Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Giulio Tanini
Giulio Tanini nella sua vita e nelle sue opere

IntraText CT - Lettura del testo

  • Giudizî critici sulla sua opera letteraria
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

Giudizî critici sulla sua opera letteraria

 

"L'AZIONE" – Venerdì 20 Febbraio 1920.

"EXIGUA INGENTIS"

Giulio Tanini, la cui Musa pare esprimere e riconcentrare tutto il calore della sua ispirazione in questo volumeedito con tanto lindore di veste dai Fratelli Lambruschini d'Empoli che lo adornano pure di dodici vaghissime fotoincisioni – non è poeta nuovo alle lettere nostre, e già della sua «Visione di Calatafimi» la stampa italiana ebbe ad occuparsi con meritato elogio. Ma in «Exigua ingentis» egli rispecchia, finalmente, tutta intera l'arte sua e il suo pensiero.

Qui, infatti, nello slancio lirico dell'anima, noi ritroviamo quell'ardore di convincimento, quel mirabile impeto bollente di giovanile generosità, quella freschezza di impressione, ch'egli sa incidere, talvolta scolpire, nel suo verso e che congiunge spesso ad una gentile pensosa mitezza di voci le quali ricercano e trovano un'eco simpatica nelle nostre voci interiori.

La forma che il Tanini predilige sopra tutte nella metrica sua è il sonetto «la forma più resistente della lirica italiana» come ebbe a giudicarla il Carducci: e la predilige, quasi sempre, nella quadratura classica che ricevette dai più eminenti maestri, a partire dal Petrarca; voglio dire lo schema A. B. B. A. per la quartina. Ed è forse la forma che meglio si conviene al suo temperamento artistico, sempre così sobrio e severo nelle linee costruttive, così armonico nell'assieme della sua toscanica architettura, anche quando egli costringe per entro a quelle quattordici linee tanto rigoglio di luci ed esuberanza di colorito.

Talvolta come in Cieca natura, nel Canto de le Constellazioni, nel Canto de le quercie, in Io e l'Universo, in Materia in Vita intima, Parla il Sole, Sirio; si eleva ad accenti che rammentano l'Haraucourt, intendo l'Haraucourt de La response de la Terre e delle altre sue produzioni più serie e meditate. Tal altra, come in Foresta boliviana, Miniera di Pennsylvania, Visioni antiche fa pensare alla ispirazione scientifica dello Zanella, ma con ben altro soffio di idealità viva e vivente della vita dei tempi nuovi.

Poichè vari e multiformi sono gli atteggiamenti a cui sa comporsi la musa sua: onde nelle Intimae, tutte di soggetto muliebre, egli ci offre una sua suggestività quasi di sogno alla Poê, sì da richiamare nell'animo le indefinibili indimenticabili sensazioni che suscita in noi l'immortale cantore di Annabel Lee. Non è a dire, tuttavia, che nel sonetto solo costringa l'estro suo di poeta; chè egli sa scioglierlo, quando vuole, a voli più lunghi e più sostenuti, come ce ne fa fede la maschia ode a Narciso Bronzetti. Ma se dobbiamo sintetizzare, in queste note forzatamente brevi, l'impressione nostra, noi ameremmo meglio, e sopratutto, il richiamo a Giulio Uberti, con cui ci sembra abbia il Tanini tanta affinità elettiva e fraterna, nel comprendere l'arte giusta il supremo concetto mazziniano, quale missione; e per quella sincerità di entusiasmo – «l'entusiasmo che del cielo è figlio» cantava lo Schillerpervadente il libro dall'un capo all'altro, che suscita un tumulto di affetti e riesce, quindi, ad assolvere il fine vero e solo d'ogni poesia.

E queste che sono sue doti costanti debbono onestamente valere all'occhio del critico quale scusa alle sue mende.

Ad afforzare il paragone giovano i mirabili sonetti garibaldini, la Visione di Annita, quelli al Catalani e a Tito Strocchi – pei quali due sono pur da vedersi le nitide prose date in appendice al volume – e sopratutto quelli intitolati a Mazzini, a Genova, alla Liguria, a Camogli, che ci sembrano perfetti. Onde il Poeta che conserva così pura e rubusta gioventù di pensiero e di cuore in età già tarda e la spende degnamente come operaio del bene in opera di nobile lottatore per l'ascesa di questa travagliata umanità verso orizzonti sempre più vasti e luminosi, ci sembra potrebbe pur riescire degno specchio di civili proponimenti a tanta parte di giovane letteratura nostra che pone preziosità stilistiche e raffinatezze decadenti a meta ultima di ogni arte.

