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Giulio Tanini
Storia della federazione italiana lavoratori del Mare

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  • Cap. XXXI   GIULIO TANINI CI LASCIA
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Cap. XXXI

 

GIULIO TANINI CI LASCIA

 

 

Col capitolo «Conferenza Internazionale» termina la storia della Federazione Italiana dei Lavoratori del Mare scritta da Giulio Tanini. Eravamo allora all'8 maggio del 1920 ed il male aveva già cominciato a minare la fibra del Grande Amico della Gente di Mare, che tredici mesi dopo (30 giugno 1921) doveva congedarsi alla vita terrena.

Per conoscere bene l'anima del Grande Scomparso, occorre riportarsi al Capitolo della Sua storia federale: «una cerimonia tramata in sordina». Questo capitolo termina con queste parole:

 

«...Benchè animati dal più vivo desiderio di descrivere la solenne festa marinara della consegna all'On. Giulietti di quel segno d'affetto, sentiamo l'impossibilità di farlo perchè il nostro cuore è semplice e perchè non ignoriamo l'avversione di Giulietti a tuttociò che è artificiale...».

 

Così scrisse Giulio Tanini perchè, ad epilogo di quella grande festa, egli pronunciò, o meglio iniziò un mirabile discorso che la sua infinita modestia gli vietava di riprodurre nella Sua storia federale.

 

Ma, per fortuna dei federati, il discorso da lui iniziato e poi interrotto perchè colto da malore, lo conosciamo dalla prima all'ultima parola perchè era stato da Lui scritto prima di pronunciarlo.

Prima di riprodurlo più sotto, riteniamo necessario per la esattezza storica degli avvenimenti federali, riassumere brevemente come si svolse la festa dell'8 maggio 1920.

Alla Presidenza fu chiamato il Presidente del Consorzio del Porto, senatore Ronco, che pronunciò commosse parole di saluto all'indirizzo del capitano Giulietti.

A nome del personale naviganteStato Maggiore e Comunipronunciò poi un applauditissimo discorso il Direttore di Macchina, Cap. Antonio Conte.

Riassumiamo le sue belle e forti parole.

L'oratore fece notare anzitutto che era pieno di significato e di auspicio che la cerimonia si svolgesse nello storico palazzo San Giorgio ove si erano elaborate tutte le glorie marinare della Dominante. Rilevò che la sede era degna per onorare un UomoGiuseppe Giulietti – che attraverso un decennio era riuscito, sormontando difficoltà inaudite, a trasformare un esercito di diseredati in un'armata trionfante di lavoratori coscienti e grati cementati nelle lotte comuni sotto la formula «Dal Comandante al Mozzo». Tratteggiò con colori vivi ed immediati tutta l'opera svolta dal Segretario Responsabile della Gente del Mare e concluse la sua bella orazione con queste alate parole: «...E come a Guglielmo Embriaci detto «Testa di Maglio», ritornante da quell'Oriente che sa il grido dei padri nostri, il popolo genovese disse «Credo», così tutta la Gente del Mare dica oggi il suo «credo» a Giuseppe Giulietti per le aurore appena nate e per la maggiore grandezza e avvenire d'Italia sul mare!».

Poi doveva parlare Giulio Tanini. Si era preparato il discorso. Era lui che doveva offrire la medaglia e la pergamena perchè così aveva deciso il Comitato della festa. Si avviò verso il podiovestito a festa – con passo svelto, con il cuore martellante di emozione perchè era come si recasse su di un altare da cui doveva parlare di cose di cui era nutrita la sua anima: d'amore, di fratellanza universale. Si sentiva così contento che la gioia gli fece male. Oltre essere un rivoluzionario era anche un grande Poeta dell'Ideale e ciò spiega perchè appena iniziato il suo dire il suo cuore non resse alla grande emozione. Svenne fra le braccia degli amici. Poi si riebbe, ma gli fu vietato di pronunciare il discorso che, amorosamente ritrascritto dalle sue cartelle, qui riproduciamo. Lo riproduciamo per intero affinchè la Gente del Mare lo legga, lo mediti, lo faccia conoscere. Lo faccia conoscere perchè da esso balza tutta la Sua grande anima, il suo sconfinato amore per la Gente del Mare e per tutte le Genti della terra. Perchè fu il Suo ultimo discorso, fu il congedo da coloro che tanto amò e difese, perchè nelle ultime frasi del suo smagliante discorso benedice l'Uomo che elevò i «remi da galera» a dignità umana.

