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Giulio Tanini
Storia della federazione italiana lavoratori del Mare

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  • Cap. V.   LO SCIOPERO GENERALE PER LE PENSIONI
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Cap. V.

 

LO SCIOPERO GENERALE PER LE PENSIONI

 

 

Il Congresso di Genova, come abbiamo detto, ebbe luogo il 21 aprile 1912. Visto che le cose non cambiavano, forte delle adesioni avute, Giulietti, previo il potere accordatogli dalla Assemblea Generale dei Soci, ordinò il blocco di tutte le navi in partenza, e in tutti i porti.

Il movimento si svolse compatto e disciplinato. Soltanto la Sezione di Bari scantonò, essendovi qualche dirigente collegato con elementi che a Genova avevano compiuto operazioni poco chiare. Uno dei piroscafi della «Puglia», e precisamente il «Lucano», trovavasi a Venezia, dove tutte le navi erano state fermate come negli altri porti. L'equipaggio del «Lucano» ricevette disposizioni di partire dai dirigenti della sezione di Bari. Tradimento! il «Lucano», mentre tutte le altre navi erano ferme, salpò l'ancora e filò adagio verso l'uscita del porto. Fu però costretto a passare tra due ali di navi all'ancora che partecipavano all'agitazione. Quando la nave crumira passò tra le navi sorelle, gli equipaggi di queste si schierarono sui ponti e sulle sartie e fu una manifestazione formidabile nei riguardi dell'equipaggio della nave che se ne andava coperta di vergogna!

La colpa non fu dell'equipaggio della nave, ma dei felloni dirigenti della sezione di Bari, i quali poi rinsavirono, ma in quel momento agirono male. Ma, come una rondine non fa primavera, così un neo su di un bel volto, non lo disturba. Tra la compattezza generale dei marittimi in una grandiosa battaglia per il bene dei loro vecchi, delle vedove e degli orfani dei compagni scomparsi, lo scarto di quella nave è stato uno sgorbio insignificante. Infatti, l'agitazione continuò maestosa, solenne, imponentissima. Si effettuò, ripeto, in tutti i porti, su tutte le navi, comprese quelle cariche di soldati per la Libia. Nulla potè resistere a questa travolgente irresistibile agitazione, sospinta, infiammata da una indomita fede, da una causa profondamente giusta e santa. Giulietti osò fermare anche le navi cariche di soldati per zona di guerra. Allora intervenne l'onorevole Giolitti, il quale, essendo molto intelligente e sapendo che i marittimi erano disposti a tutto per ottenere giustizia, sapendo che avevano ragione, fece davanti alla Camera dei Deputati una dichiarazione molto comprensiva a favore della nostra causa. Giulietti, valutando a volo la enorme importanza di quella dichiarazione del Capo del Governo, sospese immediatamente l'agitazione che durava da oltre una settimana. Il Sottosegretario alla Marina, Onorevole Bergamasco, osò mettersi contro Giolitti, accusando Giulietti di essere ricorso alla violenza mentre la Camera discuteva. Molti giornali protestarono verdi di rabbia. Il «Corriere della Sera», organo molto importante degli Industriali italiani, perdette le staffe fino al punto di scrivere:

«Non pensi la Federazione dei Marinai di avere fatto assistere all'Italia una bella figura! Di fronte al caso di Ufficiali che dovrebbero mantenere a bordo l'ordine e la disciplina e che invece immobilizzano la nave coi propri dipendenti; di fronte alla diserzione dei servizi marittimi, più essenziali come quello della Libia; di fronte al fermo dei piroscafi che dovevano portare TRUPPE IN CIRENAICA, fermo che costituiva un reato contemplato dal Codice, non s'illuda la Federazione sul giudizio della opinione pubblica. E se essa trova modo di CANTARE VITTORIA per le dichiarazioni del Capo del Governo, promettendo di risolvere il problema consono alle aspirazioni della Gente di Mare, ciò significa solo che la Federazione continua a cercare di tenere alto il proprio prestigio a spese del Governo, il quale non era sprovvisto d'armi, ma si è mostrato debole durante lo sciopero e più si è indebolito con quella promessa fatta sotto la pressione dello sciopero marinaro.

