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Giulio Tanini
Storia della federazione italiana lavoratori del Mare

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  • Cap. VI   I MARITTIMI LEZIONANO UN MUCCHIO D'IMBROGLIONI ALL'UNIVERSITA' POPOLARE 23 Agosto 1913   INCIDENTI - BOTTE - GUARDIE - ARRESTI
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Cap. VI

 

I MARITTIMI LEZIONANO UN MUCCHIO

D'IMBROGLIONI ALL'UNIVERSITA' POPOLARE

23 Agosto 1913

 

INCIDENTI - BOTTE - GUARDIE - ARRESTI

 

 

In conseguenza dell'esito dell'Assemblea, indetta da quella minoranza, fu convocata una regolare assemblea che cacciò via coloro che avevano agito arbitrariamente. Così coloro, che avevano tentato di espellere Giulietti dal Partito Socialista, furono espulsi. Ma si ordirono nuove imboscate, dato che l'agitazione dei marittimi si avvicinava a grandi passi. I diversi gruppi avversari formarono un'arco che abbracciava tutto quel settore infernale dove Lucifero stritola tra le mandibole le diverse qualità di traditori e di fedifraghi. Quelli di natura capitalistica, quelli cioè che facevano capo alle Compagnie di Navigazione, erano i più interessati a rendere impossibile l'agitazione di Venezia, dalla quale dipendevano le sorti di tutti i marittimi italiani. Visto che il metodo di lotta inventato da Giulietti era imbattibile (il metodo delle malattie per fermare le navi rispettando la legge), puntarono i piedi da tutte le parti per fare nascere qualche fattaccio. Un patto scellerato unì tutti questi avversari. Racimolarono negli angiporti elementi d'assalto e poi, servendosi di un portavoce sindacalista, annunciarono una pubblica riunione all'Università Popolare. I muri di Genova apparvero tappezzati con manifesti, nei quali si leggeva:

«Il fenomeno Giulietti – l'organizzazione marinara – grande conferenza contro il sindacalista Giulietti all'Università Popolare. Interverrà la stampa. Si accetta il contradditorio».

Qualcuno avvicinò Giulietti per consigliarlo di non raccogliere la provocazione e di non andare al contraddittorio. Giulietti non rispose al giuda. Si recò invece a bordo delle navi e invitò gli equipaggi a trovarsi all'ora opportuna nella sede sociale.

I marittimi riempirono il salone all'ora indicata. Giulietti li diffidò ad andare armati, e li invitò a consegnare al portiere ciò che avevano di persuasivo addosso. Consegnarono parecchi sacchi di roba! Tra i convenuti vi erano una ventina di mori quanto mai affezionati, avendo ottenuto a bordo lo stesso trattamento dei bianchi. Giulietti organizzò la massa in tre colonne che si avviarono contemporaneamente all'Università Popolare. Bisognava salire a Piazza De Ferrari. Dovendo infilare strade strette (carrugi), Giulietti pensò di non fare una sola e lunghissima colonna. Per le salite i mori essendo più leggeri passarono in testa a tutte e tre le colonne, ed entrarono per primi nel salone dell'Università, dove gli avversari, vedendoli, allibirono. I sicari, i provocatori tremarono. Giulietti, sapendo di avere a che fare con un avversario perfido e senza scrupoli, lo circondò, schierando trecento uomini lungo ogni parete laterale e cinquecento per ognuna delle due frontali. Vista questa parata, i capi avversari cominciarono a filarsela via. Il povero conferenziere – preavvisato – girò sui tacchi prima di entrare nell'aula e dalla paura prese la strada della Scoffera. Qualche avversario nella disperazione del fallimento dell'impresa gridò: «Abbasso Giulietti». Fu un grido provocatorio, la scintilla che accese la zuffa. Entrarono così in campo simultaneamente le forze schierate marinare. I provocatori corsero all'uscita. Dalla paura vi corsero di volo facendo gruppo per forzarla. Passarono così a rilento tra il visibile compiacimento dei marinai.

I primi a scappare furono i capi, che si precipitarono alla vicina Questura per chiedere aiuto. Eroici quei socialisti! Ma non lo erano socialisti! Costoro dimostrarono di essere dei buffoni, dei volta gabbana, dei vigliacchi, degli asserviti ad innominabili interessi.

E la Questura intervenne con squadre di numerosi poliziotti. Allora divampò la lotta tra loro e i marinai. NON SI SALVÒ UNA SEDIA. TUTTO VENNE FRANTUMATO.

GIULIETTI, MENTRE GLI AVVERSARI SCAPPAVANO, ERA SALITO ALLA PRESIDENZA E AVEVA APERTO IL COMIZIO A NOME DELLA FEDERAZIONE MARINARA rimasta padrona del campo. Mentre parlava entrarono i poliziotti. Si gettò nel mezzo della mischia per evitare complicazioni.

