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Francesco Domenico Guerrazzi Apologia della vita politica IntraText CT - Lettura del testo |
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XXIX.
Del giudizio pronunziato sul mio operato dal Decreto del 7 gennaio 1851.
Nel § 32 il Decreto della Camera di Accusa della Corte Regia per somma grazia crede dovere concedere, che se io in qualche circostanza distolsi o raffrenai le più accese voglie della Demagogia, pure il complesso degli atti (comodissima formula quando non si trovano ragioni) autorizza a credere che tutto io facessi per conservare nelle mie mani il potere. Ora è impossibile, che il complesso degli atti conduca inevitabilmente a supporre cosa assurda. E qui i miei lettori mi sieno benevoli a non appuntarmi, se alla medesima accusa, ripetuta con singolare insistenza, la medesima serie di raziocinii io contrapponga, conciossiachè io veda, che Cicerone adoperasse nella medesima guisa, nella orazione per Sesto Roscio Amerino, sia che anch'egli avesse a persuadere gente dura, o qualche altra necessità lo sforzasse; - e nella fiducia che le mie preghiere verranno accolte, continuo. Il mio potere era provvisorio; il suo termine segnato; convocata l'Assemblea Costituente, ella doveva decidere per la Repubblica o per la Monarchia Costituzionale. Nel primo caso, ricusando, come avevo fatto, la carica di Triumviro a Roma, dimostravo animo alieno dal proseguire nel duro incarico; inoltre, è egli verosimile, che prevalendo i Repubblicani, volessero mostrarsi parziali a persona reputata avversa, e riporre in sue mani la somma delle cose? I Repubblicani mi avrebbero mandato in carcere, ne più nè meno, come gli altri hanno fatto, ed in breve vi chiarirò; e la ragione sta nella storia del Dottore spartitore di liti che ho raccontata di sopra. Nel secondo caso, mi sembra che senza prova mi verrà concesso, che me l'Assemblea non avrebbe scelto Principe! Il Decreto si compiaccia ricordare, che invece di attaccarmi al Potere, nella notte 27-28 marzo io feci tutto quanto da uomo onestamente può farsi per essere liberato da tanto peso, e non mi riuscì affrancarmene676; volga altresì la mente alle istanze del Montanelli e dei suoi amici, perchè accettassi il Ministero; non oblii, che al Governo Provvisorio io presi parte per ineluttabile forza, da un lato, della Fazione trionfatrice; dall'altro, per l'esortazioni non meno potenti dei cittadini, affinchè dall'anarchia preservassi la Società677; e deh! consideri eziandio il Decreto, che a quei giorni, durare in carica egli era peggio che posare su pettini da lino; e se mi dicesse, che tra affanni punto minori si sono veduti uomini non pure accettare il Potere, ma ricercarlo ed ambirlo, io rispondo, ch'è vero per quelli i quali intesero fare esperimento pratico di una loro astrattezza politica, potentissima delle passioni umane, a cui ogni giorno osserviamo sagrificarsi da molti riposo, sostanze, e persino la vita; ma non poteva essere vero con me, che governavo per benefizio altrui e non per procurarmi comodo privato, o per fondare monarchie alla napoleonica, ovvero per compiacere a un mio concetto. Dunque mi è lecito dolermi, che il Decreto non abbia rifuggito da scrivere così dissennate proposizioni, le quali non reggono al confronto del fatto e del raziocinio. E proseguendo il Decreto argomenta, che il pensiero del richiamo del Principe, per certo inconciliabile con gli ordini da me dati di cacciarlo violentemente dalla Toscana, sembra piuttosto sopraggiunto in forza dei successi della guerra, e delle dichiarazioni del Ministro Inglese, e non senza frode, se attendasi questa sentenza ricavata da una Decisione del 10 marzo 1800! «È vero, che ne contrapponeva altrettante (proposizioni), che lo dimostravano tutto diverso: ma oltrechè queste non distruggono quelle, un tale contegno altro non spiega se non che procurava di stare, con l'arte solita usarsi da chi doppio ha il cuore, preparato a far giuocare in ogni evento o l'una o l'altra, nell'atto di gettarsi a quel Partito che avesse trionfato.» Così veramente adoperarono molti, signori Giudici, anzi moltissimi impiegati, per cui il Conciliatore, come altrove ho detto, ebbe ad esclamare: «Che cosa possiamo sperare da quelli che s'inchinarono a tutti i poteri, che stancarono le anticamere dei Ministri, e che oggi proclamano svisceratissimi la Repubblica?» Ed io mandava, come altrove ho avvertito, Dispacci telegrafici a Pisa e a Livorno di questa sentenza: «Uomini, parte esagerati, parte male intenzionati, jeri codini, hanno spedito in diverse parti della Toscana per convenire giovedì a Firenze, per costringere il Governo a dichiarare la Repubblica,» con quello che segue678. Così adoperarono molti, signori Giudici, anzi moltissimi impiegati, che stavano allora abbracciati allo impiego ferocemente tanto da disgradarne Ajace Oileo, quando, naufrago, abbrancò lo scoglio679. Se mai venisse fatto a chi tale mi giudica, voltare gli occhi su la cima dei campanili, vedrà che le banderuole, per istare bene con tutti i venti, non li contrastano mica, ma gli secondano. Le ventaruole politiche poi non pure secondano il vento che tira, ma con tanto abbrivo gli si arrendono agevolissimamente, che, soffiando Gherbino, le miri trascorrere fino oltre a Greco. Bell'arte invero la mia di conciliarmi il Partito, che fosse per trionfare, combattendoli tutti! Artifizioso giuoco quello, per cui vincendo i Repubblicani mi dicono alla ricisa, ch'essi avrebbero fatto mettermi in carcere680; e vincendo i loro oppositori, mi ci hanno messo. Non osai io guardare in faccia i Retrogradi e i Faziosi, e dire loro apertamente: Voi siete iniqui? Certo non parranno queste le vie più acconcie per apparecchiarseli entrambi benevoli. Non si ricordano i Giudici che furono giorni in cui la gente, quanto più si sentiva nera, tanto più procedeva tinta in chermisi da disgradarne le barbe bietole di agosto, e tutti smaniosi acclamavano la Repubblica? Dov'erano allora gli sviscerati pel Principato? Se qualcheduno, accostandosi loro, diceva: anche tu sei di quelli? essi, imitando Pietro, rispondevano tosto: non so quello che tu dici681. La Repubblica non era Partito vincitore allora? A che le resistenze, a che gl'indugii? Guardando le tante bocche che mi schiamazzavano attorno - Repubblica! Repubblica! io pensai: parte di costoro sono vili propugnatori di quanti danno loro la pietanza; parte sono ebbri; - aspettiamo che smaltiscano il vino; - parte