F. E. M.

 

"IL LAVORO"

"EXIGUA INGENTIS"

Con questo titolo Giulio Tanini ha pubblicato un volume di notevoli liriche di varia ispirazione.

Il Tanini prima di essere poeta nell'arte, è stato poeta nella vita, ossia sognatore incurante del domani: ha ramingato attraverso i campi più disparati dal sapere umano con la mente fissa ai più elevati problemi della vita e dell'essere, ha viaggiato e soggiornato, incontestabile cercatore di verità e di felicità, un dappertutto.

Nelle sue poesie troviamo il segno di questa tumultuaria agitazione di spirito e di memorie: i temi più astrusi sono affrontati audacemente e spesso felicemente, come in «La Vita Eterna», «Parla il Sole», «Il Grido dell'Abisso», ecc., le foreste e le ampie solitudini americane, rievocate con nostalgia, i dolci nomi dell'amore e dell'amicizia, ricordati gli eroi dell'arte, dell'ideale glorificati.

Il volume porta in appendice alcune belle ed affettuose pagine di prosa dedicate alla memoria di Tito Strocchi e Alfredo Catalani, due grandi infelici, amici e coetanei dell'autore.

Un giudizio dell'Illustre Prof. Galletti
dell'Università di Bologna

Stralciamo da una lettera, inviata dal dotto Prof. A. Galletti dell'Università di Bologna al Prof. Giulio Tanini, il brano seguente:

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Le dirò soltanto, e assai modestamente, che nel Suo volume: «Exigua Ingentis» batte un'anima sincera di poeta, un'anima non letteraria, non inviluppata e mascherata di sentimenti e atteggiamenti presi a prestito alla moda e all'occasione: moda estetica, o fisolofica, o altro; occasione offerta dal prevalere di certe opinioni o dal prevalere di certi idoli; ma un'anima profondamente libera, rimasta giovanile e ingenua anche sotto i colpi della sorte ed il peso degli anni.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . "CORRIERE DI LIVORNO" – Lucca, Gennaio 1920

 

"EXIGUA INGENTIS"

Sotto questo titolo Giulio Tanini ha pubblicato (coi tipi dei fratelli Lambruschini di Empoli) un volume di versi, che porta in appendice anche alcune prose.

Questo libro presenta pei lucchesi uno speciale interesse, perchè vi si trovano alcune belle pagine su Catalani e su Tito Strocchi. L'autore, che è legato alla nostra città da vincoli di sangue e dal dolce ricordo di lieti soggiorni, ha trafuso in queste pagine – come in parecchi altri sonetti d'argomento paesano – tutto il suo amore per essa, raggiungendo pregevole forma artistica nel rendere omaggio ai suoi figli che più la hanno illustrata – con le operazioni del genio e con la nobiltà del pensiero e dell'esistenza – in questi ultimi tempi.

Due sonetti traggono l'ispirazione da una bella medaglia eseguita da Francesco Petroni e sono dedicati a questo nostro artista di tempra schietta.

Ma anche a prescindere da ogni considerazione municipale, gli scritti contenuti nel libro di Tanini si raccomandano da loro stessi – per il ragguardevole valore artistico – alla considerazione delle persone colte.

Il verso è sempre elegante, la costruzione robusta, il concetto elevato e chiaro. Ed il sapore classico non è qui quello sgradevole effluvio di muffa che purtroppo dallo spirito di molti artisti si trasfonde nelle loro opere, ma è fragranza di bellezza contemplata e compresa.

 

 

 

"L'UOMO LIBERO" – 21 Settembre 1919

EXIGUA INGENTIS di Giulio Tanini

È un bel volume in sedicesimo, con splendida veste tipografica. Il titolo, secondo l'autore, significa: Insigne piccolezza. In questo non siamo d'accordo: avrebbe, allora, dovuto intitolarlo: Exiguitas Ingens, o, con significato quasi equivalente: Exigua ex ingentibus.

Comunque, il titolo vuole indicare senza dubbio, la gran modestia del poeta, per cui deprezza tanto il suo lavoro.

Laddove, in realtà, questo volume, che contiene una gran raccolta di poesie e pochissime prose, è, nel complesso, pregevolissimo.