Il bilancio di questo tristo episodio si chiude col solo fatto concreto del danno materiale subito dallo Stato e dai contribuenti e del danno morale patito dalla disciplina di bordo infrantafatto nuovo della nostra storia navale – dagli stessi ufficiali».

 

Il fatto nuovo è stato veramente costituito dalla audacia di Giulietti e dalla ferma volontà di lotta dei marittimi, nonchè dall'intelligente intervento di un uomo della importanza dell'Onorevole Giolitti, formidabile statista e navigatore parlamentare. Giolitti era l'uomo che con il 1900 aveva inaugurato in Italia un'era veramente democratica. Giulietti era un giovane che era alle sue prime armi e che si era gettato in questa difficile impresa unicamente carico di fede e pronto a qualsiasi sacrifizio.

Prevalsero l'arciconsumata saggezza e chiaroveggenza dell'Onorevole Giolitti e la fede di Giulietti, assistito, sorretto, animato dalla fede e dalla forza di tutti i suoi fratelli marittimi, sospinti dai patimenti dei vecchi, invalidi marinai, dalle ansie di vedove e di orfani di navigatori scomparsi.

Tale fatto nuovo è stato incredibile per i miscredenti e per gli egoisti, ma non per gli uomini che hanno nel cuore il palpito della solidarietà umana e credono nella legge del bene.

Il solenne impegno, preso da Giolitti nel corso di quella memorabile agitazione marinara, sarà poi mantenuto fra qualche anno con una legge, in virtù della quale le sei Casse Invalidi sono state riunite in una Cassa sola, misera anch'essa, essendo misere le singole componenti. Insieme, quindi, hanno formato una miseria totale. Ma l'importanza della fusione stava nel fatto che con essa era facilitata la riforma ed il necessario finanziamento della Cassa Unica, come poi avvenne subito dopo la fine della Guerra Mondiale per mezzo di un'altra leggendaria e storica agitazione, culminata nel piratamento in alto mare di navi, dirottate poi a Fiume, dove D'Annunzio teneva alto l'onore e il prestigio della Patria mutilata dagli Alleati, immemori del generoso contributo dell'Italia durante la guerra.

Comunque, la lotta per la fusione delle Casse invalidi, accesa da Giulietti soltanto dopo un mese dal Congresso di Genova (aprile 1912), documenta che il Segretario della Federazione dopo la vittoria sulla Compagnia di Navigazione «Puglia» non perdette tempo. Attaccò subito (maggio 1912) e riportò la vittoria illustrata a denti stretti dal «Corriere della Sera» nella forma che abbiamo riportata.

 

TRANELLI CONTRO GLI EQUIPAGGI

DELLE «SOVVENZIONATE»

 

Bisognava adesso attaccare le Compagnie sovvenzionate, Italiana, Marittima e Sicilia, per ottenere non solo un assestamento del fronte, come era avvenuto con la «Puglia», ma conquiste sindacali importanti, e tali da migliorare notevolmente le condizioni di tutta la Gente del Mare. Fedele al suo metodo, divisò di attaccare gli avversari a uno per uno e settore per settore. Non si trattava più in questo caso di un'agitazione nei confronti del Governo, ma nei confronti degli Armatori, e pertanto pensò di batterli separatamente.

Il complesso avversario non dormiva. Essendo stato sconfitto in diversi scontri, aveva acquistato maggiore esperienza: pensò di agire in modo di prendere tempo, di seminare discordia fra i marittimi di mettere contro Giulietti più forze politiche che fosse possibile, approffittando del fatto che, iscritto nel Partito Socialista, aveva lasciata e manteneva la Federazione Marinara nella più assoluta indipendenza da qualsiasi Partito, compreso il Socialista.

