gregorio VII, tanto maggiormente deve accettarsi nel mio, in quanto che le forze del tempo, se meno si presentavano ardue a dominare, più inopinate e furiose imperversavano a scuotere. Io però rinnegherei la esperienza e la verità, se o credessi o affermassi, che agevolmente dagli uomini politici si renda giustizia agli uomini politici loro contemporanei: chè da un lato le Fazioni pervertono lo intelletto, il giudizio per passione si corrompe; e sovente eziandio, più che non converrebbe a spiriti elevati, invece di affaticarsi a cercare il vero sotto la fronte prima delle cose, pigramente si accomodano alla volgare sentenza. Onde, a senno mio, non le preghiere soltanto, come disse Omero, sono zoppe e losche, ma la verità altresì, avvegnadio veda a poco per volta, cammini tarda, e troppo spesso non giunga neppure in tempo a chiudere gli occhi al travagliato dalla fortuna e dagli uomini. M. Lamb, che fu poi Lord Melbourne, con aggraziata e verace scrittura deplorò la condizione dei Ministri di Governo, la quale mi piace referire onde si veda se questa sia stoffa da mettersi fra dita di uomini rusticani, e per di più maligni:

«Le geste del soldato si compiono davanti alla faccia del sole, alla luce del giorno, presenti i compagni, e i nemici contro i quali ei combatte. Tutti le vedono, le conoscono tutti; nessuno le contrasta, o le attenua. La fama tosto pel mondo le spande: e tosto il premio di lode dovuto ai salvatori degli Stati ricevono. Il sagrifizio di un Ministro e la devozione dell'uomo di Stato sperano invano ricompense siffatte; però che gli sforzi loro adoperandosi più spesso a prevenire, che a comprimere grandi vicissitudini, avviene che rimangono oscuri, ignorati, esposti a tutte le false interpretazioni della ignoranza e della mala fede. Li criticano, li accusano, e li condannano, mentre all'opposto meritano il plauso della Patria non ingrata. Quante e quante volte questi sforzi generosi e penosi vanno obliati in mezzo alla pubblica sicurezza mantenuta da loro, o alla prosperità per essi iniziata552

Ora il mio disegno da alcuni in parte si disprezza, in parte si nega; da altri si confessa, ma si calunnia, e acerbissimamente riprendesi.

Qui emmi venuta in testa certa fantasia di raccontare una storiella, la quale, comecchè alla mestizia dello argomento non convenga, pure alle fortune che provo maravigliosamente si accomoda; ed è questa. Fu già un Dottore, ma non ricordo il nome, di assai tenera pasta, al quale, quantunque volte gli capitava operare qualche bene, pareva proprio andare a nozze; e malgrado che da questo suo costume gliene fossero venuti fastidii non pochi, e molestie grandi, pure non si sapeva ridurre a mutarlo. Ora accadde, che, passando per certa contrada, s'imbattesse in un marito ed in una moglie, i quali con una pertica e con un bastone si ricambiavano univoci, e non equivoci (come direbbe l'Accusa), segni di coniugale affetto. Il buon Dottore acceso di sdegno cacciavasi risoluto in mezzo agli arrabbiati, e, messa la destra al petto dell'uomo, la sinistra non so in qual parte della donna, teneva l'uno dall'altra lontano, esclamando: - «In questa maniera, sciagurati!... per voi si rappresenta la Unione di Gesù Cristo con la Chiesa? Così si fa bugiardo il primo padre Adamo, quando disse, che marito e moglie sarebbero stati due in una carne sola?...»

E continuava a dire; ma il marito, accigliato, gli rispose: «E che cosa importa a lei dei nostri fatti?» E la moglie dall'altra parte: «O come entra lei nei fatti nostri?» E poi marito e moglie insieme: «E se ci vogliamo bastonare, o che cosa gliene ha da premere? Se tanto bastonassimo lei!... e se lo meriterebbe... se lo merita.... io lo bastono... tu lo bastoni... noi lo bastoniamo...» E i coniugi coniugarono il verbo bastonare sul corpo del Dottore. Gliene dettero cento, tanto erano e giustamente infelloniti costoro; ma il povero uomo non sentì le dieci, chè cadde alle prime percosse malamente ferito sul capo. Il Cerusico, accorso, prima di medicare la piaga, prese co' suoi ferri a scandagliarla, onde il Dottore traendo doloroso guaio: «Ohimè» disse, «che cosa fate, Cerusico?» E il Cerusico a lui: «Io tasto per vedere se vi hanno offeso il cervello.» - «Ah! Cerusico mio» soggiunse il ferito, non istate a perdere tempo, fasciatemi il capo addirittura; e vi pare egli, che se avessi avuto cervello mi sarei messo in mezzo a scompartire moglie e marito?» - Così è, voi troverete la storia dei moderatori dei Partiti in tutto uguale a quella del Dottore e alla mia.

Ma, delle due Fazioni, per ora parlerò intorno alla prima rappresentata dagli Accusatori e dai Giudici, intervenuti fin qui in questa lamentevole procedura. La parte che da loro adesso si tiene a vile, e la pubblica e la privata sicurezza difese; e sta bene; voto di naufrago, passato il temporale, raro si ricorda: la parte che si nega, è che, consentendo io a quello che formava allora, e conosceva sperimentalmente formare il desiderio della parte grandissima del Paese (voglio dire stabilire ed usare le libertà costituzionali), procurassi con ogni mezzo legale e leale, senza neppure atomo di comodo privato, che con modi civili la universalità del Popolo la restaurazione dello Statuto decretasse.

Ma se altri lo impugna, a me basti averlo dimostrato fin qui, e compirne adesso la dimostrazione. Ho detto come a simile intento per me fossero adoperati di due maniere partiti: i primi di resistenza, i secondi d'iniziamento. Mi si conceda toccarli succintamente da capo, per mostrare poi quanto sembrasse la conclusione propostami razionale e onorevole.

Rispetto ai primi, la resistenza fu opposta alla forza, all'astuzia e alle adulazioni. - La forza apparve materiale e morale; e poichè anche sommarne i capi saría troppo lungo lavoro, mi commetto alla benevola memoria del leggitore. - Astuzia fu la insistenza per la proclamazione provvisoria della Repubblica, salva la conferma dell'Assemblea; - astuzia le otto proposte preliminari per la Unificazione, del 27 febbraio, quasi accettate dal Presidente del Governo; - astuzia i due Ministri romani, ordinario e straordinario, qui fermi per sollecitare ogni momento; e i due ambasciatori straordinarii mandati il 15 marzo per isforzare la Unificazione immediata553; - Ciceruacchio, alla testa di una Deputazione del Popolo di Roma portante il voto del medesimo per la unificazione con la Toscana, nel 17 marzo non già da Livorno direttamente avviatosi a Firenze, ma aggirantesi per Pisa, Lucca, Valdinievole, Pistoia e Prato, onde concionare i Popoli, e strascinarli ad ogni modo nello statuito disegno554; - e il Ministro degli Esteri, Rusconi, qui venuto in fretta ad assicurare, che Francia e Inghilterra avrebbero impedito qualunque intervento nella Repubblica della Italia Centrale (e non era vero), purchè costituita555. - Lusinghe: la Deputazione romana venuta a offrirmi la carica di Triumviro a Roma, e la proposta espressa che di ciò fece il Principe di Canino Presidente all'Assemblea Romana.

Partiti d'iniziamento furono: impedire che il Popolo facesse da sè; ostare, per quanto era dato, che il Governo non passasse alle moltitudini in piazza, la macchina governativa non si disfacesse, gl'impiegati probi e animosi non fossero cacciati o se ne andassero per dare luogo a gente forse prava, certo incapace; attendere con somma diligenza che le proprietà e le vite dei cittadini si rispettassero, onde il Popolo, mutata natura, non diventasse feroce; - rigettate le misure di Legge dei sospetti, di armate mobili rivoluzionarie, di supplizii immediati, e impedito che i Faziosi facessero da sè; - rigettate le misure di mettere mano violenta negli argenti sacri, e nelle borse dei ricchi, e impedito che i Faziosi facessero da sè; - i più temibili fra gli agitatori o cacciati, o allontanati, o imprigionati; - i Ministri Marmocchi e Mordini persuasi a sostenermi nello assunto della Restaurazione per via delle Assemblee Costituenti; - dei Giornali, qualcheduno reso favorevole; altri pregati a cessare, o a moderarsi; - armi tolte al Circolo; - emigrazioni armate allontanate dalla città; - Religione protetta, delegando il Tribunale di Volterra a giudicare delle ingiurie patite da lei; - Arcivescovo richiamato; - Magistrati difesi; - con ogni mezzo attutito il delirio del Popolo, e richiamata la intera Toscana al sentimento delle sue tradizioni, dei suoi costumi, dei suoi interessi, della sua capacità, e della sua potenza; con altre più cose, che nel corso di questa Memoria vengono sparsamente discorse.

Quello però su cui giova trattenermi con maggiore larghezza è il provvedimento legale destinato a operare la Restaurazione. Considerando come alla piena del Popolo, che aveva fino dall'8 febbraio decretato la Unificazione con Roma, la Decadenza della Corona e la Repubblica, fosse impossibile resistere direttamente, fui sollecito di pubblicare il Decreto del 10 febbraio 1849. Ho detto come questo e l'altro Decreto del 14 successivo venissero presentati dal signor Montanelli, e non furono sua fattura, ma sì, mi sembra, del signor Avvocato Rastelli; e mi affrettai a sottoscriverli per tre ragioni distinte, e d'importanza grandissima: 1a perchè mi davano tempo di un mese e più, e il tempo in questi negozii è tutto, checchè paia diversamente opinare l'Accusa, dall'autorità della quale, in fatto di politica, mi sia lecito discostarmi; 2a perchè a fine di conto mi assicuravano di un'Assemblea toscana, la quale degl'interessi toscani discutesse, e il Paese veramente rappresentasse556; 3a perchè, sebbene dichiaravasi che la forma del Governo della Toscana sarebbe stabilita dalla Costituente Italiana, però la Legge sopra questa Costituente si prometteva, e non si diceva nè come aveva ad essere composta, nè a quali condizioni vincolata557.

Fu per me dimostrato con quanto, non dirò sfavore, ma furore venisse ricevuta cotesta Legge dai Repubblicani. Il Popolano la lacerò acerbamente: espose i pericoli della dilazione alla proclamata Repubblica; minacciò guerra civile; rampognò il Governo per la sua repugnanza di aderire alla dichiarazione popolare della decadenza del Principe; insistè aspramente nel sollecito uso di mezzi violenti e rivoluzionarii, con altre enormezze, di cui con non mediocre fastidio venni raccogliendo la storia da quello e da alcuni altri Giornali, che in quel tempo si pubblicavano. In proposito di cotesta Legge la Costituente Italiana del 13 febbraio 1849, prendendo a discutere strettamente la materia con raziocinii affatto rivoluzionarii, dopo avere detto con focose parole quanto ho riportato a pag. 333 e 334 di questa Apologia, continuava così: «Noi lo ripetiamo ancora una volta ai Cittadini del Governo Provvisorio: osate, osate. Unione con Roma e convocazione della Costituente. L'istinto popolare nel suo squisito buon senso ha già precorso il vostro giudizio, e domanda questa Unione. Voi avete udito il suo grido di gioia, e il saluto a quella Repubblica per cui vuol vivere e morire; voi potete e dovete sanzionare quel saluto e quelle grida.» Nel successivo N° del 14: «Abbiamo meditato sopra il Decreto che convoca un'Assemblea legislativa toscana, e, in onta alla buona intenzione, non abbiamo saputo indovinarne le ragioni politiche, nè il principio di diritto. Un'Assemblea uscita dal suffragio universale, in un Paese abbandonato al Provvisorio, o non ha voto, o non ha senso, o si colloca come Sovrano in faccia al Popolo da cui fu eletta

E dietro lei la folla dei Giornali del Partito, urgentissima tutta, come se si trattasse di scaldare al fuoco mozziconi di candela di cera e appiccicarli insieme! In verità io non capisco più dove sia andato il senno italiano. La massima parte dei Popoli, repugnante o inerte, come spingiamo noi? Con questo strepito forse? No certo: con che cosa dunque? Col terrore; e questo non dovevate, nè potevate domandare a me; e a questo dovevo oppormi, e mi opposi. I Repubblicani, avendo penetrato il riposto consiglio che dettò il Decreto del 10, presso il signor Montanelli si adoperarono; il quale, piegando alle insistenze loro, apparecchiava il Decreto del 14 febbraio, o, come ho detto, per lui lo apparecchiava l'Avvocato Rastelli. Non vi ha dubbio: il Decreto del 14 febbraio metteva le mani dell'Assemblea Romana nei capelli alla Toscana; legata ad una rota del carro della Repubblica Romana, era mestieri che la mia Patria precipitasse nella carriera perigliosamente inane di quella. Comecchè così mi venisse a sfuggire la tavola di salute, pure firmai, perchè costretto a farlo, tutto parendomi meglio che proclamare a tumulto la Repubblica, la Decadenza del Principe, e la Unificazione con Roma; sperai in qualche congiuntura favorevole; in ogni caso ero determinato a mandare avanti l'Assemblea Toscana, onde discutere pubblicamente insieme i grandi interessi del Paese, che avrebbero persuaso i Toscani a seguire lo antico loro dettato: «piano ai ma' passi.» Infine, cotesto Decreto lasciava lo addentellato a molti schiarimenti, e a molte questioni.

Invero, questo Decreto non piacque ai Repubblicani; e più che mai raddoppiarono le violenze e gli sforzi, i mezzi qualunque, che dichiaravano sacri perchè tendenti a conseguire lo scopo agognato, siccome largamente al suo luogo, con prove storiche, fu fatto conoscere; alle quali, chiunque vorrà giudicare secondo che religione insegna, fie che aggiunga tutti i Giornali che io non possiedo, come, a modo di esempio, la Italia dei Giovani, il Giornale Popolare, lo Inferno, il Calambrone, il Tribuno del Popolo, la Lanterna Magica, il Lampione, - ed altri, che io non ricordo, diarii e foglietti staccati, e avvisi, e proclami, e decreti dei Circoli; e cotesta congerie di fogli gli sarà com'eco di un tempo passato, e come testimonianza di quanto gli uomini pensassero, macchinassero e compissero per instituire la Repubblica, rovesciando il Governo Provvisorio. Nello intervallo che corre dal 14 febbraio al 6 marzo, vedete che il Circolo Fiorentino manda 25 Commissarii nelle Provincie per convocare uno assembramento mostruoso a Firenze, al fine di costringere il Governo a proclamare la Repubblica558. Il Circolo delibera che non forzerà la mano al Governo in quanto al giorno della riunione dei Deputati in Roma.... Non vi par ella grandissima libertà cotesta? L'Assemblea intimata dal Governo è vilipesa, minacciata, o derisa. - In questo intervallo i Popoli accorsi dalle Provincie, uniti col fiorentino, proclamano la Repubblica di diritto e di fatto, e piantano l'Albero della Libertà davanti il Palazzo. Il Circolo Popolare decreta Legge uniforme. I Popoli accorsi sopra la Piazza, con immense strida, dichiarano decaduto il Principe, la Repubblica, la Unione con Roma, e Laugier traditore; migliaia di furiosi presentano al Governo i plebisciti perchè gli accetti e ratifichi. - Come potessi schivarmi in quella tremenda giornata, ho esposto altrove. Nondimeno Circolo e Giornali annunziano, bugiardamente, essere stata accolta con giubbilo cotesta dimostrazione, - avere aderito, il Governo, a proclamare la Repubblica; mentiscono parole, falsificano proclami: ma accortisi che il Governo teneva il fermo a non lasciarsi strascinare, di nuovo tramano altro più formidabile apparecchio pel 1° marzo, onde mandare ad effetto la proclamazione della Repubblica. Non essendo soppressa la Legge Stataria, pubblicata dai miei Colleghi per reprimere la reazione, io la mantengo per reprimere le minacciate violenze dei Faziosi; e lo annunzio col Proclama del 27 febbraio, il quale, accorso (per parare il colpo) il 26 da Lucca, persuasi i miei Colleghi, ottengo che sia pubblicato a Firenze. - In Consiglio mi secondarono tutti i Ministri. Il Circolo ruppe in aperte minaccie, più che mai palesò i danni dello indugio, e sospinse alla Repubblica; protestò contro il Governo, ci fece sentire prossimo lo stato di accusa; me appellò, bruttamente, traditore; ma il 1° marzo l'assembramento fu prevenuto. Il giorno successivo tolsi via la Legge, dichiarando che si aveva ad aspettare la deliberazione dell'Assemblea eletta col voto universale559.

Le vicende accadute nel tempo intermedio mi avevano purgato agli occhi dei più di ben molte calunnie, quantunque, e lo vedremo in breve, non cessassero di lavorarmi di straforo con arti proditorie. Comprese allora il mondo, e più comprenderà adesso, che, se contrastavo alla tumultuaria e violenta Repubblica, io già nol facessi per tradire la Patria, non per concerti presi col Principe lontano, non per mantenermi al Potere, non per rendermi necessario a tutti i Partiti, non in grazia di futuri comodi, o talento di titoli (vanità sempre, in questo caso vergogna); comprenderà che se ogni esordio di guerra civile ed attentato contro la sicurezza pubblica o privata io diligentemente attesi a comprimere, già nol facessi io in odio del Principato Costituzionale. Nella mia condotta io non ho riguardato me, nè altri: ho considerato quello che mi pareva meglio pel mio Paese: e al mio Paese ho sempre tenuto diritti la mente e il cuore. Questo ho voluto: questo ho operato con pericolo passato, e con danno presente. Non importa: meglio sventura onorata, che fortuna con vituperio. «Io sono per la Patria, e per Lei» dissi certa volta a Leopoldo II; «nè che metta prima la Patria vorrà V. A. adontarsi, perchè anch'ella l'ama con cuore di figlio.» Il Principe blando assentiva al detto; ed io, quello che parlai quando saliva i gradini della magione reale, penso potere ripetere ora che ho sceso gli scaglioni del carcere.

Poichè ogni resistenza felice aumenta nel resistente il credito che scema nello assalitore, così in breve io mi sentii forte abbastanza per avventurare un passo, che sostengo decisivo, come quello che, se non finiva la Rivoluzione, ormai la sottometteva; le sue ultime prove erano fatte, e per necessità di cose doveva andare di mano in mano digradando.

Lo spirito pubblico riassicurato incominciava, comecchè timidamente, a farsi sentire, e bisbigliava sommesso: che se la Toscana dovesse unirsi a Roma, non si aveva a discutere davanti all'Assemblea Romana, ma sì davanti all'Assemblea Toscana. I Settarii se ne commossero maravigliosamente; quale mi minacciò, quale mi interpellò; quale infine, ostentando sicurezza, diceva ormai la quistione decisa: la Unificazione con Roma e la forma del Governo doversi deliberare a Roma. L'Alba del 4 marzo stringeva il Governo Provvisorio con le seguenti parole:

«Alcune interpellazioni al Governo Provvisorio.

Fino dal giorno in cui il Governo Provvisorio toscano ascese al Potere, chiamatovi dalla volontà unanime del Popolo e dal consenso del Parlamento, fu sua prima cura di circondarsi dei Rappresentanti del Popolo, liberamente eletti per suffragio universale diretto, onde dar forza alla sua nascente autorità e coadiuvarlo nel soddisfare alle gravi bisogne dello Stato.

«A quest'effetto il Governo, abolendo da un lato il Consiglio generale ed il Senato, convocava immediatamente un'Assemblea legislativa di centoventi Rappresentanti, determinando i modi della elezione, e promettendo di sottoporle colla maggiore sollecitudine il progetto di Legge per l'attuazione della Costituente Italiana.

Questa Assemblea doveva concentrare in sè stessa tutti i poteri legislativi, per esercitarli in unione al Governo Provvisorio, il quale si riservava, oltre alla sua parte d'iniziativa, l'esclusiva sanzione e promulgazione delle Leggi.

Il giorno appresso, una Dichiarazione governativa, inserita nel Monitore, modificava in parte il precedente Decreto e restringeva nei suoi giusti limiti l'autorità del Provvisorio Governo; annunziando che la volontà liberamente espressa dai Rappresentanti del Popolo toscano, eletti per suffragio universale diretto, sarebbe stata legge pel Governo, il quale avrebbe primo dato l'esempio della più perfetta obbedienza al volere del Popolo sovrano.

Ma accortosi bentosto come la precipitanza nel convocare l'Assemblea toscana non gli avesse concesso di maturarne bastantemente la natura, i modi ed i limiti; avvedutosi come non bastasse alle esigenze del Paese la presenza di un'Assemblea meramente legislativa, la quale dall'indole stessa del proprio mandato sarebbe stata limitata esclusivamente alla interna amministrazione dello Stato; e come il Paese, rimasto privo di uno dei tre Poteri costituiti, abbisognasse di una Assemblea sovrana Costituente, la quale decretasse la forma politica dello Stato e le norme del nuovo patto sociale; il Governo Provvisorio pensò che fosse necessario sopperire immediatamente a questo pressante bisogno, ed a questo effetto pubblicò poco appresso il Decreto del 14 febbraio, col quale intendeva ad un tempo di dotare la Toscana di un'Assemblea Costituente che determinasse la forma di Governo con cui dovrebbe reggersi il Paese, e di soddisfare al voto unanime e concorde manifestato dal Popolo Toscano e dal Popolo Romano per la Unione immediata dei due Stati in una Italia Centrale.

Se ci atteniamo al contesto di questi Decreti, i quali a dir vero spesso si elidono e si contraddicono in più d'una parte, non può cader dubbio che il concetto del Governo Provvisorio non sia stato quello di deferire le questioni di ordinamento, tanto quelle relative alla forma dello Stato, come quelle relative alla Unione con Roma, di deferirle, diciamo, ai 37 Deputati della Costituente, i quali, raccolti coi Deputati Romani in Assemblea unica e sovrana, decreterebbero la Unificazione dei due Stati, determinando in appresso il patto sociale e le sorti dello Stato comune.

Le parole infatti dei Decreti governativi parlano troppo chiaro, a chi voglia e sappia intenderle, perchè si possa revocare in dubbio a quale delle due Assemblee debba appartenere la questione dell'ordinamento politico.

Il Decreto dell'11 febbraio stabilisce che la forma del Governo della Toscana, come parte d'Italia, dovrà essere stabilita dalla Costituente Italiana. Il successivo Decreto del 14 febbraio, ordinando la elezione dei 37 Deputati ed il loro invio a Roma, il quale sarebbe troppo ritardato se la Legge per la Costituente dovesse essere sancita dalla Assemblea Legislativa Toscana, allega come ragione di questa sollecitudine: che la Unione della Italia Centrale, già operata nei comuni desiderii e nei comuni bisogni, aspetta il suo compimento dall'invio dei nostri Deputati alla Costituente Italiana.

Ad onta però di queste chiare e lucide espressioni, parecchi organi della stampa periodica (tratti forse in errore dalle non poche e non lievi incongruenze dei due Decreti; da certi termini dubbii ed oscuri contenuti nella Dichiarazione del 12, di cui abbiamo sopra accennato, e nel Proclama del 27; e finalmente dalla convinzione della incompatibilità di due Assemblee che reciprocamente si elidono e si distruggono) hanno stranamente travisata la natura dei due Decreti, e ne hanno falsata la interpretazione, sostenendo che la questione dell'ordinamento politico sarebbe sottoposta all'Assemblea Legislativa, e restringendo la sfera e l'autorità della Costituente, fino a ridurla in qualche guisa soggetta e subordinata ai Decreti dell'altra Assemblea.

Questa erronea opinione, portata dal Giornalismo nell'arringo dei Circoli e delle altre Associazioni politiche, ha falsati i giudizii, contorte le opinioni, ed ha sparso nel Pubblico l'incertezza, il dubbio e la esitanza; di guisa che la Stampa ed i Circoli nel proporre le liste elettorali, e gli Elettori nel compilare le loro schede, si trovano tuttavia nel maggiore imbarazzo, ignorando la natura e l'indole respettive delle due Assemblee, non meno che i limiti del mandato da darsi ai 120 Deputati della Legislativa ed ai 37 della Costituente.

Ora questa incertezza, questi dubbii, e questi imbarazzi debbono cessare immantinente.

Noi chiediamo quindi formalmente al Governo Provvisorio di mettere in chiara luce questa delicatissima e troppo stranamente complicata questione; di disvelare il concetto che lo animava nel dettare i due Decreti; di dichiarare infine solennemente a quale delle due Assemblee egli intenda rimettere la discussione della forma che dovrà assumere la Toscana, e della sua Unione con Roma.

Non esitiamo a credere che il Governo vorrà dare una pronta e adeguata risposta a questa nostra interpellanza, nè vorrà nascondersi nel velo del mistero o dell'obblio, come ha fatto per la precedente inchiesta fattagli nel nostro Numero di mercoledì. Si rammenti il Governo che in assenza dei Parlamenti, e presso un regime libero e popolare, il diritto d'interpellare il Governo sui suoi atti appartiene ad ogni Cittadino, e sovra tutto a quei corpi morali, i Circoli e la Stampa periodica, che ne rappresentano i bisogni, i voti e le speranze; e che debito del Governo si è di darvi pronta, sincera e soddisfacente risposta

La Costituente Italiana del 6 marzo 1849, dopo avere censurato tutti gli atti del Governo Provvisorio, così prosegue: «Ora taluno vorrebbe turbare il corso logico delle idee, revocare in dubbio a cui competa decidere della forma del Governo toscano, e consumare l'atto più eminente di sovranità popolare. Il dubbio è nato dal cammino ondeggiante, traverso al quale si sviluppavano le decisioni del Governo Provvisorio. Il dubbio è grave. I nostri amici dell'Alba hanno solennemente chiesto che venga in modo esplicito dissipato, e noi non possiamo che fare eco ad essi, ed alle loro legittime istanze congiungere anche le nostre. A noi però il concetto fondamentale della Costituente Italiana, i limiti del mandato legislativo, e le considerazioni stesse che precedono i due Decreti dei 10 e 14 febbraio, stanno dinanzi allo sguardo e insegnano necessariamente la soluzione più logica di questa difficoltà. - Dopo dichiarazioni sì esplicite, nessuna pretesa invaditrice potrebbe essere messa in campo dall'Assemblea Legislativa senza disconoscere la legittimità della sua origine, e attaccare il sovrano mandato deferito alla Costituente. L'Assemblea Legislativa non esiste che come istituzione transitoria e secondaria, come garanzia speciale accordata alla Toscana a propria tutela duranti i pericoli e la necessità della situazione presente: collo esercizio incoato della sovranità nazionale nella Costituente, anche i Poteri legislativi debbono cessare, perchè in quella soltanto debbono concentrarsi. Noi non riguardammo, e non possiamo riguardare l'Assemblea Legislativa, che come elemento di soccorso, congiuntosi al Governo Provvisorio per fortificarlo; che al cessare di esso rientra nelle brevi limitazioni di un'autorità consultiva provinciale. Tali almeno sono le deduzioni naturali, invincibili, della Unione. Noi quindi respingiamo assolutamente qualunque dottrina che tentasse, contro la parola e lo spirito della Legge, trasportare all'Assemblea Legislativa quelle facoltà che sono irrevocabilmente e solo acquisite alla Costituente.» E qui continua facendosi l'obietto se la forma definitiva del Governo della Toscana deva decidersi dai Deputati Toscani congiuntamente ai Deputati Romani, o se da loro esclusivamente; e, come è da aspettarci, si mostra parziale del primo partito.

Eccomi giunto alle Forche Caudine. Stretto in questa maniera, era forza spiegarmi. Lo invio di 37 Deputati Toscani a Roma, perchè, congiuntamente co' Deputati Romani, deliberassero sopra la forma del Governo della Toscana, mi suonava vergognosissimo inganno. Che cosa avessero a deliberare, con Assemblea che già aveva proclamata la Repubblica, davvero non sapeva comprendere. Sul principio non poteva cadere questione, a meno che l'Assemblea Romana, abrogato il Decreto del giorno 8 febbraio, non avesse consentito a tornare da capo; il che appariva assurdo. Supposto che lo avesse concesso, o potuto concedere, il brutto inganno non veniva meno, avvegnadio il numero dei Deputati Romani superasse troppo quello dei Toscani. - Nè meno sarebbe stato festoso mettere a partito, nell'Assemblea degli Stati Romani, stremi di moneta, con carta che non trovavano da esitare nemmeno a vilissimo prezzo, se avesse voluto ricevere caritatevolmente la Toscana, tuttavia florida e con un attivo nel suo patrimonio sempre superiore al passivo560. Ma questi, nel linguaggio acceso degli uomini di parte, e' sono positivismi insensati. Io, per me, non desidererei meglio che i cittadini altra moneta non possedessero tranne di rame; dei cibi, non compri, dispensati dall'orticello, si contentassero; sempre brodetto nero bevessero: ma dipende forse da me, se gli uomini questo benedetto amore di sostanza non vogliono abbandonare? Se sia buono o cattivo costume quello di stare attaccati al proprio avere, io non voglio discutere adesso; per certo egli è vecchio, nè facile a farlo smettere, e credo che se ne siano potuti accorgere anche il signor Rusconi e i suoi compagni; però si astengono da confessarlo, perchè, appo la Chiesa loro, presumono la infallibilità della dottrina che negli altri contrastano: e così sempre dei Partiti succede. - Le due Costituenti, promesse dal Governo, non potevano senza pericolo revocarsi; ma, sottoposti i Deputati per la Costituente Italiana alla decisione della Costituente Toscana, il Paese tornava assoluto padrone di sè stesso. Il Governo, che minacciava cascare giù in piazza fra le moltitudini, senza che alcuno osasse impedirlo, era da me raccolto, e riposto in mano del Partito Costituzionale. Ora stava a questo accorrere, e farsi vivo. Non avevo adempito, con industria pari al pericolo, anche quello che gli uomini del Conciliatore avevano consigliato? A chi ben guarda, il Decreto del 6 marzo era infinitamente più ristrettivo della Legge della Costituente già proposta dal signor Montanelli. Invero, l'Assemblea Toscana si trovava investita di facoltà sì ampie, che il Consiglio Generale non immaginò possedere giammai. All'Assemblea spetta deliberare se voglia unirsi con Roma: - quindi, ella poteva decidere non volere; non volendo questa Unione, le competeva, a un punto, il diritto e il dovere di ordinarsi in Repubblica o in Principato Costituzionale separatamente; e, scegliendo il Principato, nessuno poteva impedirle di restaurare la Casa di Lorena. Tutto stava in lei.

Considerando, pertanto, gli uomini capaci per le faccende politiche non abbondare in Toscana, pensai, che su molti sarebbe caduta doppia nomina per le due Assemblee; e questo concessi per avere maggiore sicurezza che i Deputati alla Costituente Italiana, partendo prima delle deliberazioni prese dalla Toscana, non somministrassero pretesto a soverchierie rivoluzionarie. Al quale intento, provvidi ancora che le formalità per lo spoglio dei Deputati alla Costituente Italiana si eseguissero con lentezza; e di vero, non furono mai principiate561.

Se in mezzo agli sconvolgimenti politici, o per virtù o per fortuna, mi venne fatto condurre a questa riva lo Stato, l'Accusa, per onore suo, si ritiri, anzi si penta e si dolga di avermi offeso, e prometta fermamente di pensare, in seguito, a quello che scriverà. Nè creda essa che io in questo modo per vana iattanza mi esprima; mai no: se io il faccio, è segno che ho da opporle un testimone a cui ella dee fare di berretta; una prova che ella almeno ha da credere; una autorità, che da lei alla più trista vuolsi rispettare, e questa autorità è la sua; questo testimone egli è dessa.... propriamente l'Accusa....

Il Decreto del 10 giugno 1850 dichiara con parole solenni: «Il Popolo Fiorentino restaurava la Monarchia» (il Decreto non mette costituzionale, ma ce lo metto io, credendo servire allo amore della Patria e alla reverenza del Principe) «alla quale era devoto, ed a cui si era mantenuto, in mezzo alla tristezza dei tempi, costantemente fedele562.» E sia così, poichè così dice. Lo incubo rivoluzionario fu quegli che, aggravandosi sul petto a questo Popolo, gl'impediva la voce e la conoscenza; ora, poichè dallo incubo io lo liberava, dandogli abilità e modo di manifestare la sua devozione, egli è evidente che, anche a giudizio dell'Accusa, merito lode, non biasimo. Di qui non si esce: o crede, o non crede a sè stessa l'Accusa? Io devo supporre che a sè creda; e allora, dove trova materia a quel brutto delitto che si chiama tradimento? Ella potrebbe sospettare, come fa, quando fosse persuasa che io immaginassi il voto universale nemico al Principato Costituzionale, o che per me si volessero praticare violenze e inganni, per estorcere un voto contrario al desiderio dei Popoli; ma no, chè io ho provato, e proverò ancora, come nessuno con sicurezza maggiore alla mia sapesse gli umori dei Toscani; e in quanto a brogli, per preoccupare la libera votazione, nessuno, e neppur essa (ed è tutto dire!), ha mai pensato accusarmi563. Forse ella avrebbe potuto criticare il mio concetto, preferire un metodo ad un altro; e su questo ognuno ha i suoi consigli. A me le violenze non garbano, di qualunque colore elle sieno, e quando una cosa può ottenersi in palazzo, con modi civili e fra uomini di senno, non comprendo la ragione nè la necessità di andarla a pescare fra le commosse moltitudini in piazza. Ma poichè prevedo che con l'Accusa non si può fare a fidanza, così sarà prudente consiglio continuare il mio ragionamento.

Io riporterò questo Decreto, affinchè si conosca come con la prudenza, aspettata la opportunità, possano ottenersi giuste e ragionevoli cose, senza ricorrere a partiti disperati.

«Il Governo Provvisorio Toscano

«Decreta:

«Art. 1° L'Assemblea Toscana è investita del Potere Costituente a due distinti effetti, cioè:

«(a) Per decretare, se e con quali condizioni lo Stato Toscano debba unirsi a Roma.

«(b) Per comporre insieme ai Deputati dello Stato Romano la Costituente dell'Italia Centrale.

«Art. 2° Tenuta ferma la nomina dei trentasette Deputati per l'Assemblea Costituente Italiana, e la contemporanea ma distinta votazione per l'Assemblea Toscana, non sarà per altro incompatibile che si riuniscano in uno stesso individuo la rappresentanza sì nell'Assemblea Toscana, come nella Costituente Italiana.

«Art. 3° Il Ministro Segretario di Stato pel Dipartimento dello Interno è incaricato dell'esecuzione del presente Decreto. «Dato in Firenze li sei marzo milleottocentoquarantanove.