Chiunque si faccia ad esaminare questo libro, si fa subito il concetto chiaro che l'autore è nutrito di buoni studi classici, che conosce intus et in cute i più grandi poeti greci, latini e italiani, e che, inoltre è poeta nell'anima.

Moltissime delle sue poesie sono veramente ispirate e alcune di esse, per la robustezza del verso e per il contenuto, ricordano quelle del Carducci. Ciò contrariamente a quanto egli afferma nella prefazione: «I miei scritti sono coserelline che i matti da legare chiamano poesie: sono poi scritte in un genere, che babbo Carducci diceva un tantino infamante e il perpetratore di tanta indegnità degno degnissimo della galera perpetua».

Certo fare il confronto anche lontano tra un poeta, pur di valore, e il Carducci, che non è un grande, ma un sommo, sopratutto un caposcuola il solo che osò e riuscì a introdurre e far vivere nella letteratura il verso alla latina, cosa tentata invano da altri, molto prima di lui, è un po' temerario. Ma è anche vero che si cade nell'eccesso opposto, quando s'innalza troppo alle stelle l'autorità, perchè si cade nel preconcetto e il preconcetto fa sempre prevaricare. Quante volte avviene di trovare tra le persone più oscure, (che possono avere una grande coltura e un grande ingegno) di quelle che hanno composto qualche lavoro letterario da mettersi al pari dei più famosi scrittori?

Io conosco molto intimamente un capo ameno, il quale mi raccontò che una volta, dopo aver recitati dei versi ad un amico, insigne poeta, gli chiese:

– Ti piacciono?

Bellissimi! Di chi sono?

– Del Leopardi....

– E dire che io non li conoscevo!

– Lo credo! Sono miei.

– Ah! questo è uno scherzo che non mi dovevi fare! –

O quante volte un alunno ha presentato al suo professore un componimento, copiato, di pianta, da un autore di gran nome, e gli è stato restituito pieno di correzioni e con voto insufficiente!

Colpa delle idee preconcette!

Considerando quanto sopra, non si sa perchè un letterato come quello di cui parlo, non può essersi avvicinato tanto al Carducci, almeno da sfiorargli la veste!

Quel che parrebbe verosimile si è che il Tanini abbia concepito e scritto questi bei versi soltanto oggi, all'età di sessantatre anni! Io avrei pensato invece che fin da giovanetto non avesse fatto altro che sacrificare alle Muse, consacrando loro tutto il tempo migliore, e che fosse da annoverarsi tra i poeti nati, d'onde il detto latino: Poetae nascuntur.

Nel suo volume vi è una collana di poesie, in massima parte sonetti, una più bella dell'altra.

Bellissimi i sonetti; In solitudo quies, Nec spe nec metu, Primavera, Chiaro di Luna, La morte, quello dedicato a Boccherini, a Catalani, a Michelangelo e tanti e tanti altri in cui si rileva, anche nel suo filosofico modo di pensare, carducciano nell'anima.

Alcune poesie hanno sapore satirico, uno stile talvolta arieggia a quello del gran satirico toscano; tali L'imboscato, Il dottor Camomilla, All'orologio elettrico ed altri ancora. Ve ne hanno poi alcune elegiache, che se non fosse per il solito spauracchio dell'autorità, le paragonerei volentieri a quelle di Catullo o di Properzio almeno per un buon numero dei versi che le compongono.

 

*

* *

 

Ma, secondo me, il prosatore non è all'altezza del poeta. Quest'impressione non può a meno di farla, avendo scritto pochissimo in prosa. Come si può fare un giudizio coscienzioso da alcuni pochi cenni biografici, che ha dato alle stampe? Certo dal concetto che ormai mi son fatto di lui, potrei ben credere che avrebbe potuto e potrebbe fare delle prose degne d'encomio.

Quelle poche che ho lette, sono scritte con spigliatezza, qualche volta con stile famigliare, tal altra elevatissimo sempre nella più pura lingua come non potrebbe altrimenti chi ha attinto alle fonti purissime del greco e del latino.

Se il Tanini avesse scritti e pubblicati i suoi lavori alcuni anni innanzi, oggi, senza dubbio, sarebbe annoverato fra gli scrittori che vanno per la maggiore.

Ma poichè il suo volume non può non piacere, non destare ammirazione, avrà, glielo auguriamo di cuore, tutta quella fortuna che si merita.

