Cap.
XXI.
IL FERMO DEL
TRANSATLANTICO «PESARO»
Giova a questo punto
riportare dal giornale «Il Lavoro» di Genova un articolo
di un giornalista sul fermo del piroscafo «Pesaro» di
dodicimila tonnellate, gestito dalla amministrazione delle ferrovie;
fermo causato da una ingiusta resistenza avversaria, superata da
Giulietti con un'azione diretta, che ha indotto quel giornalista a
soffermarsi un pò sulla condotta del nostro segretario. Ecco
l'articolo:
«Una
biografia fotografica di Giulietti? Mai no: l'originale sfugge a
qualunque obiettivo e darebbe una figura rigida e senza colore,
mentre è tutta movimenti e luce: una immagine morta di una
persona tutta viva. D'altra parte, quando io vi dicessi che è
nato a Rimini e vi spiattellassi le sue note anagrafiche a che
gioverebbe? Tutt'al più potreste dedurre che dalla natia
romagna derivi quell'impeto travolgente che è una delle sue
più spiccate genialità, cui contribuiscono la sana
giovinezza e la fibra gagliarda: ma ciò non basterebbe a
conferire il dovuto rilievo alla sua singolare personalità. Nè
basta averlo veduto ed ascoltato in qualche pubblica assemblea o in
qualche comizio di piazza. Egli è la sulla tribuna come sul
cassero di una nave; sulla folla fluttuante squilla la sua voce
imperiosa come un comando sulla tempesta. È un dominatore
forte e dolce, il cui volto s'irradia della duplice luce degli occhi
e del sorriso; mentre la parola trabocca di passione, sia ch'egli
rievochi l'avventurosa e stentata vita della Gente di mare, sia che
dalla bassa foschia della politica sospinga le anime degli
ascoltatori verso orizzonti di sole. Schietto, genuino, nel gesto e
nella parola, egli dice senza atteggiamenti, senza preparazione, con
l'accento della convinzione sincera, in cui riposa il segreto della
simpatia che gli guadagna amici e avversari.
«Ma
soltanto chi lo avvicina, chi ha con lui consuetudini di rapporti,
chi lo ascolta in privato discorrere con la stessa passione con la
quale discorre in pubblico, con lo stesso accento vibrante, con
l'identica fede, può pienamente comprenderlo e convincersi
della salda unità del suo pensiero con la opera sua. Chi ha
voluto rilevare talvolta delle contraddizioni nei suoi atti non
conosce l'uomo, non si è reso conto della spontaneità,
degli impulsi ideali onde mossero. Come tutti gli uomini di mare ha
un'anima di poeta; il bello lo innamora e lo esalta, così il
gesto di D'Annunzio, come la disperata resistenza russa. Dove, a suo
modo di vedere, sia una offesa alla giustizia, egli si sente fratello
degli oppressi. Ragionatore acuto, formidabile contraddittore, (e ne
testimoniano le innumeri vittoriose lotte attraverso le quali ha
guidata la Federazione) di fronte ad avvenimenti che scuotono il suo
temperamento sentimentale, egli è come abbacinato dalla
bellezza dell'Idea e rotti i freni d'ogni calcolo temporeggiatore,
dona cinquantamila lire per i fratelli di Fiume, auspica il trionfo
della rivoluzione russa. È ingenuo sbalordirsene; in fondo vi
è un intimo nesso in tutta l'opera sua, che è battaglia
contro l'ingiustizia, quando sceso sul terreno della praticità
difende tenacemente brano a brano, di fronte agli armatori e ai
Governi le ragioni dei lavoratori. Dopo avere con decennale improba
fatica riorganizzato la gente di mare, dopo avere conquistato per lei
stessa una vita migliore, ed avere fortemente operato per rialzarla
moralmente e intellettualmente, ora egli persegue il nobilissimo
intento d'una grandiosa cooperativa marinara che la emancipi dalla
schiavitù capitalistica.
«E vi
riuscirà perchè è perseverante e tenace, perchè
oppone ad ogni ostacolo una incrollabile fede nei destini del
proletariato.
«Quando ne
discorre si illumina tutto di questa sua fede interiore; gli occhi
gli fiammeggiano, la parola gli fluisce veemente. La visione di un
cantiere sonante di opere, delle navi che scendono dallo scalo,
proprietà dei lavoratori, lo affascina e lo rende veramente
Poeta. Guai a contraddirlo: scuote con una mossa leonina le spalle,
squassa la folta capigliatura nera e vi annienta sotto il torrente
della sua appassionata eloquenza. Sono raffiche di pieno oceano.
Capitano Tempesta, Capitan Giastemma, (boja d'un mond leder!) Capitan
Dodero? Un po' di tutti, ma su tutti, unicamente, originalmente: –
Capitan Giulietti – un lottatore di genio, fuso nell'acciaio.»
