Sarebbe molto difficile riassumere in un articolo la vita di
quest'uomo, il cui ingegno fu duttile e vasto, la cui mente elevatissima
abbracciò quanto è possibile a intelletto umano conoscere.
La sua figura fisica e
morale.
La Sua figura era tipica. Occhi glauchi rispecchianti il cielo e il
mare immenso; sorriso dolce e aperto. La sua testa incanutita era di un candido
immacolato e tutta la sua persona inspirava contemporaneamente confidenza e
rispetto.
Egli fu anima profondamente mite ed altruista. Passò nel mondo come un
astro di prima grandezza illuminando di purissima luce propria il cammino arduo
delle plebi, in ascesa verso migliori destini. Fu seminatore fecondo di bene,
che sparse a piene mani. Difese instancabilmente i miseri, i doloranti della
vita e fu pago della soddisfazione che ne viene dal dovere religiosamente
compiuto. La sua anima tese, come un solo respiro, alla redenzione delle classi
povere, dando per esse cuore e intelletto. Fu esempio vivente di rare virtù,
fiore esotico, faro di luce inestinguibile.
Dapprima ardente repubblicano e mazziniano, divenne in seguito un
apostolo delle grandi dottrine socialiste di cui fu profondo cultore e che
propagò incessantemente con la penna e con la voce quando per l'Idea si
rischiava la galera.
La sua opera scientifica.
Scrittore forbito, elegante e veemente, attuò nel giornalismo italiano
e straniero con diuturno sforzo intellettuale, svolgendo un programma di
educazione ed elevazione spirituale delle classi lavoratrici.
Vero poliglotta, conosceva ben quattordici lingue. Si era approfondito
inoltre nella chimica e nella fisica; inventò parecchie macchine fra le quali un
apparecchio avvisatore di fiume in piena, un telefono altisonante in cui il
ricevitore dei fonogrammi può udire da oltre dieci metri di distanza; ideò pure
un centralino telefonico automatico e un anemografo che donò a Francesco
A. Lanza dell'Istituto Meteorologico Uruguayo di Montevideo.
E a dimostrare che non solo le scienze esatte lo
appassionavano, lo vediamo dedicarsi allo studio dei fiori e delle piante. È
nel Brasile che studia, attraversando quelle grandi foreste, le proprietà
medicinali di certe piante e fiori selvatici brasiliani e scrive un libro di
botanica, specialmente dedicato allo studio delle piante di quelle regioni:
libro che affidò per la stampa a certo signor Avellino che finì per gabbarlo e
negargli i diritti d'autore.
Lavorò col Battelli all'Università di Pisa, col Righi e
con lo Schiapparelli. Sotto la sua direzione si costruirono in America
ben ventitrè stazioni meteorologiche, e le sue osservazioni di vent'anni sono
documentate nei bollettini meteorologici d'Italia.
Lascia inedita una importante opera di chimica ed uno dei più
completi formulari di chimica inorganica.
Centinaia e centinaia di articoli, scritti in giornali italiani ed
esteri rivelano una profonda conoscenza della materia. Con portentosa facilità
espose i soggetti più ardui ed astrusi, sia scientifici che letterari,
porgendoli al pubblico senza arie professorali e con un garbo che raramente si
riscontra negli scrittori di cose scientifiche.
Nella febbre del buono e del meglio seppe meditare lungamente,
astrarsi, scrivere sui gravi problemi dell'esistenza. Compose anche un libro
sull'Avviamento allo studio della filosofia; lavoro piano, accessibile a
tutte le menti.
La sua opera letteraria.
In letteratura compose versi di un perfetto classicismo soffuso di
modernità. Le sue opere principali sono: «Exigua Ingentis» raccolta di
circa duecento sonetti; «Calatafimi» opera celebrante la grande epopea
garibaldina; «Il lamento del Poeta per un cipresso abbattuto», poemetto
dai versi soavi e soffuso di nostalgia infinita; vero gioiello della moderna
poesia italiana.
Il lettore ricorderà l'appello lanciato, or non è molto, alla
cittadinanza per un asilo ai senza tetto, da dedicarsi al ricordo dell'eroe
romagnolo, Amilcare Cipriani. Egli, per racimolare qualche soldo a questo
scopo, scrisse «Cenni biografici della vita di Amilcare Cipriani» e un
poemetto «Il dolore» dedicato al dolcissimo poeta genovese Carlo
Malinverni.
Fra le sue opere pregevoli troviamo «La Garibaldi» peanica
marinara; «La Mazzini» altra peanica marinara scritta per
l'inaugurazione della nave «Mazzini» della Cooperativa Garibaldi;
«L'ombra del viandante» poemetto dedicato alla memoria del caro poeta
Roccatagliata Ceccardi.
Le sue opere inedite sono: «Storia della Federazione Marinara; il
capitano Giulietti e l'opera sua»; un poemetto dedicato a Luigi Rizzo,
l'eroe dell'Amarissimo; «Giulio Pane» che è la storia autentica dei suoi
dolori, che Egli dedica al popolo italiano. Narrazione delle vicende della sua
vita di continuo lavoro e lotta per la conquista di un pane. Dolori di un uomo
che racconta le atroci delusioni patite durante cinquanta anni. Un'opera amara
e crudele lanciata con coraggiosa sincerità contro le abiezioni e le iniquità
della bassa gora di questo secolo XX.