«F. D. Guerrazzi

«Presidente del Governo Provvisorio

Non è da dirsi se Circoli e Giornali si tenessero offesi; accorrendo pronti al riparo, si dettero sollecitamente a mutare le note dei Deputati, transfondendo nella Costituente Toscana i più sviscerati Repubblicani, affinchè la Repubblica e la Unificazione con Roma fossero proclamate per acclamazione dall'Assemblea appena convocata.

Che più? Io vengo apertamente oltraggiato come avverso alla Repubblica. Il Circolo minaccia rivoluzione, se l'Assemblea Costituente Toscana non dichiara la Unificazione con Roma; esamina gli eligendi, e, se non si obbligano a sostenere questo concetto con le armi, rigettansi con vituperio564. I Giornali repubblicani, infervorando gli animi alla scoperta, bandiscono la guerra civile, se l'Assemblea Toscana non proclama la Repubblica, e subito. E queste cose abbiamo veduto altrove; ma specialmente intorno al Decreto del 6 marzo il Nazionale muove querela perchè gli sembra alla onnipotenza del Popolo ingiurioso; e a parere mio s'inganna, imperciocchè lo studio di formulare dirittamente il partito non si sa comprendere in che cosa o come offendesse la libertà di risolverlo565. La Costituente provoca il Popolo, affinchè riparando la ostinata resistenza del Governo a proclamare la Unificazione con Roma, in onta alla volontà manifesta del Paese, mandi all'Assemblea Costituente Toscana gli uomini che l'acclameranno spontanea e unanime; e di queste iattanze mi prendevo cura mediocre, conciossiachè io troppo bene sapessi che i Settarii rimasti delirassero, ed i partiti avessero ottimamente compreso, che questa Unificazione, non essendo stata vinta di assalto, ormai per bloccatura non riusciva altramente possibile566. Il Popolano, tra perchè il Governo non buchera l'elezioni, e tra perchè la Legge pessima genererà un Assemblea di Retrogradi e di Conservatori, mi viene intuonando da capo la minaccia della guerra civile567. Come se fosse fede quella di convocare i comizii universali, perchè liberissimi dieno il voto, e maneggiarli poi perchè lo depositino nell'urna a modo tuo; e lasciata la fede, bel senno davvero sarebbe, per conoscere e rispettare il sentimento di tutto il Popolo, industriarti con ogni arte a farlo attestare del tuo. Questo si chiama nel sistema dei Settarii consultare il Popolo; e se non si obbedisce, o ci dichiarano la guerra, o ci congiurano contro, o ci calunniano con vituperii di cui nessun Partito oggimai più si vergogna; - nessuno.

La solerzia del Governo non mancò alla Patria. Il Ministro dello Interno stampò e diffuse una lista di Deputati di opinione moderata, per rettitudine insigni; altro non poteva fare, e non fece, chè senno e probità lo vietavano. Il Prefetto ebbe ordine raddoppiare vigilanza sopra i Circoli, e sopra le moltitudini. Io raccolsi la Guardia Civica nel Giardino di Boboli. Quello che io le dicessi vuolsi ricavare dal Monitore del 12 marzo 1849: «La Guardia Nazionale di Firenze, in numero di meglio che 2000 uomini, è stata stamane passata in rivista dal Generale Zannetti su la Piazza Maria Antonia. Quindi, marciando per plotoni, si è recata nel Giardino di Boboli, dove il cittadino F. D. Guerrazzi Presidente del Governo Provvisorio l'ha arringata, interpellandola se fosse deliberata a tutelare l'ordine, ad aiutare della sua forza il Governo, fermo nel volere la libertà delle elezioni e la indipendenza degli eletti Rappresentanti. A queste interpellazioni la Guardia Nazionale ha risposto con manifesta ed unanime adesione alla mente del Governo568

Ora esaminiamo un po' come cotesto atto venisse commentato dai Faziosi: «Ecco, dicevano essi, apparecchiarsi il terreno perchè le Assemblee non pronuncino la Unificazione con Roma, e conseguentemente la decadenza della famiglia di Lorena, e la Repubblica: questo non può succedere, nè succederà; ma quando mai per caso inopinato accadesse, noi allora profitteremo di ogni mezzo ci presentino le circostanze, affine di salvare il Paese nostro da un giogo aborrito, che imporre si volesse a nome della legalità e di una servile rappresentanza.»

I Repubblicani non temono che la Guardia Nazionale voglia suscitare nel Paese la guerra civile, facendo fuoco sopra i suoi fratelli, che «traditi nei loro voti, e vedute strozzate le loro speranze dal capestro delle legali formalità, usassero l'estremo loro appiglio, la suprema loro ragione - la forza e la violenza.» E neppure i Settarii temono che i Deputati possano sopportare l'obbrobrio del rifiuto delle tre Leggi indicate; ma «dove questo obbrobrio dovesse pesare su di essi, certo, ad onta di tutte le esortazioni del Guerrazzi, non peserà su la Toscana l'obbrobrio assai maggiore di avere pazientemente sopportato il tradimento; e la Toscana saprà consumare la sua Unione con Roma, e saprà subirne tutte le conseguenze, anche ad onta dei suoi Rappresentanti, e degli uomini del Governo Provvisorio569.

I Repubblicani strepitano e minacciano a cagione dell'Assemblea Costituente toscana, dichiarando che la si vuole da me instituita per decretare la Restaurazione; - il Procuratore Regio Paoli, e dietro a lui gli Auditori Marrucchi, Bambagini e Ciaccheri, e dietro a loro i Consiglieri Orsini, Aiazzi e Pieri, e Regio Procuratore generale Bicchierai, strepitano e accusano a cagione dell'Assemblea Costituente toscana, che la si volle instituita da me per decretare la Repubblica. I Repubblicani mi chiamano alla scoperta traditore per volerla convocare; - i Procuratori Regii, Auditori e Consiglieri, gli uni dietro agli altri, m'incolpano di tradimento per averla convocata. In verità, sarebbe questa farsa gioconda da rallegrare le genti, se non l'avessero rappresentata su le lagrimevoli scene di un carcere, che da 29 mesi divora la salute degli uomini e delle famiglie.

I Repubblicani, per quanto venni informato, e i Circoli e i Giornali manifestavano, tentarono un colpo estremo. La Legge Stataria non era più da richiamarsi in vigore a Firenze. Il 1° aprile per contenerli dall'avventurarsi a disperati partiti, mandai fuori la Notificazione, che già fu da me riportata a pag. 518 di questa Apologia.

Premesse queste considerazioni e questi fatti, lascio a quanti fanno studio di onestà giudicare, se sieno consentanee al vero ed al giusto le seguenti proposizioni dell'Atto di Accusa, § 85.

«Quanto alla Repubblica ed alla fusione con Roma, non si vuol conoscere se il Guerrazzi l'ha creduta sempre, od in massima, forma buona ed accettabile per la Toscana, quando si sa, che servì di elemento disorganizzatore; che in questo senso fu lasciata operare liberamente570; che tutto il suo sforzo si ridusse in qualche contingenza a persuadere ed agire perchè non venisse attuata troppo sollecitamente, o prima che venisse approvata dal voto nazionale; e ad interpellare su la fusione il Consiglio di Stato; e che, sia questa, sia altra forma di Governo per la Toscana, non che il giudizio sul Principe e sul Principato, era ormai abbandonato anche per fatto suo al potere illimitato dell'Assemblea Costituente Italiana!»

Sì, certo, pretendere e sostenere che il voto nazionale toscano pronunziasse intorno alle sorti toscane non era piccola impresa, però che nei miei presagi importasse esclusione di Repubblica, e richiamo del Principato Costituzionale. Il successo poi dichiara, e lo ardore dei Repubblicani a impedirlo rivela, come io al vero mi apponessi. Inoltre, per mostrarvi come i denti dell'Accusa, comecchè mordano, pure tentennino, avvertano di grazia i miei lettori: l'Accusa afferma, che io altro non feci che procrastinare la dichiarazione della Repubblica all'apertura dell'Assemblea. Quel giorno venne; ebbene, fu ella proclamata la Repubblica? No: nè allora, nè poi. L'Accusa opporrà: «No, perchè Novara ti aveva messo in cervello.» Nemmeno; nel giorno 25 marzo, imitando lo esempio dato da Roma nell'8 febbraio, dove avessi voluto, poteva essere decretata la Repubblica per acclamazione. Chi mai lo avrebbe impedito? L'Accusa da capo obietterà: «Sì, potevi, ma per quanto?» Questo è un altro discorso: - quanto sarebbe bastato per sentire qualche Requisitoria contro i perversi perturbatori dell'ordine repubblicano.....

Il 25 marzo il signor Montanelli apriva l'Assemblea Costituente Toscana571; nel 27 sopraggiunse la notizia lacrimevole della disfatta del 23 di Novara. Riarse la rabbia dei Repubblicani; ma oggimai credevo di avere raccolto forze abbastanza per resistere con profitto. Sebbene non mi fosse riuscito ad allontanare, per virtù di voto, i non Toscani dall'Assemblea, - nè per ingegno, pubblicando sul Monitore la lettera del Generale D'Apice. - pure, mercè le pratiche indefesse, era giunto il Governo ad acquistare una maggiorità al Partito Costituzionale572. Venuto alle strette co' Colleghi, Montanelli domandava allontanarsi, diviso fra la evidenza dei fatti e il dolore di dovere renunziare alle visioni dello entusiasmo; Mazzoni, proseguendo nella sua fede, nonostante i fatti nemici, passa fra gli oppositori del Governo.

Nella notte del 27 al 28 fu proposta all'Assemblea la elezione di un Capo provvisorio al Potere Esecutivo per curare specialmente le cose della guerra. - Non era presente il Popolo, mancavano gli stenografi; ma vivono i Deputati presenti, i quali attesteranno le ingiurie atrocissime avventate contro di me dal Partito Repubblicano. Non mancarono accuse aperte di trame ordite per operare la Restaurazione del Principato; nome e sostanza del tradimento dichiararono. Montanelli sorse a difendermi sostenendo, che egli rispondeva per me, e prometteva, che io senza il consenso dell'Assemblea non avrei con violenza imposta forma governativa allo Stato, e veramente io pensava fare così. Ma le ingiurie repubblicane siffattamente mi commossero, che ricusai ostinatissimo lunga ora il carico commesso. I preghi urgenti, continui, a ributtare impossibili, dei Deputati Costituzionali formanti la maggiorità, e dell'egregio Presidente Taddei; le rampogne oltre modo passionate, e veementi degli amici, che, dopo avere tanto fatto pel Paese, vinto da sdegno lo abbandonassi nel supremo pericolo; - e soprattutto la paura di commettere cosa vile, dopo spazio, forse troppo, di tempo, mi piegarono. Nel Monitore del 28 marzo è riportato il Decreto dell'Assemblea, che dichiara:

«L'Assemblea Costituente Toscana nella notte de' 27 al 28 marzo 1849 ha deliberato quanto appresso:

Art. 1. Che sia immediatamente ricostituito un Potere Esecutivo provvisorio.

Art. 2. Che questo Potere Esecutivo sia conferito ad una sola persona.

Che il Cittadino Deputato F. D. Guerrazzi sia rivestito del Potere Esecutivo anzidetto.

Che questo Potere abbia facoltà straordinarie per provvedere ai bisogni della guerra e alla salvezza della Patria, e che queste facoltà continueranno in esso, finchè ne durerà la necessità.»

Nel N° del 29 successivo si legge il mio Proclama, il quale stampato a pagine 220 di questa Apologia, in nota, rende testimonianza manifesta del mio forte rifiutare, e del pauroso quanto esiziale sospettare dei Repubblicani, che i pieni poteri io adoperassi per restaurare violentemente il Governo Costituzionale.

Malgrado le mio promesse, o fosse diffidenza di me, o le suggestioni calorose che venivano da Roma, le quali accertavano dei soccorsi inglesi e francesi, solo che trovassero il Paese costituito a determinato reggimento, esporrò brevemente quello che per loro si tentasse.

A ben significare le scosse che camminando pel dirotto sentiero io pativa, non meno che la necessità delle dichiarazioni vie via emesse come scudo a riparare me ed altrui dal flagello delle lingue dolose, importa riprendere e proseguire la serie delle calunnie di traditore, che copertamenie o scopertamente i Settarii andavano insinuando contro di me. Quando pensai cavare di Livorno la Guardia Municipale livornese sostituendole parte della fiorentina, mentre i Faziosi Reazionarii davano ad intendere in Firenze che io chiamava i Livornesi per formarmene un corpo di Pretoriani, i Faziosi Repubblicani a Livorno dicevano che io vi mandavo a opprimere la Libertà; ed allorchè, consigliando il Colonnello Tommi, il reggimento del Colonnello Reghini s'indirizzava a Livorno, secondo che ho esposto a pag. 373 di questa Apologia, con Dispaccio del 9 marzo eravamo avvisati: «ad arte essersi sparso fra il Popolo che il Comandante era incaricato di fare fuoco sul Popolo, come già dicevasi aveva fatto sul Popolo Pistoiese.»

Nel 17 marzo 1849 si fa credere a Livorno, che io tramo di consegnare la Toscana al Piemonte; a parare la insidia scrivo a Livorno, e induco Montanelli ad accompagnare con la sua firma (poichè in lui riponevano fede i Settarii) il Dispaccio del medesimo dì inviato al Governatore:

«Al Governatore di Livorno.

«Scrive il signor Demi, che si sparge voce come noi vogliamo consegnare la Toscana al Piemonte. Quantunque noi crediamo che queste voci non sussistano, pure vi autorizziamo a dichiarare, che il Governo crede, e lo ha detto, che la Unione con Roma sarà proclamata come necessità. Guardatevi dalle mene dei nemici, che si vestono in ogni maniera per guastare la santa impresa.

«Guerrazzi. - Montanelli.»

L'Accusa s'impadronisce di cotesto Dispaccio, e intende ritenerlo per dimostrazione di animo: come se all'uomo politico posto a duro partito non deva nè anche essere concesso con parole schermirsi. Le quali parole poi, in confronto delle opere, spariscono; e considerate tritamente, non esprimono cosa che valga: però che la opinione di un fatto deva cedere davanti alla evidenza del fatto contrario.

Ma io potrei dire di più, se non mi ritenesse la reverenza delle somme chiavi; potrei dire, che prima di accusare uno scritto, hassi a conoscere la lingua nella quale e' fu dettato; e se la non si conosce, allora tutte le Procedure ammaestrano ricorrere al Dragomanno. L'Accusa pensa che la parola Unione spieghi il rimescolare di due cose, per modo che vengano a formare uno impasto solo; ed anche qui l'Accusa s'inganna. Altro è unire, ed altro unificare; unire significa, in lingua italiana (che nei tempi antichi si chiamava fiorentina, perchè sapevano parlare e scrivere egregiamente in Firenze tutti, compresi anche Giudici), congiungere due cose in guisa che ognuna ritenga la propria specialità: unificare importa ridurre due cose ad unità per modo, che, ognuna di loro perdendo la propria specialità, compongano un tutto. Dove l'Accusa obiettasse che sono queste sottigliezze filologiche, e che le parole voglionsi intendere pel senso politico, che il tempo loro partecipa, nemmeno avrebbe ragione. Di ciò gli faccia testimonianza primieramente il Farini, che io qui le richiamo alla memoria: «Il Mazzini era giunto (in Toscana) il dì stesso che il Granduca partiva da Siena, e vi era stato accolto con grande festa. Egli si era dato a predicare la Unificazione con Roma, che non voleva chiamare Fusione, parola a lui ed ai suoi esosa, la quale voleva dire lo stesso...... ma il Guerrazzi non voleva la Unificazione ec573.» Più espresso poi il Conciliatore: «Colla parola Unione intendemmo sempre stabilire un vincolo di federazione negl'interessi politici, militari e commerciali, dei varii Stati d'Italia574.» E poco oltre: «Quindi o si parla di Unione, e noi diciamo: si proclami pure la Unione con Roma, ma si proclami al tempo stesso la Unione col Piemonte.» Nella Seduta del 29 marzo 1849 il proponente la Legge che aveva in iscopo la confusione degli Stati Romano e Toscano, non riputando la sola parola Unione esprimesse il suo concetto, la chiamò Legge per la Unione assoluta con Roma. Per le quali spiegazioni filologiche e politiche, io vorrei che si persuadesse l'Accusa potersi desiderare la Unione degli Stati Italiani senza bisogno ch'ella scappasse fuori con una Requisitoria di Lesa Maestà.

L'Accusa sa, o dovrebbe sapere, poichè nel suo Volume lo registra a pagine 828, come io, favellando nel 12 febbraio dalla terrazza di Palazzo Vecchio al Popolo ragunato per piantare l'Albero, dicessi, che forse cotesto atto di unirsi con Roma sarebbe stato consentito da tutta Toscana; per ora essere prepotenza che le presumevano imporre: - donde era agevole quanto onesto dedurre, anche senza porre mente ai successi del tempo, che una legge suprema costringeva ad usare cosiffatti ripari. Nel Popolano del 18 marzo abbiamo veduto appormi alla scoperta l'accusa di tradimento, e tradimento con tremanti labbra i Settarii fremevano, e tradimento ogni ora nelle oscure carte stampavano. Ad ogni caso inopinato, non solo in Firenze ma nelle Provincie si gridava: tradimento575. Tradimento per Novara, tradimento per Genova. Nel 29 marzo a Lucca, a Pisa e a Pescia spargono la voce essere io partito per Gaeta a prendere il Granduca576, con altre più strane novelle, - e trovano fede577; quindi la necessità di stampare nel Monitore del 30 marzo la Nota seguente, ma senza pro: «Siamo autorizzati a smentire la voce che si va spargendo dello invio, per la parte del Governo, di una Deputazione a Gaeta.» L'Accusa non manca di acciuffare cotesto avviso; lo separa dalle circostanze che conosce accompagnarlo (anzi le sopprime), lo appunta, lo arruota, lo affila, e me lo scaglia addosso, come se spontaneo egli fosse, e pubblicato solo per vaghezza di mostrarmi avverso al Granduca. Se questa sia fede, conosca il Paese intero, e giudichi; e se a tale siamo noi che possano per esercizio lodevole di professione usarsi arti, che nel cittadino si rimprovererebbero come iniquissime, io incomincierò a dubitare davvero, se la vita salvatica debba anteporsi a questo tanto commendato nostro civile consorzio.

Nel 1° aprile i Settarii, i quali si affaticavano a screditarmi presso lo universale, insinuando che, se avversavo la Repubblica, già non intendevo a questo per amore che portassi al Paese, bensì per turpe interesse, e per cagione di accordi già stabiliti col Principe, ordiscono fra loro di muovermene improvvisa domanda; avvisato per tempo, entrando all'Assemblea, preoccupo il passo e distruggo lo artifizio, dicendo: «Domando la parola per un fatto personale. Innanzi che io mi recassi in seno di questa onorevole Assemblea, ho appreso come qualche Deputato ha proposto all'Assemblea stessa di fare una interpellazione al Potere Esecutivo sopra la verità del supposto invio di una Deputazione o che altro di simile a Gaeta, per ricondurre quaggiù il fuggitivo nostro Principe. Debbo dichiarare che una simile domanda è tanto trista per chi la fa, quanto è stupida per chi la crede.»

Si levarono voci minaccievoli; di grida, di gesti rabbiosi non fu penuria, ma per quel giorno squarciai la male composta trama. Intanto, mentre in mezzo al fortunoso mareggiare di Fazioni smanianti la mia fama preservo e la mia vita, del combattuto potere mi valgo a difendere pertinacemente l'Assemblea dagli estremi conati della Setta, promulgando il Proclama del 1° aprile 1849 già riportato a pag. 579-580 di questa Apologia.

Me ne valgo per richiamare l'Arcivescovo, e per resistere alle crescenti e continue calunnie. L'Accusa rammenta e adopera contro me, come subietto di Accusa, la dichiarazione del 5 aprile, che io con tutti i Ministri firmai; ma non ricorda o non sa del cartello mantenuto affisso, dopo il 3 aprile, all'Albero su la Piazza del Duomo; non sa o non ricorda la congiura allo scopo di tôrmi di mezzo come traditore che ha venduto Patria e coscienza; non ricorda, e si dovrebbe rammentare come in piena Assemblea mi rinfacciassero nel 3 aprile di apparecchiare le feste della Restaurazione con i due milioni stanziati per le spese della guerra; non si ricorda, e lo dovrebbe sapere, che a motivo dei veementi sospetti nella deliberazione dell'Assemblea Costituente fu apposto il vincolo solenne di non risolvere intorno alle sorti della Toscana senza il concorso e l'annuenza dell'Assemblea, a pena di nullità, e di essere punito come traditore della Patria. Crescendo pertanto il perseguire infestissimo, irrequieto, dei Settarii, per tutela di vita, e per condurre a compimento il concepito disegno, feci e consigliai gli altri a fare la dichiarazione seguente:

«Il Capo del Potere Esecutivo e il Ministero dichiarano sopra l'anima e onore loro, essere calunnioso, che per essi siasi operato o si operi, direttamente o indirettamente, pratica, trattato, insinuazione, ed anche principio alcuno o preliminare di proposta, parlato o scritto, tendente alla Restaurazione in Toscana della Dinastia della Casa di Lorena. Il Potere Esecutivo sente e ricorda l'ordine imposto dall'Assemblea, e l'obbligo da sè medesimo assunto, che non si possa in verun modo mutare la forma politica della Patria nostra senza consultare l'Assemblea Costituente. - Firenze, 5 aprile 1849.»

Dei firmati, ne fecero colpa allo egregio amico P. A. Adami; e questi non tacque averla sottoscritta, perchè la conobbe provvidenza necessaria a salvarmi e a salvarsi da pericolo imminentissimo; e fu reputato sincero: così che la porta del carcere gli venne dischiusa; - certo non avranno ommesso di rampognare il defunto Colonnello Manganaro, uomo di molta virtù; ma egli sembra che avesse la fortuna, la quale a me non arrise finora, di trovare orecchie alla persuasione non disperatamente impenetrabili, conciossiachè i giorni che visse ultimi della vita onorata non gli furono fatti amari con lo squallore del carcere infame578.

La Seduta del 29 marzo si apre con le dimostrazioni del Partito Repubblicano avverse al voto della notte del 28: voglionsi pubblicati i nomi dei consenzienti e dei dissidenti, per esporli alla popolare indignazione. Il Deputato Manganaro579 contradice la proposta, ma dichiara: «Frattanto ho il coraggio di asserire, che io votai per il Potere Esecutivo conferito al Cittadino Guerrazzi; e nulla temo avere opinato in tal modo.» Così eravamo arrivati a tal punto col Partito Repubblicano, che era pericolo procedermi amico, e per dichiararlo vi abbisognava coraggio; e questo avrebbe dovuto avvertire chi giudica. Un Deputato propone la Legge di cui lo scopo è la Unione assoluta con Roma, e però implicitamente la dichiarazione della Repubblica e la decadenza del Principe. Nella Seduta del 30 marzo il Deputato Marinelli riassume la interpellazione mossa nel 29 dal Deputato Giotti per sapere da me se avessi mandato una Deputazione a Gaeta: intende che vi risponda pubblicamente, perchè simile notizia si va insinuando fra il Popolo! Altri v'insiste. Lo scopo di questa interpellazione era di diffidare sul mio contegno i Repubblicani fanatici, e spingerli a qualche estremità. A me parve necessario riparare alla insidia, dichiarando a voce e in iscritto, non essere vero, sì perchè lo invio della Deputazione a Gaeta fosse veramente menzogna, sì perchè, come altrove ho detto e qui ripeto, e di ripetere mi giova, volevo condurre con la persuasione i dissidenti ad aderire alla Restaurazione; non già per via di trame, nè per violenza, o per basso motivo di privato interesse. - Il Deputato Venturucci troppo presto avventura la proposta: «Gettiamo uno sguardo sopra gli avvenimenti che occasionarono la esistenza di questa Assemblea. Mancò uno dei Poteri; il Governo si trovò incompleto; fu interrogato con suffragio universale il Paese come intendeva provvedere al suo avvenire. Ebbene! Ora non possiamo, che rispondere: il Paese, di cui siamo i Rappresentanti, accetta la Carta del 1848. Così avremo una Costituzione concessa, ma consentita. Noi non avremo fatto una Rivoluzione, saremo in terreno legale, o almeno la Rivoluzione non sarà colpa nostra. Non nasceranno interni dissidii, si eviteranno gli esterni nemici, avremo serbato le nostre forze per un migliore avvenire, e daremo il nobile esempio, giusta la sentenza di Sallustio, di avere voluto seguire la ragione piuttosto che la fantasia.»

Questo era il concetto del Rappresentante del Potere Esecutivo. Ma Venturucci col suo affrettarsi indisciplinato l'ebbe a mettere in repentaglio gravissimo580. - Si levarono grida di disapprovazione, nelle tribune alte in ispecie. Un Deputato del Partito contrario obietta la proposta di dichiarare l'Assemblea solidale della Rivoluzione. Un altro afferma che l'Assemblea ha ricevuto mandato ristretto dal Popolo, vale a dire determinato a proclamare la Repubblica e la Unione con Roma. - Dannata sentenza era questa, imperciocchè con siffatto mandato imperativo non faceva mestieri discussione, e l'adunanza compariva simulacro inane.

Il Deputato Nespoli, ad evitare che il partito Busi fosse approvato per acclamazione, fa la proposta che prima si provveda al modo di resistere; penseremo dopo alla forma del Governo. Venturucci protesta contro qualunque voto per acclamazione; Nespoli gagliardamente lo appoggia; Palmi nota, che il proponimento della patria difesa votato dall'Assemblea è nullo, se non venga seguíto dallo effetto; per conoscere questo, bisogna consultare il Popolo intero; e quindi propone lo invio di Commissarii in provincia. Turchetti si unisce a questi oratori, concludendo perchè il voto nella quistione agitata si sospendesse. Questi tutti formavano parte della maggiorità creata dal Governo, ma andavano disseminando, e anche anticipando incautamente i varii partiti discorsi nelle conferenze: invero i Repubblicani, prevalendosi di cotesta sconnessità, si sforzano a far discutere il partito Busi come pregiudiciale. Turchetti, e principalmente il Deputato Sestini che muove dubbio se possa deliberarsi così grave negozio, senza il concorso dei 120 Deputati, vengono derisi. I Settarii, sparsi nelle tribune alte, prorompono in grida di minaccia. La più parte dei Costituzionali balena. Fu allora che io, domandata la parola, uscii in quella proposta, di cui, elogiando così, faceva la storia il Conciliatore del 1° aprile 1849: «Alle parole degli opponenti alla fusione immediata con Roma strepitando le tribune, e togliendo così ai Deputati la libertà delle loro opinioni, il deputato Guerrazzi si è alzato, e rivoltosi con nobile fierezza al Presidente della Camera, disse: Signor Presidente, io domando che sia a me data la forza di cui ella dispone; ed io come capo del Potere Esecutivo andrò a fare sgombrare le tribune a tutti questi scellerati ed iniqui perturbatori. Queste parole sono state accolte co' più vivi applausi581

I Deputati della maggiorità, e il Popolo non educato dal Circolo, m'interruppero con applausi di conforto. Palmi e Venturucci, ripreso coraggio, orano per la sospensione del partito Busi, fino a mutate condizioni politiche. Modena, e altri Deputati, conflittano la sospensione, e intendono si deliberi sopra la Unione, e subito. Si va ai voti. Sessantasei Deputati si trovano presenti: 42 votano pel Governo, 24 per la parte repubblicana. La maggiorità governativa sommava quasi a due terzi.

Quanto è vero dunque ciò che afferma l'Accusa, che io avversassi la Repubblica, solo per farla proclamare dall'Assemblea? Gl'idi di marzo erano venuti; dunque perchè non la feci dichiarare, non la favorii io? Anzi, perchè l'avversai? - La notizia della disfatta novarese ti aveva sopito nell'animo il genio repubblicano, - oppone l'Accusa; ma io ripeto che nel 25 marzo questa mai sempre dolente novella non era arrivata, anzi in quel giorno inebbriava, piena nel suo bel fiore, la speranza.

I Repubblicani, secondo che vedevano inclinare le cose alla restaurazione dello Statuto, s'inviperivano a sospingere il Paese nella Repubblica. Urgeva contenerli, e affrettarmi a sgombrare le vie, affinchè il voto universale, nelle vicende che precipitavano, si manifestasse solenne e trionfante: a questo intento mando Montanelli, che lo chiedeva, in Francia; pubblico il Proclama del 1° aprile, e alla fine dichiaro non potersi provvedere alla salute della patria: 1° Se non si proroghi l'Assemblea, con obbligo nel Potere Esecutivo di non risolvere intorno alle sorti del Paese senza consultarla; 2° Si sospenda ogni questione intorno alla forma del Governo; 3° Rimangano i Deputati a Firenze per condursi, a richiesta del Capo del Potere Esecutivo, in qualità di Commissarii per la guerra nelle Provincie, o sovvenirlo in altra maniera.

Prima che per me si manifesti il motivo di cosiffatta proposta, vedasi come l'accogliessero i Repubblicani. Essi tornano passionatamente su le cose decise, - perchè, come il Popolo avrà coraggio, essi dicevano, per prendere le armi, se l'Assemblea non l'ha per proclamare la Repubblica? - I Settarii fremono nelle tribune; il Deputato Del Sarto procura placarli con accomodate parole, ma cresce il rumore. Il Deputato Manganaro valorosamente dichiara: «Che Popolo e non Popolo? Nessuno ha diritto di chiamarsi Popolo nel nostro cospetto. È una frazione del Popolo che ce ne vorrebbe imporre. Noi soli, eletti dal suffragio universale, possiamo parlare in nome del Popolo, e provvedere alla salute di lui.»

Il tumulto a queste parole scoppia per modo violento e scandaloso, che il Ministro dello Interno dichiara: la dignità dei Ministri non consentire che rimanessero. Biondi esclama che i Deputati avranno il coraggio di morire; e nessuno abbandoni il posto (e questo si chiama sapere sostenere le parti di Deputato). Turchetti corre a dare ordini per isgombrare le tribune. Il Ministro dello Interno grida al Presidente: «Io le ho mandato 180 uomini, che ne fa ella?»

Nel 3 aprile si tornò a discutere intorno alla mia proposta. Il Deputato Pigli, sempre nello intento d'indurre l'Assemblea a riporsi dalle cose decise, si oppone che il partito del Capo del Potere Esecutivo venga preso in considerazione, finchè non sia decretato intorno alla forma di reggimento: egli vota per la Repubblica. «Il Partito Repubblicano» prosegue l'oratore «dicono poco numeroso in Toscana: gli uomini si pesano, non si contano. Gli uomini della Rivoluzione vincono con la Rivoluzione. Prudenza e opportunità essere istrumenti da tiranni. Voi dite non vedere il Popolo invaso da entusiasmo; e sia: ma dovete dirmi, che avete fatto tutto per eccitarlo, che tutto avete fatto perchè non andasse spento e distrutto. I principi sono fuggiti, i troni sono restati. Voi chiamate il Popolo a difendere le frontiere, ma non gli date armi, nè danaro e divise. Volete che il Popolo risponda davvero? proclamate la Repubblica.» Protesta contro le parole del Deputato Venturucci, che dichiarò la Toscana soddisfatta dello Statuto del 1848. Così, a sentire il Pigli, la Repubblica era di Elena il nepente, che avrebbe somministrato non solo uomini, ma danari, armi, cannoni e cavalli, anche quando il Governo non gli avesse somministrati; ed egli ignorava quello, che altrove ho narrato, che richiesto dai Repubblicani Romani a mandare a Bologna per instituirvi una Commissione di reciproca difesa, vi aveva spedito Manganaro e Araldi, i quali, poichè ebbero atteso più giorni indarno, si ridussero non so se più sconfortati, o incolleriti, per non avere potuto vedere in faccia un Commissario Romano!!!582

Le opinioni di Carlo Pigli udivo, in quei tempi, andare su le bocche degli uomini accesi da inestimabile entusiasmo, ed anche oggi leggo ripetute nei libri che essi stampano. La dura esperienza dovrebbe averli sgannati; ma non è così. Io ho sempre tenuto come perniciosissima la invasione della fantasia nel dominio della ragione; e tanto le volli anche materialmente separate, che, in casa mia (quando la ebbi!), tenni due stanze: in una delle quali scriveva quanto mi dettava la immaginazione, e in un'altra trattava negozii. La Repubblica è una voce; niente più, niente meno; nè le voci a un tratto, meno quelle di Dio, operano prodigii. In quanto a spirito pubblico, non vogliono intendere i Repubblicani che essi non operarono rivoluzione in Toscana, ma andarono oltre perchè trovarono sgombra la via; se il Principe teneva fermo, il Partito Repubblicano non avrebbe allora mai, nè anche un momento, prevalso; e in quanto agli ordini militari, ci vogliono tempo, concordia e sapere. Le armi, i danari, e le assise non difettavano; mancavano chi le volesse e sapesse maneggiare e vestire; e le cose affermate in questo proposito, a carico del Governo, erano sfrontatezze, e niente altro. Deh! non ci nuoccia perpetuamente la nostra matta prosunzione; e di più non dico.

A Pigli subentra il Deputato Mazzoni; egli pone essere stata intendimento universale la Repubblica; venire tardi i consigli della paura. Il Popolo avere conferito ai Deputati mandato imperativo. Adesso trattarsi di Repubblica, o di Restaurazione. Per richiamare il Principe Costituzionale, mancare l'Assemblea di facoltà. - Si obietta il Popolo restío allo appello del Governo; l'Assemblea faccia il suo dovere: se il Popolo non farà il suo, peggio per lui. La proposta del Potere Esecutivo non somministrare veruno vantaggio, anzi recare danno. Con la Restaurazione non può trattare l'Assemblea.

Il Deputato Mazzoni erra manifestamente su la natura del mandato, il quale era impressionato dalla formula proposta dal Decreto del 6 marzo: se, e come Toscana deva unirsi a Roma. Aveva ragione trattarsi adesso di Repubblica o di Restaurazione; non aveva ragione a credere i Deputati propensi alla Repubblica prima dello infortunio novarese, mutati dopo; perchè prima di allora erasi dato opera ad agitare fra i Deputati i concetti, che verrò esponendo. Rigidi i suoi principii, non giusti. E quando anche veri e giusti, vi ha qualche cosa nel mondo, davanti alla quale ha da cedere il rigore del raziocinio, ed è la carità della Patria. Perano piuttosto venti sillogismi, che un uomo solo! La carità del luogo natío persuade a procurare al Popolo il maggior bene possibile anche a carico della propria reputazione. Pur troppo col Deputato Mazzoni, uomo d'altronde per integrità di vita santissimo, procedevo diverso. Questo motivo mi costrinse a non partecipargli i miei consigli: sarebbe stato lo stesso che persuadere il David di Michelangiolo. Propugnarono pel concetto repubblicano i Deputati Modena, Bichi, Giotti, Menichelli, Vannucci, Trinci Bartolommeo, Cipriani; lo avversarono i Deputati Carrara, Palmi, Micciarelli, e Socci. Gli oratori favorevoli al Governo, e contrarii alla immediata proclamazione della Repubblica, vennero vilmente oltraggiati dal Popolo tuttora parteggiante pei Circoli. Più volte fu ordinato lo arresto dei perturbatori, e lo sgombro delle tribune.