finalmente, comecchè onestissimi, per passione travedono: e agli errori, alle ebbrezze e alla viltà io solo contesi, e volli che il Popolo prima posasse, poi giudicasse di sè. Nell'8 febbraio trionfò la Repubblica; l'accettai io? Domando: l'accettai io? - No, la impedii. Dunque in quel giorno io non era per lei. Se io non impedivo, sarebbe stata, o no, proclamata? Sì, proclamata. Se io non mi fossi sagrificato, intendetelo bene, o ingratissimi, sagrificato anima e corpo a tenere il Governo, chi sarebbe salito al potere? Chi? - Rispondete! Allora lo sapevate, e lo temevate; adesso, che vi credete sicuri, lo avete dimenticato, e di me vi curate come di un cane morto! E se continuerete a dire breve incendio sarebbe stato quello, io tornerò a rispondervi: sì, ma sarebbe bisognato estinguerlo col sangue; sì, ma per ispegnere di fiamma, le cose e le genti incenerite non si restituiscono.... Voi però, riprendono i Giudici, nicchiaste, perchè non reputaste la Repubblica sicura; ed io rispondo: se non la reputai sicura allora, o quando la dovevo credere tale? Se nel giorno del trionfo si pensasse a quello della sconfitta, io vi ripeto, che l'uomo starebbe perpetuamente esitante tra il sì e il no: personaggio da commedia. Se i Giudici miei intendessero politica; se invece di andare a pescare le loro citazioni nelle Decisioni criminali del 1800, le avessero desunte dalle opinioni degli uomini di Stato, avrebbero posto mente a queste parole del Generale Cavaignac riferite nel Monitore francese del 19 gennaio 1851: «In Francia, come per ogni dove, due cose sono possibili adesso: egli è forza scegliere Monarchia, o Repubblica.» - (È vero! È vero! Voci da sinistra e da destra.) - «Chiunque non è per l'una, è per l'altra; e se ciò potesse applicarsi al passato, direi: quelli che operarono malamente nella Monarchia, apparecchiavano la Repubblica; e quelli che male si comportarono nella Repubblica, apparecchiarono la Monarchia.» Affermando, come l'Accusa fa, che i miei sforzi si restrinsero a impedire la proclamazione della Repubblica, finchè il voto universale si pronunziasse, prima di tutto non dice il vero, perchè molte più pratiche impresi, e fu dimostrato; e quando anche fosse così, basterebbe; perchè, come vedremo, la elezione di un libero Parlamento in Inghilterra non solo fu sufficiente a impedire che la Repubblica s'instituisse, ma instituitala soppresse, restaurando il Principato. Ora mi urge tenere proposito stretto della citazione desunta dalla Sentenza criminale del 1800! Cotesto insulto giaceva da 51 anno deposto sotto la polvere nella obsoleta armeria criminale, ed a ragione, però che i Giudici nel 1800, anneriti dal fumo degli uomini arsi vivi nella scelleratissima Reazione del 1799. non si contentassero a quei tempi condannare, ma insidiavano ancora. Adesso i Giudici hanno estimato decoroso tôrre dalla armeria criminale cotesto insulto, forbirlo, e tentare di sfregiarmene il volto.... È facile insultare un uomo oppresso; più facile insultare un uomo che da ventinove mesi si tiene chiuso in disonesto carcere; facilissimo insultare un uomo, cui hanno legato e piedi e mani! - Però vi ha un Tribunale che giudica Giudici e prevenuti, ed è la Coscienza Pubblica. Giudici del Decreto del 7 gennaio, io vi chiamo davanti a questa, perchè ella decida se io meritassi lo ignobile oltraggio; se in voi fu gravità, e, quello che più importa, giustizia, a dirmi improperio. Francesco Forti, scrittore meritamente reputato fra noi, nel suo Libro delle Instituzioni Civili, dimostra la fallacia del sistema forense di citare particole di Decisioni antiche nelle Decisioni nuove; conciossiachè i raziocinii che vi occorrono sieno speciali affatto al caso contemplato, nè senza pericolo grande possano trasportarsi ad un altro. Quasi impossibile è che si trovino due casi identici; quindi quel curioso e matto gettito di Decisioni antiche, che i Curiali si avvicendano nel capo, lo indefesso disapplicare delle Decisioni allegate, e l'opporre Decisione a Decisione; sicchè spesso si è veduto (materia di riso, e lo doveva essere di pianto) citare la Decisione medesima per sostenere pro e contro. In Prussia le allegazioni delle Decisioni vietarono, ed hanno fatto bene. Se questo concetto nelle materie civili fu rinvenuto giusto, tanto maggiormente si deve reputare tale nelle criminali, essendovi troppo più importante il subietto, necessaria la esattezza. Ora il prevenuto del 1800 era egli uomo pubblico o privato? Si trovò in libertà piena, od agì costretto? Ebbe due interessi da salvare, importanti entrambi, ma importantissimo l'uno, e l'altro meno? Furono parole le sue, o atti? Tutto questo s'ignora, e tutto questo era necessario esporre, se si voleva dimostrare la parità di ragione, e salvare la citazione dalla taccia di temeraria, per non dire di peggio682. In politica quotidianamente avviene, che l'uomo non possa nè deva procedere con la schiettezza, che neppure la buona morale desidera nei commercii della vita privata. Di vero, ragionando gli antichi intorno alla buona fede che deve presiedere ai contratti, consentirono di leggieri in questa sentenza, che il venditore di un carico di grano non fosse obbligato di palesare al compratore che altri ne attendeva di Sicilia o di Egitto. Nella diplomazia senza offesa della morale è mestieri ricorrere a certa dissimulazione persuasa dalla necessità. Quante volte i successi stanno fuori di noi, indipendenti dal nostro volere come dal nostro potere, e pel continuo alternare di fortuna si modificano, o trasformano, agevolmente si comprende che assoluti non ponno essere i consigli e il linguaggio degli uomini politici. Così di rado avviene, che alla commissione patente dei negoziatori non si aggiungano istruzioni segrete, le quali, a seconda dei casi, la estendono, la restringono, o la mutano. Nelle Storie italiane incontriamo ad ogni piè sospinto lettere in cifre, le quali per certo dovevano contenere cose diverse dal mandato aperto. Richelieu, cardinale, sappiamo come dentro le lettere officiali soleva inserire certe note di proprio pugno scritte, sconosciute perfino ai suoi Segretarii più intimi; in Inghilterra, l'uso della doppia corrispondenza incominciò sotto la regina Elisabetta, e credo che tuttavia duri, imperciocchè Pitt la raccomandò molto non solo per le ragioni allegate, ma ancora perchè, trovandosi i Ministri per la Costituzione costretti a comunicare gli Atti diplomatici al Parlamento, non venissero a rendersi