Pensiamo che in ogni bordo, in ogni casa di marinaio, non debba mancare il testo del discorso di Giulio Tanini dell'8 Maggio del 1920. Sarà il miglior modo di onorare la memoria del Grande Scomparso, sarà il miglior modo di sapere e di comprendere cosa fece questa nostra grande e meravigliosa Federazione Italiana dei Lavoratori del Mare; sarà il miglior modo di imparare a difenderla e a sostenerla da qualsiasi tentativo di incepparne la marcia che, sino ad oggi, pur attraverso tremende difficoltà e soste paurose imposte dalla parentesi fascista, fu sempre trionfale perchè il timone della Federazione fu sempre governato dalle mani esperte di un Nocchiero che – come Giulio Tanini – ha dedicato e dedicherà la Sua vita in difesa di tuttociò che è grande, nobile e giusto...

Ecco il discorso di Giulio Tanini:

 

«Io credevo, egregi signori, di potermene rimanere solitario e silenzioso in mezzo a voi, a godermi, occulto, e nell'intimo del cuore, questa festa solenne e gentile, tutta ardente di «amore marinaro», ma le speranze mie sono state deluse all'ultimo momento, perchè gli egregi componenti il Comitato, candide anime bene intenzionate ma troppo illuse delle mie povere capacità oratorie, mi hanno obbligato ad accettare una funzione che, se per il cuore, e per l'entusiasmo mi è graditissima, terribilmente grave mi si presenta al pensiero, giudice retto di me stesso: Sì sono spaventato del compito, non solo di accettare un ufficio cotanto delicato e difficile di parlare dinanzi a voi fra i quali noto oratori fecondi e alati del nostro ceto intellettuale, ma anche di dire due parole al mio Maestro, sempre eccelso nei suoi fervidi discorsi, sempre dominatore squisitamente equilibrato, del suo cuore che è come un oceano in tempesta, ma a cui egli comanda con la sicurezza di un genio e di un condottiero.

«Però, o signori, se non vi ha fatto ostacolo la mia grave età, se, nobilissimi amici benevoli nutriste fede in me, se una pallida e spontanea favilla d'entusiasmo, d'amore, d'ideale, vedrete accendersi in me e scattare su dal vecchio e rude cuore voi lo sapete già, ne dovrete attribuire il merito tutto alla bontà vostra, e a quella di questo preclarissimo uomo, cui siam venuti a rendere un doppio meritato tributo d'amore, quello al valor suo e alla virtù, e l'altro di gratitudine eterna dei suoi beneficati, i fratelli del mare.

«Ma prima di tutto, egregi signori, permettetemi ch'io ringrazi, dal profondo del cuore tutte le persone e le autorità cittadine qui convenute; che saluti e ringrazi quel gentiluomo che ci fa gli onori di casa, S. E. il Senatore Nino Ronco, e non soltanto in nome dell'On. Comitato, ma anche nel vostro, amici marinai, perchè S. E. ha dimostrato sempre per voi un caldo affetto, una simpatia austeramente benevola, sempre improntata a un ideale veramente marinaro, di questa ligure idealità che comprende nei suoi eccelsi e gloriosi antichi e civili progressi che abbracciano tutta la grandezza dell'antica Repubblica di S. Giorgio, dalla scoperta dell'America, all'arricchirsi di forte razza ligustica le lontane repubbliche del Plata e del Brasile, tutti i più moderni e auspicati trionfi della Marina Mercantile sui mari del mondo. E il saluto più trepidante io gli porgo a nome vostro in questo salone ove suonò, o corrucciata o istigatrice, la gran voce del ferito di Palermo, Stefano Canzio; non è che una pallida ma entusiastica lode per la sua costante simpatia che non verrà mai meno, l'alto pensiero di sapere che la nostra Italia ha tutto da guadagnare dalla democratizzazione degli ideali marinari.