Pigli, per confondere le cose e ritardare la votazione, dichiara volere interpellare il Governo: non gli riesce, e si passa ai voti. Quarantatrè sono per la sospensione, 29 contro; il Deputato Taddei si astiene dal votare perchè non aveva assistito alla discussione.

La parte del Governo in questo nuovo sperimento acquista un voto, quella dei Repubblicani cinque; e ciò perchè il Partito dei pretesi ortodossi costituzionali di Firenze, invece di venire a rafforzare il nostro concetto, disertava la causa; e non fu bene.

I Repubblicani dell'Assemblea non si sgomentarono per questo, ed insisterono perchè le interpellazioni del Deputato Pigli si ammettessero: il Ministero o il Capo del Potere Esecutivo vi rispondessero pubblicamente. Io pure gli avevo più volte nei giorni antecedenti, ed anche poche ore avanti, ragguagliati con coscienza di quanto volevano adesso sapere di nuovo583. Ora perchè questo? Non senza astuzia era il trovato. Il Ministero repugnerà, essi pensavano, per prudenza a manifestare le condizioni nostre di fronte alle Potenze estere, e, per pudore della Patria, la fiacchezza dei Toscani; allora scompariranno le cause della oppugnata proclamazione della Repubblica, e discutendo gli articoli potrà essere rigettata la Legge proposta dal Potere Esecutivo. Ultimo tentativo per l'agognata Repubblica. Essi s'ingannarono; i Ministri Marmocchi e Mordini risposero in modo da tôrre loro ogni baldanza. Quivi Marmocchi non dubitò di posporre tutto alla verità, e dichiarò pochi i Repubblicani, contrario lo spirito del Paese a cotesta forma di Governo, arduo eccitare i Popoli alla difesa delle frontiere; allegò fatti, confermò la sua sentenza con raziocinii. Il Ministro degli Esteri smentì i conforti di Francia e d'Inghilterra asseriti falsamente dal signor Rusconi. Il Deputato Pigli comprendendo quanta e quale impressione avrebbero fatto coteste solenni dichiarazioni nell'universale, dopo averle provocate, si oppose perchè fossero pubblicate; - e così presumono illuminare il Popolo, e servire agl'interessi di lui! Questi paionmi, e sono tranelli di Settario, non concetti, non ispiriti di uomo di Stato. Ai giorni nostri, se lo inchiodino bene nella mente gli uomini di tutte le condizioni e di tutti i Partiti, colui che cammina con maggiore probità riporterà vittoria su gli altri. - Allora io sorsi, e dissi: «Poichè lo avete voluto, io intendo, al contrario, che abbiano intera pubblicità; e questo per due motivi del pari importanti: primieramente perchè non si concede sopprimere nel ragguaglio della Seduta una parte, che il Pubblico ha diritto di sapere; secondariamente perchè tutti i Toscani sieno informati per loro governo dello stato del Paese584

La mia proposta fu vinta.

«L'Assemblea Costituente Toscana

Decreta:

1° Doversi nel momento attuale sospendere ogni deliberazione intorno alla forma del Governo ed alla Unificazione della Toscana con Roma.

«2° Doversi prorogare, siccome proroga, la prossima futura di lei Tornata al dì 15 aprile corrente.

«3° I Deputati non pertanto dovranno restare in Firenze.

«4° Il Capo del Potere Esecutivo non potrà risolvere intorno alle sorti della Toscana senza il soccorso e l'annuenza dell'Assemblea, non solo a pena di nullità, ma di essere punito come traditore della Patria. Potrà bensì provvedere alle necessità dello Stato con la emissione di tanti Buoni del Tesoro, fino alla concorrenza di 2,000,000 di lire, ipotecando i medesimi unitamente all'imprestito volontario decretato con la legge del 5 aprile 1848 per sostenere la guerra della Indipendenza, sopra i Beni dello Scrittoio delle Rendite.

Li 3 aprile 1849.»

Fu vinta, ma combattuta dalla diffidenza. La proroga era concessa per soli dodici giorni; ed anche a me piacque che fosse così; e m'imposero, sotto solenne religione, l'obbligo di non risolvere intorno alle sorti della Toscana; e due milioni assegnarono per limitare le facoltà che aborrivano, e pur si dovevano, in tanta urgenza, lasciare liberissime. Però gli Avversarii non rifinivano di sussurrare menzognero ed esagerato il rapporto; i fatti non veri; vero soltanto l'accordo del Potere Esecutivo col Principe a Gaeta.

Avrei potuto allora chiudere violentemente l'Assemblea, e operare qualche giorno innanzi quanto successe il 12 aprile. Nol feci, e non lo volli fare. Considerai, che avventurandomi a cotesto passo avrei potuto incontrare resistenze di città, di provincie, od anche d'individui; e questo verosimilmente accadendo, bisognava ricorrere alla forza. Simile partito poi non era sicuro che riuscisse, con le milizie che possedevamo allora: dato che riuscisse, era mestieri venire a contesa; ed io diligentemente procurava, che non insorgesse dissidio di sorta da nessuna parte, perchè lo universale consenso rallegrasse la Corona, e la persuadesse, che i casi passati dovessero ritenersi come que' brevi scompigli, che pur talvolta si levano anche fra persone dilette, e da obbliarsi facilmente; nessuno nella solennità del reintegrato Statuto avesse a piangere: dall'altra perchè non fosse somministrato pretesto agli stranieri d'intervenire nelle faccende nostre con la loro diplomazia, e peggio con le loro armi. - Inoltre, dal partito violento mi dissuadeva la mala compagnia reazionaria od anarchica, che in queste occasioni sempre ribolle, e ti spinge fuori dei limiti del tuo disegno. Nè anarchici, nè reazionarii; estremi entrambi. Siffatta maniera di gente servendo piuttosto alle passioni proprie, che al bene dello Stato, sono fastidio sempre, vergogna spesso, qualche volta rovina della parte a cui si attaccano; sozzi in vista, nè meno in effetto dannosi de' serpenti di Laocoonte.

Io intesi fare così. Ottenuta la proroga dell'Assemblea mandai Deputati di qualunque Partito, purchè probi, nelle Provincie, affinchè, investigato lo spirito e le tendenze delle Popolazioni, sopra l'anima e coscienza loro ne riferissero dentro breve spazio di tempo. Al punto stesso, io con ogni conato, e sinceramente, mi adoperai nel negozio dello adunare milizie. Mi volsi a tutti i Partiti, parlai a tutti gl'interessi, eccitai tutte le passioni. Feci comprendere agli amici della Restaurazione correre loro dovere di conservare intero lo Stato alla Corona; non prendessero il desiderio del richiamo del Principe a pretesto di codardia, imperciocchè io non indicassi loro nemici nuovi, sibbene antichi, tali dichiarati dallo stesso Sovrano, già combattuti, e certamente acerbi per le recenti offese sopra i campi lombardi. Serbare lo Stato intero, e respingere, s'era possibile, ogni aggressione straniera, formava il dovere primo di ogni cittadino; o almeno tentarlo. Altra causa ad operare lealmente consisteva per me nella promessa solenne data dalla Toscana ai Popoli Lunensi e della Garfagnana di difenderli, per quanto forza umana bastasse; e delle altre ragioni altrove indicate non parlo, avvegnadio quando ti lega la religione della promessa tra gente onesta più lungo discorso non abbia luogo.

Però io devo confessare, che da tutti questi sforzi sperava potesse ottenersi tanto da provvedere all'onore prima, e poi al benefizio delle sorti della Patria, non però quanto bastasse a giusta difesa, se l'Austria si fosse avventata con grosso sforzo di gente contro di noi. Onde era ordine al Generale D'Apice, che dove i nemici si fossero affacciati grossi così da non poterli per qualsivoglia estremo di virtù impedire, anzichè sprecare senza prò sangue umano, si ritirasse protestando: in ogni altro evento proteggesse la Garfagnana, e Massa e Carrara. La disperata difesa, che andavano immaginando i Repubblicani, non poteva farsi, e quel seppellirci sotto le rovine delle città è partito che il Paese civile repudia. Queste deliberazioni, è vero, salvano all'ultimo i paesi, ma sul momento li guastano, e noi non li possiamo patire sciupati. Quando le palle nemiche avessero a bucherare i nostri palazzi, ohimè! non vi parrebbero eglino malconci dal vaiolo? Ed a chi mai di noi basterebbe il cuore di vedere il suo palazzo col vaiolo? Siffatte enormezze si hanno da lasciare ai Barbari, che non vogliono sopportare dominio straniero in casa, come sarebbero il russo Rostopchin a Mosca, o il vescovo Germanos a Missolungi; una volta avemmo ancora noi un Biagio del Melano.... ma, come Barbaro, lo abbiamo dato all'oblio, così che io giocherei Roma contro uno scudo che neanche venti dei miei civilissimi lettori ne conoscono il nome585. Chè se i Toscani un giorno, per volontà dei cieli, e per virtù propria mi chiariranno bugiardo, pensino che io faccio capo saldo a tutto 12 Aprile 1849; e se non vorranno pensare a questo, io domanderò perdono, se pure i miei occhi saranno aperti, e sarà incerto se con maggiore esultanza me lo concederanno essi, o lo domanderò io. Fino a quel giorno la evidenza mi dà la ragione e l'angoscia di averla.

La frontiera toscana, com'era allora, a giudizio degl'Ingegneri, non si presta agevolmente alle scarse difese: lunga si sprolunga la linea, ed abbisogna copia di gente, e apparecchio immenso. Le milizie nostre, poche a tanto uopo, e in condizione di disciplina deplorabile; e ciò sia detto, salvo il debito onore di quelli che mostrarono cuore ed ingegno per sostenere le difese estreme. La gente raccogliticcia, e giova qui rammentarlo anche una volta, non fa frutto: di questo non vogliono persuadersi gli Entusiasti, ed è verità vecchia, e lo abbiamo sperimentato a nostre spese di nuovo.

Oltrechè poi anche di gente siffatta non era il novero grandissimo, o almeno corrispondente allo assorgere di Popolo come un uomo solo che intende difendere disperatamente i suoi lari; avvegnachè, per lungo disuso e per mansuetudine antica, i Toscani repugnassero dalle zuffe; e sebbene abbiamo visto, come condotti una volta al campo riescano soldati a nessuna milizia secondi, pure sradicare dall'animo dei Popoli la infame repugnanza tutto a un tratto non puossi. Nel Ducato di Lucca, per concessione della Principessa Elisa, i Lucchesi si reputavano immuni dalla milizia. Privilegio esercitato con ragione, quando si trattava andare in remote contrade a combattere guerre di conquista; stolto, empio, iniquamente preteso, quando chiama la Patria. Per la qual cosa vedemmo, maraviglioso a dirsi! nel contado lucchese i rustici armati a sostenere la guerra per non andare alla guerra.... Le campagne toscane poi poco alla milizia disposte per le cause referite, e per altre, che sarà bello tacere. La gioventù cittadina, diversa, ma meno adatta alla sobrietà e alle fatiche, alla virtù insomma, - senza la quale armati si hanno, soldati non già, - difficile a governarsi, apportatrice nelle armi delle scapigliature di piazza, non osservatrice di altri ordini che dei suoi, e questi ogni ora mutati; non obbediente ad altri capi che agli eletti da lei, impedimento sempre, difesa nulla o scarsissima.

Da Firenze dopo molte istanze ottenemmo 80, credo, soldati civici, i quali ancora non partirono per la Frontiera, ma rilevarono il presidio di Orbetello.

Più tardi partirono mille, e generosissimi tutti, senza badare a Repubblica o non Repubblica; chè nei cuori accesi di carità patria davvero, quando si tratta di difendere il suolo natio, si guarda dove e perchè si va, non a chi ci manda.

I padri empivano di querele il Palazzo, perchè il Ministro della Guerra rendesse loro i figli.

«Firenze 2 aprile. - Il Ministro della Guerra è assediato da continue dimande di molti cittadini, i quali reclamano perchè i loro figli siensi arruolati Volontarii. - Non può egli fare a meno di rammaricarsi nello scorgere nei genitori dei coscritti tanto dolore per atto così eminentemente patriottico, e che onora la Gioventù toscana. La Patria versa in sommo periglio, nè mai ha avuto tanto bisogno quant'oggi dell'opera dei suoi figli: essa attende però, ed esige da tutti quelli che nudrono in seno amore del proprio Paese, sagrifizio di ciò ch'è più caro all'uomo. Senza di che mai Italia si affrancherà dal dominio straniero, sorgente dei nostri mali. Il Ministro della Guerra, al tempo medesimo che si congratula co' giovani soldati, non può non rammentare ai loro genitori il dovere sacrosanto, che ad ogni cittadino incombe di rispondere allo appello della Patria: che, in luogo di lamenti, egli si attende dai genitori un incitamento ai figli ad essere buoni e virtuosi soldati; non può infine non richiamare alla loro memoria lo esempio delle madri spartane, le quali non solo volonterose consentivano ai figli di prendere le armi, ma eziandio con le loro mani ne gli rivestivano, e gli accompagnavano al luogo del generale convegno, e prima di lasciarli gli ammonivano a combattere da eroi, o gli consigliavano a volere perdere meglio la vita che serbare un contegno del quale la patria dovesse arrossire. Nudre pertanto fiducia il Ministro della Guerra, che tutti i Toscani i quali abbiano figli ricovreranno più generosi sentimenti, e che, invece di muliebri lagnanze, verranno ad allegrargli le orecchie parole di patria carità.

«Manganaro.»

Credono eglino i Repubblicani, che, gridando dentro coteste leprine orecchie: Repubblica! avrebbero camminato i padri più accesi nelle cose della guerra? Immaginino come vogliono, noi vediamo com'è. Nè meglio Livorno di Firenze, anzi peggio; e Toscana tutta alla medesima stregua. Se questa dolente pagina fosse scritta per mia difesa soltanto, ci verserei sopra tutto lo inchiostro del calamaio, e ci strofinerei sopra lo stoppaccio settantasette volte sette; ma la lascio, perchè leggendola si abbiano a vergognare i miei conterranei. E perchè le madri slave non piangono quando i loro figli vanno a combattere, ma esultano, riesce ai Croati vincere noi, che ci vantiamo così civili, e presumiamo tanto!...

Udii, che gli Ufficiali (intendo i pessimi) sotto pretesti varii sollecitavano congedi, o allegavano infermità per non andare alle frontiere: infermità che in taluni forse erano vere, ma dedotte insieme, e in mal punto, erano da sospettarsi tutte false!

Pertanto prevedevo sicurissimo, che i Deputati i quali percorrevano le provincie, muniti di mie facoltà per eccitare la milizia civica alla patria difesa, sarebbero tornati, non dirò senza costrutto, - chè tanto non credevo allora, nè credo abbia maledetto il Signore la nostra contrada, - ma con rapporti capaci a fare mettere giù la speranza di vedere le moltitudini correre armate alla frontiera, molto più per opinioni politiche allora invise allo universale. Io aspettava il ritorno di questi Deputati, e mi consigliava a parlare in questo modo nell'Assemblea, indirizzando il discorso ai Partigiani della Repubblica:

«Voi non avete creduto alle mie parole mai: ecco persone di fiducia vi riferiscono, come nelle provincie non ferva lo entusiasmo di combattere, che voi immaginaste. Se pertanto non comparisce universale il moto di correre alla difesa delle frontiere per amore della Patria, la quale contiene le cose che per modi diversi tornano a tutto uomo più care, come vorreste voi che vi si precipitassero i Popoli per una forma di governo, che molti ignorano, moltissimi aborriscono? Se non si levano per cagioni, che tutti i cuori sentono, come presumete eccitarli per via di astrattezze che la mente non comprende o rigetta? Voi mi avete rampognato di avere omesso i mezzi capaci a tenere desti gli spiriti del Popolo. Se intendete degli onesti, io gli ho praticati tutti; se mai (lo che io non voglio credere) accennaste ai modi della Rivoluzione di Francia del 1793, sappiate ch'essi fecero paurosa la libertà ed infame; sicchè vi volle mezzo secolo a riassicurare gli animi sbigottiti. I sacri argenti tolti alle Chiese avrebbero gittato forse 15 o 20 mila scudi, sussidio insufficiente a tanto uopo, e avrebbero partorito esecrazione infinita contro il Governo. Il tôrre a forza fa sparire la moneta, e dare al capestro il collo dei repugnanti vi farà ricchi di delitti, non di moneta586. Spingere uomini incontro al cannone con la scure dietro, nè lo potevate domandare voi, nè lo potevo eseguire io. Solo posso precederli, e questo, se mi è dato, farò. Voi vi ingannate intorno alla virtù dello entusiasmo; egli esalta, non crea le forze. Con lo entusiasmo voi non formate la scienza degli artiglieri, la disciplina negli eserciti, gli esercizii della cavalleria, non gli apparecchi di guerra, e per di più da un punto all'altro, di faccia al nemico. Non invocate gli antichi esempii di Francia, perchè l'anima trema rammentando le necessità dei pochi, che vogliono dominare su i molti. Queste necessità sono i Settembrizzatori a Parigi, le Mitragliate a Lione, gli Annegamenti a Nantes. - La Libertà non si nudrisce, si avvelena, col sangue; nè ho mai sentito dire, che rovistando pei sepolcri si trovino argomenti al prospero vivere degli uomini, bensì vermi; ed io per me non voglio prendere gli esempii da altro Paese, che da quello che mi citate. Dove mise capo la convulsione dei Francesi così atrocemente eccitata? Dove andarono a terminare le quattordici armate rivoluzionarie? Nella perdita di tutta la Italia, nel confine del Reno minacciato. Dove si quietarono gli esaltati spiriti della Libertà? Nelle turpitudini del Direttorio. Se lo ingegno, e la fortuna di un uomo, cui si piegarono tutti ad adorare despota, non erano, - la Francia sarebbe stata invasa, e divisa. Ecco quali immensi abbattimenti succedono a immensi furori. Ora la fortuna vi para davanti due vie da seguitare: la prima sta nel precipitarvi con grandissimo pericolo, anzi con esizio certo, nella Unificazione con Roma e nella Repubblica, contro gl'interessi e il sentimento universali; la seconda, compiacendo al genio e alle necessità della Patria, nel restaurare lo Statuto Costituzionale. Il primo partito, oltrechè voi non potrete sostenere, vi divide dentro, chiama certamente il nemico di fuori, ed apparecchia sventure, che nemmeno potranno sostenersi con onore: il secondo vi unisce in pace; chiude il campo alle contese tra partiti nemici, nelle quali essi sempre trasmodano, e, se per impeto di passione, feroci, - se per ingordigia di comodi, ferocissimi e spietati; toglie adito ai pravi disegni dei reazionarii, e pretesto agli stranieri d'invadere le nostre terre. Il suffragio universale del Popolo torrà via ogni amarezza dall'animo del Principe, per indole facilmente oblioso; il quale, considerato la qualità dei tempi, gli eccitamenti straordinarii e la potenza di uomini repubblicani qui da ogni parte convenuti, e gli errori in cui tutti di leggieri trascorriamo quando la mente è commossa da súbita passione, o turbata da inopinate vicende, troverà più che non bisognano motivi per l'animo suo a dimenticare il successo come un sogno di febbre. Preservate la Patria dalla occupazione straniera, e mantenete le libertà costituzionali, che dirittamente esercitate bastano ai Toscani. Frattanto permettete, che io mi congratuli meco, e con voi, che il sentiero a questo partito non sia stato mai chiuso, e che la nostra Patria in così impetuoso turbinío non abbia a deplorare fatti scellerati, nè perduta la fama della sua vera civiltà. Questo consiglio io vi do di coscienza, non per fine di privato interesse, non per obbligo d'impegno assunto, non per patto convenuto, non per altro meno onesto motivo; ma sì, come a dabbene uomo si addice, mosso unicamente dallo amore di Patria, e di voi; e perchè voi ne andiate nel profondo dell'animo persuasi vi confermo, che nessuna pratica fu da me iniziata in proposito col Principe assente, - veruna. Se io abbia operato con lealtà quanto mi parve che fosse bene della Patria e non per basso intento, voi vel conoscete a prova. Voi trovate il terreno delle trattative vergine; provvedete voi. Brevi le condizioni, e facili. Lo Statuto si mantenga, duri indipendente il Paese. La Inghilterra da me consultata si profferisce mediatrice di questo: farà lo stesso la Francia. Di oblio non parlo; conciossiachè, se male io non conobbi, mi paia più agevole al Principe nostro concederlo, che a voi domandarlo; e a me giammai, quante volte per altri lo chiesi, disse di no. Se ho commesso errori (e ne avrò commessi di certo) perdonateli alla bontà della intenzione, alla infermità del giudizio587. E quando non mi sia meritata alcuna lode, deh! concedetemi almeno che senza detrimento di buona fama io vada a riposare in terra lontana, ma sempre italiana, l'animo e il corpo affaticati

Io per me non dubito punto affermare, e ritenere per certissimo, che le parole aperte, i modi schietti e legali, la lealtà, ed anche (non mi sia conteso dirlo) la generosità del procedere, la urgenza finalmente dei casi, avrebbero sciolto la durezza dei più pervicaci, e (lo soffrano in pace gl'interessati a negarlo) partorito assai più prosperevoli sorti alla Patria comune, di quelle che le vennero, dal costoro operato, nel 12 aprile 1849. Il consenso universale di tutta la Toscana sarebbe stato istantaneo come lo spandersi della luce al sorgere del Sole; dopo quindici e più giorni non avremmo veduto condotti ad aderire al Municipio di Firenze alcuni Municipii toscani nella guisa stessa con la quale i Romani traevano i testimonii in giudizio, dando ai malevoli argomento per calunniarli avversi alla cosa, mentre erano offesi del modo. La livornese resistenza non sarebbe accaduta, e con essa, se non la volontà, veniva almeno tolta la occasione alle armi straniere di scendere quaggiù, del pari che il motivo a chiamarle; donde poi era dato campo larghissimo alle potenze mediatrici a interporsi con frutto. E forse oggi anche noi ci consoleremmo della non acquistata indipendenza italiana con la indipendenza toscana mantenuta, con lo esercizio effettuale delle libertà sanzionate nello Statuto, di cui la conservazione fra noi mi pare che assai si rassomigli alla mostra del diamante Koh-i-noor (montagna di luce) nella Esposizione di Londra, dove tutti lo possono vedere in gabbia, ma sparirebbe con la gabbia, lo zoccolo, il guanciale, et reliqua, se qualcheduno si attentasse a toccarlo.

A questo punto io mi rinnuovo l'obietto, che per deliberarmi io aspettassi la occasione. Se si dirà che la occasione mi facilitasse il cammino a mandare a compimento il concetto prestabilito, si parlerà con rettitudine; se poi all'opposto si sosterrà che l'occasione generasse il concetto, questo ormai fu dimostrato falso da quanto sono venuto esponendo in questa scrittura fin qui, ed aggiungerò in breve per conclusione. - Nè penso che alcuno vorrà appuntarmi per avere colto il destro propizio, avvegnachè l'uomo non possa creare gli eventi: questi sono di Dio. L'uomo può qualche volta impadronirsene, e indirizzarli per forza o per ingegno a fine determinato. Ricordo che Madama Staël per istudio di scemare la fama a Napoleone soleva chiamarlo homme des circonstances, della quale sentenza punto ei si offendeva, per i motivi che ho poco anzi discorsi. Sicchè su questo particolare penso, che sarà savio arrestarmi.

Però io voglio esporre quello che avessi considerato nello evento di fortuna prosperevole alle armi piemontesi. Vinta una battaglia, non sempre si vince la guerra. Poniamo vinta la guerra con una battaglia sola, come accadde a Marengo nel 1800, e ultimamente a Novara; allora si presentavano subito al pensiero molte e gravi contingenze, così nello interno, come di fuori. Incomincio dalle ultime. Il re Carlo Alberto sarebbe cresciuto di reputazione e di forza, per virtù sua e per decadenza della Fazione repubblicana. - Bisogna ritenere che la massima parte dei Lombardi procedeva sviscerata della Repubblica, non già per fine politico, quanto per riputarla mezzo sicuro a ricuperare la patria. Una fatale persuasione, che durò anche dopo lo infortunio novarese, e compose il martirio doloroso di Carlo Alberto (principe, il quale se trova molti superiori in grandezza, nessuno, a parer mio, lo uguaglia nella sventura), si radicò nella mente dei Lombardi e di parecchi fra gli altri Italiani, che il Re non camminasse sicuro in questa bisogna, ed in segreto se la intendesse co' nemici d'Italia. Assurdità, e peggio; ma la disgrazia è persuaditrice tristissima degli uomini, e chi da lontano conosce per relazione le cose udendo il veemente narrare, e i giuramenti smaniosi, e i pianti, e tutto quanto insomma ha maggiore virtù di commuovere l'animo umano, si trova conturbato nello intelletto e nella fede. In questo travedimento gli esuli tennero per fermo, che ormai non più il Principato, ma la Repubblica avrebbe loro riaperte le porte della patria: di qui il correre a sollevare Italia tutta a parte repubblicana; di qui l'opera ardente e indefessa, impresa a danno della Monarchia Piemontese, che fu parte non piccola fra le cause della disfatta di Novara. Della verità del mio concetto porge argomento il considerare che prima degl'infortunii di Custoza i Repubblicani si fossero sottomessi, dichiarando non volere con importune contese disturbare la opera della Indipendenza italiana. - Ora, se la sorte delle armi, arridendo al Re, avesse non pure quietati, ma distrutti, i fatali sospetti; se al Re fosse stato concesso di schiudere ai Lombardi il varco pel ritorno in patria, mentre la Repubblica non si era mai mostrata capace di tanto, non veniva tolto ad un tratto il motivo negli esuli di parteggiare per la Repubblica? Certo che sì. Cresciuta l'autorità del Principato, non poteva supporsi che Piemonte consentisse tenere quello stecco su gli occhi di una Repubblica della Italia Centrale, e l'avrebbe avversata con tutti i modi: dalla parte di Napoli, non importa dimostrarlo. Conquista da Torino non temevo, chè se di volere non avesse patito difetto, gli mancava il potere. La Francia, la quale come abbiamo letto dichiarato da Lamartine, non avrebbe sofferto che il Regno Sardo si ampliasse col Lombardo-Veneto e co' Ducati, pensiamo un po' se gli avrebbe consentito stendere la mano anche sopra Toscana! Dalla conquista in fuori, la Repubblica della Italia Centrale doveva aspettarsi dal Piemonte pessimi ufficii. La vittoria delle armi italiane avrebbe richiamato l'attenzione della Francia e della Inghilterra, rimaste quasi arbitre dei destini d'Italia, ad assettare le cose nostre; diversamente invero da quello che appaiono adesso, ma pure in modo contrario alla Repubblica. La Inghilterra, tenerissima della sua Costituzione, non ama le Repubbliche, e la Francia repubblicana le odia. Però Napoli sarebbe stato costretto a procedere dirittamente nelle vie costituzionali, e ad accogliere con onore gli esuli cittadini. Dal quale successo erano a prevedersi verosimili due conseguenze: la prima, che anche in questa parte l'autorità regia costituzionale acquisterebbe aumento; la seconda, che i napolitani esuli, reduci in patria, sarebbero rimasti di affaticarsi per la Repubblica nel modo stesso, e per le medesime ragioni che ho esposto testè discorrendo degli esuli lombardi. La Toscana e Roma pertanto si vuotavano di questi arnesi potentissimi di Rivoluzione. Così tra le cause scemate per desiderare la Repubblica, la cresciuta autorità costituzionale, le pratiche di Potenze primarie, la pressura da due lati, la debolezza comparativa dello Stato, il difetto di frontiere validissime, e la necessità di non isconcordare per costituirsi con solidità, avrebbero costretto questi due Stati a piegarsi alla forma costituzionale. Cosa sarebbe avvenuto del potere temporale del Papa, non è facile prevedersi: solo lo evento è bastato a persuadere che lo avrebbero restaurato le armi repubblicane di Francia: ad ogni modo faceva mestieri accomodare anche il Papa degnamente, come a Capo della Chiesa Cattolica si addice.

E questo per ciò che riguarda di fuori. Nello interno poi, a cagione di quanto venne dichiarato superiormente, opera perduta sarebbe mettere parole intorno al successo della aggiunzione al Piemonte, come quella che pareva ad accadere impossibile. Consideriamo piuttosto la Unificazione con gli Stati Romani.

Trovavo dentro (e fu sovente materia delle mie conferenze col Capo del Municipio fiorentino, e con altri precipui cittadini così di Firenze come delle Provincie, delle libertà costituzionali fidatissimi amici) repugnanza infinita di lasciare uno stato certo e provato sufficiente, per avventurarci in condizioni ignote, piene di pericolo, allo universale per nulla necessarie, dalla maggiorità rigettate.

Trovavo che i Toscani, ed in singolare modo i Fiorentini, sentivano inestimabile molestia a ridursi in grado di provincia romana, mentre ab antiquo avevano formato florido stato, copioso di commercii e pieno di gloriose memorie.

Trovavo che i Toscani aborrivano di rendersi solidali al fallimento della finanza romana, e ostinatissimi contrastavano per non essere tratti in cotesto vortice di debito.

Trovavo che Firenze non si adattava a restare priva della sede del Governo, fonte per lei non pure di decoro, ma di vantaggi notabili, sia per la stanza degl'impiegati, sia pel concorso di quanti muovono dalle Provincie quaggiù pei loro negozii col Governo; sia finalmente pel soggiorno dei forestieri, i quali sogliono fermarsi nelle Capitali.

Trovavo la classe commerciante di Livorno paurosa di scapitare in pro di Civitavecchia, il quale porto, come prossimo alla metropoli della Italia Centrale, non ha dubbio che si sarebbe ampliato con danno di Livorno.

Trovavo costumi diversi, diversi i gradi di civiltà, diverse le maniere del vivere, l'economie ed altre più cose, che non consentono che Unificazione piena e assoluta ad un tratto si faccia, o fatta non abbia poi a dolere. Toscana mutata in provincia sopportava sagrificio troppo duro, come grande sarebbe riuscito il vantaggio, se qualche parte dello Stato Romano si fosse aggiunta a lei in condizione di provincia. Queste unificazioni o fusioni, come dicevano allora, si operano di consenso o di forza. A effettuarle con la forza vuolsi una potenza grande, che raccolga nella mano di ferro le varie generazioni abitatrici di una contrada della medesima lingua, e le costringa tutte a portare la impronta delle sue dita. Ma da Napoleone imperatore e re in fuori, nei tempi moderni, non discerno altri che potesse essere stato capace da tanto. A volerle condurre per via di consenso, si richiedono uguali, o molto simili, le condizioni disposte dalla natura, e secondate dalla operosa volontà degli uomini.

Ora tra per le sollecitazioni delle Potenze estere, e le volontà dei Re d'Italia, tra per il cessato bisogno nei più di ricorrere al partito estremo della Repubblica per tornare in patria, e la inclinazione della Toscana a starsi divisa, e le difficoltà in parte invincibili della Unificazione con Roma, lasciato che le passioni ardenti si sfocassero e le cause di quelle, preparata grave e profonda discussione, io ritenevo come sicuro che l'Assemblea Costituente Toscana, avrebbe deciso, in ogni evento, pel Principato Costituzionale e per la Confederazione, non Unificazione, con Roma come con gli altri Stati Italiani.

E così opinava certamente il Partito che ebbe ad organo prima il Conciliatore, poi lo Statuto; conciossiachè abbiamo veduto com'egli confortasse consultare la Toscana, convocando l'Assemblea Costituente col principio accettato del suffragio universale, e persuadendo i Deputati a sciogliersi spontanei se questo non ordinasse il Governo. Il Governo aderì al consiglio, nè si vede ragione perchè cotesto Partito avversasse poi quanto aveva provocato egli stesso; solo per mostrarsi coerente avrebbe dovuto credere che l'Assemblea Costituente procedesse nemica alla Restaurazione; e ciò non fu. Questo fatto io lascio alla considerazione del Paese, chè a me non giova spendervi attorno più lunghe parole.

Rimane a vedersi chi avrebbe scelto l'Assemblea per Principe. - Non è verosimile scegliesse uno straniero, perchè per le dominazioni straniere parmi, se non erro, immortale lo aborrimento degli Italiani tutti; scegliendo uno di casa di Savoia, avrebbe contradetto Napoli; se chiamato un Reale di Napoli, gli si opponeva Piemonte, e ad ambedue avrebbero ostato Francia e Inghilterra. Se è vero, come parmi verissimo, che la memoria degli antichi beneficii non si cancelli per breve furore, nè la diuturna benevolenza cessi per impeto passeggero, e che, remosse le cause del delirio, l'uomo ritorni nel suo stato normale; - deve credersi che i Toscani avrebbero richiamato i Principi, che potevano salutare col nome di concittadini.

 

 

Dimostrazione storica.