palesi le condizioni dei negozii con indiscretezza somma, e. quello ch'è peggio, con danno del Paese. Ma poniamo da parte questi esempii, e adduciamone uno che cade singolarmente a taglio pel caso nostro. Prima però che mi faccia a discorrerlo con qualche lunghezza, devo avvertire che, per quello raccontano gli storici, Monk poco si curava delle libertà della sua Patria, e suo intento era consegnarla in assoluta balía di Carlo II. Se così fu, come dicono, io non gl'invidio il suo ducato di Albermarle, nè la contea di Torrington, nè la baronia di Potheridge, e sto contento al mio carcere. Noto altresì che Monk rovesciò un Governo costituito nel suo Paese, ingannando per privata comodità: - io impedii che si costituisse per violenza di Parte, e volli si consultasse il voto libero e pacato del Popolo, senza badare a me, come si è visto. Monk aveva esercito disciplinato, e devotissimo ai suoi voleri: - io non avevo armi disciplinate, nè devote. Monk era uomo da tempo antico avvezzo ai garbugli sanguinosi dei Partiti estremi: - io dedito agli studii. Egli di provato coraggio su cento campi di battaglia683: - io per professione alieno dalle armi. Dalle quali cose tutte ricavo ch'egli avrebbe potuto e dovuto mostrarsi più franco di quello che non fece. Queste cose avvertite, è da sapersi come tenendosi Inghilterra a Repubblica, re Carlo II mandasse da Colonia una lettera nel 12 agosto 1656 al Monk, molto raccomandandosi a lui, e facendogli grandi profferte, la quale lettera egli spedì difilato al Protettore Cronvello, per suo governo684! Morto Cronvello durava la Repubblica, agitata più che condotta dal lungo Parlamento, pieno di uomini violenti, e tra loro nemici. A chi considerava nella prima scorza le cose, pareva la Repubblica non soltanto gagliarda, ma rigogliosa della vita irrequieta della giovanezza; però i meglio avvisati conoscevano cotesta essere febbre di parossismo che consuma. «La restaurazione degli Stuardi speravano e desideravano i Popoli numerosi, anonimi, i quali, se eccettui i momenti di esaltazione, amano il riposo politico per accudire tranquilli ai commercii della vita civile685.» Deposto Riccardo Cronvello, giudica Hume, Monk concepiva il disegno della restaurazione di Carlo II686; ma non era piccolo negozio operarla; difficilissimo poi, senza mettere in fiamme il Paese; e Monk voleva uscirne vincitore senza sangue. Giorgio Booth nel 1° agosto 1659 prende le armi nella contea di Chester, col pretesto di ottenere un Parlamento libero, o almeno il richiamo nel Parlamento lungo dei membri dimessi da Cronvello: fine vero era la restaurazione di Carlo II. Realisti e Repubblicani si voltano a Monk. Re Carlo gl'invia Stefano Fox fidato messaggio, con lettere regie per indurlo a collegarsi col Booth e procedere uniti contro il Parlamento lungo: ma il Monk riceve tutto chiuso in sè la lettera, non risponde, e lascia partire sconclusionato il messaggio. Sollecitato dal Colonnello Atkins di accontarsi col Booth per favorire la causa regia, replica brusco: «io gli muoverò contro; nello stato nel quale mi trovo non posso farne a meno687.» A questa epoca sembra referirsi l'altra spedizione fatta da re Carlo, del dottore Niccola Monk al Generale suo fratello, con nuova lettera autografa per impegnarlo a cessare dalle incertezze. Il Dottore arriva mentre il Generale stavasi a conferenza con gli ufficiali; trattenendosi allora il fratello col cappellano Price, uomo di provata fede ed amicissimo al Re, gli palesa lo scopo della sua missione; al fine, presentatosi al fratello, dopo gli affettuosi abbracciari, incomincia a scuoprirgli il trattato. Monk, rompendogli le parole a mezzo, lo interroga se per avventura ne abbia tenuto discorso con altri che con lui; e udendo come ne avesse favellato col Cappellano, accomiatollo con Dio senza volerne sapere altro688: «non si fidando» avverte Hume «neppure di un fratello, dal punto ch'ei conobbe avere egli confidato il segreto a persona a cui pure lo avrebbe confidato egli stesso689.» Nonostante Monk si apparecchiava a sostenere il Booth, e già aveva dato gli ordini per mettersi in cammino, e scritto lettere al Parlamento lungo perchè richiamasse i membri dimessi, o si sciogliesse convocandone un nuovo; quando, meglio considerando il negozio, gli parve intempestivo il momento, per la quale cosa revocati gli ordini, e soppresse le lettere, decise aspettare. Al cappellano Price, che non rifiniva spronarlo, con mal viso gridò: «Dunque volete rovinare ogni cosa e farmi perdere il capo sotto la scure690?» Il giorno successivo arrivava notizia che Booth era stato disfatto, sicchè a buon fine tornavano le prudenti dimore. Allora nei Repubblicani sorse una allegrezza smoderata, e i gridi, e i vituperii contro re Carlo andarono a cielo. Avendo taluno detto in questa occasione alla presenza del Generale, come i vinti avessero disegnato restaurare Carlo Stuardo, egli riprese: «Io per me vorrei che il Parlamento promulgasse una legge per impiccare su l'atto chiunque parlasse soltanto di richiamarlo!» Le divisioni fra i Repubblicani inasprendosi, Lambert e i compagni costringono il Parlamento a dimettersi dal Governo, ed eglino stessi lo usurpano sotto nome di Commissione di Sicurezza; Monk si dichiara a favore del Parlamento lungo, e così arringa i soldati: «Quanto a me, credo che il mio dovere stia nel sottoporre le milizie alle autorità civili; e il vostro è difendere il Parlamento, che vi dà la paga, e gl'impieghi: se però alcuno di voi pensa diversamente, è libero di abbandonare le bandiere, e andarsene dove meglio gli torna691.» Monk pubblica lettere con le quali dichiara avere preso le armi «per la difesa della libertà e dei privilegii del Parlamento, e per sostenere, contro tutti, i diritti e le libertà del Popolo;» e, lasciata la Scozia, si muove con lo esercito contro Londra; il Comitato tratta con lui; egli lo inganna, e si avanza indirizzando lettere al Municipio di Londra, con istanza caldissima che facesse causa comune col Parlamento lungo per rivendicarsi dalla tirannide del Comitato militare. Il Parlamento lungo recupera la sua autorità nel 25 decembre 1659 mercè gli aiuti di Monk. Così sono varii gli eventi, e fanno forza agli umani disegni, che Monk, il quale partendo di Scozia si era proposto completare il Parlamento con la restituzione dei membri dimessi, o abolirlo affatto convocandone uno nuovo che collo assenso di tutti governasse la nazione, si era trovato adesso a sostenerlo con l'autorità