Fu sopratutto un
umanista, un educatore.
Egli fu sopratutto un umanista, un educatore delle masse. Non
appartenne a sè stesso, ma al suo apostolato. Scese nel cuore delle folle per
tergerne le lagrime ed i dolori, per alleviarle dalla fatica, per innalzarle
alla bellezza e alla dignità della vita.
Sopratutto insegnò coll'esempio.
Visse un pò dappertutto; fra i popoli di tutto il mondo, e ovunque
fece udire alta e serena la Sua voce in difesa dei deboli, degli oppressi.
Ripudiò onori ed agiatezza. Preferì vivere solitario, rimanersene
nell'ombra e rischiarare colla bontà della sua luce coloro che lo avvicinavano.
Vita intima. La sua casa.
Abitava da molti anni un piccolo appartamento in via Apparizione.
Lassù, fra la pace degli ulivi, di fronte alla natura e al mare, guardando,
nelle notti serene, la città illuminata distesa al suo sguardo, Egli s'elevava.
La sua mente piegata entro il cuore cercava in versi inspirati il riposo alla
sua esistenza travagliata.
Chi ha visitato la sua casa ha potuto dedurne la vita austera che Egli
conduceva. Non scrivanie, non biblioteche, non divani. Un'immensa quantità di
volumi allineati sopra tavole messe alla meglio. Pareti coperte di ritratti, di
incisioni, di quadretti figure salienti della grande epopea italiana che Egli
giustamente chiamava la grande rivoluzione di unità; ritratti di
scienziati, di scrittori, di poeti e letterati a Lui cari.
Un orologio a pendolo, da Lui stesso costrutto, segnava le ore. Un
seggiolone che le sue mani avevano apparecchiato alla meglio con tavole, serviva
per riposare alla sera dopo il suo attivissimo lavoro.
Il suo letto: una specie di lunga cassa rettangolare, un pagliericcio
pieno di fieno; due lenzuola candidissime e un «puncho» ricordo caro delle sue
peregrinazioni nei campi dell'America del Sud.
Amò teneramente la buona e dolce Adelina, fedele costante compagna
della Sua travagliata esistenza. Amò ed educò i figli «Con severo amore
paterno».
Se Egli avesse pensato di più a se stesso, se non avesse aperto
continuamente il borsellino a quanti lo richiedevano d'aiuto o a quanti Egli
giudicava bisognosi, avrebbe potuto vivere agiatamente. Ma egli pensava alle
migliaia di reietti che dormono all'aperto, ai miseri che la Società condanna
alla più dura miseria, e gli sembrava offesa all'onestà un qualsiasi altro
miglior modo di vivere.
Cenni biografici.
I seguenti cenni biografici sono ricavati in parte da un suo scritto:
Nacque a Lucca il 29 Luglio 1850, da Pericle, colonnello dell'esercito
piemontese. Nel 1859 segue con la madre le vicende del genitore ed assiste, da
sotto la tenda da campo, col capo nascosto sotto il grembiule della madre, alle
cannonate della battaglia di S. Martino. Nel 1860 gli muore la madre a Parma in
seguito agli strapazzi di reggimento. Lascia due figlioletti che il padre non
si decide a staccare dal suo fianco, e che porta seco in Sicilia. Giulio ed il
fratello seguono il genitore da Catania fino a Palermo. Marcia col reggimento a
piedi, sopporta privazioni e disagi, temprandosi per le future e più ardue
lotte.
Nel 1862 ritorna col padre in Lombardia e vi rimane fino al 1886,
epoca in cui parte da solo alla volta di Lucca dove lo accoglie la nonna. Quivi
è posto a studiare latino e greco, ma dopo due anni, mancandogli da vicino la
tutela paterna, viene passato alla seconda tecnica. Supera sempre
brillantemente gli esami ed è ammirato dai professori i quali scorgono in lui
un intelletto superiore. Siamo al 1869 e le condizioni finanziarie della
famiglia lo obbligano a cercarsi lavoro. Viene impiegato in Valfonda, nella
ferrovia romana, dove spesso deve sorgere in difesa di compagni fatti bersaglio
dalle angherie di superiori disonesti.
Per queste difese viene punito e mandato in Maremma dove risiede fino
al 1884. Da quest'epoca cominciano le persecuzioni per il suo colore politico
internazionalista e per la difesa dei suoi colleghi colpiti ingiustamente.
Polemizza sui giornali L'Amico e il Treno. Appena scoppia il
colera a Napoli, Egli parte in soccorso dei colerosi e lavora con la squadra
Felice Cavallotti; vi rimane fino a che il fiero morbo viene arginato. Gli
offrono una medaglia d'oro per l'opera sua, ma Egli la mette in vendita ed
offre il ricavo ai colerosi bisognosi.