 

I fatti, che per sofisma o per calunnia non si tramutano, hanno dimostrato fin qui come, il Principato Costituzionale cedendo il campo, subentravano inevitabili ad occuparlo la Repubblica e l'Anarchia. Parte repubblicana era poco numerosa fra noi, nè di Toscani tutta, ma audace e gagliarda, sovvenuta dalle voglie dell'accesa gioventù, cui sembra spesso che per potere basti desiderare: onde è sicuro che quella parte, come voleva, avrebbe potuto, nello sbigottimento universale, cacciare le mani nei capelli al Paese, e strascinarlo colà dove ella mirava: però ammaestrando la esperienza, che i pochi contro ai molti inerti o repugnanti, senza ricorrere ai partiti estremi, non durano; in breve, siccome già si appoggiavano, avrebbero dovuto i Repubblicani darsi interi in balía, non dirò al Popolo minuto (conciossiachè il nome di Popolo suoni sempre reverito alla mia mente), bensì alla plebe che del Popolo è piaga. La plebe soverchiata, indi a poco parte repubblicana avrebbe regnato come regna il fuoco. Commesso io alla salute del Paese, credei riparare nella consultazione del Popolo toscano per mezzo del suffragio universale come ad asilo ultimo ed efficace. Da una parte non lo potevano rinnegare i Repubblicani, perchè da loro medesimi professato; dall'altra tornava accetto ai Costituzionali, perchè somministrava loro tempo di riaversi: finalmente era desideratissimo dal Popolo; perchè trattandosi di disporre di sè, gli pareva giusto poter dire anch'egli, una volta, la sua. Intorno ai fini e ai presagi di questo provvedimento non occorre dire altro, avendoli a suo luogo con abbondanza di ragioni spiegati. - Ora i Repubblicani, dubitando contrario lo esito del voto universale (e con parole espresse il dubitare significano)588, tentano, e più volte, le vie della violenza; violenze e lusinghe cadono davanti la probità del provvedimento, la costanza dell'uomo589. Frattanto la plebe ribolle commossa per un fine, e muoventesi per un altro, sicchè poi gli stessi agitatori ne hanno paura. In mezzo a perturbazioni, per varietà infinite, per impeto stupende, procede il mio concetto. Con la Legge del 6 marzo, al Popolo toscano la padronanza piena e legale per disporre di sè restituisco, e non limitando (che questo non poteva io), ma stabilendo la norma con la quale dovesse esercitarsi il mandato, prevengo la opposizione che i Deputati non abbiano già a deliberare, bensì, e unicamente, a ratificare. L'elezioni protette, e liberissime. Il Popolo non accorse nella copia sperata; e di ciò un poco fu colpa la consueta inerzia, un poco la nuovità degli ordini politici, e molto le dissuasioni dei parrochi; nel che operarono, a mio parere, poco avvisatamente; avvegnadio, messa da un lato la paura di possibile scomunica votando per la Costituente Italiana, egli è sicurissimo che non vi era pur dubbio del non incorrerla votando per la Costituente Toscana; e somministrando questa onorata via per assettare di quieto il Paese, parmi che avesse dovuto da loro con ogni maniera di ufficii promuoversi. Nondimeno nè anche si potè dire scarsa la votazione; dacchè il numero dei voti sorse nel Compartimento Fiorentino ai 28,231, nel Lucchese a 2618, nel Pisano a 6341, nel Sanese a 9288, nello Aretino a 6687, nel Pistoiese a 4418, nel Grossetano a 5288, nel Livornese a 11,781, nello Elbano a 909, nel Massetano e Carrarese, a 893, nel Garfagnino a 704, e nel Lunense a 702. Il Partito che si vantò, e tuttavia si vanta, unico ortodosso costituzionale in Toscana, quando si conobbe pressochè escluso dalle elezioni, gridò desolazione dell'abbominazione sopra la Babilonia fiorentina; e non pertanto uscì dall'urna una maggiorità di uomini che volle e seppe rappresentare il principio costituzionale del Paese, ed anche qualcheduno che minacciato dalla plebe delle tribune ebbe cuore per esclamare: «Piuttosto morire, che lasciare per viltà il seggio di Deputato590.» La Guardia Nazionale fiorentina interpellata con rito solenne, se le bastasse l'animo di tutelare l'ordine interno della città, e l'Assemblea nello esercizio del suo ufficio, rispose affermativamente, e quindi ambedue vennero alla sua fede commesse. La parte repubblicana, tentando far votare la Repubblica per acclamazione, venne repressa; e tanto più da me si volle grave e speciale consulta, intorno al deliberare le sorti politiche del nostro Paese, in quanto che mi pervenivano quotidiani rapporti che mi confermavano nella conoscenza antica del rifuggire che faceva la Toscana dal reggimento repubblicano. Le notizie della guerra, dubbie prima, varie poi, alla fine infelici, anzichè sbigottire gli animi repubblicani gli accesero, come suole, di stupendo furore: me accusarono in faccia di fellonia; me venduto, e venditore!.... Tali enormezze ero destinato a sentirmi dire dopo quarantasei anni di vita onorata! E se tradissi io, e se me e altrui vendessi, ora lo vedete a prova. - Poichè alle mie parole non credevano, le mie insinuazioni aborrivano, alle mie stesse preghiere imprecavano, provvidi l'Assemblea si prorogasse, e i Deputati nelle Provincie si spedissero, e ciò in prima perchè la nuova esaltazione si calmasse, e il tempo porgesse consigli più adattati ai casi; e poi perchè i Deputati tornassero ad attestare della fedeltà dei miei rapporti; lasciando pure che, sotto pena d'infamia a me, decretassero il divieto di mutare forma di Governo, inconsultata l'Assemblea: però che questo non volessi fare io.

Tutto ciò fu detto, chiarito, con documenti provato, e comprendo ottimamente che l'Accusa degli spessi riepiloghi abbia a sentire fastidio grandissimo, e forse ancora orgoglio del suo stile laconico di faccia allo asiatico mio: nonostante questo, mi è parso non dovermi trattenere dal dire, confortato dalle parole e dallo esempio del Foscolo, il quale, condotto a scolparsi davanti al Direttore della Polizia del Cantone di Zurigo, così gli scriveva:

«Da tutte queste cose che io mi assumo di esporle, e dalle troppe parole che ho fin qui speso, m'avveggo con mio rincrescimento che io la costringo alla noia di prolissa lettura. L'apologia è cosa sì infelice per indole sua, che non può aspirare neppure a scansare la verbosità. Perchè, dove a lei, signor mio, basta una sillaba, un atto arbitrario, un cenno muto, a macchiarmi, - a me bisognano narrazioni, esami, allegati e convincentissima serie di ragionamenti, a lavarmi.

E incomincio anco a sentire che l'uomo al quale è conteso il tacere trova compenso nello spassionarsi di tutte le ragioni che aveva represse dentro il suo petto. Socrate sapeva ch'ei, giustificandosi o no, era precondannato a morire; pur (se Platone merita fede) perorò per lunghissime ore a' suoi giudici; e quando ei fu sentenziato, gli andava pur tuttavia intrattenendo a parole: - O Ateniesi, ora che voi avete fatto il voler vostro mandandomi a morte, io il debito mio rassegnandomi, voi ed io non abbiamo da far altro di meglio fuorchè il conversare fra noi: ond'io parlerò, e non rincrescavi d'ascoltarmi, e rispondere.»

Fino al punto a cui mi sono fermato, la linea è retta per lo scopo a cui incammino la mia politica. Ora pertanto come potevo tergiversare o ravvilupparmi in subdoli partiti dopo il Decreto dell'Assemblea del 3 aprile, se fino al 15 aprile ella si era prorogata, e fino a quel termine non si poteva discutere della forma del Governo da darsi alla Toscana?

Udite adesso di grazia che cosa vi dice il Procuratore Regio D'Arlincourt. Egli vi narra: - «come io ingannassi da una parte e dall'altra, e però fossi da entrambe percosso.» - Poco dopo: - «come io, trattando più tardi col Municipio, giuocassi partita doppia,» - nonostante che abbia scritto poco sopra: - «come io troppo possedessi di sagacia e d'ingegno per non comprendere dai casi avvenuti e che avvenivano in giornata, che stava per accadere imminente la restaurazione del Granduca591.» - Questi sono martirii del senso comune, e Dio volesse che il nobile Visconte e compagni avessero crocifisso il giudizio soltanto! Ai giorni che corrono, di giudizii temerarii non è davvero a lamentarsi penuria; pure io aveva creduto fin qui, che lo scrittore, quando col suo cervello di farfalla non corre pericolo soltanto di commettere leggerezza, bensì di gettare un peso nella bilancia dove è librata la vita dell'uomo, dovesse avvertire che un grano più di pudore non guasterebbe certamente i fatti suoi: e le proteste di non volere pregiudicare, e poi lavorarti di straforo, ormai sono abiti usati così, che la vecchia ipocrisia li vendè al rigattiere, dal quale gli ha comprati la ipocrisia nuova, e, per averli rifatti nelle manopole e nel bavero, crede, che non le sieno riconosciuti addosso.

Rimane adesso a vedersi come io adoperassi i brevi giorni, che dal 3 al 12 intercedono, e ciò rispetto: 1° alla difesa della Patria; 2° alle disposizioni per la Tornata dell'Assemblea del 15 aprile. Parlerò prima della guerra, o per meglio dire della difesa delle frontiere. Fino dall'8 agosto 1848 a mediazione dei Ministri delle Potenze estere fu convenuto come lo esercizio di siffatto diritto non potesse somministrare all'Austria argomento di aggressione; nè il patrocinio stesso poteva ora mancarci, e non ci mancava, molto più quando ci fossimo ricondotti al pristino stato di cose di quieto. Non vale obiettarmi, che in questo disegno tornavano inutili gli apparecchi guerreschi: imperciocchè gli uomini che fanno mostra volersi difendere, vengono sempre più rispettati592; ed è sicuro che otterranno patti migliori, di quelli che disarmati si mostrano, e disposti ad accettare ogni carico si voglia loro imporre: laonde Ugo Foscolo meritamente deplora come causa suprema delle sorti infelici del Regno Italico la dissoluzione dello esercito provocata dal partito liberale593. E neppure rileva opporre, che le nostre armi inferme e poche non avrebbero potuto durare contro lo sforzo austriaco; dacchè anche lo esercito italico di faccia alle forze alleate si trovasse in condizioni perverse: ma gli altri ti aiutano quando mostri di volerti aiutare; la debolezza, che non è colpa tua, consiglia la compassione altrui; la propria abiezione provoca ira; e quando veramente una necessità grandissima non prema di sgarire un punto, anche i poderosi calano a partiti comportabili. Eranmi conforto a proseguire nello arduo cammino le parole che mi venivano porte da quei dessi, ch'ebbi a sperimentare, ora più ora meno copertamente, sempre avversi, e che in fatto di Governo Costituzionale presumevansi allora, e tuttavia si presumono, possedere del Governo Costituzionale la pratica, e la scienza. Lodavano la rigettata Unificazione con Roma; il concentramento del potere in un solo Magistrato approvavano; e a questo rivolgendosi raccomandavano, che a salvare la Toscana adoperasse quei partiti che la esperienza gli persuadesse migliori: quindi dicevano due essere i mali che minacciavano la Patria, la guerra civile e la possibile invasione austriaca; laddove queste due calamità egli fosse giunto ad allontanare, gli promettevano riconoscenza solenne. Se i tempi fossero corsi meno infortunosi, avrebbero saputo dare più forti consigli; però, comunque acerba ne flagellasse la sventura, doversi, mercè il concorso dei Municipii, mantenere libero lo Stato da invasione straniera, e incolumi le istituzioni costituzionali aborrite dalle fazioni reazionarie, la pubblica tranquillità, le proprietà, e le persone minacciate dai turbolenti di ogni Partito: breve, salvare quanto più dell'onore e della indipendenza nazionale si potesse594. Grave soma davvero era questa per le mie spalle; sicchè parendo al Partito preteso ortodosso che io non potessi uscirne a bene, determinò fare da sè; ed avendo capacità, e coscienza di riuscire meglio, prudentemente decise, e di ciò non lo incolpo. Però a mio parer non gli fu onore mancarmi di fede, se dubitò che io non sarei arrivato a salvare le libere istituzioni; non gli fu onore precipitarmi dentro uno abisso di miseria, se tenne che non avrei prevenuto la discordia civile; non gli fu onore ribadire il chiodo con la calunnia, se pensò che per me non si sarebbe potuto preservare il Paese dalla invasione straniera. Nondimeno ritengasi, che nel 29 marzo gli ortodossi Costituzionali di Firenze me reputavano per volere e per sapere adattato all'ardua impresa.

Vediamo pertanto, da quel punto in poi, in che cosa peccassi, perchè di amici mi si avventassero ad un tratto tanto acerbamente nemici. Qui accorrano i Toscani tutti, si chiariscano a prova, e giudichino poi se io abbia commesso colpa per la quale cristiani e gentiluomini dovessero credersi assoluti dall'usare meco quella fede, la rottura della quale anche tra' popoli più barbari è reputata indegnissima cosa! Due pertanto erano i fini alla mia cura commessi, come sempre furono, cui si provvedeva con apparecchi guerreschi, e con interni ordinamenti.

Cavalli pel treno, e copia di cannonieri per diligenza del Ministro della Guerra si procurarono595. Qui in Firenze, senza distinzione di parte, chiamo quanti sentono in cuore carità di Patria, e gli scongiuro di recarsi ai confini596. A Livorno commetto che mandino vie via gli arruolati per farne la massa in Firenze; a provocare lo arruolamento si adoperino i mezzi meglio efficaci, impegnandovi Sacerdoti, Circoli, e Popolani597; più tardi ordino, le armi da caccia si requisiscano, agli schioppi da guerra sostituiscansi, e qua a Firenze le armi, e i Volontarii si avviino598; di nuovo domando armi, perchè in Firenze dalle Provincie già accorsero mille giovani, e non so come armarli; accetto un battaglione intero di Livornesi Volontarii, purchè portino le armi, e gli Uffiziali si sottopongano agli esami i quali hanno a dimostrarli degni, che per costume e per perizia possa loro affidarsi il sangue dei fratelli599; informato che in Livorno si trovano 2000 schioppi, prescrivo si prendano, giudicando il proprietario Italiano abbastanza per chiamarsi soddisfatto quando gli venga retribuito il giusto prezzo600. Da Lucca si aspettano parecchi montanini per arruolarsi; il Municipio lucense con ogni sforzo seconda le diligenze del Prefetto601. Il Prefetto di Pisa, sussidiato da uomini di seguito nel Popolo, confida trarre gente dalle campagne602. A Lucca le armi da caccia si prendono, e, dandole in cambio delle guerresche alla Guardia Nazionale, con queste si armano i Volontarii603. D'Apice provvede di comandante la Guardia Nazionale di Livorno adattato a mobilizzarla sollecitamente604. La Gioventù livornese viene confortata da me a mostrare virtù pari al pericolo605. Romanelli eccita la gioventù aretina606; Franchini, soldato della Indipendenza, lasciato il Ministero accorre alla difesa dei patrii colli; Morandini, forte uomo, a ragione pensando che quando lo straniero minaccia la Patria, il mandato vero del cittadino sia di volare a difenderla, si dimette dalla Deputazione, e va al campo607. Le armi di nuovo con più sottile ricerca a Lucca e a Livorno requisisconsi, e si ottengono608. Prometto (consentendo alle istanze di Giorgio Manganaro) condurmi a Livorno; intanto, esortata la Guardia Nazionale fiorentina a non mancare alla Patria, due Compagnie del mezzo Battaglione che usciva di guardia senza prendere riposo vogliono partire609. I Cacciatori volontarii di Costa e Frontiera chiamati a formare un Corpo di riserva610. Il Gonfaloniere Fabbri, compiacendo al suo genio e alla carità della Patria, fatto appello ai sentimenti generosi della Gioventù livornese, conchiude con queste memorabili parole: «Giovani generosi, caldi di amor patrio, questo è il momento più bello della vostra vita. Da voi la Patria attende la propria salvezza. Dio non abbandona gli oppressi. L'ora del risorgimento è suonata. Le armi soltanto ponno decidere dei nostri destini611.» Provvedo mandarsi mezzo milione di lire per armi, e da Livorno chiedo prima armi, poi gente612, e le armi si mandano613. Maremma invia Volontarii, ma pochi; quelli raccolti e istruiti a Firenze, richiesti dal Generale, partono pel campo614. Chiamato da Livorno il Battaglione Del Fante, continuo a esigere armi; i Livornesi rimprovero di iattanza; ordino tolgansi le armi alla Guardia Nazionale; - poco frutto fa Lucca615. La Legione Accademica è riconcentrata in cotesta città616. Acquistansi nuove armi a Livorno617. Tommaso Gasperini, Ermolao Rubieri e Angiolo Angiolini, rinunziati gradi superiori della milizia cittadina, si arruolano e partono soldati, esempio grande di modestia e di virtù618. Nel giorno 6 pubblico il Manifesto alla Gioventù fiorentina619; ai Sacerdoti dichiaro non trattarsi adesso di Unificazione con Roma, nè di forma di governo; ai Conservatori, che mal conserva chi si espone a vedere tutto disperdere; agli affezionati del Principe, che badino trattarsi adesso di mantenere intero lo Stato, affinchè egli tornando non abbia a trovarlo menomato, e ne faccia loro rimprovero; ai Repubblicani, che la Repubblica, perfettissima forma di governo per uomini perfetti, non è frutto maturo pei nostri denti, o a meglio dire per le corrotte anime nostre: e che intorno al riordinamento del Paese, le Leggi dell'Assemblea si hanno a venerare come precetti di Dio. Intanto vadano, combattano, e mostrino la loro virtù. Civici livornesi concentrati a Pisa; i Bersaglieri e i Volontarii chiamati a Firenze; provvedersi armi620. Al Gonfaloniere di Livorno scrivo il Dispaccio riportato a pag. 53 di questa Apologia, dove me dico infame, se per dispiacenze private ricusassi una pace, che può avvantaggiare la difesa della Patria; componga B. un Battaglione, cotesta anzi essere la via unica per ridonargli l'amicizia antica; spedirò appena raccolto il battaglione in Garfagnana; raddoppinsi tutti. Nel solo Generale D'Apice si riunisce tutto il comando621. Ordino al D'Apice in ogni evento regga in Garfagnana, e cuopra Massa e Carrara; spingo al campo tutta la milizia di Linea; raccomando le provviste. A Livorno Giorgio Manganaro instituisce una Commissione che di nuovo si dia a ricercare le armi, e le prenda per la difesa della Patria622. Il Ministro della Guerra provvede a formare prontamente un Corpo di Zappatori623. Da Carrara muovonsi Volontarii per San Marcello, e per altri punti della frontiera624. Rimproverato Livorno di tepidezza, lo accendo con lo esempio di Firenze, che manda già milletrecento uomini a Lucca625. Livorno spedisce 700 Volontarii ed armi a Firenze626, donde poi la calunnia dello averli io pretoriani miei chiamati quaggiù. Armi tolte ai Circoli627, donde poi sicurezza intera alla libertà del prossimo voto dell'Assemblea. Schioppi requisiti sotto multa di lire cento a chi dentro tre giorni non li depositasse al Municipio: i Civici impotenti a marciare depositino i loro presso i Capitani, per armarne i Volontarii in procinto di partire628, donde poi la calunnia, che io disarmassi la Guardia Civica per dominare tiranno la città. Partono da Firenze 800 Volontarii, altri 800 se ne aspettano da Livorno per organizzarsi629. - Invece di mandare soccorsi a Genova, tento potere ottenere armi dall'arsenale di cotesta città630. - Da capo mi chiamo parato a rimettere ogni ingiuria, purchè i miei offensori accorrano alla difesa della Patria: sempre dimenticai tutto (io dico), e saranno prima stanchi di offendermi, che io di perdonare. - Vengono armi ed armati da Livorno: m'impegno trasportarmi io stesso al campo631. Il Gonfaloniere di Pisa, Ruschi, chiama gli scolari assenti, i quali rispondono allo invito, e vogliono essere incamminati a Lucca, quantunque non compresi nella nota firmata alla Università di Pisa632. Da Livorno 20 cannonieri toscani, e 18 americani, domandano potersi condurre ai passi dello Abetone. Manganaro spedisce archibugi633. - In virtù della solerte opera del Governatore provvisorio e del Gonfaloniere Fabbri, Livorno manda ancora 205 Volontarii, ed altri ne promette634. I Municipali tutti sono diretti a Lucca635. Accetto i soldati lombardi alle stesse condizioni del Piemonte, se armati ed organizzati; diversamente si lascino andare636.

Questo, secondo che ricavo dagli scarsi Documenti autentici che mi trovo fra mano, è quel poco che per me fu fatto, inefficacemente forse, ingenerosamente non già, per tutela del Paese e per salvezza del suo onore. Se mi verranno, come spero, consegnati gli Archivii, potrò ordire più completa Storia; per ora non ho voluto avanzare niente altro, perocchè non mi fosse fatta abilità di appoggiarlo con prove: tale e tanta è la grandine della bugie ai tempi nostri, che oggimai temo che anche il galantuomo corra risico grande di non essere creduto, dove non porti seco in tasca quattro testimoni almeno, che affermino con sacramento la verità delle sue parole. Di più non seppi, nè potei fare: armi e armati raccolti; gioventù commossa; Partiti tutti con preghiere richiesti; anche il ritorno del Principe accennato, come motivo di difesa per serbargli intero lo Stato; Deputati spediti Commissarii in Provincia (più oltre dirò peculiarmente di loro); Guardie civiche mobilizzate; Milizie stanziali, Municipali tutti mandati alle frontiere; Volontarii organizzati; Legioni accademiche ricomposte; e, in quanto a me, oblio delle offese in benefizio della Patria con pienezza di cuore accordato, obbligo di correre io stesso alla frontiera assunto. Capisco che scarsi meriti sono questi per pretendere lode, e non la pretendo; solo non parmi che dovessero fruttarmi l'odio del Municipio fiorentino e della Commissione Governativa. Pensai io, e credo che tutti quelli i quali sentono onore pensassero allora, che un motivo armato dovesse da noi farsi, e in ogni caso e sempre a benefizio delle Provincie, che con tanto amore si erano alla fede toscana commesse. Dopo il Decreto del maggio 1848, e dopo le dichiarazioni profferite dal Governo pel fatto dell'Avenza, a operare in questa guisa consiglio prudente e religione di promessa persuadevano. Nè vale dire, che nel presagio della insufficienza degli aiuti fosse meglio non darli; conciossiachè, da un lato, simile contegno apra una porta da rimessa alla ingratitudine, e dall'altro i derelitti non ti menino buona la scusa, ed a ragione, chè da cosa nasce cosa, e la fortuna nelle vicende umane tiene massima parte, e, finchè la speranza ha fiore di verde, tale risorge che si credea spacciato, onde gli antichi costumavano spesso quel detto, che Anteo battendo la terra si rilevava più forte. Nè per mantenersi in fama di onesti bisogna avere promessa lunga e attendere corto; e, se non erro, assai più giova essere parchi a stendere la mano, che facili a lasciare coloro che si raccomandarono a quella.

Il Conciliatore nel 27 marzo usciva in questi acerbi rimproveri contro dei miei Colleghi e di me: «Che avete fatto dopo cinque mesi che tenete il Potere, senza che nessuno vi abbia seriamente avversato?» (Che cosa s'intenda con la parola seriamente, io non saprei; quello che so, è che il Conciliatore con le acute scane fendeva moderatamente a morte i fianchi al Ministero Montanelli, e al Governo Provvisorio.) «Quali sono gli apparecchi vostri, gli uomini, le armi e i danari? La guerra è rotta, Piemonte già versa sangue per la causa d'Italia, e neppure un soldato dei nostri varcò la frontiera: anzi possiamo assicurare, che le scarse milizie ebbero ordine di rientrare nello interno. A questa ora nel marzo del 1848 la Toscana aveva sul Po 8000 combattenti, e si dicevano pochi, e la inettezza o il mal volere del Governo accusavasi, e due Ministeri si rovesciarono per questo, e per questo una Rivoluzione fu fatta, e il Paese esposto a sciagure e ad aggravii esorbitanti; e adesso quando il Piemonte ci domanda: Toscani, dove sono i vostri soccorsi? noi siamo costretti a tacere con vergogna.» Io vi dico in verità, emuli miei, che non per me mai i Toscani hanno dovuto abbassare la fronte avvilita. Questo vostro discorso sembra nato a un parto con l'altro sì famoso del Generale Buonaparte reduce dalla impresa di Egitto; ma Buonaparte poteva dire al Direttorio: «Dove sono gli eserciti? che avete fatto dei tesori?» perchè veramente eserciti vittoriosi aveva lasciato, e lo erario pieno; ma i Ministeri precedenti al mio ci avevano lasciato tale una eredità, che se fosse stato in potestà mia io non mi sarei giovato accettarla nè manco col benefizio della Legge e d'Inventario637; e questo dicasi in quanto a quattrini: rispetto ai soldati, essi nel marzo non avevano toccato sconfitta sul campo di battaglia, e la troppo peggiore per la disciplina delle armi a Livorno; infermi gli ordini nel marzo, pure non guasti affatto dalle scioltezze, per non dire licenze, della non prospera ritirata. Mariano D'Ayala attese a riordinare e ampliare le milizie nostre, con tale diligentissima cura, che n'ebbe (io ben rammento) dallo stesso Conciliatore meritata lode: onde non si comprende come, elogiato prima lo artefice, si facesse poi a biasimarne la opera. Ma questi sono accorgimenti di Partiti!... A Mariano D'Ayala parve potere restaurare la disciplina nelle soldatesche nostre, svegliando nei loro petti sensi di onore; quindi schivò fra le pene, quelle che la dignità umana offendessero: forse era savio consiglio; a me pareva opera perduta farne sperimento su genti guaste; mi talentava meglio licenziarle tutte per tornare a comporle da capo. A questo mi muoveva il pensiero che, operando sopra gli animi viziati, duriamo fatica doppia, chè prima bisogna tôrre via il fracido e poi edificare; e siccome il guasto difficilmente tutto si leva, così quasi sempre ci tocca a provare nel processo dei tempi i fondamenti deboli; il degno Collega, all'opposto, teneva potere riuscire in virtù del suo sistema, ed io naturalmente piegai riverentissimo la mia opinione dinanzi alla molta perizia ch'egli si trova a possedere delle militari faccende. Però vuolsi confessare, che o si fosse voluto accogliere il mio suggerimento, o piuttosto tenere il sistema di Mariano D'Ayala, nè l'uno nè l'altro potevano produrre i beni desiderati nel breve giro di quattro mesi; e nè in Piemonte, dove pure gli ordini militari di tanto superavano in bontà i toscani, le milizie poterono così tosto riaversi dei danni patiti nella disciplina, a cagione delle sorti infelici della guerra. Bene è vero che il Governo piemontese crebbe fino a 135 mila uomini lo esercito nel gennaio del 1849; ma come nei corpi umani la grassezza è segno di floscio, così neanche negli eserciti il numero denota forza; e a tutto vuolsi tempo, anche facendo presto: la colpa sta nel non fare nulla, e dare ad intendere di aver fatto. Napoleone sviluppato dalle nevi russe corre in Francia, e prende gente sì, non soldati, per avventurarla ciecamente su le pianure di Dresda e di Lipsia, come un giuocatore disperato si giuoca il danaro dell'ultimo pegno che ha portato al Presto. Questo dicasi rispetto alle milizie stanziali. In quanto ai Volontarii, gli spiriti procedevano alquanto rimessi dopo la prima guerra in Lombardia, però che a molti stava sul cuore la giornata del 29 maggio, in cui 3 mila circa Toscani furono lasciati soli a combattere onoranda ma dolente battaglia contro gli Austriaci grossi di 35,000 uomini, nonostante che fossero stati confortati a tenere il fermo, con la promessa di sollecito soccorso638. Arrogi, che fino a tanto resse Gioberti, egli rifuggì da noi come il Diavolo dall'acqua santa; e quando gli subentrò Presidente al Ministero il Generale Chiodo, là su le frontiere dove tenevamo soldati per la comune difesa, ce li corrompevano i maledetti zelanti del Piemonte, peste dei Governi, e mille volte peggiori degli stessi nemici, e li traevano a disertare con armi e bagagli639.

Il Conciliatore riportava queste notizie senza un filo di biasimo per gl'imbroglioni; e se punto io m'intendo di favella, con tale un garbo che dava ad intendere come cotesti fatti non lo infastidissero troppo640: sicchè pareva (per non dire troppo) strano, che dopo venti giorni egli ci conciasse così di santa ragione, se non avevamo da dare i soldati che ci portavano via, e se non volavamo a farci ammazzare per fratelli che mostravano volerci dare il pane con la balestra.

Dopo che Creonte esultò per l'empie liti di Eteocle e Polinice, può da un punto all'altro, mutati indole e costume, buttata là la clamide greca, e vestito il ferraiuolo di Tartufo, farsi esprobatore dell'uno, perchè guardasse l'altro in cagnesco? L'Accusa rovistando carte non mie ha rinvenuto una lettera, dalla quale resulta che i Piemontesi nel 13 marzo 1849 armata mano avevano preso possesso di Calice, ravvivando in mal punto la vecchia contesa641. - Ma chi pospone la Patria al cordoglio d'ingiuria patita, non merita sedere al Governo degli Stati; e noi considerando le necessità di questa nostra inclita Madre, e le nobili parole della Corona Toscana, che, confortando il Popolo a sopportare magnanimo i colpi di fortuna, diceva: «E noi non disperiamo della Italia, e siamo risoluti di durare nel proposito, che ci fece unire le nostre armi a quelle del re Carlo Alberto, nè per isventure sapremo mai separarci da lui642;» non volemmo venire meno al dovere nostro. Dica pertanto Lorenzo Valerio, se scrisse dirittamente Pasquale Berghini (se pure lo scrisse) quanto si legge stampato nel Libro III, pag. 132, dell'Opera di L. C. Farini, che avversi noi al Piemonte, malgrado le misere superbie nostre, non avremmo avuto uno scudo nè un soldato per la guerra della Indipendenza. Appena vedemmo questo amico fidato, non ci versammo nelle sue braccia con amore, e non deplorammo insieme le miserie le quali avevano impedito che il nostro Popolo e il suo procedessero come a fratelli veri si addice? E dopochè furono reiterate le affettuose accoglienze, più volte venendo a trattare dei bisogni della Patria, non ci legammo per fede con lui, che la causa del Piemonte, e con essa la causa d'Italia, avremmo con ogni supremo sforzo soccorsa? Conobbe in noi punto, il Valerio, stupido astio per la grandezza che il Piemonte deve avere, se piace a Dio, onde sia baluardo efficace d'Italia? - Io penso che Lorenzo Valerio, aperto, schietto e affettuoso Legato del Piemonte, avesse motivo di chiamarsi contento di me, assai più di qualche altro che volle giocare meco di arguzia, e non comprese nulla.

Le maliziette e le saccenterie, mel creda chi legge, arruffano più che altri non pensa; e se ne giovano i guastamestieri e quelli che, non avendo cuore nè mente da accogliere concetti grandi, apportano nella trattativa dei negozii politici le arti del sensale. Fu conclusione dei ragionamenti nostri, che per noi si sarebbe fatta diligentissima provvista di danari e di soldati, intanto che pel medesimo ufficio egli si recherebbe a Roma. Queste conferenze accadevano nel 10 marzo 1849; però lascio considerare quali fossero la mia maraviglia e il mio dolore, quando nelle prime ore del giorno 16 marzo venni fatto avvertito da Livorno, Domenico Buffa avere proclamato nel giorno antecedente a Genova rotto lo armistizio Salasco. Mi condussi a casa Montanelli, il quale da parecchi giorni giaceva infermo, e quivi mandai per Valerio, che quantunque per i molti disagi sofferti, e per la tremenda ansietà dell'animo, fosse anch'egli ridotto in pessimo stato di salute, pur venne; e udita la novella, egli, la fronte includendo nel cavo della destra e stringendola con le aperte dita, come persona che la dolorosa moltitudine dei pensieri intenda concentrare in uno solo, più volte esclamò: «Ed avevano promesso aspettare il mio «ritorno!» - Credo potermi ricordare eziandio, ch'egli aggiungesse: «Vogliono perdere tutto!» Non essendone sicuro, io non lo accerto. Ma perchè riesca anche in questa parte compíta la difesa contro l'accusa che mi mettono addosso, pongo senz'altro comento, chè tutto spiega da sè, la minuta di lettera confidenziale trovata dall'Accusa negli Archivii del Governo, e da lei stampata a pag. 220 del suo Volume.

«Signor Ministro,

Appoggiandosi sul fatto dell'armistizio prosciolto e delle ostilità riprese, il Generale La Marmora ha dichiarato d'occupare Pontremoli e Fivizzano, sotto colore di essere spedito a scendere dall'Appennino in Lombardia.

Io e il Governo Provvisorio abbiamo sentito la trista nuova della prepotenza che il Piemonte così stranamente ci arreca, e sebbene con animo conturbatissimo, pure abbiamo dato ordine rapidamente alle nostre truppe di lasciar passare le truppe sarde, perchè la guerra ripresa non corresse l'orribile rischio di cominciare con un'avvisaglia fra Piemontesi e Toscani.

Questo contegno del Governo Sardo è per me inesplicabile: mi affretto però a chiedere confidenzialmente tutte quelle spiegazioni che reputerete più opportune a togliere di mezzo i dubbii che la condotta del vostro Generale insinua gravissimi nell'animo mio.

Avvezzo a conoscere le tergiversazioni e gl'indugi, coi quali il Governo Piemontese ci ha condotti e tenuti sospesi sulle cose di Lunigiana, io non posso infatti considerare come un semplice avvenimento di guerra, quello della occupazione di Pontremoli e Fivizzano, e credo quindi avere il diritto di ottenere convenevoli spiegazioni.

Per ciò che riguarda poi il Piemonte, io non penso che egli farebbe opera utile neppure a sè stesso, cominciando con tali atti la guerra, e non correggendoli colle spiegazioni opportune. Non penso neppure che il Governo siasi portato convenientemente coll'istesso Valerio, che di tutte queste cose va ignaro, e al quale noi abbiamo resa testimonianza di tutta fiducia, e pei diritti d'un'antica personale amicizia, e più per quelli della rappresentanza d'un Popolo fratello.

Che anzi in questo stesso momento mi giunge notizia, che la presenza di truppe sarde in Lunigiana abbia già suscitato una serie di atti di rivolta, contro i quali io v'invito a protestare energicamente, dichiarando lo scopo dello stanziamento delle dette truppe, e invitando quella popolazione alla più severa osservanza degli ordini stabiliti. Che se il Governo Piemontese poi non vorrà aderire a queste mie giustissime richieste, io sento il dovere d'ammonirvi delle tristissime conseguenze di un simil contegno, e di farvi noto che dove per voi si tenti di rompere guerra alla Toscana, menomando il suo territorio o fomentando la ribellione, la Toscana potrebbe bene accettarla e fare proclamare la Repubblica a Genova, e sostenere con altri mezzi una ostilità sconsigliata, colla quale dareste principio a una serie forse infinita d'errori e di colpe, e dalla quale penso che aborrirete come ogni generoso Italiano.

Qui dunque è necessario che il Governo Piemontese dichiari apertamente i suoi intendimenti, e corregga l'odiosità delle apparenze colle prove più amichevoli verso di noi.

Io e il Governo che rappresento non abbiamo che una via, e la percorreremo energicamente (e il Proclama che vi accludo e la Legge sull'imprestito coatto vi faranno fede di ciò); ma se le nostre relazioni non sieno accompagnate dalla più illimitata fiducia, noi non potremo percorrerla più, e su voi ricadrà tutta l'odiosità della nostra impotenza. Si tolga dunque di mezzo ogni causa che spenge l'entusiasmo e l'amore che deve congiungere i due Popoli e i due Governi, e speditemi quanto prima potete le spiegazioni che chieggo. Vi saluto distintamente ec.

Dalla Residenza del Governo Provvisorio Toscano, li 17 marzo 1849.»