e con le armi! Non pertanto questo era il suo scopo, e, malgrado l'operato in contrario, noi lo vediamo affaticarsi a conseguirlo con tutti i nervi692. Monk accostandosi a Londra, dopo avere vinto un Partito coll'altro, si dispone a superare il Parlamento; nella necessità di aumentare cautele, si toglie dal fianco la moglie, perchè, secondo l'ordinario, ciarliera; e allontana eziandio il cappellano Price, come quello che non gli pareva abbastanza capace a dissimulare. Invia Gumble a tenere bene edificato il Parlamento con profferte di devozione, e per dargli pegno di fedeltà gli fa consegnare una lettera segreta, con la quale il Municipio di Londra domandava il suo aiuto per rimettere in Parlamento i membri esclusi, o convocarne uno nuovo libero e completo693. E si avverta bene che Monk intendeva fare, e fece appunto come il Municipio lo pregava; qui fu che dette di una mazza sul capo a certo ufficiale che andava vociferando dintorno: «Sta a vedere che questo Monk ci ricondurrà Carlo Stuardo.» Al cappellano Price che, prima di lasciarlo, lo svegliava raccomandandogli il Re, susurrava sommesso: «Lasciatemi fare, perchè abbastanza sospettano di me.» Il Parlamento spedisce verso Monk due commissarii, Scott e Robinson, sotto pretesto di complimentarlo: ma in sostanza per ispiarne gli andamenti694; e questo fecero ignobilmente, seguendolo da per tutto, albergando nella medesima casa, e tentando perfino forare i muri per udire e vedere quello ch'ei facesse o dicesse nella sua stanza: ma il Monk teneva l'occhio fisso al pennello, e si mostrava loro siffattamente sviscerato della Repubblica ch'eglino ne scrissero a Londra celebrando il suo zelo pel Parlamento lungo. Monk giunto in prossimità di Londra domanda che sieno licenziati i reggimenti rimasti fedeli al Parlamento; per pretesto dava lo studio di evitare ogni conflitto con le sue milizie: motivo vero era restare signore assoluto della città; e gli riusciva. I reggimenti congedati dal Parlamento si ammottinano. Il Popolo, côlto il destro, insorge a tumulto, e domanda Parlamento libero. Monk sta fermo! - Arrivato in Londra il Generale è accolto dal Parlamento che intende rovesciare, lo blandisce con ogni maniera di sommissione. A Ludlow dice: «Dobbiamo vincere e morire per la Repubblica!» Ad un altro dichiara che, malgrado il suo rispetto pel Parlamento, non patirà mai che accolga nel suo grembo uno dei membri esclusi. «Dissipava» scrive il Guizot «i sospetti rinascenti, e con la solennità delle proteste assopiva le diffidenze più inquiete; sicchè l'ammiraglio Lawson, il quale altre volte dubitò del Monk, ebbe a dire a Ludlow, nell'uscire di casa sua: «Il Levita e il sagrificatore sono passati vicino a noi senza soccorrerci; spero avere incontrato il Sammaritano che ci salverà.» La città commuovendosi a tumulto, il Popolo grida: «Parlamento libero! Abbasso il Parlamento lungo!» Il Municipio ricusa pagare le imposte. La ribellione si fa manifesta. Monk è chiamato in Parlamento. Il tempo che desiderava è pur giunto; egli ricuserà andare; scoprendosi, al fine si unirà al Popolo, e, cacciato via il Parlamento, restaurerà la Monarchia. Niente di questo: parendo a lui che la occasione non fosse a bastanza matura, va in Parlamento, parteggia co' più arrabbiati, esagera il bisogno di misure severe, offre reprimere la sommossa, e malleva la riuscita695. Alle parole tengono dietro i fatti; nel 9 febbraio 1660 invade la città con lo esercito, abbatte porte e saracinesche, leva le catene dalle strade, e schianta i piuoli dove le attaccavano; fa arrestare i Membri più autorevoli del Municipio. «Per questi accidenti» scrive il Guizot «il Popolo di Londra rimase come percosso da stupore; quello che vedevano non indovinavano; ormai che cosa dovessero credere non sapevano; ogni loro idea era sconvolta. È questi, esclamavano, quel Monk che doveva ricondurre il Re? Egli è un demonio scozzese. Signore! Che cosa mai avverrà di noi? Vedevansi con terrore arrestare i Municipali maggiormente diletti, e tradurre prigionieri alla Torre. Ogni resistenza impedita. Il Popolo spaventato fuggiva per le strade; Londra presentava lo spettacolo di città presa di assalto. Il Parlamento trionfava, e grato al benemerito Generale stanziava 50 lire sterline pel suo pranzo. Haslerig andava gridando: Adesso Giorgio appartiene a noi anima e corpo.» Se non che il Monk dagli eventi che si succedevano tolse motivo a conoscere da un lato, come il lungo Parlamento fosse caduto in discredito, e mancasse di aderenze e di aiuti; dall'altro, quanto universale e profonda animavversione il Popolo gli portasse; però, come pilota che gira la ruota del timone, ad un tratto occupa i quartieri della città, rassicura la moltitudine, si collega col Municipio, e scrive lettere al Parlamento perchè nel 6 maggio si sciolga, dando luogo a un Parlamento nuovo e libero: così scandagliata bene la opinione pubblica per una serie continua di prove personali, la fa compagna delle sue armi; e diventa arbitro delle sorti d'Inghilterra. Ma non precipita ancora, e, dopo avere sostenuto impossibile la riammissione dei membri esclusi nel Parlamento, adesso consiglia armato che vedano aggiustarsi fra loro; appuntate le conferenze fra i membri del Parlamento in carica e gli esclusi, questi discutono molto e non si accordano in nulla, troppo essendo gli umori ed i fini diversi. Tentate le vie della conciliazione e non riuscitegli a bene, Monk delibera più gagliardo espediente, qual era quello di condurre, senz'altro rispetto, i membri esclusi a riprendere per forza l'antico posto nel Parlamento; ma ad infievolire la impressione, intento a schivare resistenza disperata dalla parte dei vinti, manda fuori un Manifesto nel quale molto si distende contro il ritorno dello Stuardo, e contro lo Episcopato; parla della necessità di apparecchiare nuovo Parlamento, e convocarlo pel 20 aprile. Ciò fatto, toglie in mezzo alle guardie i membri esclusi e gli riconduce a Westminster. Alcuni Lordi, cogliendo il destro, vollero aprire la Camera alta; Monk prevedendo cotesto tentativo inopportuno, gli fa cacciare via duramente, onde si tengano per avvertiti tutti coloro che volessero precipitare le cose, o condurle in modo diverso da quello ch'egli aveva disegnato. I Repubblicani, vedendo riprendere posto a canto di loro gli uomini che avevano cacciato, si commuovono a maraviglioso furore; alcuni vanno via, altri rimangono, parecchi degli usciti si ravvisano e tornano. Il Parlamento