«Mando, poi, un saluto affettuoso al signor Comandante Ettore Ribaudo, per l'amore devoto, la fervida cooperazione presa con signorile e giovanile alacrità a preparare questa funzione solenne, a condurla ad esito così splendido. E ringrazio, con sentito fervore l'Ingegnere macchinista sig. Conte, per la sua iniziativa e l'incontro fraterno e sollecito del Capitano Gauthier nel medesimo sentiero; ringrazio sentitamente i gentilissimi della commissione di controllo Sig. Comandante Dodero, ingegneri macchinisti dall'Orto e Barabino, per la squisita finezza con la quale fino dall'inizio dei lavori, incoraggiarono e alacremente spinsero tutti alla buona riuscita della gentile e nobile funzione odierna.

«Taccio del saluto doveroso agli esecutori artistici dei doni, signor Jhonson di Milano per la finezza di esecuzione della medaglia d'oro; del chiaro prof. Griffo, per la splendida e perfettissima pergamena, vero gioiello dell'arte, che rappresenta, in simbolo, la seconda rivendicazione ideale socialista negli evi (quella dell'umile e nudo pescatore di Galilea essendo la prima e la iniziatrice di tutte le rivendicazioni umane); vi è tratteggiato, da mano maestra, il leggendario episodio di Tiberio Gracco spartente le terre ai lavoratori; del sig. Rito Carbone, esecutore della seconda pergamena, che ritrae con tanta verità di giustizia il trionfo del marinaio nel suo riscatto, nella sua redenzione: lotta, trionfo, riposo e pace. Il pittore ha ritratto così al vero il vecchierello che dopo una vita di dolori e di stenti, riposa finalmente in pace, e il fanciullino che lietamente porge al nonno il mazzolino di fiori, che non si può sentirsi il cuore profondamente commosso, inumiditi gli occhi di pianto, perchè il pensiero corre involontariamente a questo gentile apportatore, all'uno e all'altro, d'un'ora di pace e di felicità, dopo un'infinità sequela di dolori e di strazi dei quali è piena la storia della gente di mare.

«Con animo profondamente commosso saluto poi la grande famiglia marinara, quella che attualmente è sparsa sui mari, quella che è nei porti d'Italia, quella che fa qui lieta corona al suo segretario; questi signori la rappresentano tutta, uno per categoria, capitani, macchinisti, telegrafisti, nostromi, caporali di macchina, maestri di casa, camerieri, marinai, mozzi e con essi un rappresentante degli uffici d'amministrazione della Marina Mercantile.

«In questo medesimo istante, ricevo preghiera da una commissione di radiotelegrafisti, di porgere in modo speciale al caro e buon Capitano Giulietti, un saluto e un ringraziamento per tutta l'opera svolta a favore di una categoria cotanto dimenticata e pur così meritevole, per i larghi ed alti esempi di sacrificio personale durante la guerra; la categoria dei radiotelegrafisti, ch'Egli elevò al rispetto dovuto, e a questo il cuore si presta con ala d'amore veementissimo, perchè chi parla conosce tutta la serie silenziosa di disciplina, d'intelligenza e di bontà prettamente italiana, veramente universale di tutti quei giovani, votati al dovere. Tutti questi amici, anzi fratelli, sono in questo momento, dal Comandante al Mozzo, l'esponente unico e vero di tutti i martiri, della lotta titanica da te iniziata e aspramente condotta a fine per la loro redenzione; essi rappresentano tutto quello che di dolore e di spasimo s'annidò nel cuore di generazioni e generazioni di marinai, esposti ad ogni periglio, ad ogni vilipendio, ad ogni dolore e che tu salvasti nel corpo e nell'anima.

«Loro condottiero, rivendicatore dei loro diritti sempre conculcati, derisi, straziati, li vedi in questo momento dinanzi a te col volto radioso e sorridente, pieno il cuore dell'ardente bramosia di gridarti il loro «grazie», di dimostrarti l'anima grata e lietamente rimpaciata con la vita, e tutto fu vinto per la sola tua magnanima e generosa opera decenne, condotta con sforzi inauditi, con sacrifici che sanno d'incredibile, se si riflette che la lotta sostenuta contro poderosissimi enti interessati, durò appena dieci anni, un attimo, è vero, della vita umana, ma pensate! Sostenuta da un uomo solo, al lavoro il giorno e la notte, dimentico di ogni altra cosa che non fosse la famiglia marinara! Quanto lavoro, quanti sforzi, quante lotte; perfino l'amarezza del carcere, il gelido orrendo orrore della manetta, spina pungente a chi alto sente il senso della giustizia divina conculcata, ma serenamente sofferta nel pensiero ideale della risorta gente sua, che dal mare trae l'amarezza della vita, dall'ingiustizia la saliva amara e salace del pane sanguinante, gettato da mani scintillanti di gemme e di diamanti.