Nonostante che il Governo Provvisorio questi casi sentisse amaramente, e lo significasse al Ministero Sardo, dissimulava il torto; e così, riportando il Proclama del Generale La Marmora, coloriva la cosa nel Monitore del 22 marzo 1849:

«Il Generale La Marmora alla testa di un numero considerevole di Piemontesi è entrato in Lunigiana; e in forza di alcune disposizioni che il Governo Sardo aveva preventivamente concordato col Governo Toscano, per causa della guerra, è da sperarsi che nulla conturberà il momentaneo ricovero richiesto e ottenuto dalle truppe piemontesi nel suo passaggio.»

Il Generale La Marmora pubblicava entrando il seguente Proclama:

«Abitanti della Lunigiana!

Il Piemonte ha tenute le sue promesse. Spese l'intervallo della tregua a rinforzare e migliorare l'armata, senza perdonare a sacrifizio di sorta; accresciutene le file di ben 40,000 uomini, ecco che dichiara la guerra, ed il Re si pone alla testa della magnanima impresa. Per cooperarvi ho ordine di passare fra voi; ma la mia momentanea occupazione di coteste valli non è che militare, ed affatto estranea alla vostra interna politica. Qualche incomodo vi recherà forse il nostro passaggio. Ogni cosa sarà però pagata esattamente, nè d'alcuna molestia v'avrete a lagnare. Noi non vi chiediamo che un momentaneo ricovero; e ben lo speriamo nella nostra qualità di fratelli vostri, e per la missione nostra di liberare altri comuni infelici fratelli. - E siccome la santa causa che siamo chiamati a sostenere vi desta nell'animo quelli stessi generosi sentimenti che noi nutriamo, il comune entusiasmo si confonda col solo grido di

Viva la Indipendenza Italiana.

Il Generale - Alfonso la Marmora.»

Io non accuso, mi discolpo, e neanche spontaneo, ma costretto; e non sono andato già io a ricercare queste carte importune, bensì l'Accusa, e le ha stampate, ed ora vendonsi; sicchè trovandosi oggimai di pubblica ragione, chiedo in grazia di non essere ripreso di poco cuore, come quello che alla dignità della Patria non abbia saputo donare il proprio silenzio. Però supplico fervorosamente Dio a volere che queste carte, invece (come altri iniquamente spera) di somministrare materia a nuove ire, persuadano la tolleranza scambievole che nasce dal sentirci tutti quanti siamo non immuni da errore; insegnino ad assumere la severa gravità ch'è indizio di Popolo che si rigenera, e consiglino gl'improvvidi scrittori, avvegnachè il Sammaritano non infondesse nelle piaghe del trafitto asfalto, ma vino e olio; ed è così soltanto che possono dirsi pace anche i Giudei ed i Sammaritani.

Esaminiamo adesso se la protervia mia nello attraversare il disegno della Restaurazione, e nello instituire ad ogni costo la Repubblica, mi facessero meritevole di cosa, che per demerito altrui non si giustifica mai, voglio dire il tradimento.

Le mie tergiversazioni, per gittarmi poi al Partito trionfatore, indignarono forse gli animi dei Costituzionali ortodossi, come hanno commosso i Giudici del Decreto del 7 gennaio 1851, sicchè vollero venire a mezzo ferro e farne un fine? Questo supposto può scriversi dai Giudici, ma non può sostenersi da cui goda del bene dello intelletto, perchè le mie informazioni sì antiche che recenti m'istruivano che i toscani Popoli avversavano le forme repubblicane. Riporto a testimonianza di fede, davanti gli uomini di tutti i partiti, i Documenti che seguono. - Per somministrare schiette e leali notizie ai miei avversarii, che parteggiavano per la Repubblica impossibile, domando al Governo di Livorno: «Ditemi se gioverebbe più ad animare o la idea della difesa della nostra terra, o la idea della Repubblica. Intendo che si presenta lo spirito di tutto il Popolo, non già di una classe o di una fazione643.» Rispondeva il sagace uomo Avvocato Massei:

«Al Cittadino Guerrazzi, Rappresentante il Governo Toscano.

Crederei più opportuno toccare in genere della difesa della Patria contro lo straniero, piuttosto che della forma di Governo col Popolo. Così faccio io nelle mie brevi parole al balcone, e non senza qualche effetto.»

Avuta questa risposta, insistevo col Dispaccio telegrafico del medesimo giorno:

«Continui sempre a consultare lo spirito pubblico. Animi per la difesa del territorio. Purchè vogliamo davvero, difenderemo il Paese dall'invasione straniera. Chiunque vuol tutelare la Patria, parta subito e faccia massa a Firenze. Qui si istruiscono, e poi s'inviano al campo. Essendo uomo di Governo, non le raccomando di ridurre i Livornesi a temperanza e modestia, e al vero amore della libertà.

D'Apice è in viaggio. Ricevetelo come merita. Gioventù, alle armi. La Patria non muore mai.»

Interrogato con diligenza il Prefetto di Pisa, informava sollecito: «La Unificazione con Roma ha contro di sè l'opinione generale. La difesa del Paese sarebbe la formula che concilierebbe senza confronto il maggiore consenso. Ciò ritenuto, il pronunziarsi per questa gioverebbe in quanto a rassicurare da ogni inquietudine sulla Unificazione. Ma anche la formula della difesa non va esente dalle difficoltà per lo spirito delle popolazioni di campagna poco disposte ad adattarsi ai mezzi di esecuzione. È verità, e bisogna dirlo.»

Il Prefetto di Lucca anch'esso: «La Unificazione con Roma aumenterebbe i mezzi materiali, ma diminuirebbe i morali religiosamente e politicamente; nel primo senso sarebbe preferita; nel secondo temuta e schivata644

Uguali rapporti venivano dalle altre provincie toscane, i quali non mi è dato riferire, però che nel Volume dei Documenti dell'Accusa io non li trovi impressi, e gli Archivii non mi sieno stati conceduti fin qui. Nonostante questo, è sicuro che tutti suonassero nella stessa guisa, avvegnadio nella conferenza segreta del 3 aprile io dichiarai espresso la Toscana procedere, per la massima parte, avversa alla Repubblica ed alla Unificazione con Roma, e il Ministro dello Interno, più tardi, nella pubblica Assemblea, adempiendo al suo dovere, senza rispetto significò: «Vi sono Rapporti dei nostri pubblici funzionarj, e dei pubblici funzionarj di un ordine più elevato (per esempio i Prefetti) intorno alla idea della Unificazione della Toscana con Roma. Se debbo qui fedelmente esporre quello che a me da questi funzionarj vien riferito, dirò, che la massima parte della popolazione toscana recalcitra alla immediata Unificazione con Roma: alcuni perfino ne fanno argomento di timore per non poter conservare l'ordine pubblico, quando questa Unificazione fosse legalmente e definitivamente proclamata da questa Assemblea, mentre all'opposto la opinione contro qualunque ingiustissima invasione straniera potrebbe crescere fino al furore.»

Nel 2 aprile 1849 indirizzo al signor Presidente dell'Assemblea Costituente Toscana la lettera seguente:

«Signor Presidente dell'Assemblea Costituente Toscana.

In coscienza, e sopra l'anima mia, considerate attentamente le volontà e le cose, io credo che non possa salvarsi, o almeno tentare di salvare il Paese, laddove non siano dall'Assemblea consentite queste cose:

1° I pieni poteri non sieno illusione nè facoltà che scappano ogni momento di mano, ma libero esercizio di pensare e attuare subito quanto si reputa necessario per la salute della Patria.

2° Proroga dell'Assemblea a tempo determinato o indeterminato, con obbligo nel Potere Esecutivo di non risolvere intorno alle sorti del Paese senza consultarla, - pena la dichiarazione di traditore.

3° Sospensione di ogni quistione intorno alla forma del Governo.

4° I Deputati rimangano a Firenze per condursi a richiesta del Potere Esecutivo, in qualità di Commissarii per la Guerra, nelle Provincie, e sovvenirlo in altra maniera.

Per me non vi vedo altra via. L'Assemblea deliberi. Scelga chi vuole per Capo, Dittatore, o che altro; le parole sono nulla, le cose tutto. Io sarò lieto di mostrare come deva obbedire chi ama la Patria davvero. Addio.

A dì 2 aprile 1849.

Amico - Guerrazzi.»

Chiamo i signori Prefetto Massei e Consigliere Paoli a Firenze per assistere alla Tornata dell'Assemblea del 3 aprile, perchè essi somministrassero schiarimenti sul modo col quale avevano saggiato lo spirito pubblico allorquando, a Livorno e a Pisa, lo avevano detto contrario alla Repubblica, e la opinione loro sostenessero apertamente645. In quel giorno mi viene offerto da Livorno un Battaglione di Volontarii, ed importa apprendere il come: «Feci conoscere (scrive Massei) al Ministro dello Interno la necessità di decidersi per l'accettazione o il rifiuto della offerta di un Battaglione di Volontarii fatto da alcuni patriotti livornesi, sotto nome di Battaglione repubblicano, pronti a renunziare al nome646.» Ed io rispondo come si legge a pag. 625. Poche ore dopo, riparando all'oblio del nome, con Dispaccio telegrafico, aggiungo: «il Battaglione può chiamarsi Del Fante, livornese, morto a Krasnoie. Ritenuto quanto ho detto su le armi e su gli Ufficiali, si metta in via647

Nel giorno 3 aprile accadde la Seduta memorabile dell'Assemblea, nella quale per certo io non lusingai parte repubblicana, nè essa lusingò me, e fu detto di sopra: in quel giorno stesso certo ufficiale della Posta mi portava un plico aperto diretto a lui, dove stavano incluse lettere per gli spettabili signori Ottavio Lenzoni, Cesare Capoquadri, Orazio Ricasoli, Gino Capponi, conte Serristori, ed altri parecchi, di cui non rammento il nome, raccomandandogli che facesse recapitarle al domicilio dei segnati. Sospetto era lo invio; ritenni si trattasse di trame, e il tenore della lettera breve mandata all'ufficiale confermava grandemente il dubbio: pure rimisi ai mentovati Signori le lettere col sigillo intatto, e solo gl'invitai a non volere partecipare ad intrighi, rendendomi più grave il fascio già troppo per le mie braccia. Ora ho da dire che commisi al Segretario scrivesse conoscerne io il contenuto, ma il fatto sta che, non avendole aperte, io non lo conosceva. Siccome al mondo tutta cortesia non è anche spenta, così qualcheduno, a cui duole del mio non degno strazio, mi fa tenere per mezzo del mio Difensore una copia della lettera da lui ricevuta onde me ne valga, la quale dichiara così:

«Al vero Cittadino.

Non vi è tempo da perdere. Movetevi una volta con coraggio, senza timore. La Toscana tutta reclama anche da voi la sua salvezza, ed è dovere di farlo. Correte, ma subito, dai soggetti in calce notati; stringetevi con i medesimi, e d'accordo col Municipio andate da Guerrazzi per concertare il modo, prima per tutelare l'ordine, e quindi per salvare la Patria da una invasione austriaca. Il Principe confida anche in voi, e i Toscani non dimenticheranno il vostro nome, che sarà scolpito in un monumento inalzato a eterna memoria dei benemeriti della Patria.»

N. B. La lettera non ha data, ma ha il bollo di Posta del 30 marzo 1849, ed è scritta, o sottoscritta così: «Il Comitato dei Veri Cittadini.»

Dunque, nel 3 aprile, nella comune estimativa io non era reputato avverso alla restaurazione del Principato Costituzionale? All'opposto, me giudicavano attissimo a restituirlo in Toscana. Dunque allora non pensava la gente che i miei fatti e i miei detti mi palesassero uomo capace di tenere due corde al suo arco. Dunque nessuno si avvisava che io fossi di cuore doppio, ma sì all'opposto me tenevano per tale, da sicuramente confidarmi il disegno del richiamo del Principe, e del medesimo prendermi a parte.

Quantunque non sia mio instituto esaminare le risposte date dai testimoni, che l'Accusa stessa ricercò, tuttavolta, occorrendomi leggere i deposti relativi ai giorni 11 e 12 aprile, poichè mi cade il taglio mi giova riportare quello che intorno alla mia propensione di restaurare il Principato Costituzionale dichiarino alcuni spettabili Cittadini. Il signor Dottore Venturucci, animoso e dabbene, interrogato se per me si manifestassero tendenze alla Restaurazione, risponde: «A onore del vero, dirò, che interpellando io il Guerrazzi come Capo del Potere Esecutivo, mentre si parlava di dover fare una guerra insurrezionale, su le disposizioni del Popolo Toscano, su quelle delle Milizie, intorno ai termini della Toscana con gli Stati Italiani ed Esteri, il signor Guerrazzi si mostrò molto pago di queste interpellazioni, e si diè a rispondere: - La disposizione del Popolo Toscano è manifestamente per Leopoldo II: la soldatesca si compone di gente non buona, in ispecie Volontarii; - e rivoltosi a Montanelli ch'era tornato di recente, soggiunse: - dillo tu. - E Montanelli assentiva con lacrimevole storia. - Inoltre, egli aggiungeva, tranne che con Venezia e con Roma, non siamo in buoni termini con altri Governi; anzi, nè anche con Roma ci troviamo in perfetto accordo, e nella intimità che uomo potrebbe credere, però che il Mazzini quando stette a Firenze fu poco contento di noi, non avendo io voluto che si alzassero gli Alberi, nè si proclamasse la Unione con Roma, e dovei penare molto perchè ciò non si facesse. Noi non siamo in termini officiali con nessuna Potenza; nessuna ci ha voluto riconoscere; solo il Ministro inglese mantiene con noi termini officiosi.»

I Giudici del 7 gennaio 1851, questo chiamano parlare coperto. «Onde, - il signor Venturucci continua, - da tutte queste cose, ed anche da altre risposte del Guerrazzi, sembrerebbe potesse ragionevolmente arguirsi essere in lui stata la tendenza a operare la Restaurazione Costituzionale, e che per questo soltanto cercasse ottenere un voto di fiducia, e avere in mano il potere assoluto

Vuolsi notare come il Montanelli tornasse di Lunigiana il 10 marzo 1849648, e però cotesti discorsi accadevano nel 12 o 13 dello stesso mese, che secondo il calendario della onesta Accusa succederebbero il 27 marzo, che fu giorno doloroso per la notizia della battaglia di Novara.

Il Professore Taddei, schietto e leale, testimoniando del vero, dice: «Posso rispondere, che dalle sue espressioni sì di quel giorno (12 aprile 1849), che dei giorni precedenti, si rilevava benissimo ch'egli non solo non avversava la ripristinazione della Monarchia, ma che anzi vi si mostrava proclive. La quale proclività dava a me fondamento per lusingarmi, che egli volesse e sapesse trovare modo di fare questo passaggio in conformità del desiderio universale nei modi più atti per risparmiare il sangue, e per conciliare nel tempo stesso la dignità del Paese.» Nè alla età del signor Taddei si mentisce, perchè potrebbero fare all'illustre vecchio mali gravi, non lunghi, e l'uomo compreso nei casti pensieri del sepolcro aborrisce macchiare d'infamia la veneranda canizie. Di Ferdinando Zannetti ho favellato altrove. Potrei citare i signori Emilio Nespoli e Avvocato Giuseppe Panattoni, ma per non allungare di soverchio le citazioni, ed essendo eglino meno espliciti degli allegati, credo bene porre fine a questo negozio, che più propriamente è materia dell'Avvocato difensore.

Nè questa opinione furono soli a concepirla i Fiorentini, chè nel Messaggere del Galignani, in data del 7 aprile 1849, occorre questa notizia: «Leggiamo in una lettera da Firenze del 1°. Corre fama che Guerrazzi, il quale non è stato mai partigiano della Repubblica, siasi fatto Dittatore unicamente allo scopo di avere più agio a restaurare l'autorità del Granduca649

Ed appartiene eziandio a questo periodo il Documento che segue:

Istruzioni che il Ministro della Guerra dà al Generale D'Apice, state precedentemente concertate col Capo del Governo.

«1. Provocherà in Lucca, Pietrasanta, Massa ec., lo spirito pubblico per la difesa del Paese, mostrando tutti i pericoli della invasione, e rammentando di frequente gli orrori di cosiffatta sventura. Saggerà bene il genio del Popolo; e se gioverà, per allacciare più consensi, lasciar da parte la questione sulla forma di Governo, sì il faccia. - Però la mobilizzazione deve essere immediata; si metta d'accordo con le Autorità, e avvenga per amore o per forza, in specie per le campagne.

2. Destramente conosca, e mi referisca se proclamare la Repubblica e la Unione con Roma sarebbe adesso argomento di forza, o piuttosto di dissoluzione.

3. Avvenendo qualche moto di ribellione o attentato alle vite ed alle sostanze, secondi le Autorità locali per reprimerlo e punirlo acerbissimamente.

4. Non concedendo il tempo ristabilire la disciplina con modi graduali e blandi, bisogna tentare, se si può, con modi severi. Quindi sia inesorabile: non raccomando giusto, sapendo quanta sia la giustizia sua. Per converso, largheggi ai meritevoli di ricompense. Faccia sentire al soldato, la guerra essere un mestiere che giova, il merito cosa da trarne immediato vantaggio, la disciplina fruttare onore e sicurezza.

5. Tenga ilare e perpetuamente occupato il soldato. Qui sta il gran segreto della disciplina. Il Capitano che può affaticare di più i soldati gli avrà meglio disciplinati; perchè il lavoro afforza le membra, persuade la condotta regolare, e stanca la persona. Vorrei si esercitassero ai lavori di zappa, vanga ec.

6. Con la solita sua prudenza può mostrare il Generale che la difesa del Paese, e della integrità del territorio, è cosa che tutti i Partiti desiderano, e di cui tutti i Governi domanderanno conto ai soldati, qualora vilmente si ricusino. Ritornando anche Leopoldo, terrà in dispregio un'armata che non seppe conservare alla Toscana la Lunigiana, Massa e Carrara

7. Difenderà la Frontiera ad ogni costo; e cercherà con ogni diligenza conoscere gli avvenimenti oltre la Frontiera, così per la parte dei Piemontesi, come per quella degli Estensi, e ne darà ragguaglio fino a Lucca con staffetta; da Lucca a Firenze per telegrafo.

8. Adoprerà tutti i mezzi per accordarsi col Governo Piemontese e co' Liguri, per far causa comune contro il nemico tenendosi sopra la difensiva; però non gli si toglie la facoltà d'imprendere l'offensiva quante volte giovi alla difensiva.

9. Lo stesso anche più ampiamente dicasi per la parte degli Stati Romani, che considererà sempre come destinati a formare una stessa famiglia con noi, se i casi non vogliono altrimenti.

10. Finalmente vigilerà a impedire qualunque complicanza col suscitare inopportune quistioni politiche con gli Stati confinanti.

11. Non gli si raccomanda che in ogni evento salvi l'onore del Paese, perchè in questo il General D'Apice non ha mestieri di raccomandazione.

12. Le migliori truppe saranno postate nei passi più deboli della linea di difesa. - Organizzare una riserva in seconda linea in modo da soccorrere con celerità i posti attaccati.

Firenze a dì 1° aprile 1849.

G. Manganaro.»

L'Accusa legge con l'occhio cieco del Bano di Croazia l'ordine di lasciare da parte la quistione su la forma del Governo, e l'altro d'indagare destramente se la Repubblica piaccia o no; il quale non era senza arguto consiglio, però che, i partigiani della Repubblica ponendo nel Generale grandissima fede, io disegnava adoperarlo a persuaderli efficacemente, in virtù della convinzione che doveva nascere in lui dal coscienzioso esame dei fatti, a deporre la ubbia di volere instituita la Repubblica in Toscana650: nemmeno apprezza l'Accusa l'Articolo 6, il quale pure spiega a chiare note, che il Generale faccia sentire la possibilità del ritorno del Granduca, e quanto sarebbe per desiderare egli ancora, che il suo Stato intero si conservasse. Questo è il concetto che parimente dettai nel Manifesto alla Gioventù Fiorentina, ma qui più esplicito e là più coperto, siccome consigliava prudenza, chè adesso favellavo con un uomo solo, e discreto per indole, per instituto obbediente. Si sollevano le cateratte all'Accusa soltanto allo Articolo 9, dove raccomando di accordarsi con gli Stati Romani per fare causa contro il comune nemico, perchè gli ha da considerare come destinati a formare una sola famiglia con noi, se i casi non vogliono altrimenti. Che cosa trova qui da riprendere l'Accusa? Forse trattasi qui di Unificazione con Roma repubblicana? Quanto queste Istruzioni negli altri Articoli esprimono, non esclude simile concetto? E meglio non lo escludono fino dalla radice il cumulo dei fatti concomitanti? - O dunque che cosa significa egli cotesto Articolo? - interrogherà l'Accusa. - Ed io rispondo avere in altra parte manifestato i miei pensieri in proposito. Il Ministero Capponi651, dettando la commissione al Legato Ridolfi per le Conferenze brussellesi, si palesò vago di vedere Toscana arrampicarsi su pei greppi degli Appennini, e mettere un piede in Lombardia; a me cotesti possessi lombardi non andavano a sangue, e mi pareva che meglio potesse allargarsi verso la Umbria, memore dell'antica Etruria, di cui furono confini la Magra e il Tevere; il quale concetto mi parve allora, e ritengo anche adesso, più classicamente politico, per ragioni che non importa discorrere. A me piaceva parte degli Stati Romani, non già nella guisa che disse David quando gli morì il figliuolo avuto da Betsabea: «Poichè non verrà più a me, io me ne vado a lui652;» ma sì nel modo contrario, voglio dire che, invece di andare a loro, essi venissero a me; onde se, senza pericolo di commettere tradimento, si può desiderare ampliato lo Stato da parte di Ponente, non si sa come appo l'Accusa si corra pericolo di fellonia, piegando questo desiderio a Levante. Io poi giudico, e quanti hanno pratica delle faccende politiche giudicheranno meco, che corra necessità assoluta di ampliare i piccoli Stati, conciossiachè, mettendo pure da parte il riflesso che le difficoltà degli Stati grandi diventino tribolazioni vere pei piccoli, i tempi (per dire tutto in una parola sola) impongono l'obbligo di tali spese a cui gli Stati piccoli non possono sopperire. Avviene per questi come nelle private proprietà, dove i troppo grandi possessi non recano danno minore dei troppo piccoli alla pubblica economia, chè in quelli nuoce la inerzia a usufruttare, in questi la impotenza. Ed a me talora, pensando lungamente su le condizioni economiche della Toscana, veniva fatto concludere: «Noi abbiamo gl'incomodi di un guscio di noce armato come un vascello a tre ponti.» Siffatto mio intendimento poi non avrebbe dovuto suonare nuovo all'Accusa, poichè mi scoppiò fuori quasi per forza nella Tornata del Consiglio Generale toscano del 22 gennaio, e venne con la consueta carità raccolto, ravviato, e messo in vetrina dallo amico nostro il Conciliatore653. - E forse nè anche a questo tacerà l'Accusa, e dirà che simili disegni deggionsi dai Ministri cacciare via come tentazioni del Demonio; ed io, poichè, tra le tante e strane vicende della mia vita, mi trovo ridotto anche a questa, di favellare di politica con l'Accusa, mi permetterò osservarle, che, se i casi volevano, avremmo potuto compensare la Chiesa in Lombardia, a modo di esempio, col ducato di Parma, che già fu suo, e com'ella sa, o piuttosto non sa, da Paolo III, nel 12 agosto 1545, dato in feudo ecclesiastico, reversibile dopo la estinzione della linea mascolina, a Pier Luigi Farnese; la quale investitura però non tolse, che nel 1718, in virtù del Trattato della quadruplice alleanza, Art. V, Cap. I, fosse dichiarato feudo imperiale, senza il consenso del Duca Francesco, come senza attendere alle proteste d'Innocenzo XIII654; e neppur tolse più tardi che nel 1731 le milizie austriache l'occupassero, per consegnarlo a Don Carlo infante di Spagna. Tutto questo poi ho voluto raccontare, perchè l'Accusa conosca che simili composizioni di Stati, e sieno ancora della Chiesa, si costumino fare senza pericolo di tradimento, per via di Congressi e col mezzo di Trattati politici. E mi sembra non presumere troppo di me, se affermo che il mio concetto d'ingrandire, se lo volevano i casi, la Chiesa in Lombardia e la Toscana nella Umbria, superò in bontà quello di ampliare Toscana in Lombardia, o si attenda alla Storia e alla antica parentela dei Popoli, o alle comodità geografiche, o finalmente alle altre tutte cagioni per le quali avviene che lo accomunarsi piace che succeda, e successo si mantenga. Che se poi ad ogni modo pretenderà l'Accusa, che i miei desiderii e presagii costituiscano peccato, senta una cosa l'Accusa: - prometto confessarmene; - e mi lasci stare.

L'Accusa dirà, immagino: - della commissione del 1° aprile 1849 ego te absolvo, e se a malincuore Dio solo lo sa; ma con altri ganci ti tengo; ora rispondi: come ti scuserai del Dispaccio del 18 marzo 1849 mandato al Generale D'Apice655? - Parmi la risposta breve: nè lo mandai, nè lo firmai. - Ma egli è composto collettivamente, però che accenni a conferenze avute col Governo Provvisorio. - Che monta questo? Il Montanelli come Presidente del Governo Provvisorio si reputò rappresentare l'ente complesso, e credo dirittamente pensasse; e tanto è vero che fu così, che sebbene vi adoperi il numero plurale non pertanto si sottoscrive: G. Montanelli. - Ma dunque come va ch'è scritto di tuo carattere, tranne la firma? - Il signor Montanelli praticava un costume assai somiglievole, per quanto leggiamo scritto, a quello della Sibilla Cumana; notava le cose sue su fogli sparti, e gli lasciava ora qua, ora là; io uso diversamente, e pongo cura diligentissima a tenere in sesto non solo lo scrittoio mio, ma anche l'altrui; e talvolta alle tre ore antimeridiane mi sono trattenuto allo Ufficio per accomodare le carte arruffate dei Segretarii. Ora il signor Montanelli avendo conferito col Generale D'Apice, spontaneo o richiesto gli mandò la commissione in discorso, e lasciò sul mio tavolino la minuta del Dispaccio neppure sottoscritto; tornato la sera, vidi il foglio, lo lessi, e parendomi, come veramente era, di nessuna rilevanza, lo stracciai pel mezzo e lo gittai nella paniera. Ragionando nel dì successivo delle varie cose del giorno innanzi, il signore Montanelli mi venne interrogando se avessi veduto le Istruzioni partecipate al D'Apice; e negando io, egli soggiunse avermene lasciato sul tavolino la minuta; allora immaginando che accennasse alla carta gittata nella paniera, la ricercai, ne misi insieme i quattro pezzi, e domandai se a sorte intendesse di quella. Avendomi risposto per lo appunto essere, io per gentilezza non consentendo ch'ei la ricopiasse emendai il fallo involontario riscrivendola; e scritta che fu, lo avvertii: «E parti commissione questa sufficiente per noi? E pensi che possa contentarsene il Generale? Siffatta vaghezza mette a strano partito noi e lui; bisogna essere precisi nello indicare le cose che vogliamo sieno fatte; altrimenti tu me lo crei di punto in bianco Dittatore, e ti togli l'adito a mai trovarlo in peccato. Ancora, e scusami amico mio, - e questa commissione di promuovere gl'interessi repubblicani della Italia Centrale che cosa significa mai? Questa è buona per un negoziatore, non per un Generale; questa poteva darsi dal Direttorio a Buonaparte mandato alla conquista d'Italia; ma a D'Apice, che ha da starsene in Toscana, io non vedo a che giovi; la sua commissione è militare, non politica, e meglio importava indicargli i luoghi della frontiera, ove urge, e noi vogliamo che si afforzi. Inoltre, gl'interessi repubblicani della Italia Centrale che cosa sono eglino? Toscana non è confusa ancora con gli Stati Romani, e penso, che male ciò possa effettuarsi; forse mai, - ed a questa ora tu ne dovresti essere quanto me persuaso: di più, Toscana non assunse ancora forma repubblicana, e dubito forte se mai l'assumerà656; pertanto sai tu che cosa mi pare tu abbi ordinato al D'Apice? Che abbandonate le nostre frontiere, ei se ne vada diritto a prendere soldo dalla Repubblica Romana.» Sorrise Montanelli, e, come costumava, tutto soave mi rispose: «Ormai l'ho spedito;» e preso il foglio lo sottoscrisse.

In vero, come avrei potuto dare al Generale cotesta commissione, e come contestargli essere conforme alle conferenze verbali, se i miei colloquii e le mie commissioni suonavano diversi? - Il Generale D'Apice udito in testimonianza depone: «Avendo avuto luogo di recarmi due o tre volte a Firenze, ho udito in coteste circostanze parole da lui che mi fecero credere non fosse lontano a ristabilire in Toscana il Granduca Leopoldo II, e dette maggiormente forza a tali mie supposizioni il discorso fattomi dal medesimo signor Guerrazzi l'ultima volta che parlammo insieme, il quale consistè nello avvertirmi che in ogni caso importava difendere la frontiera, perchè, se tornava il Granduca, avrebbe avuto piacere di trovare non menomato lo Stato neppure delle provincie che da cotesta parte gli si erano aggiunte; per la quale cosa tolto commiato da Firenze e giunto a Lucca riunii davanti a me i due Tenenti Colonnelli Facdouelle e Fortini, e Colonnello Baldini, e ripetei loro in sostanza il discorso del signor Guerrazzi657, nè mai alcuno di noi si è occupato di vedere se convenisse più l'una che l'altra forma di governo, quantunque fra le istruzioni suddette vi fosse pure questo incarico658.» Più oltre: «Nel richiedere al Ministro della Guerra più ampie istruzioni, ebbi in veduta specialmente la comparsa del Granduca Leopoldo o di altro in suo nome, avendo presente il discorso fattomi dal signor Guerrazzi sul possibile ritorno del medesimo Granduca, per cui bisognava difendere la frontiera; come pure non avevo dimenticato le qualche parole confidatemi dal Guerrazzi, per cui mi era parso ch'ei non fosse alieno da trattare il ristabilimento del Granduca.» Non importa notare nemmeno che il Generale non accenna a un tempo soltanto, ma a tre diversi; e comecchè mi manchi modo di riscontrarlo, io do per sicuro che la prima volta e la seconda egli si portasse a Firenze prima del 27 marzo 1849; e ciò avverto onde l'Accusa si vergogni avere, in onta al vero, sostenuto che simili disposizioni in me nascessero, tardo pentimento, dopo la battaglia di Novara. Ora, se io avessi scritto al Generale come suona il Dispaccio del 18 marzo 1849, e gli avessi favellato come egli depone, avrebbe avuto motivo a dubitare della sanità del mio cervello. Anzi, dove bene s'intenda, parmi evidente la prova che cotesta commissione fosse del tutto fattura non mia, imperciocchè io mi ero lasciato andare fino a fargli sentire la possibilità del ritorno del Granduca, e quella lo incarica di sostenere la Repubblica; donde la necessità della doppia origine di siffatte manifestazioni. Per la quale cosa ammonisco i miei Giudici, che colui il quale tiene con varie persone discorso diverso può reputarsi talvolta, ed essere, uomo mascagno; credere poi che un Magistrato parli a un Generale bianco e gli scriva nero, per lo meno è da matto.

A questo tempo si referisce la seguente lettera, che io scriveva al signor Consigliere Carlo Bosi, dalla quale si fa manifesto come io sentissi di coloro, che più si mostravano smaniosi per la Repubblica659.

«Al Governo di Livorno.

Qui non può farsi nulla. La Patria versa in grandissimo pericolo. Io ne ho assunto la malleveria davanti agli uomini e a Dio: voglio riuscirvi, o morire: ormai della vita poco m'importa, anzi mi pesa. Ordino pertanto sia posto termine alle perturbazioni manifeste e segrete contro il Governo, e contro la quiete pubblica. Chi sono gl'infami che altro non sanno che dividere la Patria e spaventare la città, senza mai - -mai prendere uno schioppo e arruolarsi nella milizia finchè dura il pericolo? Wimpfen ha minacciato in Casale con 10 mila Austriaci mettere capo a partito alla Italia Centrale; ma non sono 10 o 20 mila Austriaci quelli che temo, sibbene questi commettitori di scandali. Voi mi farete esatto rapporto di quanto avviene, indicandomene gli autori; e quando vi ordinerò arrestarli, voi non dovete porre tempo tramezzo, fosse mio fratello: altrimenti renunziate. Oh! è facile sostenere la Repubblica con la gola fioca di acquavite e di fumo; con la opera poi la cosa è diversa. Il Popolo non si disonori con atti brutali: s'invigili cautamente il contegno di tutti; se commettono fallo, si raccolgano prove e mi si rimettano. Per suscitare la forza bisogna sia forte la Legge. La Inghilterra, che non ci avversa, dichiara che dove continuino in Livorno gl'insulti alle persone, ai Consoli, alle Insegne ec., provvederà al Paese come già fece a Lisbona. Per Dio! mi viene il sangue al viso. Badate i retrogradi; vi sono, e vanno puniti: ma

1° Non si ha a scambiare retrogradi co' paurosi.

2° Quando si mette la mano addosso a qualcheduno, conviene avere ragione: se no, se poco amico, diventa avverso; se nemico, cresce nell'odio.

Dei perturbatori non so che farmi. Gli uomini liberi sono gravi, animosi e operosi. Tali furono gli Americani, e così vinsero.

Partecipi questi miei sensi al Popolo Livornese, e gli dica che me ne appello al giudizio loro, all'onore, alla carità patria, e alla fama che pel mondo si sono guadagnata grandissima. Viva la Libertà! Viva Livorno! E chiunque è valido alla frontiera.

Guerrazzi.»

«P. S. Al Proclama aggiunga eccitamento a marciare; - vengano ad arruolarsi; - gli mandi a Firenze con armi; - mandi armi - armi - armi. - I gradi a chi sarà meglio reputato capace. - Come affidare il sangue nostro a cui non sa nulla?»

E meglio la mia opinione intorno agl'improvvisi fattori della Repubblica può dedursi da quest'altra lettera che indirizzava ad un mio fidatissimo e congiunto, comecchè di lontana parentela660.

«Caro Giorgio,

Viene costà Adami: a lui parla del negozio di cui mi scrivi. - Pei male intenzionati - lascia fare. Il tempo non è per loro. Quello che mi duole, senza punto sbigottirmi, si è che persone amiche - o che si dicono - o che si dissero amiche, invece instruirsi, emendarsi e attendere con discretezza, vogliono Repubblica, perchè:

Non hanno da noi

Danaro pel giuoco,

Danaro per le donne,

Danaro per l'osteria.

Ma la Repubblica esige più severa virtù del Principato. Addio.

Guerrazzi.»