Poichè i poliziotti tirarono a mettergli le mani addosso ad istigazione di un traditore, che si era messo in un angolo morto e ne era uscito alla vista delle guardie, i marittimi, visto che queste guardie impedivano a Giulietti di liberarsi, lo sfilarono via al di sopra del loro cordone, opportunamente indebolito.

Uscito fuori dal salone dell'Università Popolare, Giulietta radunò i suoi compagni che in maestoso corteo s'avviarono alla sede federale. Passando dinanzi alla statua dell'eroe di Calatafimi, in quella figura simbolica che rispecchia le rivendicazioni di tutti i popoli da tutte le tirannie, davanti al primo marinaio della marina mercantile d'Italia e del mondo parlò alla assiepata falange dei suoi fratelli: le sue parole furono di fuoco e ove vi fosse stato bisogno ancora di destare nei rudi cuori marinari sentimenti più ardenti, quello ne fu l'altare. Dalla massa dei marinai, e del popolo presente, dagli stessi cittadini che si erano agglomerati si elevò una commovente manifestazione.

Alla Sede Federale venne redatto il seguente ordine del giorno:

«I lavoratori del mare, riuniti a solenne assemblea la sera del 23 agosto 1913, dopo il mancato contraddittorio all'Università Popolare, constata la fuga degli avversari dal Comizio da loro stessi provocato, denunciano al disprezzo dell'opinione pubblica il traditore, che nei locali destinati alla civile discussione additava gli organizzatori dei lavoratori del mare alla polizia perchè venissero arrestati; proclamano la loro rinnovata concordia e solidarietà e la loro illimitata fiducia per il Capitano Giulietti».

Venne deciso che questo ordine del giorno fosse portato dalla massa dei marittimi alla redazione dei giornali della città.

Frattanto Genova era in subbuglio; si diceva che gravi avvenimenti erano accaduti all'Università Popolare; che vi erano stati dei feriti; che si incitò alla ribellione la folla radunata in piazza De Ferrari ai piedi della statua di Garibaldi; ma si diceva anche la verità a favore dei marinai. In Questura si erano dati convegno gli avversari stordendo il Questore con notizie fantastiche. Questi, allarmato, visto che tra i denunciatari vi erano persone politiche di diversa gradazione, dispose per l'arresto del nostro Segretario. Intanto, i marittimi, nulla sospettando, si erano avviati verso la Via Caffaro, per recarsi alla redazione di quel giornale e consegnare l'ordine del giorno contro la geldra dei traditori.

Giulietti con una delegazione di marittimi venne ricevuto dal Direttore che assicurò la pubblicazione.

Mentre entro la sede del giornale avvenivano questi fatti, la Questura faceva bloccare Via Caffaro.

Appena Giulietti uscì dal giornale venne arrestato. I marittimi erano stati divisi e separati da cordoni di forza pubblica. Tuttavia, appena videro Giulietti ammanettato, sfondarono i cordoni e riuscirono a raggiungere il loro Segretario per liberarlo. Entrarono in funzione le rivoltelle e sopravvennero rinforzi di forza pubblica. Sulle tempie di Giulietti furono spianate quattro rivoltelle. Egli sorrise dicendo che non ve n'era bisogno. Venne così tradotto, insieme ad altri marinai arrestati, in Questura ove doveva constatare uno spettacolo indegno: i perfidi avversari di diversa specie e colore erano là, con gli occhi dilatati dal compiacimento di vederlo ammanettato; gongolavano di gioia, e pareva che dicessero: «Ti abbiamo preso, ingenuo, ora... i pescecani della povera plebe navigante esulteranno; li abbiamo serviti bene! I loro trentatrè denari sono stati bene spesi».

Quando i nemici videro che Giulietti era in galera, si diedero da fare per farlo stare dentro il più possibile. A tal fine incominciarono a falsificare i fatti, sottacendo che la riunione all'Università era stata indetta da loro con sistema ultra provocatorio.

Ma gli equipaggi delle navi misero subito le cose a posto, facendo sapere che le navi non sarebbero partite fino a che Giulietti non fosse stato messo in libertà.

Di fronte a questa netta posizione della gente di mare, l'Autorità procedette agli accertamenti con sollecitudine. Venne così fuori che la colpa era dei veri provocatori; i quali, tra l'altro, avevano assoldato arnesi da galera la sera della conferenza all'Università Popolare; e per conseguenza, dopo soltanto due giorni di carcere, Giulietti fu rimesso in libertà in virtù della fraterna, spontanea, generosa solidarietà degli equipaggi delle navi.




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