completato elegge Monk Generale in capo dello esercito inglese, rende alla città porte e catene, libera di prigione i Municipali arrestati il 9 febbraio, proroga la convocazione del nuovo Parlamento al 25 aprile. Monk manda fuori un altro Manifesto nel quale, dopo aver dimostrata la necessità in cui si era trovato di completare il Parlamento perchè le imposte si riscuotessero, finisce raccomandando severamente sorvegliare e accusare in pubblico chiunque macchinasse a favorire il ritorno di Carlo Stuardo696. Ad Haslerig, che fattosi a trovare il Monk lo confortava a mantenersi saldo nella causa repubblicana, questi toltosi il guanto, e posta la sua nella mano di lui, diceva con sembiante solenne: «Io vi protesto che mi opporrò con tutte le mie forze alla elevazione di Carlo Stuardo, al governo di un solo, e alla Camera dei Pari.» Haslerig e i Repubblicani più accorti gli oppongono: «Egli è chiaro che qui si tende a richiamare il Re, e il voto del Parlamento lo dà a sospettare pur troppo. Badate, Monk, che non vi avvenga come a Stanley, che, per avere restituito il trono a Enrico VII, n'ebbe in guiderdone la morte: egli è grande delitto presso i re avere troppo meritato di loro.» Allora gli propongono il regno, ed egli ricusa; gli danno la regia stanza di Hampton-Court per tenerselo bene edificato, ed ei ricusa; gli stanziano ventimila lire di sterlini, ed ei se le prende. - I Repubblicani ricorsero ad un'altra alzata d'ingegno, e fu di fare presentare al Monk, dai più accesi fra i suoi ufficiali, una dichiarazione perchè la firmasse, la quale consisteva nell'obbligarsi a costringere il Parlamento onde decretasse che la Repubblica era la forma definitiva del governo del Paese, e che verun Parlamento successivo potesse avere abilità di alterarla. Monk, preso alla sprovvista, si trovò sgomento, e non gli ricorrendo miglior partito propose aggiornare la firma all'indomani nel Consiglio Generale degli Ufficiali. Nello intervallo di tempo conferì co' suoi devoti, e la mattina al Consiglio, invece di firmare il foglio, ammoniti gravemente gli ufficiali esaltati del proprio dovere, vietava pel seguito di simile sorta assemblee; e notati i più audaci, statuisce licenziarli alla prima occasione: bene avrebbe potuto, adoperandovi alquanto di forza, rompere gl'indugii, ma repugnava, alla indole di lui far capitare male persone alle quali lo legavano vincoli antichi, e precipitare di crollo ciò che si poteva compiere pacificamente e di quieto. Molte furono le arti praticate dal Monk affinchè il Parlamento lungo si sciogliesse, la quale cosa ottenne nel 16 marzo 1668; prima di separarsi, il Parlamento deliberò che nessuno ufficiale si accogliesse se prima non approvasse con iscrittura la guerra impresa contro l'ultimo Re, e che dal nuovo Parlamento si escludessero gli uomini che avevano impugnato le armi contro il Parlamento lungo; e Monk lo lasciò fare, anzi, nell'ultima Tornata, egli domandò che abolisse la Legge su la milizia, perocchè, avendone commessa la organizzazione a mani sospette, era da temersi che in onta dei buoni Repubblicani si richiamasse Carlo Stuardo; ed ottenuto il Decreto, nel giorno stesso fece stamparlo e pubblicarlo. Il Popolo ad alte grida acclamava il Re; canzoni realiste si cantavano pubblicamente per le vie; un tintore cancellava dal piedistallo, che già sorresse la statua di Carlo I, la iscrizione: exiit tyrannus regum ultimus etc.; e Monk, contento di secondare segretamente il moto, stava in apparenza così avviluppato nelle sue ambagi che una segreta spia del Re ebbe a scrivere il 10 marzo al suo signore: «Monk, in quanto riguarda Re e Lordi, si è scoperto parziale al Parlamento.... l'altro giorno ha detto che verserebbe l'ultima goccia di sangue prima di consentire il ritorno degli Stuardi in Inghilterra.... stasera però sembrava alquanto meglio disposto.» I Repubblicani, sempre più agitati, s'ingegnano penetrare gli arcani consigli di Monk; e côlto alla sprovvista Cristofano suo figliuolo di sette anni, con domande suggestive e con doni gli fanno confessare avere udito certa notte suo padre e sua madre, mentre giacevansi in letto, che favellavano del ritorno del Re. Allora Enrico Martyn, legato di antica amicizia col Monk, gli va incontro risoluto, e così gli favella: «Orsù via, diteci una volta, che cosa intendete di fare?» - «Una Repubblica» risponde Monk «io la volli sempre e la voglio.» - «Sarà» soggiunse Martyn, «ma voi mi avete l'aria di quel tal sarto campagnuolo che fu incontrato certo giorno con la vanga e la zappa in ispalla. - Dove ve ne andate? gli domandarono. - Vado a prendere la misura di un vestito. - Come! con la zappa e con la vanga? - Al giorno d'oggi così si fa.» Ora, non che sia di mestieri al caso nostro, ma per completare il racconto, è da sapersi come il giorno dopo, nella stanza di Morrice, Giorgio Monk consentisse a ricevere dalle mani di Giovanni Greenville la lettera di Carlo Stuardo scritta fino dal 21 luglio 1659. Questa lettera diceva: «Io non posso credere che mi vogliate male: voi non ne avete motivo, e quello che attendo da voi parmi così grande benefizio pel vostro Paese che io spero che voi non vi ricuserete a farlo.» Nelle istruzioni del Greenville occorreva questo altro passo, che pose ugualmente sott'occhio al Generale: «Io vado persuaso che Monk non può serbare in cuore alcuno mal volere per me; nè egli ha commesso cosa che io non possa perdonare agevolmente: sta in lui farmi tale un favore del quale io non saprò ricompensarlo mai come merita.» Imprese subito le trattative, furono in breve concluse a questi patti: 1° Oblio generale, tranne quelli che crederebbe escludere il Parlamento; 2° Garanzia dei beni venduti, e pagamento del soldo allo esercito; 3° Libertà di coscienza. - Carlo Stuardo condottosi a Breda di leggieri concesse i patti, e gli avrebbe conceduti maggiori. Pel 25 aprile fu convocato il nuovo Parlamento, e nel 1° maggio fissata la deliberazione intorno alla forma di Governo conveniente a Inghilterra, Scozia, ed Irlanda. - In questo giorno Greenville si presenta al Consiglio di Stato, e domanda favellare al Monk. Monk avvisato dal colonnello Birch si accosta alla porta, dove Greenville gli consegna lettere regie da parteciparsi al Consiglio e allo esercito. Comecchè la cosa fosse concertata col Monk, egli finge stupore; ordina con mal piglio a Greenville aspettasse, e alle guardie lo custodiscano; rientra in Consiglio, che stupefatto davvero non sapeva a qual partito