«Ma tu, o buon Giulietti, sorpassasti tutto, le immense battaglie per aprire il varco alla redenzione della moltitudine marinara, gli scherni e le rappresaglie, i sorrisi e le calunnie, tutto. A noi sembra dover ravvicinare le terribili lotte dei conquistatori delle leggendarie foreste brasiliche e californiane, ove da millenni crescevano ogni sorta di alberi e animali velenosi, ogni specie di serpi e vampiri, ma il piantatore e il bandierante avanzano intrepidi a distruggere, per forza d'ascia e fuoco, gli ostacoli al cammino della civiltà, ma lasciando brani di cuore e di membra fra le spine orribili della foresta vergine impenetrabile che non ma prima aveva veduto faccia d'uomo bianco.

«Ecco perchè, capitano Giulietti, onde rimanga alla storia della Federazione e negli annali del progresso sociale, e sia sculto a caratteri indelebili il Tuo geniale, prodigioso sforzo compiuto da Te solo, lascia, dico, a nome dell'On. Comitato, col cuore traboccante di gioia, ti si consegni in proprie mani, ad uno ad uno, i ricordi eterni, che la Tua gente di mare ha voluto offrirti come simbolo di quanto ti deve, e che ti si esprima tutto l'amore di una gratitudine eterna, tutta la fede negli alti destini della Marina Mercantile che tu vai preparando con le navi proletarie della da te creata «Garibaldi».

«La medaglia, non rappresenta soltanto un frammento di metallo prezioso più o meno di valore; vale assai di più, è il simbolo di migliaia e migliaia di brani di cuore di tutti i marinai, ogni suo atomo è un palpito, uno scatto di fervore, d'entusiasmo, difede.

«La pergamena sulla quale il Poeta compendiò meravigliosamente tutta la tua opera titanica di un fervore tenacissimo, improbo come lavoro materiale, tessuto su un debolissimo filo di idealità, ti dice, e lo proclama all'Italia e al mondo, che sapesti trasformare tutta la tua rara energia di marinaro sereno e prudente, dell'Agitatore magnanimo, del gentiluomo modesto, vero Baluardo senza macchia e senza paura, senza infingimenti e senza blandizie, spronando senza riposo i pavidi e gli incerti, i malfidi e i fiacchi, ferreo, austero, persuasivo, modesto, dolce e sereno, ma implacabile sferzatore alla luce del sole di tutti i cattivi e i malevoli che ti attraversavano il cammino delle rivendicazioni sante dei tuoi fratelli marinai; senza misericordia verso i sicari appostati alle spalle, fustigatore implacabile di tutti gli abbietti, ma angiolo di pietà e di compassione per tutti i sofferenti, i perseguitati, gli sfruttati del lavoro.

«Su tutte le distese dei mari d'Italia e del mondo, in questo momento vi sono migliaia di tuoi fratelli che ti mandano dal profondo del cuore, una benedizione, in cui si fondono tutti i palpiti di dolore dei vecchi e dei giovani, a cui facesti dono di un pane meno doloroso, d'una esistenza meno martoriata, ai quali infrangesti le catene d'ogni tirannia; vi suonano i palpiti di vecchi cadenti, disfatti dai travagli del mare, che da te, solamente da te, ebbero un tetto e un letticciolo negli ultimi istanti della vita; vedove e orfanelli che sapesti accogliere sotto le poderose ali tue, e per i quali tanto facesti tesoro di bontà, di compassione e che ti mandano ora, per bocca dei loro rappresentanti, misti ai baci di gratitudine, i voti ardentissimi per una lunga vita felice, ogni più arricchita di trionfi, fulgente nei ricordi dei dolori che sapesti molcere, delle pene che giungesti ad alleviare, sempre animoso ed entusiasta d'ogni più dolce divenire della classe marinara, sempre con gli occhi rivolti alla ascensione più perfetta di questa società umana avida di virtù.

