Cap.
XII.
LA CADUTA DEL
MINISTERO GIOLITTI
La reazione
La reazione intanto,
la quale aveva servito in certo qual modo a destare le maestranze
operaie di tutta la famiglia proletaria, andava ogni giorno arrotando
le armi.
La polizia mandava
numerose schiere, armate di tutto punto, ad intimorire, minacciare,
coi soliti suoi mezzi borbonici.
Il Cap. del Porto,
il Questore – il celebre Pappalardo – agivano in modo da
intimorire le povere creature affamate che volevano rivendicare i
sacrosanti diritti al pane, al rispetto, all'onore, che si deve ai
figli della famiglia umana. Ma i piroscafi non partirono, e in gran
numero furono gli incidenti dolorosi che vennero perpetrati dalla
Polizia; si ammanettarono i marinai più recalcitranti, i
rappresentanti della Film. Si sbarcarono equipaggi che vennero
gettati in carcere. I giornalisti al soldo della reazione intinsero
le loro penne nel fango d'oro dei loro padroni giudaici e chiesero ad
alte strida la incarcerazione del Capitano Giulietti, il quale, non
conoscendo riposo, s'insinuava furtivo per entro i cento piroscafi,
ora a Genova, domattina a Napoli, a Livorno, dappertutto ove la sua
presenza era urgente, per infondere coraggio a chi pericolava, nuovo
ardore nei suoi compagni di lotta, i quali lo seguirono come un solo
uomo in questa battaglia, che rappresentava la vita o la morte della
intera famiglia della Gente del Mare.
Reazione terribile,
lotta senza pietà, sopraffazione inaudita, resistenza ad
oltranza, manette, prigioni e fiumi d'oro che uscivano dalle Banche
per gonfiare le già pingue borse degli sfruttatori, oro che
venne buttato via a palate, per non voler riconoscere i diritti dei
marinai.
Siamo giunti al
settembre del 1914 (anno tragico per l'umanità) e il Capitano
Giulietti lancia un appello ai marittimi contro la inferocita
reazione. Stralciamo da esso:
«Il Governo
vuole abbattere la nostra Film. Teme la vostra unione. Gli armatori,
fallito il colpo della serrata, si sono visti perduti.
S'inginocchiano davanti al seggiolone del Ministero degli Interni e
domandano aiuto per sè e per i loro manutengoli. Il Governo ha
messo a disposizione degli armatori: manette, poliziotti, spie,
soldati e giornalisti.
«I
dirigenti della vostra organizzazione vengono arrestati non appena
s'accostano ad un vapore in partenza. La libertà di
organizzazione ci è stata tolta. Bisogna insorgere per
riacquistarla!
«Compagni
marinai, ricordate che in mare siete solo ed esclusivamente voi i
padroni delle navi; ricordatevi che in mare la mano lunga e nera,
brutale e vendicativa del poliziotto non può raggiungervi;
ricordatevi di vendicare i fratelli colpiti da cinque mesi di
disoccupazione; ricordatevi di vendicare l'equipaggio del «Piemonte»,
ammanettato, imprigionato e ricondotto a bordo con le manette ai
polsi, con le rivoltelle delle guardie spianate sul volto, e fra una
selva di baionette.
Compagni,
marinai, fate tutti il vostro dovere!».
Tutto ciò
dimostra che la lotta si era fatta acuta. Questa lotta è
durata un anno e quattro mesi ed è passata per fasi
diverse. Per averne un'idea, bisogna leggere i libri Rosso, Verde e
Nero della Federazione dei Lavoratori del Mare. In questi libri sono
descritti gli episodi più notevoli. Così sappiamo:
che in un certo
momento le banchine nel porto di Genova, nel settore carboni, sono
state occupate da migliaia di soldati; che certi Armatori scesero
con la tuta nei locali macchine delle loro navi per tentare di fare
funzionare le calderine e dare vapore ai verricelli per le operazioni
di scarico; che squadre di crumiri furono costituite con elementi
racimolati in ogni parte d'Italia e tenuti poi nascosti in un locale
a Genova, pronti per andare a bordo di notte; che Giulietti riuscì
a scovarli e a persuaderli a fare causa comune con i marittimi; che
tutto il Porto di Genova venne bloccato per due giorni per il
concorso energico e fattivo di tutti i lavoratori del Porto guidati
dalla Camera del Lavoro, per l'intervento personale diretto di
uomini come l'On. Giuseppe Canepa e Lodovico Calda; che infine,
essendo scoppiata la guerra europea da un pezzo e trovandosi l'Italia
alla vigilia dell'intervento, questa veramente grandiosa battaglia
per gli equipaggi delle «Carrette» venne conclusa per
mezzo di un lodo arbitrale (primo maggio 1915), che accolse in
gran parte le richieste dei lavoratori. L'On. Canepa fu uno degli
arbitri. Gli equipaggi conseguirono notevoli miglioramenti. Non
era facile questa lotta. Gli Armatori ricorsero alla serrata perchè
i noli erano bassi. Giulietti non si mosse. Lasciò fare.
Qualche energumeno pretendeva che fossero fermate tutte le altre
navi. Giulietti rispose che guidava la lotta come voleva lui e che
non tollerava nessuna inframmettenza di imbecilli o di provocatori; e
che alla fine della battaglia avrebbe reso conto del suo operato ai
marittimi, riuniti in Assemblea, gridando ancora una volta che, se
perdeva la battaglia la colpa era tutta sua, e, se la vinceva, il
merito era unicamente dei federati.
Giova ricordare che
Giulietti, prima d'incominciare un'agitazione, chiedeva ai marittimi
se la volevano fare e di nominarsi il condottiero, avvertendo che, se
l'incaricato fosse stato lui, l'avrebbe guidata a modo suo e con
pieni poteri, affinchè gli avversari non potessero mai
conoscere i suoi piani. Questo metodo ha sempre dato buona prova,
perchè il Condottiero si è sempre dimostrato capace e
fraternamente collegato con l'anima collettiva della Gente di Mare
che egli adora.
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