 

Nel giorno otto aprile furono spediti 27 Deputati in Provincia; quantunque non si ponesse studio a scerre i nomi, e questo per probità, nondimeno sostengo, che 18 almeno di quelli appartenevano al Partito Costituzionale; e con protesta di non pregiudicare agli altri, che trovo notati alla pag. 226 dei Documenti dell'Accusa, parmi che sieno: Guerri Francesco, Giorni Donato, Nespoli Emilio, Panattoni Lorenzo, Sestini Giuseppe, Socci Gaetano, Biondi Marco, Frangi Riccardo, Del Sarto Eduardo, Vivarelli Tommaso, Giusteschi Napoleone, Paoli Tommaso, Micciarelli Elpidio, Brizzolari Enrico, Barsotti Giuseppe, Becagli Luigi, Turchetti Eduardo, Palmi Gregorio. Le Commissioni scritte ch'ebbero dal Governo furono:

«Cittadino Deputato,

I Rappresentanti del Popolo i quali, a forma delle già pubblicate istruzioni, si recheranno nelle Provincie ad eccitare i Giovani alla difesa della Patria in pericolo, ed a raccogliere le armi di coloro che non sono in grado di adoperarle, sono investiti dei supremi poteri per conseguire tutto ciò che può condurre ad ottenere questo intento. A tale effetto sono autorizzati a servirsi dell'opera dei Pretori e dei Gonfalonieri del Distretto nel quale si recheranno, con facoltà anche di sospenderli dalle loro funzioni, e proporne la destituzione al Potere Esecutivo, qualora non corrispondessero alle premure che sono in obbligo di darsi per coadiuvarli.

Però voi, Cittadino Deputato, recandovi nella vostra Provincia, siete autorizzato in forza della presente Ministeriale, a procedere alle sopraesposte misure, qualora non troviate nei pubblici funzionarii quell'attitudine e buon volere che dai tempi si esigono, informando immediatamente il Governo dei motivi che vi avessero indotto a prender queste misure, e con piena responsabilità del vostro operato.

Informate il Governo intorno a quei Ministri del Santuario, che, postergando al sacro dovere di una Religione di carità e di amore gl'interessi di Casta, tradiscono insieme al mandato di Cristo le speranze della nostra Patria, affogando le Libertà, prezzo di tanto sangue e di tanti sacrifizii.

Date opera a crear Comitati che si occupino di raccoglier denari, ed oggetti per coloro che si mobilizzano; a procurar soscrizioni di Cittadini che si obblighino a soccorrere le Famiglie di coloro che, mobilizzandosi, le lascerebbero nella indigenza. E di ciò è urgentissimo occuparsi, perchè, con questa sicurezza, avremo fra i combattenti anche coloro, che, trattenuti dalla indigenza della famiglia, non si muoverebbero.

Vigilate perchè questi Comitati non si istituiscano inutilmente, ma operino con ardore, al quale effetto usate molta avvedutezza nella scelta delle persone che dovranno comporli.

Non trascurate la parte più sensibile della umana famiglia, le Donne. Profittate della sensibilità del loro cuore, il quale, infiammato, è capace degli slanci più sublimi. Levatele all'altezza delle circostanze, affinchè esse pure ci aiutino, procacciando oggetti di vestiario, fasce e fila pei feriti, ed ispirando coraggio nei Giovani, i quali non sapranno allora ricusarsi dall'affrontare i pericoli.

Operate adunque, operate, ed il Paese, ne siam certi, saprà pienamente corrispondere.

Li 8 aprile 1849.

Devotissimo - Marmocchi.»

Nel 9 aprile erano trasmessi ordini pel ritiro dei moschetti ai Circoli661, la quale operazione consumata, toglieva, in certo modo, l'ultimo dente alla Fazione. Tutti i provvedimenti onde la deliberazione del giorno 15 riuscisse libera, pacata e solenne, essendo stati presi, mi addormentai sicuro fra l'ultimo puntello e il naviglio su lo scalo. Anche la mano di un nano bastava ad abbatterlo, e il nano, maligno com'è natura dei nani, venne, e lo abbattè, procurando per gratitudine, che il legno precipitando mi passasse proprio sul corpo. Questo è il dramma; rappresentato a Firenze, spettatrice Toscana. I Toscani adoperino i diritti della Platea verso, o contro coloro, che bene o male sostennero la propria parte.

Insieme alla commissione scritta caldissime preghiere ricevevano a voce, che convinti per nuovi e proprii sperimenti del desiderio della universa Toscana, di ritornarsi al suo Statuto, nel giorno designato (15 aprile) convenissero in Firenze a sostenere la proposta che avrebbe fatta il Capo del Potere Esecutivo; e fu nel 9 aprile 1849, che il signor Filippo conte de' Bardi, recatosi dal signor P. A. Adami, gli favellò in questa sentenza: «Parlare in nome suo e dei Deputati della maggiorità rimasti in Firenze; pregarlo a farmi, di quanto sarebbe per dirgli, speciale partecipazione: per impedire, avere io fatto abbastanza; ed egli, comecchè della persona pessimamente disposto, essersi condotto all'Assemblea a fine di sostenere il Governo nel suo contrasto alla Unificazione con Roma: ora correre urgentissimo il bisogno di tôrre il Paese dalla incertezza; non dubitassi; nella Tornata del 15 aprile, proponessi francamente il partito di restaurare il Principato Costituzionale, che mi avrebbero circondato tutti per sovvenirmi co' voti, e al bisogno con la persona; questo poi esporre a lui onde me lo referisse, perchè non gli era occorso mai di trovarmi libero così, da potere tenermi prudentemente siffatto linguaggio.» P. A. Adami conferì meco intorno alla proposta del conte de' Bardi, ed io l'accolsi con animo volonteroso, dicendo al medesimo che bisognava trovarci pertanto nel 15 aprile tutti al nostro posto, per la quale cosa io non avrei potuto concedergli per la prossima domenica il consueto permesso di recarsi a visitare la famiglia a Livorno; e questo fu il motivo che indusse Adami a partirsi a mezzo della settimana per casa sua, e gli giovò, salvandolo dal trovarsi nei giorni 11 e 12 aprile a Firenze.

Ciò posto, senza ira come senza rancore, e favellando di me come di un morto, uomini del Municipio di Firenze e della Commissione Governativa, udite:

Cosimo Ridolfi, dando facile orecchio a parole di astio, o di superbia, o di avventatezza sconsigliata, procedè meco nel giorno ottavo di gennaio 1848 in Livorno ingiusto e leggiero; io nel risentimento, eccessivo. S'egli avesse profferito una parola, una parola sola (che fra gli onesti è dovere, perocchè, dopo il primo onore di non far torto a nessuno, venga subito l'altro di confessarlo fatto), io che mi sento di assai placabile natura di leggieri avrei dato all'oblio il brutto caso, nel quale anche oggi va ficcando le mani l'Accusa, scompigliandone le ceneri per tentare se vi fosse rimasto nascosto qualche mal tizzo sotto: ma questa parola non disse il Marchese; e volle tramare di orgoglio la tela ordita dalla ingiustizia, ed io crebbi nella intemperante querimonia; però le mie parole non furono pese a lui, come le sue catene a me. Ad ogni modo avemmo torto da una parte e dall'altra. Alla più trista, poniamo la partita saldata, e non poteva essere questa pel Municipio di Firenze e la Commissione Governativa causa per nuocermi.

Quando il Principe chiamò nei suoi Consigli il marchese Gino Capponi, io ne fui lieto, stringendomi a esso amicizia ventenne; e subito gli mostrai come io intendessi sostenere il suo Ministero, dacchè, sapendo in quei giorni stremo di pecunia lo erario, gli proposi, per conforto dei miei amici di Livorno, di sovvenirlo di 6 od 8 milioni di lire, e di ciò fa fede la lettera che leggiamo stampata a pag. 3 dei Documenti662. Non piacque il partito; ma pure esso dimostra le voglie pronte di procedere parziale al Ministero Capponi: dunque per questo, Municipio fiorentino e Commissione Governativa, non potevate muovervi a farmi danno.

Io scongiurai l'amico prima, poi il Ministro Capponi, a trattenersi dal mandare armati a Livorno, condottiero Leone Cipriani, per reprimere tumulti, a comporre i quali parve ad altri ed a me dovessero bastare i provvedimenti ordinarii; ma ei non mi volle ascoltare: quello che avvenne non importa dire; così si potesse dimenticare! Livorno era lasciata in balía di gente perversa: andai, la mantenni alla devozione del Principe, la preservai dall'anarchia; non mi fu grato, non dirò Gino Capponi, ma il Ministero Capponi; all'opposto mi si mostrò nemico, mi abbeverò di amarezze, mi saziò di umiliazioni: tacqui, soffersi, e quante volte parlai, o scrissi di Gino Capponi, lo feci con rispetto, e l'ho dimostrato: dunque per questa causa non sembra che voi, Municipio e Commissione, aveste motivo di offendermi.

Il Ministero Capponi mi allontana da Livorno, come si legge che gl'Israeliti cacciassero i lebbrosi fuori del campo; ed io, senza lagnarmi, lascio libero il seggio al signor Montanelli, e mi riduco, senza pure aspettarlo, a Firenze, mostrando a prova la inanità dei brutti favellii, che me, calunniando, susurravano agitatore del Popolo livornese per libidine d'impero; ed anche qui, se non erro, non vedo che il Municipio fiorentino e la Commissione Governativa avessero materia per danneggiarmi.

Il signor Montanelli bandisce a Livorno la Costituente Italiana di concerto col Ministero Capponi663; il Ministero depone lo ufficio; però, consultato, delibera quale successore abbia ad accettare, ed uno, proposto, fervorosamente n'esclude, che non era il nostro. Il Municipio livornese, condottiero Fabbri, bene si reca a Firenze per rappresentare al Principe il voto del Popolo di cotesta città, che me desidera assunto al Ministero, ma protesta solennemente farlo, come semplice espressione di desiderio, senza punto intendere menomargli la prerogativa regia di scegliersi liberissimo i suoi Consiglieri. Intanto una Deputazione di spettabilissimi cittadini di Firenze recavasi dal Granduca, e, venuta al suo cospetto, per mezzo del sig. Professore Ferdinando Zannetti gli favellava in questa sentenza:

«Altezza!

Mossi noi qui presenti dal desiderio di vedere riconciliato Livorno col Governo, e di evitare civili discordie, noi sottoponghiamo al senno di V. A. la proposta di commettere al signor Professore Montanelli lo incarico di formare il nuovo Ministero. Questo poi facciamo, accertati che il Ministero attuale siasi dimesso, e con parola di onore assicurati dal signor Montanelli, che conserverà il Principato Costituzionale, ed eviterà, se gli sarà possibile, di tôrsi a collega il signor Guerrazzi664.» E la Corona rispondeva, ammonendo essere per lo Statuto fondamentale riposta in sua piena volontà la scelta del Ministero, alla quale avvertenza il signor Zannetti con modesto parlare soggiunse: «Altezza! Non cadde mai nel mio animo, nè in quello de' miei compagni, di venire a imporle un Ministero; ma il solo desiderio accennato testè, fu quello che ci mosse a umiliarle la nostra proposta, come mero e semplicissimo voto: onesti, come ci studiamo essere, noi ci saremmo guardati bene dal presentarci all'A. V. dove non avessimo riportata dal signor Montanelli la parola della intera conservazione del Principato Costituzionale665.» L'A. S. poi me non accettò se prima non ebbe consultato in proposito Lord Giorgio Hamilton e il marchese Gino Capponi, e questo so per confidenza onorevolissima che mi venne fatta dal Principe stesso, sicchè qui non vedo peccato che dovesse concitarmi l'odio del Municipio e della Commissione Governativa.

E prima condizione del mio accettare la proposta del Montanelli fu, che si conducesse dal marchese Gino, e in suo e in mio nome lo pregasse a volere presiedere il Ministero nostro; egli ci rispose, come altrove ho narrato; ma certo per me non gli si poteva dare pegno maggiore di devozione e di stima: onde anche da questo mio contegno non vedo che il Municipio e la Commissione Governativa potessero ricavare argomento di rancore contro di me.

Portai la Costituente come Simone il Cireneo; le tolsi il vano e il maligno, la ridussi nella condizione di potersi dividere, e in parte accogliere, in parte aggiornare, e, venuto il tempo, anche per la parte aggiornata adoperare a tutela dello Stato; discussa fu; voi l'accettaste a pieni voti nel Consiglio Generale, a pieni voti in Senato la confermaste: onde io credo che per questo, Municipio e Commissione Governativa, non potevate appuntarmi, molto meno farmi sopportare non degne pene.

Alla sicurezza pubblica e privata, Ministro dello Interno, provvidi quanto e meglio di voi, e in termini dei vostri più deplorabili assai; imperciocchè, se anche voi confessaste trovare insufficienza negli ordini infermi, quale non la dovevo sperimentare io, quando, colpa o fortuna, voi mi consegnaste questi ordini del tutto disfatti? Quindi io penso che da ciò, o Municipio di Firenze e Commissione Governativa, non abbiate potuto desumere cagione di mal talento contro di me.

Come avreste potuto, o uomini che componeste allora il Municipio Fiorentino, redarguirmi di essere rimasto al Ministero, se pel Gonfaloniere vostro premurosissime istanze mi faceste onde io non deponessi lo ufficio, e con magistrale deliberazione lo inviaste, insieme ad altri spettabili personaggi, a Siena per interporsi mediatore fra il Principe e il suo Ministero, affinchè la dimissione mai dal maestrato non avvenisse?

La notte dell'8 febbraio 1849 non mi assistè al fianco, chiamato, l'onorevole vostro Gonfaloniere? Non udì le provvidenze, non approvò, non confortò, e, piena la mente di quanto aveva udito e approvato, non bandì la mattina che il Governo aveva provveduto alla salute pubblica: i Cittadini quietassero? Municipio fiorentino e Commissione Governativa, voi non mi potevate perseguitare per questo.

Vi disprezzai Membro del Governo Provvisorio? No certo, poichè voi il Governo sorto dalla necessità approvaste, e gli prometteste leali soccorsi, e così in magistrale deliberazione dichiaraste. Vi ascoltai per l'abrogazione della Legge Stataria, vi ascoltai per le armi distribuite al Popolo; e se due volte, due sole volte rimproveraste, se non prendo errore, parmi poterne dedurre, che tutto l'altro vi giovò e piacque. Il Municipio sovvenne il Governo nella esecuzione delle Leggi su la Costituente Toscana, nel negozio delle armi, nella Commissione per riorganizzare la Guardia Nazionale, di cui fu chiamato a fare parte anche il signore conte Digny666; col Gonfaloniere soventi volte conferimmo intorno alla Unificazione con Roma; e cadendo d'accordo intorno alla impossibilità di promuoverla con profitto fra noi, stabilimmo avrei adoperato ogni sforzo per impedire che la Fazione Repubblicana la spuntasse a furia di Popolo, e per fare in modo che tutto il Paese con solenne e pacato voto intorno alle sue sorti decidesse. Qui dunque non ho peccato, onde voi, o Municipio fiorentino e Commissione Governativa, aveste dovuto rompermi come una canna fracida.

Da voi pure venne il consiglio di sciogliere il Parlamento e interpellare il Paese col suffragio universale, e non una volta, ma due; anzi da voi la minaccia che, dove il Governo di ciò fare si fosse astenuto, i Deputati avrebbero rifuggito di adunarsi più oltre; onde anche per questa parte, o Municipio di Firenze e Commissione Governativa, io confidava andare immune dal rigore delle ire vostre.

E certo poi non meritai ira siffatta allora quando sofferto fu da ciascuno, che la Fazione Repubblicana gavazzasse imponendo le sue leggi al Paese, ed io solo, presente il Gonfaloniere del Municipio di Firenze, felicemente mi opponeva a quella.

Nè immagino già avervi dato, o Municipio Fiorentino e Commissione Governativa, causa di straziarmi allorchè curai che l'elezioni per la Costituente Toscana accadessero liberissime; e se copia maggiore di Costituzionali elettori non concorse a votare, certo non fu mio errore, e voi lo confessaste, comecchè il numero non si potesse chiamare scarso.

Ditemi, egli è perchè io usciva a risico della mia persona per tutelare i cittadini, o perchè toglieva le armi alla gente dei Circoli, o perchè ostava che la Repubblica per acclamazione si votasse, o perchè solennemente dichiarai, e feci dal Ministro dello Interno dichiarare, che la Toscana si mostrava aliena dalle forme repubblicane, o piuttosto perchè mi accinsi dietro i vostri conforti a salvare quel più che si potesse di onore e d'indipendenza nazionale, e mandai Deputati in Provincia a consultare lo spirito pubblico al doppio scopo che la restaurazione del Principato Costituzionale avvenisse per consenso, senza discrepanza, di tutti, e che lo Stato si difendesse, o almeno di difenderlo come ce ne correva l'obbligo si tentasse; - egli è per tutto questo, o Municipio, io domando, e Commissione Governativa, che voi mi avete tradito? Forse vi ravvisaste, e pensaste avere potuto provvedere meglio da voi stessi; ed io vi ho detto, e vi ridico adesso, che non vi biasimo, anzi, di questo vi lodo, e meco tutto il Paese vi loda e ve ne rende grazie; voi dell'opera vostra andate alteri, e ne avete ben donde: ma v'era bisogno che voi mi tradiste per completare la vostra gloria? - Ma no: per avventura, in quei momenti estremi, io da me mi mostrai diverso? inasprito, smentii in un giorno tutta la mia vita, e commisi sevizie, o provocai le turbe livornesi a irrompere sopra questa bella madre Patria a guisa di Barbari? - Nessun sospetto arrestai, nessuno bandii; anzi, amorevole gli ammoniva affinchè si guardassero. M'inganno; ad uno solo ordinai partisse, e tosto; e chi fu egli mai? Niccolini, quel mio preteso cagnotto e lancia spezzata per commuovere i Popoli ad acclamare Repubblica667. Vediamo se l'altro addebito mi si conviene. - E avvertite che io raccolgo Documenti cascati dalle mani dell'Accusa aperte come i lucchetti dello avaro, sicchè quando saranno posti a disposizione mia gli Archivii, come già furono alla Direzione degli Atti, potrò, spero, essere più completo. Antonio Fossi, Segretario del Governo di Livorno, nel 9 aprile 1849 a ore 5 e 30 min. pom., per via telegrafica mi avvisa: «Il Popolo ha occupate le carrozze per seguire i Volontarii. Le misure prese a nulla hanno valso. Il Governatore e il Gonfaloniere accorrono alla Stazione per riparare. Mi ordinano prevenirla pel possibile di un ritardo nello arrivo668.» Lo egregio amico Giorgio Manganaro, nel giorno 10 aprile 1849 a ore 1 e 15 min. pom., per telegrafo annunzia: «Oggi il Popolo di Livorno è tornato alle solite improntitudini. Comunque avessi fatto presidiare la Stazione da numero 60 Guardie Nazionali, questa è stata invasa da più di 600 persone, le quali si sono impossessate delle carrozze e dei vagoni, e con estrema violenza hanno voluto viaggiare gratuitamente. Mi sono trasferito col Gonfaloniere sul posto, ma la opera nostra è andata perduta, e la mia voce è stata impotente per farli rientrare nel dovere669

Ora sentano un po' come io coteste ribalderie provocassi e confortassi: «Al Governatore di Livorno. - 10 aprile ore 3 antim. - Se il Governatore ha senno, faccia indagare subito quali fossero le persone, ne ordini l'arresto di notte, e le mandi a Volterra: facciasi tutto prima del giorno670

Alle ore 11 e 40 min. pom, del medesimo giorno: «I Livornesi, per improntitudine di alcuni, suscitano perigliose discordie quaggiù; pure vengano e saranno accetti671

Nel giorno 11 aprile, ore 1, min. 55 pom.: «La Strada ferrata Leopolda non continua le sue corse per cagione della insolenza livornese. Vedete quanto danno questo produrrà al commercio. Bisogna tutelare la Stazione con ogni mezzo672

Nel medesimo giorno, a ore 3 e m. 21 pom.: «Insisto pei disordini della Strada ferrata. La Società sospende le corse. È cosa intollerabile. Si dichiari alla città che ella è unica in queste prepotenze. È un furto. Si faccia conoscere. Appena giunti a Firenze ne prenderemo 10 per cento, e gli manderemo a Volterra. Questi sconsigliati rovinano il commercio, e fanno perdere la reputazione al Paese. Provvedete. Firenze si muove più tardi, ma più dignitosa673

E detti ordini perchè buona mano di costoro si arrestasse, e mandai cavalli a posta; ma fra lo spandersi ch'essi fecero per i campi, e gl'impedimenti opposti dalle barriere della strada ferrata da una parte, e dall'altra la ritrosia della nostra milizia a operare cosa che valesse, ebbero modo a fuggire. Ancora nel medesimo giorno, alle ore 4, m. 35 pom., domando al Governatore di Livorno: «È vero, che il Governatore di Livorno abbia risposto, credersi impossibilitato a impedire, che le turbe invadano i vagoni a Livorno? È vero, che abbia affermato, non potere impedire questo successo oggi e domani? L'Amministrazione ha sospeso le gite da Pisa a Livorno per questo motivo674.» Più tardi alle ore 5 e m. 20 pom.: «Il Capo del Potere Esecutivo chiede se altra gente sia partita o partirà da Livorno. Vengono Livornesi senza pagare? Sì, o no675

Questi Documenti parlano per me, e non sono soli; scelti dalla mano dell'Accusa, certo non è da credersi, che cogliesse rose in fiocco perchè io me ne tessa ghirlanda; e tuttavolta bastano.

Avete considerato voi con quanto, non dirò studio, ma accesissimo zelo io proteggessi le strade ferrate, e qui e a Lucca e da per tutto, non solo allora, sibbene in ogni tempo? E pure mi affermano per sicuro, che uomini a me noti per antico commercio, e nelle loro richieste soddisfatti sempre, nel giorno 12 aprile 1849 di subito, senza causa come senza consiglio, mi si mostrarono avversi, e togliendo seco gli operaj, e le guardie della Strada, ne componessero una schiera, e costituitisi capitani di gente eletta muovessero a gridarmi: «Morte! Morte!» Se questa cosa fosse vera, bisognerebbe dire, che coloro i quali hanno che fare con la Strada di ferro, talvolta terminano col parteciparne la durezza; e di più non dico. Esamineremo in breve se pei fatti dei giorni 11 e 12 Aprile meritassi essere tradito.

 

 

 






p. -

551 Ugo Foscolo, Prose letterarie, vol. II, pag, 316. Ed. Le Monnier.



552 Discorso di M. Lamb pronunziato alla Camera dei Comuni d'Inghilterra nel dì 11 marzo 1818, intorno al Bill delle indennità.



553 L'Accusa nota argutamente la solenne accoglienza dei Deputati della Costituente Romana. Poichè è forza scendere a siffatte meschinità, si ha da sapere come questi Signori, avvezzi alle romane magnificenze, si erano lagnati pel ricevimento più che modesto del Governo Provvisorio; e già di queste parole gli Esaltati si prevalevano per susurrare, che ciò era segno di disprezzo, e di peggio; allora io dissi: riceviamoli questa altra volta solennemente, cioè con l'assistenza del Municipio, del Generale, e dei Colonnelli della Guardia Nazionale. - Vedi Monitore, 16 marzo 1849.



554 «Quest'oggi, verso le ore 3 p. m., è giunto in Pisa, proveniente da Livorno, Ciceruacchio con altri suoi compagni di Roma. È alloggiato alla Locanda Peverada. Il Popolo lo ha festeggiato, ma non in molto numero. Ha parlato di Unificazione con Roma. Domani parte per Lucca.»

«Sono arrivati stamani in Lucca Angiolo Brunetti detto Ciceruacchio, il D. Guerrini, il Tenente Costantini, Vincenzio Longhi, Girolamo Conti, Giuseppe Fabiani, popolani di Roma. Partono in giornata per Pescia e Pistoia; dimani saranno a Firenze per chiedere l'Unificazione. Durante la loro dimora furono festeggiati dal Popolo. Hanno udita in San Michele la Messa celebrata dal Sacerdote Giambastiani, che ha dirette calde parole di amor patrio alla folla ivi accorsa ec.» - (Dispacci telegrafici. Documenti, pag. 506.)



555 Costituente Italiana del 17 marzo.



556 Frattanto la Toscana non può fare a meno di una Assemblea Legislativa, che rappresenti veramente il Paese. - (Considerando II, Decreto del 10 febbraio 1841. Documenti dell'Accusa, pag. 821.)



557 Articolo 10 del medesimo Decreto.



558 In altra parte ho mostrato quello che imprendessi felicemente a troncare trame siffatte; mi gode l'animo di riferire un Documento citato dalla Difesa Romanelli a pag. 156, il quale attesta gli sforzi nel medesimo intento eseguiti dal mio degno collega.

«A. C.

«Il Circolo Popolare di Firenze invia costà dei Commissarii, per quello mi assicura un mio particolare e schietto amico. - Se questi intendono di commuovere la città, perchè ci forziate la mano alla fusione con Roma e ad usurpare la tanto vantata e voluta sovranità del Popolo, devo dichiararvi che per parte mia non sono uso a cedere alla violenza, e a tradire i miei principii. Se però venissero ad eccitare gli spiriti marziali della Gioventù, pur troppo pacifica, e persuaderla a inscriversi nei ruoli dei propugnatori della santissima causa della indipendenza e della libertà, secondateli di tutto cuore e con ogni mezzo.

«Firenze, 17 febbraio 1849.

 

«Affez. L. Romanelli.»



559 «Il Governo Provvisorio Toscano,

«Considerando suprema legge dello Stato essere provvedere alla propria salute;

«Considerando che per ottenere questo intento supremo il Governo abbia avuto non pure il diritto ma il dovere di ricorrere a qualunque straordinario rimedio;

«Considerando che la libertà non consenta mantenere siffatti rimedii neanche un istante quando il pericolo cessi;

«Considerando la piena vittoria della opinione contro gli eccitatori scellerati della Guerra Civile, l'accordo universale di riservare alle Assemblee la sanzione del voto popolare intorno alle forme del nostro Reggimento, ed in fine l'orrore che il generoso Popolo ha da sentire per qualunque attentato parricida contro la Patria in presenza del pericolo di straniera aggressione;

«Considerando che i sospetti e la diffidenza della tirannide repugnino alla maestà del Governo popolare;

«Decreta:

«Art. 1. La Legge Stataria del 22 febbraio 1849 è abrogata, la Commissione eletta con quella Legge disciolta, ec.» - (Monitore, 2 marzo 1849.)



560 Il signor Berti Pichat, Preside di Bologna, nel marzo 1849 mosse a Firenze per tentare di ridurre in contante buona somma di carta monetata romana; malgrado la diligenza che vi misero non pochi sensali, e la usura offerta superiore al 30 %, non poterono barattarsi oltre L. fior. 8000 a mediazione del Veneziani, perocchè i Banchieri la rifiutassero con qualsivoglia premio. I nostri Buoni del Tesoro una sola volta, e per ore, scapitarono 7 %; ma il loro corso regolare fu oscillante fra il 3 e il 4 %. Il sig. Berti Pichat, da quel leale uomo che era, dandomi esatto ragguaglio della sua Provincia, mi assicurava, Bologna e le terre dipendenti avverse alla Repubblica poco meno che alla invasione straniera.



561 Non furono mai principiate. Lo spoglio delle Liste degli eletti per la Costituente Italiana doveva effettuarsi a Firenze da una Commissione centrale, composta ai termini dello Art. 10 del Decreto del 14 febbraio 1849. Alcuni Gonfalonieri provinciali si recarono a Firenze a questo scopo, ma il Municipio, che per organo del suo Gonfaloniere mi manifestava quale e quanta fosse la repugnanza della universalità dalla Unificazione con Roma repubblicana, protrasse le operazioni della Costituente italiana, me consapevole e consigliere, onde il voto della Costituente toscana procedesse senza ombra di coazione, o di urgenza. Di ciò occorre la prova nel Decreto dell'8 aprile 1849 (Documenti, pag. 885), che l'Accusa riprende come quello «che provvedeva a ultimare le operazioni di squittinio relative alle elezioni dei Deputati alla Costituente Italiana.» Ben poca mente ci voleva a comprendere, che un simile Decreto pubblicato per attutire l'ardore degli improperii dei Repubblicani rimaneva vuoto di effetto, dovendo l'Assemblea Costituente Toscana decidere intorno alle sorti del Paese nel 15 aprile successivo, a norma del Decreto dell'Assemblea del 3 aprile 1849. Tutto sta nello esaminare come sarebbe stato deciso dopo 7 giorni!



562 Detto Decreto, pag. 55.



563 Dal Rapporto recente fatto dal signor Ducos, intorno alle spese commesse dal Governo Provvisorio di Francia, troviamo che Ledru Rollin spese franchi 123,000 per bucherare l'elezioni in pro della idea repubblicana; e in vero, questo è il contegno di cui intende che prevalga un suo concetto politico. Non un soldo fu speso da me, onde l'elezioni fossero disposte in un senso piuttosto che in un altro: dal quale fatto può dedursi questa conseguenza (dove ve ne fosse mestieri): se liberissime lasciai l'elezioni mentre fui Membro del Governo Provvisorio, tanto più deve credersi che tali procurassi che fossero, Ministro Costituzionale.



564 Popolano del 3 e 7 marzo 1849.



565 Il Nazionale, 9 marzo 1849: - «Il Decreto adunque (del 6 marzo) di che ci occupiamo, in doppio modo viene ad offendere (ove non rimanga opportunamente chiarito e ammendato) il fondamentale principio della nazionale sovranità: sì perchè determina e circoscrive abusivamente la iniziativa, per propria indole illimitata, della convocata Costituente; - sì perchè, ne' limiti delle assegnatele competenze, pare che pretenda essere la Nazione astretta a accettare quale atto sovrano le qualunque sue Deliberazioni.»



566 La Costituente Italiana, 11 marzo 1849: - «Il Governo Provvisorio Toscano non ha creduto di pronunziare primo, e consecrare la parola della Unificazione, ed ha voluto innanzi a tutto interrogare la volontà delle popolazioni, che gli aveano concesso mandato di provvedere alla loro suprema salute. Alla inesplicabile esitanza, ostinata anche dinanzi alla già chiara intenzione del Paese, una subita riparazione debbe essere accordata coll'inviare alla Assemblea Costituente Toscana gli uomini che reclameranno spontanea, unanime, l'Unione con Roma.»



567 Il Popolano, 8 marzo 1849: - .... «oltre a che il Governo nulla sembra disposto a fare affinchè le elezioni procedano in guisa da produrre il resultato che noi vogliamo, cioè la Unione con Roma e la proclamazione della Repubblica ec.»

Il Popolano, 9 marzo 1849: - .... «una Legge mal concepita (del 6 marzo) è d'uopo sia anche peggio eseguita. Da ciò emergerà forse un'Assemblea di Retrogradi e di Conservatori; ed un'Assemblea di simil colore sapete a che cosa ne conduce direttamente e senza transazioni? Alla guerra civile, ec.»

Anche il Regio Procuratore Generale nella sua Requisitoria, a pag. 130, ha saputo conoscere: «Che nel dì 6 marzo, lo stesso Governo Provvisorio, quasi temperando l'Atto del 14 febbraio, in cui era implicita ma positiva ed assoluta l'adesione del Governo alla Costituente italiana, decretò che l'Assemblea Legislativa toscana avrebbe usato del potere costituente, tanto per comporre insieme co' Deputati dello Stato Romano la Costituente della Italia Centrale, quanto per decretare se, e con quali condizioni, lo Stato Toscano dovesse unirsi con Roma



568 : «Ieri ebbe luogo, siccome annunziammo, la rivista della Guardia Nazionale.... Il Guerrazzi venne sì dai militi che dal Popolo astante salutato con fragorosi applausi: onde presso a poco diresse alla Guardia queste parole: - Domani è giorno solenne per un Popolo libero:...... questo Popolo però non va esortato nel dare il suo voto; questo Popolo che ha una coscienza, va lasciato libero ne' suoi diritti. Militi della Guardia Nazionale, difenderete voi le proprietà e la vita degli individui? - Sì, sì. - Farete sì che il voto sia dato libero, e che sia libera la discussione sulle sorti del Paese, discussione che sarà agitata dai Deputati che voi stessi avrete scelti? - Sì, sì.» - (Il Nazionale, 12 marzo 1849.)



569 «Questa mattina la Guardia Nazionale è stata raccolta dal Generale Zannetti sulla Piazza di Barbano, e di colà attraversando tutto Firenze si è recata in Boboli, ov'è stata passata in rivista dal Guerrazzi.

«Non possiamo con precisione riferire le parole che a ciascun battaglione ha indirizzato il Presidente del Governo Provvisorio, imperocchè, a quanto ci viene riferito, elleno fossero di diverso genere ad ogni fermata. Bensì una calorosa esortazione alla Guardia Cittadina è stata reiteratamente volta dal Guerrazzi, ed è quella di sostenere con ogni forza il Governo Provvisorio e la futura Assemblea Costituente Toscana sì dai pericoli che sovrastare loro potrebbero dalla parte dei reazionarii retrogradi, quanto da quelli che nascer potrebbero dalle impronte pretensioni degli ultra e degli intolleranti, consigliando a starsi contenti i Toscani a quello che i loro Rappresentanti saranno per decidere.

«In quanto a noi, fin da questo momento protestiamo, che se le future Assemblee non pronuncieranno la Unione con Roma, e, conseguentemente la decadenza della Famiglia di Lorena e la istaurazione del regime repubblicano, profitteremo di qualsiasi mezzo ci presentino le circostanze, affine di salvare il Paese nostro da un giogo aborrito, che imporre gli si volesse a nome della legalità e di una servile rappresentanza.

Noi non temiamo che il Popolo il quale compone la Guardia Nazionale, quel Popolo che gridò e grida tutto giorno Viva la Repubblica, Viva la Unione con Roma, voglia suscitare nel Paese la guerra civile, facendo fuoco su i suoi fratelli che, traditi nei loro voti, e vedute strozzate le loro speranze dal capestro delle formali legalità, usassero l'estremo loro appiglio, la suprema loro ragione - la forza e la violenza, - contro coloro che non si meriterebbero davvero il nome di Rappresentanti del Popolo, ma di traditori della Patria, ove si negassero a coteste tre supreme Leggi, che oggi ci sono imposte non tanto dalle circostanze, quanto dal bene della nostra patria, dalla sua salvezza, dalla necessità di assicurare solidamente la sua futura solidità e grandezza.

«Noi non temiamo nemmeno per ombra un tanto obbrobrio per parte dei futuri Deputati; ma ove questo obbrobrio dovesse pesare su di essi, certo, ad onta di tutte le esortazioni del Guerrazzi non peserà sulla Toscana l'obbrobrio assai maggiore di avere pazientemente sopportato il tradimento; e la Toscana saprà consumare la sua Unione con Roma, e saprà subirne tutte le conseguenze, anche ad onta dei suoi Rappresentanti e degli uomini del Governo Provvisorio. Questa è la nostra fede!» - (Popolano, N° 256, 12 marzo 1849.)



