Cap.
XXV.
SINTOMI DI UNA
NUOVA ERA
Un avvenimento di
tanto significato, si capisce che doveva suscitare scalpore: i
giornali gettarono alte grida. – Vedete – dicevano, se
avevamo ragione di dire che Giulietti è un uomo
pericolosissimo; eccovene le prove documentate! A poco a poco costui
sovvertirà la Patria; ci porterà via tutte le navi; le
darà ai marinai, e noi.... moriremo di fame. Esagerati!
Vittime di incoscienti timori, frutto di coscienze inquiete.
Quanto succedeva non
era che il primo, primissimo passo di un incipiente sconvolgimento
che andava preparandosi da molti anni e che la guerra, liberando
l'Europa dai Sovrani, doveva, per forza, lanciare tutte le genti, di
tutte le Nazioni, in un turbine di cui pochi potevano vederne le
prime avvisaglie.
Era il 1°
maggio, giorno consacrato al giubilo dell'Uomo Lavoratore, di
quell'infimo strato disprezzato e affamato per lunghi secoli; il Sole
di questa Aurora splendeva su tutti i fratelli del mondo con ritmo
uguale, ritmo di fede, di amore, di pietà. Gettando
un'occhiata all'età trascorsa, si doveva accorgersi che le
lotte dell'uomo avrebbero finito per fare riconoscere la santità
dei suoi diritti, ma che, purtroppo, si sarebbero dovute svolgere fra
dure prove costituendo una lunga schiera di martiri, le cui ombre
verrebbero ad aggirarsi sugli abissi dell'imperscrutabile. I popoli,
deposte le armi, venivano a reclamare a gran voce che cessassero per
sempre le ingiustizie dei ricchi, la caduta di tutte le altre
sopravviventi corone, instaurando il Governo Repubblicano: (Res
pubblicae socialis) dell'amore, della concordia, della giustizia.
La trasformazione
non poteva essere lontana, mancavano gli uomini, è vero; ma
uno c'era – pieno di energia e di fede – e costui avrebbe
incominciata la serie delle grandi gesta rivoluzionarie: ogni
tirannia si sarebbe infranta sotto il suo assalto d'indipendenza
generale, ma anche sotto l'intuito, forse neppur compreso, che
veniva... dalle profonde scaturigini dell'Universo, come il lievito
di rigenerazione mondiale: la terra aveva sofferto troppo.
Zola, il grande
filosofo, nel suo «Roma», osservando dal Monte Mario i
più antichi edifici del mondo – il Vaticano e il
Quirinale – esce in queste parole: «Con un semplice
occhialetto il Papa ed il Re, quando si mettono ad un terrazzo,
possono contemplarsi distintamente. Non sono che punti effimeri,
sperduti nella vastità dell'Orizzonte senza limite. Ma che
abissi fra loro! Quanti secoli di storia, quante generazioni che
hanno lottato e sofferto, quanta grandezza morta, quanto seme per il
misterioso avvenire! Si vedono... e sono ancora alla eterna lotta a
chi apparterrà il popolo le cui onde s'agitano laggiù,
sotto i loro occhi; a chi resterà la sovranità
assoluta, al Pontefice, pastore d'anime, o al monarca, padrone dei
corpi?».
Il seme del
misterioso avvenire da quando Zola così scriveva ha dato
frutti insperati.
Oh! Allora non più
il denaro servirà di discriminatore alle alterigie umane, e il
tempo, l'ingordigia e la miseria, non getteranno più
nell'orrore della corruzione il fiore gentile dell'Umanità.
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