Si era in tempo di elezioni politiche. Vi erano molti concorrenti ai seggi parlamentari. Tutte queste correnti o fazioni erano nei confronti di Giulietti con le armi al piede. Osservavano attentamente quello che faceva. Giulietti invece non pensava che piazzarsi con la lotta tra le tre grandi Compagnie sovvenzionate, non per distruggerle, ma per costringerle ad applicare al personale di bordo un nuovo contratto di arruolamento e un nuovo regolamento organico.

Le Compagnie d'altra parte facevano quanto potevano per trarre profitto dalle lotte intestine fra le diverse correnti socialiste incoraggiando direttamente, con abili strumenti di lunga mano, azioni contro Giulietti, nella speranza di creare difficoltà a non finire.

La situazione si prestò a sgambetti e a trabocchetti. La smania per arrivare ad occupare un posto nella Camera dei Deputati fece perdere però qualche volta la tramontana anche a uomini equilibrati. A Genova vi erano i socialisti riformisti, che facevano capo a determinate persone, e i socialisti così detti ufficiali, che facevano capo ad altre persone. Dentro questi partiti si lavorava di gomito per essere piazzati tra i candidati. Poichè Giulietti non poteva accontentare nessuno data l'indipendenza politica della Federazione, gli furono tutti adosso ad eccezione del gruppo dei socialisti di cui lui faceva parte, dal quale non si voleva distaccare essendo stato in quel partito sin da ragazzo. Le Compagnie di Navigazione gettarono scandagli da tutte le parti. Volevano evitare l'agitazione che Giulietti stava preparando e che le sconfisse. Si trattava di non pochi milioni oro, che, se perdevano, dovevano darli agli equipaggi. Conveniva farsi sotto e darsi da fare.

O per questi motivi, o per altri, ad un certo punto da più parti e contemporaneamente insorse una campagna di stampa contro Giulietti per tentare d'impegnarlo e di disanimarlo.

La Tribuna, il Corriere della Sera, il Secolo XIX, L'Internazionale, Il Corriere di Genova, Il Grifone, il Libertario ed altri, chi per un verso e chi per un altro, gridavano tutti come bocche d'averno. Chi diceva che era un dittatore, che stava rovinando la Marina, chi insinuava che era un pericolo permanente, chi urlava che era un ambizioso che voleva oscurare l'opera di tutti gli altri organizzatori, e chi più ne aveva, più ne metteva. Giulietti osservava e intuiva le cause, le fonti di questo baccano, di questo diversivo. Intensificò le richieste alle tre Società di Navigazione sovvenzionate. La «Italiana» tergiversò, (apparteneva alla Banca Commerciale). La «Marittima» e la «Sicilia», che appartenevano alla Banca di Sconto, offrirono una modesta cosa per la bassa forza e nulla per gli ufficiali, volendo dividere la nostra unità sindacale. L'atteggiamento di queste Compagnie era in armonia con la campagna politica e di stampa accesa contro Giulietti. Si mirava al condottiero, pensando che, tolto lui di mezzo, sarebbe stato facile trattare poi i marittimi col vecchio sistema. Si mirava a distruggere l'unità sindacale costruita da Giulietti, dal Comandante al Mozzo, si mirava a demolire la Federazione, che contava nei suoi quadri elementi di tutti i gradi e di tutte le categorie di bordo. Si mirava ad infrangere la forza sindacale che era riuscita a fermare le navi in tutti i porti e ad ottenere dal Governo l'impegno solenne di risolvere il problema delle pensioni marinare. I marinari compresero. Ormai erano dei veterani e pieni di entusiasmo. Più gli avversari attaccavano e più i marittimi si stringevano intorno alla loro Federazione. Dopo quel primo infruttuoso passo contemporaneo, compiuto verso quelle Compagnie, Giulietti pensò di attaccare la sola «Italiana», avendo essa a Venezia il suo porto di armamento; e Venezia si prestava ottimamente per l'azione che Giulietti voleva svolgere. Intanto, continuava con maggiore intensità la campagna politica e giornalistica contro di lui. Lo scopo, ormai evidente, era quello di impedirgli di attaccare la Società di Navigazione la «Italiana».