570 Chi? Secondo la Grammatica, io. O che dopo avermi convertito in perduelle, l'Accusa vuole trasformarmi anche in donna? Qui pure sento il bisogno di protestare.



571 L'Accusa trae dal Discorso di apertura dell'Assemblea letto dal signor Montanelli argomento d'incolparmi; e sì, ch'Ella avrebbe dovuto all'opposto ricavarne motivo ad assolvermi, considerando: 1° che codesto Discorso fu opera del signor Montanelli, non mia; 2° che di sua mano apparisce scritto; 3° e che io, quantunque il turno mi chiamasse ad essere Presidente di settimana, e come tale l'Assemblea presiedessi, e dovessi leggerlo, pure mi vi rifiutai, però che contenesse proposizioni dalle quali dissentivo, e alle quali per parte mia ero deliberato a non aderire.



572 Altrove ho dimostrato, e qui insisto a dimostrare, la falsità della incolpazione appostami dall'Accusa: «avere io lasciato in balía di mandatarii non Toscani la decisione intorno alle sorti dello Stato.» La Legge del 10 febbraio 1849 relativa alla Costituente toscana nell'Art. 8 decreta, che i forestieri dalle elezioni si escludano; certo, adoperare la parola forestieri fu male, ma egli è pur certo, che con essa denota i non Toscani. Lo sforzo dei parteggianti per la Repubblica potè ottenere che il Popolo mandasse Deputati non Toscani all'Assemblea Toscana; però essi furono pochissimi, e per nulla bastevoli a partorire i danni immaginati dall'Accusa. Il Generale D'Apice stampò nel Monitore la lettera, che io gli consigliai, e scrissi a norma del suo dettato rispetto a questo negozio, la quale spiegava, che, trattandosi di pratica domestica, convenienza e senno gli suggerivano di rinunziare alla Deputazione; e parecchi seguitarono lo esempio. Io manifestai agli amici il mio disegno di prendere parola all'Assemblea per escludere i non Toscani, parendomi, com'era, pretta improntitudine quella di volere rappresentare la Toscana in cosa vitale senza conoscerla; ma essi me ne sconfortarono con grandissima istanza, onde non provocarmi contro il furore degli avversarii. Fra questi amici ricordo il signor Guidi Rontani; e gli altri, spero, mi sovverranno con la loro memoria. Intanto, che così sia vero si ricava dalia relazione dell'Adunanza del 27 marzo 1849, tenuta dall'Assemblea Costituente Toscana. In cotesta Adunanza il Circolo del Popolo presentò una petizione al fine, che i non Toscani venissero ammessi allo ufficio di Rappresentanti Toscani. Avrebbe il Circolo operato così, se la faccenda stesse come fantastica l'Accusa? Ancora: una Sezione lasciò sospesa la proclamazione di tre Deputati, fra i quali due non Toscani. Avrebbe potuto tenerli sospesi la Sezione, se la Legge gli ammetteva? - Più oltre: rispetto alla quistione se gli eletti non Toscani possano formar parte dell'Assemblea Costituente è deciso, che messa da parte l'applicazione legale ogni Italiano deva essere accolto in Assemblea Italiana. Dunque la Legge gli escludeva. - (Alba, N° del 28 marzo 1849, pag. 1943.) - Nelle note stampate dal Governo non occorre un nome solo di non Toscano, e nonostante sapete voi su quale fondamento questa Accusa ha cuore di sostenere, che le sorti del nostro Paese furono commesse a mani non toscane? Eccolo. Esaminate nel Monitore del 25 marzo 1849 il Prospetto dei Deputati dell'Assemblea Costituente Toscana, e su 120 trovate tre non Toscani: Modena, D'Apice e Niccolini; ma D'Apice renunziò, Niccolini fu reietto; dunque ne rimase uno. Così lasciavansi in balía di non Toscani i toscani destini! - Incredibili cose, e non pertanto vere. Raccomandai escludessero almeno Niccolini, e fu escluso: «non venne proclamato Giovanni Battista Niccolini di Roma, quantunque la Sezione fosse di sentimento ammetterlo sebbene non Toscano.» - (Alba, luogo citato.) - Niccolini protestò; ma quantunque conoscesse la sua esclusione opera mia, e fosse sfrenatissimo, ed ora per la nuova ingiuria soprammodo infiammato, pure non seppe rimproverarmi, come per certo non avrebbe mancato di fare, di essermi servito di lui pei miei fini, ed ora gittarlo via mal gradito arnese. Questo Documento, benchè non valga nulla, rarissimo, mercè le diligenze del mio Difensore, mi perviene adesso, e adesso qui mi è forza metterlo:

«Cittadino Presidente,

In nome della sovranità del Popolo, stando alla lettera e allo spirito del Regolamento, e onde non veder violato un Principio Costituzionale, debbo protestare come protesto sulla decisione presa dalla Camera a mio riguardo considerandola come inlegale; perchè:

Se alla Camera fosse riservato il dritto di ammettere o escludere i Deputati regolarmente eletti, cioè le operazioni dei Collegj elettorali che li nominò (sic), essendo state riconosciute valide, cesserebbe ogni sovranità del Popolo, e il suffragio elettorale sarebbe una mera illusione, e lo provo:

Si supponga che in una Camera di 120 persone 60 membri siano conosciuti rappresentare il Principio Costituzionale Monarchico, 60 quello Repubblicano; ora nella verifica de' poteri possono esser presenti alla Camera i 60 Repubblicani, e soli 10 Costituzionali, e così viceversa. Che se il Partito che si trovasse in maggioranza, venisse ad escludere l'altro Partito, cosa diverrebbe il voto della metà degli elettori che hanno mandato alle Camere uomini rappresentanti i loro principj? Dove si troverebbe allora l'espressione sincera della volontà del Paese? Io lo lascio a voi a considerare.

Ma vi è più. L'Art. 6 del Regolamento, che si è dichiarato dovere provvisoriamente reggere la Camera, porta che:

L'Assemblea pronunzia sulla validità delle elezioni, ed il Presidente proclama Deputati coloro i cui poteri sono stati dichiarati validi.

Io non aggiungo parola su questo Articolo, che di per sè stesso è troppo chiaro, e che non ammette nessun'altra possibile interpretazione.

Io spero, o Cittadini Rappresentanti, che voi vorrete seriamente considerare questa mia protesta che contiene un alto principio di diritto costituzionale, e vorrete considerarla dall'alta sfera in cui la confidenza del Popolo Toscano vi ha posto. Onde esser liberi bisogna esser giusti, diceva un sommo Legislatore, e sulla vostra giustizia io mi riposo tranquillamente.

Nel pregarvi, Cittadino Presidente, a leggere all'Assemblea questa mia protesta, con tutto il rispetto mi dichiaro

di Voi, Cittadino Presidente,

 

«Dev. Servo G. B. Nicolini.»



573 Farini, Opera citata, tomo III, pag. 248.



574 Conciliatore del 25 marzo 1849.



575 Documenti, pag. 509. - Dispaccio telegrafico del Prefetto Martini.



576 «È possibile, che sia partita una Commissione composta del cittadino Guerrazzi e dei Ministri d'Inghilterra e di Francia, e di altri due personaggi, per Gaeta a prendere Leopoldo II? Alla quiete del Popolo sarebbe utile uno schiarimento su questa voce, sparsa generalmente a Pisa, a Pistoia, e qui.» - (Dispacci telegrafici. Documenti, pag. 512.)



577 «Le voci più stravaganti si spargono qui, trovano credenza nei goffi, e appoggio nei nemici del Governo. In me non mai. Ho già smentita solennemente la ingiuriosa notizia fino all'arrivo del Dispaccio sui Volontarii, venutomi in acconcio con la vostra firma. Compirò l'operazione mediante nuova mentita ai detrattori. Appunto per confonderli, ho fatto la domanda di schiarimento su l'incredibile assurdo. Io mi congratulo davvero, che la Nazione vi abbia scelto a suo moderatore. Mi sdegno delle maligne arti di chi vorrebbe attraversarvi i disegni generosi. Fatemi vostro vendicatore mortificandomi. A questo prezzo sono contento.» - (Dispacci telegrafici. Documenti, pag. 512.)



578 Anzi, stupendo a dirsi, il mio Avvocato m'informa, che non gliene domandarono nemmeno schiarimento!....



579 Importa rammentare, perchè gli fa onore, quale opinione avessero gli Arrabbiati di questo egregio amico. Spedito a comporre i tumulti di Empoli, commissione da lui condotta a termine con umanità pari alla solerzia, fu bistrattato dal Popolano, e lo abbiamo veduto. Pigli propone inviare a Portoferraio un Commissario per destituire Gonfaloniere e Consigliere «che però non dovrebbe essere Manganaro.» - (Dispacci telegrafici. Documenti, pag. 481). - Sparsa voce a Siena, che il Governo vi mandava Prefetto Manganaro, Ciofi ammonisce: «Si vocifera che il Prefetto V. ritorna a Pistoia, e che viene qua in sua vece Manganaro. Questa sostituzione dispiace moltissimo ai Sanesi; i quali mentre vedono bene V., mostrano grande avversione al cognome Manganaro.» - (Dispacci governativi. Documenti, pag. 216.) - A Livorno lo minacciano di buttarlo giù dalla finestra, se non fa come Pigli (Documenti, pag. 530). Così nel febbraio, nel marzo e nello aprile 1849 erano onorati e tenuti in pregio dai Repubblicani i miei migliori amici.



580 Era arte ordinaria screditare con sospetti, o fare segno di vituperii i Deputati, che si scoprivano parziali ai disegni del Governo; eccone una prova espressa:

«La causa repubblicana fu ieri sera fortemente attaccata dal Presidente del Circolo di Pistoia (Dott. Didaco Macciò) a motivo di una santa proposizione fatta da un buon Popolano intorno al piantare in piazza l'Albero della Libertà.

Il bianco-rosso Macciò si fece a sostenere, che il mettere l'Albero era un ferire nel cuore il primo stadio della Costituente; era una cattiva ricompensa al Governo Provvisorio; - era un volerlo trascinare a certa rovina: - insomma ciò non era nella legalità. Disse ancora che chiunque si era pronunziato con quel segnale aveva fatto male, e commesso un arbitrio: che mettendo in cima all'Albero il ridicolo berretto della libertà, altro non era che scimmiottare i Francesi del 93: che anche Roma, la imprudente Roma, aveva fatto male malissimo a proclamare la Repubblica. Disse anche altre bestemmie più forti di quelle che declamò giorni sono, perchè il Circolo non inviasse al Governo Provvisorio le Deputazioni richieste dal Circolo fiorentino, per implorare da lui la immediata Unione con Roma e la proclamazione della Repubblica.» - (Popolano, N° 251, 6 marzo 1849.)



581 Dunque il Conciliatore del 1° aprile 1849 la mia fierezza come nobile salutava; dunque gli uomini del Conciliatore con plausi vivissimi nel 1° aprile mi confortavano: come va, domando, che nel 12 aprile mi tradivano, e dopo mi hanno calunniato, resi complici a farmi patire strazii, che io non saprei imprecare neppure ai miei più mortali nemici?



582 Parla di questo fatto il Conciliatore del 16 marzo 1849. «Di consenso dei due Governi Romano e Toscano è stabilito in Bologna un Comitato di difesa il quale avrà cura di proporre, e ordinare tutto ciò, che potrà contribuire a difendere il territorio comune. Il Governo Toscano ha già inviato da qualche giorno in Bologna due Rappresentanti, il Colonnello Manganaro, ed il Capitano Araldi.»



583 Vedi ragguaglio delle Sedute della Costituente Toscana del 2 e 3 aprile 1849 qua oltre.



584 1: Risposte date dai Ministri dello Interno e degli Esteri alle interpellazioni Pigli; ed estratto di altri particolari delle Sedute del 2 e 3 aprile 1849 dell'Assemblea Costituente Toscana:

«Ministro dell'Interno. Quanto allo Interno io devo conservare molta prudenza intorno queste interpellazioni; nulladimeno disegnando così l'insieme della Toscana, dirò: - in generale le popolazioni della campagna sono mediocremente disposte alla idea della guerra; le campagne nostre in parte negano mobilizzarsi in Guardia Nazionale. Parecchi Gonfalonieri mandano preghiere di esser dimessi, non sentendosi il coraggio civile di affrontare l'antipatia delle popolazioni per la mobilizzazione della Guardia medesima, antipatia che potrebbe esser vinta con più efficaci eccitamenti dei Gonfalonieri mentovati. Lo stato di ignoranza in cui si trova parte della popolazione toscana, fa che queste lepidezze non prendano sempre un aspetto fiero, e di una aperta reazione: ma in molti luoghi, dove la popolazione della campagna conserva ancora una certa fibra forte, allora questa repugnanza si converte in modi alquanto più sensibili. I Deputati di quest'Assemblea, e ormai il Popolo tutto, sono informati dei fatti successi in varie parti del contado toscano. Questo è quanto allo stato della popolazione campestre. - Nelle città lo spirito è acceso per la patria difesa. Livorno ha mandato quasi tutta la gioventù in campo per avviarsi alle frontiere. Firenze comincia a muoversi, e si muoverà....

Guardia mobile parte da diverse città della Toscana verso la capitale, per organizzarsi, ricevere le armi, e andare ai confini; non come fiammella che vive prossima a spengersi, ma come scintilla che seconderà gran fiamma.

Le cure del Governo infine ad ora adoprate sono tali, che hanno cercato di alimentare ed accarezzare amorosamente questa fiammella; e spera poter riuscire a fare che una massa non piccola della nostra Gioventù possa coprire le frontiere. - Vi sono poi i Rapporti dei nostri pubblici funzionarj di un ordine più elevato (per esempio i Prefetti) intorno alla idea della Unificazione della Toscana con Roma. Se debbo qui fedelmente esporre quello che a me da questi funzionarj vien riferito, dirò, che la massima parte della popolazione toscana recalcitra alla immediata Unificazione con Roma: alcuni perfino ne fanno argomento di timore per non poter conservare l'ordine pubblico, quando questa Unificazione fosse legalmente e definitivamente proclamata da questa Assemblea, mentre all'opposto la opinione contro qualunque ingiustissima invasione straniera potrebbe crescere fino al furore.

Il superior Comandante della Guardia Nazionale fiorentina anch'esso ci ha denunziato dubbj gravissimi sulla adesione della Guardia stessa intorno a questa grave perdita d'immediata Unificazione, confidando nello egregio spirito dei Militi per correre alla frontiera.

Come Ministro dello Interno a me pare avere in generale sodisfatto alle domande ed alle interpellazioni direttemi dal Deputato Pigli.

Il Ministro della Guerra vi potrebbe dire circa i mezzi che sono in suo potere per armare ed equipaggiare la Gioventù, e unirla ai Battaglioni della nostra Milizia stanziale.

Il Ministro delle Finanze potrà a sua posta dirvi quali mezzi sono a sua disposizione per soddisfare ai bisogni dell'armamento.

Un Deputato. Domando la parola.

Presidente. Non mi pare che siano esaurite le interpellazioni, perchè il Deputato Pigli ne ha fatte di due specie: cioè sullo stato interno dello Stato e sugli Affari Esteri; in conseguenza io credo...

Un Deputato. Domandava la parola per rettificare un fatto.

Presidente. Io credo non poter aprire la discussione, sino a che non siano esaurite le risposte alle interpellazioni. - Il Cittadino Ministro dello Interno ha altro da soggiungere?

Ministro dello Interno. Se sono sodisfatti.... (no, no.) No? però a me pare che potrebbero esserlo.

Ministro degli Affari Esteri. Le interpellazioni a me dirette vertono sulle notizie di Genova e Piemonte, sulla probabilità che può esistere di una ripresa di ostilità nella Guerra Italiana, e sulle relazioni che passano tra il Governo Toscano e le Potenze estere.

Le ultime notizie di Genova sono state pubblicate nel Monitore di ieri sera. - Il Governo non ne ha ricevute altre fino a questo momento. Quanto al Piemonte resulterebbe al Governo, sebbene la fonte della notizia non sia officiale, che l'armistizio fatale di cui tanto ha parlato la stampa periodica fosse firmato dal nuovo Re nel giorno 24 del passato mese, e che il Re istesso avesse dichiarato esser sua volontà di fare rispettare l'armistizio ancorchè non si fossero potute ottenere dal Maresciallo Austriaco le modificazioni fatte sperare al Parlamento Sardo. Probabilità dunque di ripresa di ostilità non esiste in Piemonte, a meno che non vogliano aprir la guerra per proprio conto le Popolazioni con una generale insurrezione.

Quanto alle relazioni che sono fra il Governo Toscano e le Potenze estere non posso dire all'Assemblea che questo: Non avere le medesime cambiato dal 9 febbraio. - Il Governo è in rapporti officiosi coi Rappresentanti d'Inghilterra, Francia e Spagna; colla Prussia, Russia e le altre Nazioni, sono rotti anche i rapporti officiosi. Dirò poi che riguardo al partito che l'Inghilterra e la Francia possono aver preso relativamente alla questione italiana tale quale l'hanno fatta i recenti avvenimenti, è da ritenersi che siano fino a questo momento arrivate le istruzioni analoghe dei respettivi Governi ai Rappresentanti di queste due Nazioni qui residenti.

Ho risposto alle interpellazioni del Deputato Pigli.

Il Presidente domanda al Deputato Pigli se non ha altro da domandare.

Il Deputato Bichi domanda che siano cancellate da' fogli degli Stenografi le interpellazioni e le risposte.

Un Deputato osserva che le interpellazioni erano inutili, perchè i componenti l'Assemblea conoscevano pienamente i fatti stessi tanto per i mezzi che ognuno di loro aveva come Deputato della provincia, quanto anche per avere avuto più volte notizie dal Governo nelle adunanze segrete.

Presidente. Prima di tutto, insiste nella sua proposta il Deputato Bichi?

Deputato Bichi. Insisto perchè gli Stenografi cancellino dai loro fogli le narrazioni che rivelano vergogne.

Presidente. Bisognerebbe che ella scrivesse la sua proposizione e che io la ponessi in discussione.

Deputato Guidi Rontani. Io farei una osservazione: se il Deputato Bichi chiede che sieno cancellate le risposte del Ministro dello Interno, perchè queste non abbiano pubblicità, e perchè le date spiegazioni non possono corrispondere al fine che le mosse; io approverei la loro radiazione. Se poi questa mozione dovesse considerarsi come impugnativa dei fatti, allora non potrei concordarla.

(Diverse voci: no! no!)

Presidente. Allora siccome semplicizza la disputa, domando se si debbano radiare dal rendiconto degli Stenografi tanto le interpellanze, quanto le relative risposte.

Deputato Guerrazzi. Io non sarei mai di parere di dissimulare la verità; meglio valeva non chiederla. Ora che è chiesta la verità, la verità si dica. La magnanimità dell'Assemblea non deve consistere nel dissimulare la verità, ma nel contemplarla e spendere ogni mezzo per vincerla, qualora non fosse consentanea all'alto scopo che ci siamo proposti.

Se la verità è dura, è un fatto fatale; a noi non deve bastare il cuore di mutarla per quanto è possibile, perchè quando noi cadremo sotto la necessità dei fatti, noi mostreremo ancora che abbiamo fatto quanto per noi era possibile per superarla con virtù e con fermezza.

Presidente. Rinnuovo all'Assemblea l'interrogazione se essa è di parere che debbansi radiare tanto le interpellazioni quanto le risposte.

(La proposizione Bichi non è ammessa.)

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Ciampi. «... Ma si obietta e si dice: noi dobbiamo prepararci alla guerra della nostra Indipendenza: occorrono dunque pronti e sufficienti mezzi per sostenerla. Ed io rispondo: Per ciò che potrà farsi in questi pochi giorni nei quali l'Assemblea tacerà, i mezzi non mancano. E se mi si soggiungesse, che sono insufficienti, allora dirò: Proclamate il principio, dite nettamente sotto qual bandiera volete far questa guerra, dite che deve essere una guerra di Indipendenza Nazionale, Italiana, e allora, interpretando anche il voto dei miei amici della opposizione, vi dichiaro, che noi tutti voteremo non per 2, ma per 18 e 20 milioni, e quanti più ne abbisognassero. Ma permettetemi che francamente io ve lo dica: - negare di proclamare il principio, abbassare la guerra della Indipendenza alla difesa egoista dei confini toscani, e far tanta insistenza per aver questi due milioni, mi sembra lo stesso, che chiedere i fondi per le feste della Restaurazione.»



585 «Era castellano nella rocca di Monte Petroso Biagio del Melano. Costui sendo affogato intorno dai nimici, e non vedendo per la salute della rôcca alcuno scampo, gittò panni e paglia da quella parte che ancora non ardeva, e di sopra vi gittò due suoi piccoli figliuoli, dicendo ai nimici: «Togliete per voi quelli beni che mi ha dati la fortuna, e che voi mi potete tôrre; quelli che io ho dell'animo, dove la gloria e l'onore mio consiste, nè io vi darò, nè voi mi torrete.» Corsero i nimici a salvare i fanciulli, ed a lui porgevano funi e scale perchè si salvasse. Ma quegli non l'accettò, anzi volle piuttosto morire nelle fiamme, che vivere salvo per le mani degli avversarj della patria sua.» - (Machiavelli, Istorie Fiorentine, lib. IV.)



586 Di queste espressioni a un dipresso mi valsi nella ultima Seduta dell'Assemblea insorgendo contro la proposta di un Deputato - che la corda faceva trovare i danari. -



587 Giovami riferire l'autorità del signor Montalembert per temperare la stupida indiscretezza di coloro, che esaminando la mia condotta vanno a cercare il nodo nel giunco. Nella Seduta dell'Assemblea di Francia del 10 febbraio 1851, cotesto oratore si esprimeva così: «Adesso voi mi direte, ch'egli ha commesso errori. Egli ha commesso errori? davvero! e voi avete fatto questa bella scoperta? Permettete, che io vi domandi, da quando in qua avete trovato nel mondo un Governo, che non commettesse errori?» Con più grato animo mi valga ricordare la parte finale del Discorso di Addio fatto al Congresso americano «da quello, che lasciava ai posteri il nome di Washington onde essi arrossiscano di eccezione così solitaria.» - (Byron, Ode a Napoleone.)

Il Generale, rivolto ai suoi colleghi, favellò in questa sentenza:

«Gli atti pubblici provano fino a qual punto i principii che ho rammentato mi abbiano condotto nello adempimento dei doveri del mio ufficio. La mia coscienza almeno mi dice, che non me ne sono allontanato. Comecchè ripassando gli atti della mia amministrazione non conosca colpa veruna d'intenzione, io ho un sentimento troppo profondo dei miei difetti per essere sicuro di non avere commesso errori. Quali essi sieno, io prego l'Onnipotente Dio a dissipare i mali che potrebbero partorire. Io così porterò meco la speranza, che la mia Patria non cesserà di considerarli con indulgenza, e che dopo quarantacinque anni di vita consacrati a pro suo con rettitudine e zelo cadranno in obblio i torti di un merito insufficiente, come io cadrò ben tosto nella dimora dello eterno riposo!...»

Quando abbiamo letto siffatte parole, o Dio! come si fa egli a riportare lo sguardo su le pagine dell'Accusa, e di altri che insensatamente quanto ferocemente mi lacerano per gli errori, che in mezzo a tanto trambusto di vicende e agitazioni di uomini posso avere commesso io, mentre i Governi stessi, in condizioni ordinarie, e i sommi personaggi non ne andarono immuni? - Quando Gesù Cristo, soccorrendo alla peccatrice, disse agli accusatori: Chi di voi senza peccato, getti la prima pietra, - fra tanta turba di gente (e badate ch'erano tutti Farisei) non uscì un solo di cui la fronte fosse così sconosciuta alla vergogna, che ardisse stendere la mano al sasso: ai giorni nostri, qui, in patria, - voi lo vedete, - al grido: Chi di voi senza peccato, gitti la pietra, - mille braccia si tirano su la camicia fino al gomito, e ghermiscono le più elette ghiaie del Mugnone, pronti a scagliare..... o generosi!.... o forti! Ben ti puoi estimare avventurosa, o Patria, che tante serque contieni in te di petti santissimi, e di Farisei neppure uno solo!



588 1: Ritengo la proposizione già provata: nondimeno penso importante aggiungere alquante prove specialissime:

Rispetto alla Guardia Nazionale: - «La principale occupazione del Circolo la sera del 24, fu la questione delle elezioni dei capitani, tenenti, e sotto-tenenti della Guardia Nazionale, avvenute nella mattina del 22. Queste elezioni sono cadute generalmente su persone poco repubblicane; sono state generalmente rielette le medesime persone agli antichi gradi.» - (Popolano, 28 febbraio 1849.)

Per quello riguarda l'elezioni dei Deputati a Firenze: - «2 Marzo. - La discussione di ieri sera al Circolo (del Popolo) si aggirò tutta sulla nota dei Candidati del Compartimento Fiorentino all'Assemblea dei 120. La serata non fu migliore per la Commissione. Dopo avere già essa stessa riformata la sua nota, ripudiando una parte dei suoi figli, ha dovuto ritirarne altri da sè nel tempo della discussione, ed altri sono stati respinti dalla giustizia del Circolo; oltre quelli che sono usciti vincitori coi voti sì, ma laceri e mal conci dalla discussione. L'ultima giustizia, però, speriamo che la faranno gli Elettori col rigettare tutti quelli che si spacciano nostri legislatori, e non sono stati mai nè Unitarii, nè Repubblicani, nè Rivoluzionarii, nè Cospiratori per l'Unità e per la Repubblica; nè sono capaci colla sapienza e coll'azione sul Popolo a fare alcuna opera buona nella costruzione del nuovo edifizio da elevarsi sul Campidoglio; insomma, che non hanno nè scienza, nè coraggio; ma sono gente di moda.

Lo zelo laborioso di alcuni Socii, che sanno posporre i riguardi al dovere, estorse da alcuni Candidati dichiarazioni pregevoli, da pigliarne atto per confrontarle coi fatti avvenire, siccome fu detto. Richiesto un Candidato: Che farebbe se l'Assemblea dei 120 non votasse l'Unione con Roma? rispose: Scenderei in piazza collo schioppo per unirmi col Popolo a fare la rivoluzione ec.» - (Popolano, 3 marzo 1849.)

«L'esempio fu bello, quantunque non riuscisse affatto onorevole ai varii Candidati; alcuni dei quali balbettarono mal sicure parole in temi che mostravano di male intendere; altri ricopersero sotto sonori accenti la fiacchezza dei loro sensi tutt'altro che rivoluzionarii. Pare che il Circolo dovrà cancellarne qualcuno dalla nota dei Candidati, senza aspettare che lo cancellino gli Elettori. Pure si udirono in altri anche belle e generose parole repubblicane, da cui esalava purissima l'idea della nostra Unità. Ma alla domanda fatta quasi a tutti: - Che fareste se l'Assemblea dei 120 tradisse l'Unità italiana, non ratificando la riunione con Roma già decretata dal Popolo? - alcuni Candidati s'impelagarono, smarrirono il senno, e non seppero, com'altri, risolutamente rispondere: Lascerò il posto disonorato, e correrò a debellare col Popolo italiano questi nuovi traditori.» - (Popolano, 7 marzo 1849.)



589 1: Le lusinghe non cessarono mai. - «Roma 29 marzo, di sera. - In seguito delle disastrose notizie del Piemonte, l'Assemblea ha nominato un Triumvirato a norma del Decreto che vi accludo. I membri di questo Triumvirato sono Mazzini, Armellini e Saffi. Si voleva farvi entrare anche Guerrazzi e Montanelli; ma si è poi pensato che il primo, essendo costà Capo del Potere Esecutivo, non avrebbe potuto accettare fino ad Unione compiuta. Ad ogni modo però il Triumvirato attuale è provvisorio, e non appena formeremo con voi uno Stato solo, provvedemmo ad una nuova nomina, e la faremo in guisa da trar profitto degli uomini più illustri e più popolari tanto di Toscana come di Roma.

Affrettate adunque l'Unione, affrettatela con tutte le vostre forze, imperocchè da questa Unione soltanto può venire la comune salvezza della Italia Centrale.» - (Alba, 4 aprile 1849.)



590 Il Segretario Biondi. Tornata dell'Assemblea Costituente del 2 aprile 1849.



591 Italia Rossa, del Visconte D'Arlincourt, pag. 116 e seguenti.



592 1: Il generale Pepe nella Storia delle Rivoluzioni d'Italia del 1847-48-49 (Bruxelles, 1850, pag. 270) narra uno esempio stupendo di virtù, il quale a me piace referire non tanto perchè serva maravigliosamente di conferma alla mia sentenza, la quale non ne ha bisogno, quanto perchè consoli l'animo contristato dall'odierno diluvio universale di viltà. Il generale Nugent fu gagliardo battagliero, ed aspro nemico della Italia, comunque togliesse a moglie gentildonna italiana di Benevento; nel 1849 con prova estrema di valore assaltava Brescia, che con prove estreme di valore si difendeva. Prevalsero alfine il numero degli assalitori, la qualità delle armi, e la esperienza del trattarle; però cadde Brescia, dopo ch'ebbe ucciso al nemico 1500 uomini, 36 ufficiali, un luogotenente-colonnello, un colonnello, e lo stesso generale Nugent, - il quale sentendosi vicino a morte nel dettare il suo testamento lasciava alla città di Brescia un legato in tributo della sua ammirazione per lei!



593 Prose Politiche. Lettera Apologetica. Ed. Le Monnier.



594 «L'Assemblea Costituente rigettò l'Unione con Roma; e con ciò fare impedì forse una nuova complicanza dalla quale nessun utile e molto danno poteva ora resultare. Forse impedì piuttosto un decreto che un fatto; ma in ogni caso fece opera ragionevole. Concentrò inoltre in un solo tutto il potere esecutivo; ed anco questo partito era consigliato dalla imperiosità delle circostanze.

Operi adunque chi ebbe la somma dei poteri per salvare la Toscana, e l'esperienza dovrà consigliarlo nella scelta dei mezzi più opportuni ed efficaci.

Due mali oggi minacciano la Toscana: il disordine interno armato in lotta civile, ed una possibile invasione austriaca. Queste due calamità egli deve scongiurare dal nostro Paese; e quando vi riesca, non vi sarà onesto cittadino che per questo non gli si professi riconoscente.

Se noi sapessimo la Toscana in condizioni diverse da quelle nelle quali oggi sventuratamente si trova, noi sapremmo proporre ben altri consigli. Ma ove è ella la guerra dei Popoli che soccorra la disfatta dei Regii? Ove è un nucleo al quale si vogliano rannodare le forze disperse? ove è un principio vitale che le animi e le governi? I Decreti non creano eserciti, i proclami non aggiungono stabilità ai governi disfatti.

Però noi crediamo che tutti i sinceri amatori della patria debbano oggi convenire in questo: salvare per primo quel più che è possibile dell'onore e della indipendenza nazionale invocando l'appoggio della Francia; dividere almeno la sventura cogli altri Popoli fratelli, se non bastammo a dividere i pericoli; - salvare l'indipendenza dello Stato, minacciata dall'Austriaco vittorioso; salvare le libere istituzioni minacciate dalle fazioni reazionarie; salvare la pubblica tranquillità, e con essa le proprietà e le persone, minacciate dai turbolenti d'ogni Partito.

Questo crediamo sia oggi dovere del Governo di procurare, invocando il concorso dei poteri municipali; l'autorità dei quali riman sempre incontestata, qualunque sia l'influenza degli avvenimenti politici.» - (Conciliatore, N° 88, 29 marzo 1849.)



595 1: NOTIFICAZIONE.

«Lieto il Governo di aver viste coronate di buon successo le cure che si è dato per provvedere di cavalli il treno di artiglieria, è ora ansioso di riempiere il vuoto d'uomini in che il medesimo Corpo si trova.

A quelli pertanto che abbiano militato in Cavalleria, a tutti quelli che all'ufficio di cannoniere conduttore si sentano adatti (siano pur anche coniugati) fa premuroso invito di offrire alla Patria i proprii servigi.

Per tre anni è l'impegno; cinque zecchini il premio d'ingaggio.

Non è per altro in questa leggera somma, ma nel cuore dei Toscani, che il Governo ripone la sua fiducia.

Una nota per tutti quelli che vogliono scriversi è aperta fin d'oggi presso il Comando di questa Piazza. - Su via Cittadini: mostriamo al mondo che se altamente gridammo di voler esser liberi, abbiamo anche il coraggio, sappiamo anche sostenere i sacrificii con cui si merita la Libertà.

Dal Ministero della Guerra, li 2 aprile 1849.

 

G. Manganaro.»

 



596 «Toscani,

«Alla sicurezza interna fu provveduto con necessarii provvedimenti ieri e stamani. I fatti corrisponderanno alle parole. Adesso della sicurezza esterna.

Bisogna difendere la nostra Terra. Questo è dovere di tutti, qualunque opinione i Cittadini professino. Onore, religione, interesse, e ogni altro affetto che governa il cuore degli uomini virtuosi ed anche poco virtuosi, persuade alla difesa del Paese nativo.

Il Governo primo mandò alla Gioventù Toscana fervidi eccitamenti; gliene mandava pari in caldezza la generosa Assemblea. Ai confini! ai confini! Deh! Gioventù Toscana, difendi la tua Patria. La difesa è agevole: i luoghi aspri, i calli dirotti, i tronchi e i massi offrono riparo a noi, impedimento al nemico, dove mai si attentasse varcare i nostri monti. Pensa che anche i bruti difendono i proprii covili; vorrai essere, o Gioventù Toscana, da meno dei bruti?

Ai confini! ai confini! Il Governo verrà con voi: reggerà se occorre sotto la tenda: chiunque adesso non diventa soldato si guardi dal mentirsi amico del Popolo: amici del Popolo sono quelli che muoiono con lui e per lui.

Intanto la Gioventù sappia che presso ogni Municipio sta aperto il Registro nel quale hanno da scriversi coloro che intendono accorrere alla difesa della Frontiera; ma meglio del Registro varrebbe prendere un'arme, baciare la madre, e recarsi a Firenze. Qui si fa l'adunata delle genti per andare ai confini.

2 aprile 1849.

 

Guerrazzi.»

 



597 Dispaccio telegrafico del 2 aprile 1849.

«Al Governo di Livorno.

Bisogna prevalerci delle buone notizie per eccitare il pubblico spirito alla guerra. Adopri i mezzi che pensa più opportuni. Si valga di Popolani, Circoli, e Preti, di tutti; e appena impegnati dieci, o dodici, mandi subito a Firenze, previo avviso, dove faremo il deposito. Vestiremo, armeremo, e manderemo al campo. Risposte d'ora in ora per mio governo.