appigliarsi. Il Birch deluso giurava al Monk essere ignaro di tutto, e non importava che giurasse; fatto chiamare dentro il Greenville, e interrogatolo dove avesse ricevuta la lettera dello Stuardo, risponde: a Breda; - vogliono mandarlo in prigione; il Monk fece sicurtà per lui, e tutti insieme decisero che la lettera dello Stuardo sarebbe aperta in pieno Parlamento. Carlo Stuardo fu proclamato Re dal Parlamento e dal Popolo, con gazzarre, luminarie, e falò, e allegrie altre cotali, che fanno dimenticare ai guastamestieri di tutti i Governi, come sotto coteste apparenze covi pur sempre un Partito vinto, ma non abbattuto, che può placarsi e guadagnarsi con miti consigli, inasprirsi e allargarsi con insensate rigidezze. «Tanta fu la emulazione e la impazienza fra Lordi, Comuni e Municipio, a chi sapesse meglio manifestare la propria gioia e reverenza, che per servirmi delle parole di un nobile storico (probabilmente Clarendon) riusciva impossibile non domandare con sorpresa, dove fossero coloro che avevano commesso tanto male, ed impedito il Re per tanti anni di godere la consolazione e l'appoggio di così ottimi sudditi. Il Re stesso ebbe a dire più tardi: - Che il torto era suo, se non aveva preso prima possesso del trono, dacchè trovava tutte le classi tanto impegnate a promuovere la sua restaurazione697.» Il giorno dopo pare sempre così; nei giorni avanti cammina diversa la bisogna. Nel giorno dopo in Inghilterra fu vista accendersi gara fra Parlamento, Municipio e Borghesi, a chi più mandava danaro al re Carlo, il quale avevano pure sofferto che per tanti anni languisse in condizione piuttosto misera, che augusta; e mentre il Municipio gli stanzia lire diecimila di sterlini, ecco i Borghesi dargliene sedicimila, e il Parlamento munificentissimo donargliene cinquantamila698. - Nel giorno dopo quel desso che nella Camera del Parlamento aveva posto le insegne della Repubblica, venuto in furore di Monarchia, fu visto rabbiosissimamente stracciarle ed arderle699. Nella regia patente, che amplissima fu largita al Monk, dopo la esposizione dei beneficii operati da lui in vantaggio della Inghilterra e del Re, si legge a modo di conclusione: «Hæc omnia prudentia, ac felicitate summa victor sine sanguine perfecit.» Veramente questo fu principalissimo scopo, che il Monk si propose nella Restaurazione, e gli fu bella gloria fra i suoi contemporanei; ed io non dubito, che gli verrebbe confermata dai posteri, se come si auguravano senza eccezione avesse ottenuto l'oblio dal Parlamento, e se le lettere private da lui prodotte nel processo del marchese di Argyle non facessero andare dubbiosa la Storia se deva cancellare cotesta lode, per le poche vite che permise spente, o piuttosto lasciarla stare per le moltissime che preservò700. Facciamo adesso una supposizione: immaginiamo che poco innanzi delle conferenze e dei patti stabiliti col Greenville, il Municipio di Londra insieme col Popolo fosse giunto a rovesciare il Monk, terminando con molta agevolezza, con impeto, e senza alcuna guarentigia, quello che fra tante difficoltà era stato apparecchiato e quasi compíto da lui; immaginiamo altresì che spinto prima in disonesto carcere, fosse stato condotto poi davanti ai miei Giudici; come non lo avrebbero eglino deriso? «Gli atti di distruzione» gli avrebbero detto «già non ci darete ad intendere che fossero preparativi di Restaurazione. Le manifestazioni ostili non comprendiamo come potessero condurre allo scopo che adesso ci raccontate; dove sono gli atti univoci, non equivoci, co' quali presumete convincerne? Dove le prove limpidissime? Allo stringere delle tende, vedendo come fosse impossibile avversare la Restaurazione, l'avete secondata; invano però, chè tardo pentimento fu questo, e forse dovuto più che altro alla opinione del signor De Bordeaux ministro di Francia701. - Con qual fronte sostenete il disegno di restaurare il Principato, se pure ieri il Popolo acclamante il Re disperdeste, il Municipio imprigionaste, i Repubblicani con le vostre armi sovveniste, quelli che si mostravano parziali al Principe di propria mano percuoteste, - impiccato, chiunque il ritorno dello Stuardo procacciasse, voleste? I bandi, i proclami, i manifesti per dichiararvi svisceratissimo al Parlamento lungo pubblicavate forse in benefizio della Monarchia? Che cosa alla fin fine avreste fatto? Vi sareste così destreggiato, finchè un Parlamento libero pronunziasse intorno alle forme governative del Paese... Bello sforzo invero, onde noi dobbiamo mandarvi assoluto, anzi decretarvi la corona dell'alloro! O non vedevate come tutti noi con accese voglie stavamo in agonia pel ritorno di Carlo Stuardo! Quali indugii erano i vostri? Dovevate pure indovinare quello che con saldo cuore vi diciamo adesso, noi essere vogliosi di mostrare col sangue nostro, con quello della moglie, dei figli, dei servi e delle serve, il nostro sviscerato zelo per il diletto capo di Carlo Stuardo. Quanto (e fu poco) operaste, dal complesso degli atti siamo autorizzati a ritenere, che il faceste per mantenervi al potere tanto male da voi conseguito, tanto pessimamente esercitato. Voi intendevate giuocare a partita vinta, e tenere il piede in due staffe per gittarvi alla Fazione trionfante, secondo che costumano le persone della vostra qualità, che di mal pelo portano taccata la coda, anzi pure, che hanno doppio il cuore, come ha detto una sentenza della Camera stellata, ai tempi di Enrico VIII, oggi fa cento anni.» Povero Monk, altro che ducati, e contee, e baronie, e pensioni, e patenti col victor sine sanguine, se tu avessi avuto la fortuna di nascere nel 1805 in Toscana come sono nato io! Tu stavi fresco con i miei Giudici, o Giorgio Monk, tu stavi fresco....! All'opposto, un uomo di Stato a cui nessuno per certo, comunque da lui per opinioni diverso, vorrà negare pratica di negozii umani grandissima, e capacità somma di speculare gli avvenimenti politici, il signor Guizot, così giudica di Giorgio Monk: «Anche in Inghilterra, ora sono dugento anni, diceasi la Monarchia scomparsa per sempre, la sola Repubblica possibile. Monk conobbe questo essere falso. Egli credè alla Monarchia quando la Repubblica durava, quando tutti intorno a lui, sinceramente od ipocritamente, ed egli stesso come gli altri, non parlavano che di Repubblica. E quando, dopo la morte di Cronvello e la caduta di suo figlio Riccardo, si pose avanti realmente la quistione tra i due governi, Monk si decise per la Monarchia. Gli si è negato