«Talvolta – buon capitano Giuliettiriandrai al ricordo delle tue lotti immense, e ripenserai a questi tempi di tempeste, socchiudi, allora, questo cofano; dai un'occhiata alle tante pagine dell'album che racchiude la memoria sempre viva di centomila anime; ogni firma, rappresenta un palpito, un sorriso, una lacrima; sono nomi vergati con lettere tremolanti da mani rude e inesperte; firme inintellegibili, tirate giù alla brava con furia marinara; ci troverai numerosi scarabocchi, perchè, , accanto al compagno che a malapena sapeva tenere la penna in mano, un altro lo spingeva dicendogli che anche lui voleva firmare, per farti sapere chi era colui che aveva pensato a te e che quello era il suo nome (incomprensibile pure), ma tant'è, quell'anima grata, semplice, ingenua e affezionata lo aveva vergato con una lacrima nell'occhio, con un palpito di cuore più lungo e più fervido.

«Vi troverai anche i nomi di modesti impiegati marittimi e quelli della tua famiglia federale che sempre trattasti con nobile larghezza d'affetto, con signorilità di modi, con equanime liberalità, insomma alla tua memoria riappariranno affratellati, per un effimero attimo della vita, mille amici, mille fratelli, centomila anime, tutte rivolte verso di te in un palpito immortale d'amore sublime, quasi non terreno.

«Questo effimero dono (effimero se comparato alla meravigliosa opera tua che non compatisce altri paragoni), rimarrà eterno nella storia della Federazione, come eterno tetragono, rimarrà il monumento che tu solo creasti; lo dirò anzi, con le medesime parole dello storico, che come Augusto aveva trovato una Roma di fango e la lasciava di marmo, tu davi al bronzo un edificio che è gloria della Marina d'Italia, pegno immortale al progresso del mondo.

«Prima di terminare il compito assegnatomi, e facendo forza a me stesso, perchè la commozione è maggiore della mia volontà, permetti che questa vedova e questo orfanello di marinai, che la guerra lasciò senza sostegno, e che vengono a rappresentare le innumerevoli vedove e orfanelli lasciati dall'immane catastrofe mondiale, ti porgano umili fiori, bagnati col pianto di tante madri, di tanti orfanelli. A questi esseri umani non sorride più la pace sul tetto di casa: freddo e deserto è il focolare domestico; non più la mano carezzevole del padre si poserà a benedire e confortare la debole creaturina che s'avvia pel mondo, ma alla quale tu, pieno di compassione e di pietà, corresti incontro a difendere la vita, i diritti, l'avvenire. Questa madre, il cui cuore, come il mare, è pieno di eterna amarezza, viene a dirti, fra le lacrime, che tutte le madri italiane, per bocca sua, ti ringraziano e ti benedicono con gli occhi, più che con la lingua che non saprebbe esprimerlo, quanto tesoro rimane vivo, palpitante, vero, buono, nella futura gioventù italiana, alla quale tu dischiudi con la «Garibaldi», un avvenire di conforto e di bene.

E ora – a voi fratelli del maredate uno sguardo al passato, ai patimenti sofferti, alle mortificazioni subìte, alla vita piena di mali e di cattivi trattamenti, a bordo e a terra; a bordo per locali malsani e fetidi, per alimenti scarsi e avariati; a terra per ruberie senza nome, in preda degli accaparratori, dei sensali, dei vampiri, in agguato eternamente per succhiarvi i pochi e sudati guadagni, sotto la minaccia, le imposizioni, i trattamenti da schiavi dei superiori, dei padroni e di quanti altri avevate bisogno per ottenere un imbarco a sfamare le vostre creature lasciate negli ingrati porti a basire nella miseria e nel dolore, e comparate quei tempi a quelli del momento attuale; è tutta l'opera di un sol uomo, del suo nobile cuore e del suo lavoro titanico e indefesso. Beneditelo dal profondo del cuore, perchè Egli è veramente il vostro genio tutelare, il marinaio eccezionale e insostituibile che ha sacrificato tutto se stesso, tempo, giovinezza, i comodi e gli agi propri, per la vostra felicità e per l'avvenire dei vostri figli; salutatelo, dunque, o fratelli, con voce d'uragano, con l'evviva più ardente della fede, della gratitudine e dell'amore».




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