I nemici di Giulietti erano di diversa specie: armatori e politici. Per tentare di impedirgli la lotta contro l'Italiana pensarono d'insidiarlo dentro il partito socialista. I politici, per ragioni elettorali, l'odiavano, benchè sedicenti socialisti, forse quanto e più degli armatori. Sicchè nel settore politico, da cui doveva essere aiutato, si congiurò contro di lui per una meschina partita di voti. Avvenne così che elementi inscritti alla sezione socialista di Genova, ad arte influenzati ed incoraggiati, osarono indire, benchè in minoranza, un'assemblea per prendere una deliberazione contro Giulietti, accusandolo di brigare per invogliare i marittimi a votare per una tendenza piuttosto che per un'altra. Giulietti invece aveva dichiarato di non potere influenzare in alcun modo i marittimi avendo il dovere di lasciarli liberi affinchè votassero secondo la loro coscienza. Questo atteggiamento non piacque, perchè ogni gruppo politico voleva i voti dei marinai.

Si trattava di mandare alla Camera questo o quel candidato. I concorrenti socialisti erano parecchi. La partita poteva essere decisa anche per qualche migliaio di voti. Per non urtare nessuno, per salvare l'unità sindacale marinara, Giulietti decise la neutralità, donde le ire del settore politico di cui Giulietti faceva parte, perchè pretendeva che, come suo inscritto, mettesse la Federazione Marinara al servizio di tale settore. Ecco perchè poi Giulietti, qualche anno dopo questi incidenti, ritenne opportuno, pur restando socialista, di non fare più parte del partito, di nessun partito. La passione di parte accieca, l'ambizione induce talvolta a passi errati, a determinazioni sconcertanti. I capi socialisti a Genova, all'epoca di cui stiamo parlando, erano persone intelligenti e corrette; ma per il desiderio di essere eletti Deputati misero in moto dei fiduciari, dei galoppini, che andarono oltre il segno. Ecco perchè prepararono un'assemblea irregolare dietro montatura dell'ambiente surriscaldato dalle vicende elettorali. Fu così che essi riuscirono a indire un'assemblea nei locali a Genova della Università Popolare. La vasta sala era affollata. Erano state suonate molte trombe per questa adunata. Cominciarono i discorsi, e poi si tese alla immediata votazione di un ordine del giorno contro Giulietti per espellerlo dal Partito; ma Giulietti, che era presente, domandò la parola, chiarendo le cose con argomenti di fatto a suo favore e incontrovertibili.

Gli avversari ondeggiarono, impallidirono, alcuni più chiaroveggenti capirono di avere avuto torto; che chi parlava diceva parole d'amore e li richiamava alla osservanza della vera dottrina socialista e del dovere di non tradire i lavoratori del mare in lotta.

La votazione diede con nobile scatto di entusiasmo ragione alla virtù e allo spirito del bene e Giulietti uscì dall'Assemblea vivamente applaudito. Però, i marittimi avevano capito tutto e presero nota del ribaldo tentativo di colpirli mediante una accozzaglia di persone, aventi incollata sulla fronte la tessera del Partito Socialista mentre nell'animo non lo erano.

I marittimi ancora una volta dovettero constatare che il loro vero avversario – il capitalismopiazza i suoi uomini anche dentro i partiti che hanno il dovere di lottare per la redenzione dei lavoratori. In questo caso si trattava di una semplice imboscata, che, se anche fosse riuscita, i lavoratori del mare avrebbero ugualmente annientata, in virtù del loro armonioso programma sindacale.

La loro federazione ha per iscopo un graduale e continuo miglioramento morale ed economico dei naviganti e delle altre classi di lavoratori. Infatti la solidarietà della Federazione Marinara anche per tutte le altre classi di lavoratori è sempre stata esemplare.




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