questo merito: e Monk, mirando al suo scopo, ha tanto usato ed abusato della simulazione, che alcuni spiriti prevenuti e superficiali hanno realmente revocato in dubbio, che la sua risoluzione fosse precoce, e costante. Ma quando da vicino e profondamente si studiano i fatti ed i documenti, non può più dubitarsi. Fino dal primo momento Monk si decise; e checchè facesse o dicesse, egli fu saldo nella sua decisione sempre fino all'ultimo giorno. Nel dubbio ed esitanza universali, egli avea una opinione decisa ed un partito preso. Fu questo il primo suo atto di buon senso politico. Se Monk fu deciso, fu ancora paziente. Seppe aspettare il buon successo, preparandolo. Uomo di guerra, mentre il suo mezzo di azione era l'armata, fu costantemente risoluto a non rinnovare colpi violenti e la guerra civile. Comprese che la Monarchia, per essere solidamente ristabilita, doveva esserlo pacificamente, naturalmente, come una necessità nazionale, e un supremo rifugio del Paese. A dispetto di tutte le impazienze e le diffidenze, seppe contenersi, dissimulare, indugiare, attendere, fino a che l'evento quasi da sè stesso si compiesse. E compiutosi l'evento, Monk volle che nelle patenti, che consacravano la sua fortuna e la gloria, s'inserisse il motto: Victor sine sanguine (vincitore senza sparger sangue): tanto la sua prudenza era figlia della riflessione e della volontà. I partigiani della Monarchia eziandio fecero prova di molto discernimento. Alcuni di loro avevano sostenuto la Rivoluzione, altri l'avevano combattuta; asprissime guerre si erano fatte fra loro in pro o contro del Re, di cui volevano porre in trono il figliuolo. Umori, passioni, interessi li dividevano, e nonostante le discordie loro aggiornarono. Fino al giorno della vittoria, passioni, genio e interesse ridussero nel supremo intento comune: sottoposero le preferenze particolari alla necessità di tutti; e questa è pietra di paragone vera del giudizio politico dei Partiti. E fecero anche di più i promotori della Monarchia: confidarono la esecuzione dei loro disegni nelle mani di uomo che sospettavano, ed avevano ragione di sospettare. Monk aveva militato pel Re, per la Rivoluzione, per la Repubblica, per Cronvello e pel Parlamento; egli operava sovente, e favellava in varie guise, non pure diverse, ma contrarie fra loro: simulava con risoluta franchezza da sgomentare i più intimi. I partigiani della Monarchia stavano sul conto suo pieni di dubbio, e d'inquietudine; dalla speranza facevano trapasso alla paura, dalla luce alle tenebre: ma nè per isperanza, nè per paura, nè per desiderio, nè per le ambagi del Monk, forviarono. Monk somministrava a un punto, e imponeva la norma del come si avessero a governare; però tutto sommando avevano maggiori motivi di confidare che per diffidare.... non si commisero ciecamente in sua balía, ma lo secondarono con discrezione, lo attirarono senza metterlo a cimento, docili ai suoi consigli, vigili ma tranquilli dietro a lui come a capo eletto, imperciocchè tali imprese abbisognano di un capo, nè vi sia capo tranne quello, che, sostenendolo, lasciamo operare702.» Ascoltiamo un altro Giudice, David Hume, solenne storico, il quale, se non sedè Ministro nei consigli della Corona, durante la sua vita fece professione di politica, e tenne carica di diplomatico. «Accorda meglio alla ragione, e alla schiettezza, ritenere, che Monk appena mosse di Scozia nutrisse il disegno di ristabilire il Re. Nè qualunque obiezione si volesse dedurre dallo aver egli tutto taciuto, perfino allo stesso Carlo, può essere tenuta in qualche conto, allorquando si rifletta, che Monk era di natura riservato; che le sue circostanze richiedevano dissimulazione; ch'egli sapeva il Re circondato da traditori e da spie; che insomma sarebbe durezza interpretare in discredito della probità del Monk una condotta, che dovrebbe anzi sublimare in noi la idea che ci formiamo della sua prudenza.» Così a pag. 431 del Cap. 62 della Storia d'Inghilterra, e poco oltre a pag. 442: «Malgrado questi passi, che muovevansi verso la restaurazione della Monarchia, il Monk proseguiva a mostrarsi caldo partigiano della Repubblica, nè aveva peranco consentito ad aprire pratiche col Re. Convocare un Parlamento libero, e restituire sul trono la famiglia regia, erano in quello stato di cose due provvedimenti per necessità connessi fra loro. - Nè era tenuto in conto di poca sincerità il silenzio da lui osservato nel principio della impresa, dacchè ei si mantenne riservato del pari nel tempo in cui, secondo i dettami del senso comune, chiaro appariva che non poteva nutrire altro disegno.» Nel Capitolo 65 poi il dabbene Hume, riportando in nota la notizia della morte di Giorgio Monk, non si può trattenere di spendere altre parole per giustificare la dissimulazione di lui. «È per verità una singolare prova della strana possanza dello spirito di Parte, quella che la malevolenza debba perseguitare la memoria di un signore il cui tenore di vita non andò mai soggetto a censura, e che, col ristaurare l'antico, legittimo e libero governo ne' tre Regni, che si trovavano immersi nella più rovinosa anarchia, fu certamente fra gli abitanti di queste isole quegli che, dal principio di quei tempi in poi, più d'ogni altro rendesse servigii durevoli ed essenziali alla patria. Neppure i mezzi, onde si valse per condurre a fine sì grande impresa, vanno soggetti a grave sindacato; giacchè appena è biasimevole la dissimulazione ch'ei seppe per qualche tempo tenere, e la quale, nel caso suo, era assolutamente necessaria. Ei non godeva la confidenza di quel bifronte, sedicente ed usurpatore Parlamento, cui balzò di sgabello; perciò non poteva tradirlo. Negò persino di spingere una tale dissimulazione sino a prestare il giuramento d'abiurare il Re. Nullameno confesso che il reverendo dottor Douglas mi ha mostrato una lettera, trovata nelle carte di Clarendon, tutta di pugno di Monk, e diretta a sir Arturo Haslerig, che contiene le più calde, e quindi, nel cuor suo, le più false proteste di zelo in favore della Repubblica. Per verità, duole assai che un così degno e schietto uomo debba una volta essersi trovato nella necessità di spingere cotanto innanzi la dissimulazione. Il casato de' Monk s'estinse col figlio del Generale.» Ecco pertanto come uomini di Stato e politici solenni giudicarono di Giorgio Monk, lo esempio del quale mi piacque con lunghezza riferire, non già perchè mi attagli, parendomi le sue dissimulazioni troppe, e troppo profonde: onde mi riesce difficile a credere, che fossero tutte costrette dalla necessità, e qualcheduna non ne usasse per compiacere al suo genio. Ancora, (e non importa che ne faccia protesta, perchè tutto il mondo lo conosce a prova) a operare come feci mi mosse non cupidità di comodi privati, bensì il rispetto che professai sempre al voto, che mi parve ed era universale nel 1849 nei miei compatriotti; e lo amore di figlio che porto al mio diletto Paese mi persuase a procurargli il maggiore bene che per me si potesse, quantunque con gravissimo carico mio; onde io spero con troppo migliore ragione meritarmi il nome di onesto, che pure tributarono i contemporanei al Soldato inglese: chè se nel naufragio della mia vita mi sarà concesso uscire alla riva sopra questa tavola sola, e me lo assentirà la benevolenza degli uomini probi, ciò recherà qualche conforto ai miei lunghi, atroci e non meritati travagli.