Naturalmente,
appena il segretario della Federazione Marinara entrava a
Montecitorio, i nemici cominciavano ad arruotare i denti a stralunare
gli occhi, a sputar veleno. Gli tirarono alle spalle sui giornali,
attaccando il suo interventismo, prima per aver spinto alla
partecipazione alla guerra i suoi federati, poi per il suo intervento
(che fu da essi presentato alla dabbenaggine del pubblico come atto
bolscevico, in pro della rivoluzione russa, col fermo del «Persia»,
del «Nippon», del «Rodosto» ecc.
Di queste
clamorose azioni intercorse nell'infuriare di altre strepitose lotte
federali, ne parleremo a suo tempo; ora diremo solamente che a coloro
i quali lo bestemmiavano per il suo interventismo, egli rispose dallo
scanno di estrema sinistra con discorsi così taglienti e così
permeati di logica da metterli a terra senza possibilità di
rialzarsi.
I discorsi
veementi del segretario responsabile della F.I.L.M. furono una doccia
fredda sul capo dei malevoli settari. Essi si rannicchiarono,
tacquero, ma si misero a preparare altre armi, attendendo, per
colpirlo, che commettesse qualche altra clamorosa azione, la quale,
secondo loro, non doveva essere lontana. Ma mentre questi si
preparava, torniamo un momento indietro per vedere Giulietti
impegnato in una battaglia acuta e grave, contro l'esercizio della
Navigazione di Stato.
Lo Stato Italiano
si era messo in testa di distruggere la nascente Cooperativa
«Garibaldi» per non farle avere i vapori. La Navigazione
di Stato, non contenta di avere infilata nel contratto di cessione
alla «Garibaldi» delle cinque navi ex-germaniche tutte le
condizioni negative che voleva, vi mise una clausola con la quale la
«Garibaldi» si impegnasse a contribuire alla soluzione
pacifica di tutte le vertenze che sarebbero potute sorgere nel campo
marinaro tra l'armamento e la F.I.L.M.
Questa clausola
(vero trabocchetto da legulei) voleva, in fin dei conti, significare
che, se il Cap. Giulietti, dava il fermo a qualche piroscafo, le navi
garibaldine gli sarebbero state tolte. Per non pregiudicare la
creazione della «Garibaldi», Giulietti chiuse gli occhi,
ma preparò le polveri e l'arma al piede per reagire. La sera
che Garibaldi dall'altura di Gibilrossa chiese ai suoi capitani se si
volesse prendere il monte in guerriglia sparsa o irrompere su
Palermo, la voce di Bixio fu udita gridare: o a Palermo, o
all'inferno!
Così
Giulietti per avere le navi, sarebbe sceso anche all'inferno.
Si presentò
subito un incidente, per dar credito al sospetto che quella clausola
fosse stata escogitata per rovinare la «Garibaldi». Come
è noto, la Commissione Reale Marinara, nella seduta del 30
dicembre 1919, aveva deciso di assegnare alle famiglie dei morti per
febbre spagnola le indennità fissate dal Lloyd Mediterraneo.
L'esercizio della Navigazione di Stato s'era pure impegnato di fare
avere quella indennità nel più breve termine possibile
alle famiglie dei caduti di febbre spagnola a bordo delle navi
dell'E.N.S., ma a quelle infelici famiglie non si dava nulla! Sui
primi di marzo del 1920 era in partenza da Genova il piroscafo
«Pesaro» di 12.000 tonn. per l'America del Sud. Il
Capitano Giulietti ne approffittò per iniziare una brillante e
sostenutissima battaglia; ne fermò la partenza, e mise quale
condizione «sine qua non», o l'indennità febbre
spagnola alle povere vedove e orfani degli undici marinai periti, o
il «Pesaro» non si sarebbe mosso.
La battaglia, a
fondo, a dispetto della famosa CLAUSOLA, si protrasse dai
primi di marzo del 1920 al 7 maggio, cioè sino a quando
l'esercizio di navigazione di Stato accettò il riconoscimento
dell'indennità, di cui è detto sopra, a tutte le
famiglie dei morti di febbre spagnola.
Alle ore 17 di
quel giorno memorando, che segnò ancora una volta la vittoria
del bene contro il male, il «Pesaro» salpò
l'ancora tra l'entusiasmo di tutta la Gente di Mare che dai bordi e
dalle calate lanciava i più caldi «Wiva » al suo
audace e buon pioniere.
Non appena il
«Pesaro» fu al traverso della nave redentrice «Garaventa»
i marinaretti intonarono l'inno di Gori, le cui calde e solenni
strofe si elevarono per onorare l'ennesima battaglia vinta.
Il cuore del
creatore della «Garibaldi» esultò perchè
vide che la famosa clausola aveva il valore d'uno spauracchio, come
simile a quei fantocci di paglia, col grugno coperto d'una paglietta
rotta - e slabbrata, che i contadini pongono come uno spaventapasseri
in cima a un palo, nei campi.
Abbiamo voluto
accennare all'epilogo del «Pesaro» perchè esso più
di una battaglia, serve a mettere a fuoco tutto l'animo e l'ardimento
del Capitano Giulietti».
|