 

Guerrazzi.»

 

(Documenti pag. 441.)

 



598 Dispaccio telegrafico del 2 aprile.

«Al Governo di Livorno.

Mancano armi. Di Francia ne vennero altre? Ve ne sono a Livorno? Se mandate Volontarii, e li dovete mandar subito, inviateli con armi. Ai bagagli e alle vesti penseremo noi. Requisite i fucili da caccia, e sostituiteli agli schioppi da munizione. Così vuole la Patria. Quando la Patria ordina, a chi non obbedisce - guai.

 

Guerrazzi.»

 

(Documenti, pag. 442.)



599 Dispaccio telegrafico delle ore 2, 55 minuti, 2 aprile.

«Al Governo di Livorno.

«Intorno al Battaglione io lo accetto a due patti: che porti i fucili, e che gli Ufficiali si sottopongano agli esami. Fucili, noi non ne abbiamo, come vi ho detto. Qui stanno mille giovani inutili per difetto di armi, e me ne piange il cuore; quindi se gli facciano imprestare. Requisiteli, come ho ordinato; insomma li portino. Ufficiali devono essere nel numero normale, corrispondente alla quantità dei soldati, a seconda dei Regolamenti, e l'esame li deve dimostrare degni per morale e per conoscenza che a loro si affidi il sangue dei fratelli. E questa è giustizia. Lodi, e ringrazii il Gonfaloniere. Giustizia, ma piena giustizia: la Patria non desidera altro.

 

Guerrazzi.»

 

(Documenti, pag. 442.)



600 Documenti, pag. 442. Dispaccio telegrafico delle ore 8, 45 minuti, 2 aprile.



601 Documenti, pag. 517. Dispaccio telegrafico Landi, del 2 aprile, ore 5, min. 9.



602 4: Ivi. Dispaccio telegrafico Martini, del 2 aprile, ore 4, min. 45.



603 5: Ivi. Dispaccio telegrafico Landi, del 2 aprile, ore 7, min. 45.



604 Ivi. Dispaccio telegrafico D'Apice, del 2 aprile, ore 8, min. 10.



605 Firenze 3 aprile.

«Livornesi!

Adesso vi parla una voce assai più potente che quella del vostro concittadino, - la voce della Patria in pericolo, e vi domanda:

Che quanta Gioventù contiene cotesta mia terra diletta, e il suo contado, accorra alla frontiera e la difenda.

Wimpfen si è vantato con 10,000 Austriaci calpestarvi come biacchi striscianti nel fango!... Io non dico di più.... Gli occhi mi si empiono di lacrime e di sangue per la vergogna.

E vi scongiura ancora che le rendiate le armi altra volta prese da voi per difendere il Paese. Bene le prendeste, e bene le adoperaste; ma chi di voi non può andare alla frontiera, per quanto amore porta a Dio, e ai suoi morti, impresti queste armi alla Gioventù che risponde alla chiamata.

O Livornesi miei, vorrete mandare i vostri figli disarmati contro gli Austriaci, come i tiranni di Roma gittavano gli schiavi nel circo alle fiere?

Coraggio, costanza e modestia, e nulla io reputo e non è perduto. Ma ai confini vi spinga amore di Patria santissimo, e non voglia di gradi, o cupidità di averi. Colui che si muove per ambizione o per interesse, si parte col conto fatto nella sua anima di piegare laddove trova maggiore premio di vanità, o di danaro. Chi si parte da casa con l'ambizione o lo interesse, di rado avviene, - Livornesi, badate alle mie parole, - di rado avviene, che per la via non si accompagni col tradimento.

Voi sapete che io ho un nepote solo del mio nome, consolazione unica a questa travagliata mia vita: andate al campo, e lo troverete semplice soldato di artiglieria. Egli ha da guadagnare i suoi gradi col sapere, con la obbedienza, e col valore.

O uomini livornesi, datemi le armi e i figli, ed io vi salverò vostra Madre - la Patria.

Se gli Austriaci prevalgono, la condizione dei vivi è peggiore di quella dei morti - perchè morirono senza vergogna, e non li turba nel sepolcro lo scherno dei figli.

 

Guerrazzi.»

 

(Documenti, pag. 872.)



606 Documenti, pag. 577.



607 Trovandoci nella suprema necessità di tentare una disperata prova per ristorare le sorti della guerra, o salvare almeno l'onore operando, credo che potrò meglio servire alla Patria nel Campo, che paziente uditore nel Parlamento toscano: perciò renunzio ad essere Deputato. Co' miei Elettori, a guerra finita le scuse. - Firenze a dì 2 aprile 1849. G. Morandini.



608 Documenti, pag. 443, e 518.



609 Documenti, pag. 443. - «La Guardia Nazionale fiorentina corrisponde. Ieri parlai al mezzo Battaglione, che montò la guardia: oggi, appena smontato, due compagnie armate e vestite con sacchi e cappotti vogliono partire subito. Dio ci aiuti!»



610 Circolare del Ministro della Guerra del 4 aprile 1849.



611 NOTIFICAZIONE.

La Patria in pericolo chiede uomini ed armi. Bando alle discordie; uniti in un solo volere prepariamoci frettolosi a respingere lo straniero che osasse attentare alle conseguite Libertà.

La calma operosa è più utile del tumultuario affaccendarsi, perchè la prima mostra il fermo proponimento e la solennità dell'atto che va a commettersi, mentre il secondo confonde, e non ha durevole impronta.

Ogni Cittadino pertanto, che ritiene armi inoperose, le consegni a questo Municipio.

Lo stesso invito vien fatto ai Militi della Guardia Nazionale dai 50 ai 60 anni, coerentemente al disposto dell'Articolo 7 del Decreto dei 23 marzo 1849 del Governo Provvisorio toscano.

Giovani generosi, caldi di amor patrio, questo è il momento più bello della vostra vita; da voi la Patria attende la propria salvezza. Dio non abbandona gli oppressi. L'ora del risorgimento è suonata. Le armi soltanto ponno decidere dei nostri destini.

Livorno, dal Palazzo Civico, li 4 aprile 1849.

 

Il Gonfaloniere Avv. Luigi Fabbri.»



612 Si dica allo A., che tratti, e concluda il baratto di 1/2 milione, e di là mandi in Francia subito. Le armi si raccolgano. Ne sono arrivate altre in Livorno? Qua armi prima, poi gente.» - (Dispaccio telegrafico del 4 aprile 1849. Documenti, pag. 443.)



613 Documenti, pag. 519.



614 Documenti, pag. 519 e 520.



615 «Se il Battaglione Del Fante, se i Volontarii non vengono subito con le armi, non vengano più, essendosi il nemico incominciato a mostrare verso Sassuolo. Di nuovo invito per armi, e mandarle subito... e presto le armi. Lucca vostra non corrisponde, - vergogna.» - (Dispaccio telegrafico del 5 aprile 1849. Documenti, pag.444.) - «Il Battaglione se non viene presto, non importa. Si dirà anche dei Livornesi: solite ciarle e fatti punti. Se non rendono le armi, si levino alla Nazionale, perchè quando sono superati gli Appennini, o che credono di difendere Livorno dalle bombe austriache? Con le picche si guarda la città. Abbiamo gente; un milione circa in Francia per arme. Prediche, Esposizioni in Duomo, e per ultimo la Madonna santissima di Montenero muoveranno i Popoli.» - (Dispaccio telegrafico del 5 aprile 1849. Documenti, pag. 445.)



616 Ordine del Giorno del Ministro della Guerra del 5 aprile 1849.



617 «Si presenti al sig. M. di cotesto Governo, e faccia acquisto per conto dello Stato dei seguenti articoli: Fucili 1240. Sacchi 200 nuovi. Detti 100. Capsule 1 milione, a patto restituirle se non sono servibili.» - (Dispaccio telegrafico del 5 aprile 1849. Documenti, pag. 445.)



618 Ordine del Giorno della Commissione organizzatrice il Corpo dei Volontarii toscani del 5 aprile 1849.

Comecchè io non detti Storie, pure considerando che il buon cittadino non deve pretermettere occasione di lodare chi di lode fu degno non tanto per giusta ricompensa di loro, quanto per eccitamento di virtù, oltre il fatto di Morandini, Rubieri, Angiolini, e Gasperini, giovi onorare Ilario Fabri di Santa Sofia, che non compreso nello imprestito forzato offerse 500 scudi (Monitore del 2 aprile 1849), M. Galeotti che offerse spontaneo 500 lire, e Pianigiani il quale, escluso anch'egli dallo imprestito, offriva contribuire 14 per 100 su la prima categoria (Monitore, del 4 aprile 1849). Il Pretore Franci di Pontedera annunziava per telegrafo:

«Il Pretore di Pontedera al Capo del Potere Esecutivo.

«Ho fatto quello che doveva come cittadino. - Al Circolo ieri sera ho detto quelle stesse parole che ella mi diceva sabato in compagnia in Vapore. Fu letto il suo Indirizzo del giorno 6 andante alla Gioventù fiorentina. - Il generoso Danielle Ricci di Pontedera ha offerti due zecchini ad ogni giovane pontederese che s'inscriverà per andare ai confini. Anche il Municipio, lo spero, si proporrebbe sussidiare le famiglie di coloro che per la difesa della Patria le abbandonassero. - Che fare di più? eppure non abbiamo fin qui che quattro Volontarii. Povera Patria! Madre sventurata, hai figli troppo ingrati. Vergogna. - Ore 2, 5 m. pom.

 

«Franci.»

 

«Il Pretore di Pontedera al Capo del Potere Esecutivo.

Dopo un eccitamento fatto stamani dall'onorando vecchio Cesare Vallerini, Vicario in disponibilità, alla Gioventù di Pontedera, abbiamo ottenuto le firme di altri dodici Volontarii. - Ore 6,35 m. pom.

 

Franci.»

 

Il Circolo di Grosseto mandò 16 cavalli; almeno questo qualche cosa di buono seppe fare. - (Monitore, del 5 aprile 1849.)



619 «Alla Gioventù Fiorentina!

«Una Gioventù fiorentina piena di fede, di modestia e di ferocia, tenne levato gloriosamente il gonfalone della Repubblica fiorentina contro le armi di un Imperatore potentissimo e di un Papa; e quando vinta dal tradimento ebbe a deporlo, vi si avvolse dentro come in un sudario di gloria, e si adagiò nel sepolcro.

La Gioventù fiorentina allora aveva fremito di rabbia e lacrime d'ira, e mani gagliarde contro i nemici della Libertà ch'è sì cara: imperciocchè questa Libertà nella nostra terra le venisse insegnata dagli esempii paterni, esposta con gli scritti da Niccolò Macchiavelli, difesa da Michelangelo, sostenuta con la virtù della parola o del ferro da Francesco Carduccio, da Francesco Ferruccio, da Dante da Castiglione, e da altri famosi di questa inclita terra.

Allora in questa città vissero uomini, i quali come lo Alberti tennero per ferma una cosa, che anche a quei tempi parve enorme, doversi alla salute dell'anima anteporre la salute della Patria.

E in questa Piazza della Signoria per la Libertà era arso il frate Girolamo Savonarola, di cui fu somma sventura andassero disperse le ceneri. Come nel primo giorno di Quaresima il rito della Chiesa ordina, che si freghi con la cenere la fronte al cristiano e gli si ricordi che polvere nacque e polvere ha da tornare, noi potremo adesso spargere un pugno di cotesta cenere sopra la testa della Gioventù fiorentina e dirle: Rammentati che Dio ti creò libera, e libera tu devi morire.

O Dio! forse da cotesti tempi in poi qualche cosa è mutata quaggiù, onde i Fiorentini non amino la Patria come altra volta l'amavano? In San Giovanni i Fiorentini vengono sempre battezzati nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Le arche mortuarie conservano sempre il deposito sacro delle ossa paterne; la cupola s'inalza sempre degna di rappresentare quasi una via che unisce la terra col cielo; popolate le valli delle medesime case e dei medesimi oliveti; il nostro cielo sfavilla sempre del sorriso di Venere celeste, che si compiace avere stanza quaggiù, circondata dalle divine opere del genio quasi un pianeta in mezzo alle stelle.

E sta tuttavia questo Palazzo Vecchio testimonio di tante opere e di tanti detti virtuosi. Sotto il ballatoio, o Fiorentini, leggete scritta in caratteri d'oro sopra fondo azzurro la parola Libertas. Non vi sembra un Angiolo amoroso che reietto dagli uomini si rimane esitante di abbandonare Firenze, e sta così sospeso fra il Cielo e la Terra fiso aspettando pure che il Popolo lo richiami?

Sta questo Palazzo, che fu sempre come il cuore della Libertà. O sacre mura! quando io levo in alto il capo vedo formicolare di gente il ballatoio, e fervere nella battaglia, e avventar dardi e sassi contro i sottoposti soldati della tirannide, e poi ad un tratto fermarsi per mancanza di armi: allora la venerabile sembianza di Messere Jacopo Nardi rivela il muro a secco per rovesciarlo sopra il nemico, e declinato lo sguardo, i gradini e la piazza considero ingombri di membra infrante, e di armi spezzate; - lavate quel sangue di schiavi; esso non rallegra ma contrista la terra della Libertà. - Per la memoria del fatto basta il braccio tronco del David di Michelangelo. Il marmo del Buonarroti, compenetrato della sua anima grande, sembra che non potendo rimanere spettatore immobile del caso, abbia preso parte alla battaglia riportandone onorata ferita.

Nulla pertanto è mutato - nulla, meno che gli uomini....

Così dicono gli stranieri calunniando; non io. Figlio delle comuni sventure, partecipe degli stessi dolori, conosco a prova quanto sia grave dopo trecento e più anni di vergognosa tirannide levarci all'altezza della Libertà. Dove il pensiero tuona, non risponde la voce amica e franca; dove il cuore freme, il braccio non consente intorpidito; una bevanda avvelenata ti serpeggia nel sangue e ti costringe al sonno; - la spada è diventata rugginosa, lo scudo rotto, il capo senza dolore non sopporta più l'elmo; parenti, amici, tutti ti supplicano a dormire: bisogna che tu dorma.

Ma vi è un Angelo che rompe il sonno della tirannide, come vi ha un Angelo che rompe il sonno della morte, - e questo è l'Angelo della Libertà.

E voi, o Fiorentini, udiste questa voce quando sopra i campi lombardi più costanti e più tenaci degli altri duraste sotto la procella di ferro e di fuoco che vi avventava lo implacato nemico. Voi mostraste allora quello che soventi volte io diceva, come un Popolo e un Dio non possono tenersi chiusi dentro al sepolcro.

Adesso il bisogno urge maggiore. Qui ora non trattasi di acquistar gloria, ma di fuggire vergogna: qui non vuolsi far procaccio di comodi, ma ripararci dal danno; e da qual danno? - Tendete l'orecchio, o madri, o spose, o figlie miserissime.... Dalle rive del Po e del Ticino, da Brescia e da Bergamo muovono voci di pianto disperato, che stringono il cuore d'ineffabile affanno. Ora che sarebbe se vedeste le sconce ferite, e le membra lacere, i muri grondanti sangue? Udite fino di qua il singulto dell'agonia di Venezia! Cotesto singulto è immenso, perchè si parte dall'agonia della Libertà d'Italia. O Cristo, o Cristo, i tuoi giusti occhi non guardano adesso la terra, poichè lasci perire Venezia!

La difesa è agevole. La Natura provvida volle circondare questo suo giardino, la bella Toscana, di un muro insuperabile di monti; ma il Cherubino che deve stare a guardia di questo Eden hanno a crearlo gli abitatori del luogo con la propria virtù. - Ordini di milizia non valgono, inutili per gli aggressori le artiglierie, i moti della cavalleria impossibili; dieci mila uomini di qui possono respingerne cinquanta mila, il numero è d'impaccio e forse rovina.

Ma il nemico non può venir grosso contro di noi. I Popoli gli fremono alle spalle come moltitudine di acque in tempesta. Le ire dei Popoli e del mare si stendono sopra la terra, e i troni, le armate e le provincie spariscono. Non vi sbigottite per una sventura, i Popoli non muoiono mai; la tela che il ragno della tirannide trama laboriosamente in un secolo è disfatta dal Popolo in un minuto di furore.

La difesa della terra nativa fu imposta dalla natura a tutti gli animali come un istinto. La terra nativa ha diritto di esser difesa da tutti coloro che ella nutrisce e ricovra pietosa nel suo seno; tutti i suoi figli hanno il sacro dovere di difenderla; chi manca alla natura manca a Dio, però che la natura sia la figlia primogenita del Signore.

O Sacerdoti, il calice dove la prima volta beveste con labbra tremanti il sangue di Cristo, vi sarà tolto dal Croato. Quale legge vi sconsiglia dalla difesa della Patria? O piuttosto qual legge non v'impone difenderla? E vi ha un Tribunale nel mondo che non patisce appello, e questo sia nella propria coscienza; ponetevi, o Preti, la mano sul cuore, e ditemi se mancando alla difesa della Patria una voce non si muove là dentro che vi chiama traditori? Tradendo la Patria avrete comune con Giuda la disperazione e lo inferno. Chi non ama la Patria odia Cristo; chi affligge la Patria trafigge Cristo.

Ora non si parla di Unione con Roma, nè di forma di governo; qui non entrano scrupoli, nè casi di coscienza: si tratta di difendere le nostre terre e le nostre vite. Se un Pontefice venisse e dicesse che difendere la Patria è peccato, io gli spruzzerei l'acqua benedetta nel viso profferendo la formula: «va addietro Satana!» però che egli sarebbe il Demonio trasformato in Pontefice; e se le mie parole suonino vere, io ne chiamo in testimonio il Vangelo prima, e poi tutti i Dottori di Santa Madre Chiesa Cattolica.

Voi altri, che vi chiamate Conservatori, di leggieri comprendete, che male conserva colui che acconsente a vedere tutto disperso; fortuna, onore, libertà, a caro prezzo, con lauto sudore, con diuturni studii acquistati, tutto va in volta a modo di paglie trasportate dal turbine. Diventata l'Austria dispensiera di libertà, lascio considerare a voi qual sia per essere la parte che sfuggirà dai suoi artigli taglienti e sottili.

E se vi ha anche taluno che negli intimi precordii faccia voti per la Restaurazione, si rammenti che il suo Principe non che difendesse la frontiera, ma spingesse i Toscani alla guerra di Lombardia; che dove il voto del suo cuore si compisse, il suo Principe gli direbbe: - perchè hai consentito che mi venissero tolte la Lunigiana, e Massa e Carrara? Di queste frontiere ha bisogno la Toscana se non intende rimanere esposta al primo invasore; io lasciai più vasto lo Stato, per la tua codardia lo ritrovo diminuito. Va, tu non sei un servo fedele; tu mi stai addosso come l'insetto sopra la pianta. Io non scambio la lealtà colla viltà. Vile fosti, vile rimanti, e sgombra dal mio cospetto.

E voi, uomini ardenti, di cui lo impeto ribocca come spuma che bolle fuori del vaso, avvertite che quando ciò avviene il fuoco si spegne e il liquore scema. Ogni cosa ha il suo tempo, il frutto mangiato immaturo allega i denti. Un fanciullo che stende la mano alla spada, e non gli riesce sollevarla, diventa segno di compassione o di scherno. La bandiera della Repubblica non va affidata ad un braccio di tisico, ma di un gagliardo credente che la faccia trionfare con gloria, o cadere con onore. Bandiera e Bandieraio, se avessero a sparire, devono tramontare entro un mare di sangue; allora il Bandieraio non sorgerà più, ma la Bandiera come il Sole tornerà ad affacciarsi in Oriente, aspettata dalle generazioni, benedetta dai Popoli. La Repubblica ha da vivere, o ha da morire sopra i campi di battaglia; voi la fareste morire delle infermità dei pargoli. Sapete voi di che si nutrisce la Repubblica appena nata? Di midolle di leone. Potete apprestarle questo alimento voi? Staremo a vederlo. Intanto la difesa della Patria anche per voi, e sopra tutti per voi, è obbligo santissimo. Imitate la modestia e il valore dei giovani Cavalieri antichi; essi militavano con bianco scudo finchè per qualche inclito gesto non avessero acquistato il diritto di assumere l'impresa. Voi avete lo scudo bianco, la occasione della prova è aperta innanzi a voi; se volete scrivervi Repubblica, scrivetela, ma come i martiri della Chiesa di Cristo prima di morire tracciavano la propria fede sopra il terreno, - col sangue.

Andate dunque, partite tutti, nel nome santo di Dio e della Patria. Io vi terrò sicure le case e le famiglie. Qualunque opinione singolare, intemperanza, od enormezza, saranno da me acerbamente punite. La Legge è sovrana qui, e la Legge emana dall'Assemblea eletta dal voto universale del Popolo. Le Leggi dell'Assemblea, se intende riordinarsi il Paese, hanno da venerarsi come comandamenti di Dio. Non già in angusta sala dove entra scarsa la luce del Sole, tra lunghe ambagi, ed inamabili discorsi, ma sui campi aperti, fra il torrente dei raggi di un Sole di maggio, in mezzo al lampo delle armi, alla faccia del firmamento, al cospetto del nemico vinto, si ha da proclamare la più perfetta forma politica di Stato per uomini perfetti: la Repubblica! - La Repubblica potrà nascere quando le avremo apparecchiato il battesimo di sangue delle nostre, o delle vene nemiche, - ciò non importa - purchè sia battesimo di sangue.

Firenze, 6 aprile 1849.

 

Guerrazzi.»

 

(Documenti, pag. 579.)



620 Dispaccio telegrafico del 6 aprile, ore 12, m. 5 ant.

«Al Governo di Livorno.

- Primo. - I Civici vadano subito a Pisa, e quivi si concentrino.

- Secondo. - I Volontarii vengano a Firenze, e portino con essi le armi.

- Terzo. - I Bersaglieri pure vengano a Firenze.

- Quarto. - Intorno alle armi e altro, proposte da Bini, il Ministro della Guerra dà ordini separati.

- Quinto. - Autorizzo di ricomprare a modico prezzo le armi già nostre, ma presto. E sempre presto.

 

Guerrazzi.»



621 «Al Ministro della Guerra.

«D'Apice ha ragione sul comando unico, nè i corpi sono così grandi nè la superficie delle operazioni sì vasta da consentire divisione di comando; veda di contentarlo, egli merita molto, ed è ottimo per questo genere di guerra. Gli ho ordinato, in ogni evento regga in Garfagnana, e cuopra Massa e Carrara. Spinga quanta gente più può di Linea. Provveda alle sussistenze. Al Secchi, al Pierni dia maggiori facoltà per l'Amministrazione. - Ore 4, 20 m. pom.

 

Guerrazzi.»



622 Alba, 8 aprile 1849.



623 Alba, 8 aprile 1849.



624 Documenti, pag. 446.



625 Dispaccio telegrafico dell'8 aprile 1849, ore 7, 30 m. p. m.

«Al Governatore di Livorno.

Firenze mi ha sollevato dalla inerzia di Livorno. La Guardia si mobilizza. Domani mille trecento uomini partono per Lucca. Dove è andata Livorno? o si muova, o renunzii allo scroccato titolo d'eroica.

 

Guerrazzi.»



626 Documenti, pag. 528.



627 Documenti, pag. 94.



628 Monitore Toscano del 9 aprile 1849.



629 Documenti, pag. 448.



630 Ivi.



631 Dispaccio telegrafico, del 9 aprile 1849, ore 11, 23 m. p. m.

«Al Governo di Livorno.

Venne la gente. È stata alloggiata egregiamente. Livorno si commuove. Sta bene. Ora ravviso la mia città. Dimani mando da te altra gente, ed armi e munizioni. Spero respingere gli Austriaci. Al primo tiro corro agli Appennini. Viva la Patria.

 

Guerrazzi.»



632 Dispaccio del signor Ruschi del 9, e del signor Barli del 10 aprile 1849. Documenti, pag. 529, 531.



633 Documenti, pag. 530.



634 Documenti, pag. 531.



635 Ivi.



636 Documenti, pag. 450.



637 Altrove ho detto, che il nostro Attivo superava il Passivo; ma il Passivo era composto di spese quotidiane, l'Attivo rappresentato in parte da beni i quali da un punto all'altro non si possono vendere.



638 Custoza, l. 4, pag. 81. Turin 1850.



639 «Massa di Carrara, 5 marzo 1849.

«Cittadino Generale d'Apice.

Penetrato vivamente della necessità di tentare ogni sforzo onde cessi il malvagio esempio delle diserzioni dalle Truppe che sono sotto il vostro comando, ho fatte le più insistenti rimostranze presso il Generale La Marmora, e presso il Ministro degli Affari Esteri di Torino onde siano restituiti coloro che disertarono dal 23 del decorso mese fino a questo giorno, e non siano ricevuti coloro che disertassero in seguito.

Confido che ne otterremo un buon risultato, tanto più che mi riuscirà di provocare delle interpellanze in proposito nella Camera Piemontese.

 

G. Montanelli.»

 

«Generale,

 

«Firenze, 6 marzo 1849.

Amico mio: pieno di sospetti, di cure, io mi logoro l'anima. Sento di emissarii piemontesi per fare disertare le milizie nostre.

S'è vero, - guardate. - Pubblicate un Ordine del giorno che chiunque fosse sorpreso a corrompere soldati sarà immediatamente passato sotto le armi. Vigilate la condotta di tutti, e date esempj, esempj per amore di Dio. Addio.

 

Affmo. - Guerrazzi.»

 

Sig. Generale Domenico D'Apice.

Massa di Carrara.»



640 «Pontremoli, 4 marzo. La diserzione delle truppe è grande, anzi grandissima. Vanno in Piemonte, il quale ha risposto al capitano Carchidio, che vi fu spedito dal Generale D'Apice, che si credeva in dovere di accettare e difendere questi disertori; ed infatti sono ricevuti benissimo e mandati in Alessandria. Quest'oggi sono disertati i carabinieri di Pallerone, di Aulla e di un altro picchetto che non rammento. - Egualmente hanno fatto una ventina di Cacciatori che dall'Aulla dovevano venire a Pontremoli.»



641 «Amico Carissimo,

 

Calice, 2 aprile 1849.

 

Nel mentre che la Popolazione di Calice stava pensando a fare una proposta contro la presa di possesso operata nel 13 marzo caduto dal Commissario Sardo, e che io dovea recarmi presso del Delegato Beverinotti per concertarla, è sopraggiunto il fatto della battaglia di Mortara, che ha prodotto un cambiamento nel sistema politico di questi luoghi.

Può darsi che l'armistizio non abbia luogo, e che per conseguenza vengano riprese le ostilità; ma nel caso contrario, questi abitanti appena che sieno partiti i Carabinieri Sardi, qua distaccati, sarebbero intenzionati di unirsi alla Toscana, qualunque sia la forma di Governo che ivi venga adottata.»



642 Proclama del 6 agosto 1848.



643 Dispaccio telegrafico del 1° aprile, ore 1, 33 m. ant. Documenti, pag. 441.



644 Documenti, pag. 515.



645 «Alla Commissione Governativa di Livorno, il Ministro dell'Interno. - I Cittadini componenti la Commissione Governativa, Massei e Paoli, urge che si rechino domani mattina col primo treno a Firenze per assistere all'adunanza dell'Assemblea.

 

Marmocchi.»



646 Documenti, pag. 516.



647 Documenti, pag. 442.



648 Vedi Dispaccio telegrafico. Documenti, pag. 502.



649 «We read in a letter from Florence of the 1st. - A report is current that Guerrazzi, who has never been in favour of a republic, has only made himself Dictator in order to be the better able to restore the authority of the Grand Duke.» - (Galignani's Messenger, Saturday, april 7, 1849.)



650 Il colonnello G. Manganaro, che mi sarà sempre cara ed onorata memoria, spiegando come testimone la importanza di questa Istruzione, dichiara: «Ella era diretta a procurarsi armi per combattere la perniciosa idea di proclamare la Repubblica e la Unione con Roma, sostenuta da un Partito nemico del benessere della Toscana, il quale spingeva con ogni maniera d'intrighi il Governo alla detta proclamazione, e Unione.»



651 Istruzioni del 22 settembre 1848 al marchese Ridolfi, citate.



652 Samuele, c. 12.



653 «Il Monitore, che riferisce la discussione che ebbe luogo al Consiglio Generale sulla Costituente Italiana, ha soppresso alcune parole singolari che furono proferite dal Ministro dell'Interno. Quando egli rimproverava agli avversarii del mandato libero d'esser più realisti del re, soggiungeva che il Ministero, consigliando al Principe la Costituente, non solo aveva creduto che il Popolo gli avrebbe assentito con libero voto quel potere che egli ora esercita in forza dei trattati, ma che questa generosa fiducia gli avrebbe fruttato la Corona del Regno della media Italia. Queste parole dette in Parlamento, ed in faccia alla tribuna del Corpo Diplomatico, meritano d'esser notate, e noi crediamo di non peccare d'indiscretezza referendole, secondochè la memoria ce le ricorda. (26 gennaio 1849.)



654 Queste proteste si rinnuovarono dalla Chiesa tutti gli anni nel giorno 28 giugno fino al 1788.



655 «Cittadino Generale.

Dietro le conferenze che il Governo Provvisorio ha avuto con voi, noi non possiamo darvi altra istruzione che rimetterci alla savia discretezza vostra coerentemente a quanto fu discusso a voce, procurando sempre che tutte le operazioni vostre convergano al doppio scopo di promuovere gl'interessi repubblicani dell'Italia Centrale, e la liberazione della Italia da tutta dominazione straniera. E vi salutiamo.

Dalla Residenza del Governo Provvisorio,

Li 18 marzo 1849.

Il Presidente del Governo Provvisorio Toscano

G. Montanelli.

Al Cittadino General D'Apice.»

 



656 Nota, che la conferenza col Dott. Venturucci aveva avuto già luogo.



657 Il Colonnello Baldini, e i signori Fortini e Contri interrogati depongono questo discorso essere stato loro veramente tenuto dal Generale; non rammentarsi però se a nome del Guerrazzi.



658 Nelle istruzioni del 1° aprile ho mostrato, che tale incarico non vi era, e non vi è: il Generale in questa parte ha in mente il Dispaccio del signor Montanelli del 18 marzo.



659 Nota: la lettera è senza data, ma si ricava dal marchio postale della sopraccarta, ch'è del 3 aprile 1849.



660 Questa lettera non ha data perchè mi succede sovente non porla dentro, e fuori manca lo involto; è diretta a Giorgio Ansuini; ma o appartiene a questi giorni e giova, o appartiene a tempo antecedente e giova più che mai, però che attesti come io stimassi coloro, che da un punto all'altro mi si mostravano sviscerati della Repubblica.



661 «Cittadino Ministro dell'Interno.

«In adempimento di quanto mi scrivevate col pregiato vostro di ieri sera ho comunicato all'Ispettore delle armi Maggiore Bonci il desiderio da Voi esternato in quello, ed Egli mi ha rimesso il Biglietto che vi accludo.

E con stima mi confermo

Li 9 aprile 1849.

Di Voi, Cittadino Ministro dell'Interno, F. C. Marmocchi.

 

Devotiss. Zannetti.»

 

«Cittadino Generale.

 

Autorizzato al ritiro dei fucili che furono consegnati ai Circoli, sarei a pregarvi, o Cittadino Generale, di volermi fare indicare in che numero questi fucili furono consegnati ai Circoli summentovati.

Mi affretto intanto a dirigerne l'opportuna domanda ai Presidenti, e contemporaneamente a prendere le opportune misure per il ritiro delle armi in proposito.

Profitto intanto ec.

Di Voi, Cittadino Generale,

Li 9 aprile 1849.

 

Devotissimo Gas. Bonci.

 

Al Cittadino Generale

Comandante la G. Nazionale.»



662 «A. C.

 

Livorno 31 agosto 1848.

 

Ho partecipato a Adami la tua risposta in proposito Imprestito. Vi era anche Giraudino, informato dell'affare, e propenso perchè segua, che mi ha incaricato dirti, che tu gli voglia bene, e ti rammenti di Lui. - Essi mi dicono se credi che Adami torni a parlare al Ministro, e come; oppure se ti prendi cura di tutto. - Sappi però che qualche banchiere di costì almanacca altri progetti, non tanto buoni pel Governo, è vero, ma che pure potrebbero essere accolti: - dunque bisogna vegliare. - Avevano proposto interrogare la Banca ora che il Paese si quieta, ma ho detto aspettare la tua risposta, per non allarmare il Paese, non sapendo se il Ministro voglia, o no aspettare, giacchè in questo secondo caso converrebbe più il silenzio. Non facciamo nulla senza tuo avviso, che è atteso col corriere d'immediato ritorno.

«Ecco in sostanza le basi:

Biglietti fruttiferi al 3 1/2 per 100 con obbligo di riceverli in pagamento per affari commerciali. - Non minori di L. 200. - Le Casse Regie prenderli. - Cambio alle medesime per L. 25,000 ogni settimana. - Al pubblico per la stessa somma. - Frutti pagabili ogni quattro mesi. - Provvisione 1/2 per 100 ogni 4 mesi. - Garanzia del sovventore. - Se si trovasse piccola difficoltà, potrebbe superarsi.

Aspetto dunque tua risposta.»



663 Ripeto, che corretta dal Ministero io possiedo la minuta del primo Proclama pubblicato dal signor Montanelli a Livorno.



664 I Decreti del Tribunale di Prima Istanza del 10 giugno 1850, e della Camera di Accuse della Corte Regia del 7 gennaio 1881, per denigrare il signor Montanelli tacciono la condizione «se mi sarà possibile;» e sempre così.



665 Esame Zannetti.



666 Su la proposizione del Gonfaloniere Peruzzi fu nominato con altri Commissario Guglielmo Digny. - Vedi Monitore del 16 febbraio 1849.



667 Partì nel 4 o 5 aprile 1849. Vedi la sua umile rappresentanza a pag. 93 dei Documenti. Egli la termina con queste parole: «Aspetterò che le indagini vengano proseguite, ma chieggo dalla vostra giustizia, che mi si conceda al più presto ritornare laddove non sarò giudicato, nè trattato da forestiere.» Gli fu risposto, che le indagini sarebbero state incominciate subito dopo la sua traduzione in luogo di custodia, ed egli preso vento, che si trattava arrestarlo, spulezzò.



668 Documenti, pag. 528.



669 Documenti, pag. 530, e 531.



670 Documenti, pag. 449.



671 Ivi.



672 Documenti, pag. 449.



673 Documenti, pag. 449, 450.



674 Dispacci telegrafici. Documenti, pag. 450.



675 Dispacci telegrafici. Documenti, ivi.





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