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p. - 676 Monitore citato. - Come dimostrazione di animo valga questa lettera mandata al sig. Dott. Quintilio Mugnaini in Livorno: essa porta la data del 6 marzo 1849, ed è munita esternamente di doppio marchio postale: «Amico. Dimmi presto quello che vuoi, perchè la mia vita politica ormai ha pochi giorni di durata, risoluto a ritirarmi. Così intendo mostrare più cose; che amo la quiete e i miei studii più che altri non pensa, e se la natura mi diè impeto ed energia non per questo voglio primeggiare sopra altrui, chè il maggior pregio dell'uomo libero è la modestia; che errarono quelli, che me promovendo parteggiarono per la persona e non pel principio: questo non ha da essere e non sarà. Io ho mandato Cecchino al campo soldato semplice di artiglieria, e l'ho unico al mondo. Credeva che gli uomini amassero la Libertà come me - per respirare più libero, - mi sono ingannato: tornerò a vivere di memorie, e conversare coi morti. Oh! gli alberi, gli alberi, bisogna piantarli nel cuore, e allora va bene. Sussurroni la più parte, queruli, astiosi, ed ecco tutto.» 677 E poichè gli ho sotto gli occhi aggiungo i deposti dei signori Professore Taddei, e Colonnello Nespoli. Il primo dice: «Non posso negare per altro, che reiteratamente il Guerrazzi si oppose all'accettazione del Potere Esecutivo, e che io stesso seguendo il sentimento di varii altri Deputati feci istanza perchè lo accettasse, essendo nella persuasione, ch'egli avrebbe saputo farne uso a vantaggio del Paese.» Il secondo dichiara: «Siccome il Partito ultra non era d'accordo col Guerrazzi, così penso, che nascesse diffidenza dell'uno verso dell'altro, e nella notte nella quale fu dichiarato capo del Potere Esecutivo ho memoria, che da qualche Deputato fossero contro lui profferite ingiurie per le quali il Guerrazzi accennava volersi ritirare dal Governo Provvisorio.» 678 Vedi pag. 192 di questa Apologia. 679 Per quanto posso ricordarmi, i signori Martini e Carlo Martelli, soli, quantunque facessimo loro vivissime istanze a rimanere, si dimisero dallo ufficio, ed il signor Frullani non lo accettò offerto, allegando che beneficato dal Granduca gli sarebbe parso mostrare ingratitudine: di che io molto lo commendai, e glielo dissi in faccia; e questa è pure dimostrazione di animo, dacchè il tempo non mi consentiva più aperto discorso. 680 Vedi Appendice. Requisitoria del Procuratore regio della Repubblica, Rusconi. 681 S. Marco Evang., c. 14, n. 66. 682 Il mio Difensore mi partecipa in quali termini cotesta Decisione proceda, e intorno a quale vile paltoniere ella versi. Sta bene: quello somministrerà argomento ad un altro canto. 683 Nel 1665, durante la guerra fra Inghilterra e Olanda, Monk certa volta si trovò con poche navi stretto dall'armata intera di Ruyter. Mentre gli ufficiali inglesi intorno a Monk gli esprimevano le loro apprensioni per una zuffa tanto disuguale, Monk caricando tranquillo una pistola rispose: «una cosa so certo ed è, che non sarò preso.» Con ciò volendo dare ad intendere, che, in caso di perdita, avrebbe fatto scoppiare la Santa Barbara. 684 Guizot, Monk, pag. 61. 685 Ivi, pag. 72. 686 Hume, Storia d'Inghilterra, Cap. 62. 687 Guizot, Monk, pag. 71. 688 : Hallam nella Storia Costituzionale della Inghilterra (Cap. 10, pag. 208) narra che non solamente rimandò il fratello senza speranza, ma che lo minacciò di farlo impiccare se mai tornava con simili proposte. 689 Hume, Storia d'Inghilterra, Cap. 62, pag. 432. 690 Guizot, Monk, pag. 76. 691 Guizot, Monk, pag. 80. 692 Hume, Opera citata, Cap. 12, pag. 435. - Guizot, Monk, pag. 74. 693 Guizot, Monk pag. 102. 694 Hume, Opera citata, pag. 436. 695 696 Guizot, Monk, pag. 129. 697 Hume, Storia d'Inghilterra, Cap. 62, pag. 449. 698 Lettera del 21 maggio 1660 del Ministro De Bordeaux al Cardinale Mazzarino, citata dal Guizot. 699 Lettera come sopra del 13 maggio 1660. 700 A Lord Say che gli parlava della necessità di escludere dall'oblio almeno qualcheduno dei Giudici, che avevano condannato a morte Carlo I padre del Re, Monk rispose incollerito: «No! neanche un solo: io mi reputerei il primo furfante del mondo se consentissi ad eccettuarne uno solo.» E col colonnello Hutchinson in altra occasione si espresse: «Dio mi danni, se per la morte del Re, uomo abbia a perdere pure un capello!» Nonostante, l'impeto e la vendetta dei Realisti furono più forti di lui; e quantunque nel Parlamento sostenesse il Partito della moderazione, potè appena ottenere, che il numero degli esclusi regicidi si riducesse a sette, dei quali sei soli patirono la morte. Ma il caso del marchese Argyle presenta tale carattere di tradimento, e di rancore personale, che lo steso Hume storico, di Partito tory, non può nascondere, che anche fra i contemporanei suscitò generale indignazione. Guizot racconta, che Lord Wharncliffe si è ingegnato, comecchè timidamente, ad attenuarne la colpa; ma egli dice, che coteste ragioni non lo persuadono per nulla, e che la indegnissima azione del Monk non merita scusa. 701 Anche Monk ebbe a sollecitatore per la restaurazione di Carlo II lo ambasciatore di Francia De Bordeaux, imperciocchè il Cardinale Mazzarino la desiderasse, ma non voleva muovere un passo ond'ella avvenisse; - così Hume ci avverte nella Nota ultima della Storia d'Inghilterra. - I ragionamenti di Lord Hamilton, perchè nulla manchi al parallelo, possono paragonarsi alle sollecitazioni del signor De Bordeaux. 702 Guizot, Monk, Prefazione, pag. 8 e seg. |
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