Per un'ingiusta nomina di un suo collega di molto inferiore in
graduatoria, si reca a Firenze per protestare verso il direttore dei telegrafi
dal quale dipende. Ricevuto brutalmente, reagisce ed è costretto a passare a
vie di fatto. Temendo di essere degradato o licenziato, parte per l'America.
Sbarca a Buenos Ayres nel gennaio del 1885; nella grande metropoli Argentina
sperso e solo, non trova lavoro: si accontenta di mangiare pane solo e di
dormire in una vecchia nave ancorata. Ma Egli non si scoraggia, s'imbarca come
marinaio in una carboniera in partenza per New York. Si ferma in questa città
ed è costretto a soffrire un mese di fame e a dormire nelle piazze. Nel 1886 è
ammesso quale telegrafista in un ufficio di Broad Way. Le sue doti, la sua
intelligenza, lo fanno emergere e distinguere. Il direttore lo destina quale
telegrafista di 1.a classe a Matanzas. Nel 1887 è mandato per
riparazioni di cavi sottomarini nel Brasile, nell'Argentina e nell'Uruguay. Nel
1888 il governo dell'Uruguay gli affida una importante missione che Egli compie
scrupolosamente a Milano: indi ritorna nella repubblica Uruguayana e più
precisamente a Mercedes, quale capo ufficio delle poste e telegrafi. Viene
nominato professore di chimica e fisica nelle scuole superiori di quella città
e impianta una importante stazione meteorologica. Dopo molte dolorose vicende,
durante le rivoluzioni che agitano quel paese e dopo aver perduto tre figli,
abbandona deluso l'America latina e parte per l'Italia. Vi giunge nel 1893, e a
Pisa si adatta a fare lo scrivano di un notaio. In quest'epoca scrive un libro
di chimica.
Dopo molti dolori e miserie; dopo infinite ingiustizie patite, parte
per Tunisi dove trova impiego presso quelle Ferrovie. Gli si impone, dopo
qualche tempo, per rimanere al suo posto, la cittadinanza francese; ma Egli
rifiuta e nel 1897 ritorna a Livorno dove apre una scuola di lingue e di
insegnamento teorico-pratico di telegrafia e di elettricità. Nel 1900 viene a
Genova, fonda una scuola e quivi rimane fino al 1908, epoca in cui si reca
prima a Londra, poi a New York.
Nel 1911 torna a Genova, dove lo troviamo collaboratore assiduo del
quotidiano Il Lavoro ed altri giornali. Volge tutta la sua attività
nella lotta per i lavoratori e specialmente per i marinai. Si incontra nel 1913
col capitano Giulietti e quindi si unisce e forma un tutto organico colla
Federazione Marinara, alla quale dedica gli ultimi anni della sua prodigiosa
attività.
Abbiamo avuto
occasione di esaminare un suo voluminoso pacco di corrispondenza. Vi si trovano
lettere interessantissime a Lui dirette da illustri uomini di lettere, di arte,
di scienza. Ve ne sono del Battelli, Schiapparelli, Righi, William Crookes, W.
Kausar, C. Lombroso, Galletti, Kropotkine, Eliseo Reclùs, Papini, Malinverni,
Macaggi, Petroni, Viani, Prati, Giuffrè. Sono lettere di lode e di ammirazione.
Si mantenne in costante fraterno rapporto con tutti i garibaldini
viventi; specialmente con Elia, il salvatore di Garibaldi, con Cipriani, con
Bezzi, Cadolini, Tassara.
Da questo incartamento rileviamo che nella sua permanenza a Mercedes
(Uruguay) fondò una Loggia Massonica. Fu segretario di cinque Commissioni
navali Argentine, adibite a studi, in Inghilterra, Francia. America.
La Federazione Reduci Garibaldini, che vedeva in Tanini lo studioso
appassionato della grande Epopea e un fervente ammiratore di Garibaldi, e
garibaldino Egli stesso in fondo all'anima, lo nominò socio onorario perpetuo.
Dalle memorie
cui traiamo questi succinti dati, riportiamo integralmente alcuni periodi:
«Amai l'Italia sempre e teneramente l'Umanità.
Di natura mi sento anarchico. Sono irrequieto e ribelle.
Non serbo odio a nessuno. Vogliano i cieli perdonare a me, come io
perdonai a tutti coloro che mi uccisero nell'anima, nel corpo e nella mente.
Alla mia buona Adelina non lascio nulla, poichè ella sa che io non ho
mai posseduto nulla.
Lascio tutta la mia libreria di 3900 volumi, al mio amico, anzi
fratello Capitano Giuseppe Giulietti, con preghiera di accettarla in ricordo
del vecchio poeta dei Mille, che tanto a Lui deve d'onore e d'ideali.
Vissi e muoio poverissimo».
Ci chiniamo
riverenti; non versiamo sul suo corpo inerte la lacrima di un sol giorno, ma
rendiamo onore e omaggio al Pensiero e all'Azione di Lui che vanno oltre la
tomba.
ATTILIO SCANAVINO
Genova, 1 Luglio 1921.
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