E. GHISELLI

 

Una lettera del Prof. Avv. Giuseppe Macaggi

 

 

Genova, 25 Luglio 1915.

 

 

Preg. Sig. Prof. Giulio Tanini,

 

La domenica mi concede qualche ora di riposo da dedicare ai doveri dell'amicizia. È un dovere che compio ora, e assai gradito, quello di ringraziarla pel gentile e prezioso dono della sua «Visione di Calatafimi». Ho tardato a compiere tale dovere perchè ho voluto avere letto, in massima parte almeno, il volume, oltrechè perchè oppresso da continue occupazioni e preoccupazioni. Il libro mantiene assai più che non promette il titolo. Una vena alta e larga di poesia lo pervade tutto quanto. Non sempre è usato, con tutta la severità che un critico di professione esige, quello che Dante chiamava lo fren dell'arte. La vena spesso irrompe e straripa; ma è una nobilissima alluvione, dovuta ad amore di patria e d'umanità così impetuoso da non conoscere dighe di precettisti. Altro che Calatafimi!

Il getto di lirica torrenziale, d'una facilità che non ha riscontro se non in Ovidio perchè la mollezza del Metastasio sarebbe fuori di luogo, celebra tutta l'epopea garibaldina, anzi l'intiero nostro risorgimento. Si potrebbe cavarne un'antologia di pagine bellissime. Vi sono strofe che non sarebbero disdegnate dai migliori. E se la critica passa innanzi senza occorgersi, non è essa che abbia ragione di ciò fare, perchè vi sono gruppi di strofe che per efficacia, per vigore di rappresentazione o per impeto lirico meritano di essere ricordati con ampie lodi. Il lettore è costretto a ricordare spesso gli eroi della soffitta del Costanzo: talora deve averli avuti in mente lo stesso autore; e il paragone gli torna ad onore. Lei chiede oblio ai critici; ma i critici non debbono obliare tutte le pagine di questo libro che oso dire valgono quanto altre pagine che vedo tuttodì lodate e portate sugli scudi. Il libro ha raccolto poi una quantità di memorie garibaldine, di episodi memorabili (come quello reso assai vivamente del mio amico Gianchin Francesco Carbone), di ritratti, di reminiscenze poetiche: tutto un repertorio secondario che basterebbe a rendere ricercabile il volume.

Io serberò il libro con le cose garibaldine che più tengo care, e lo citerò, come merita, quando se ne presenterà il destro.

La ringrazio adunque. Ho espresso il mio sentimento, come dilettante di belle lettere, non come Maestro, che non sono in nulla.

Saluti affettuosi dal suo affezionatissimo e devotissimo

GIUSEPPE MACAGGI

 

"L'ORA" di Palermo. – 9-10 Ottobre 1915.

 

LA VISIONE DI CALATAFIMI

 

Come i fedeli di ogni religione ripetono quotidianamente la preghiera propiziatrice così i seguaci dell'Ideale di redenzione umana sentono il conforto incitatore di ricordarsi sovente delle gesta umane, consacrate all'Ideale.

Tra queste una delle più sante che brilleranno eternamente nella Religione del Vero è quella garibaldina.

Onde giova insieme col generoso vegliardo genovese ripensare alla Visione di Calatafimi.

Mille scrittori e poeti ne hanno scritto e cantato e sempre l'anima nostra, assetata d'Ideale, ascolta ogni nuovo scritto che ripete l'omerica impresa aggiungendo o lumeggiando meglio qualche episodio; e con maggior devozione oggi che l'impresa eroica si rinnova per la rivendicazione dell'Italia irredenta. Oggi in cui il tragico contrasto di far la guerra per ottenere la pace giusta, che fu la bussola del grande Liberatore, arriva alle più vaste concezioni, tanto che il Tanini può dire:

«Ma un vate tornerà fatto più terso

«ne l'onda della Storia

«rinnovata, a cantare a l'universo

«quest'Epopea di gloria;

«onde Omero e Vergilio e Dante, i carmi

«fonderanno ne' tempi

«navi del mondo con non già de l'armi,

«ma di Pace gli esempi".

E il canto del poeta s'inspira dapprima coi pionieri e coi precursori:

«Ei fûr due spirti di Messina, eletti:

« – Calvi e il Pellegrini

«due generosi a cui fremea ne' petti

«il verbo di Mazzini.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

«voi sollevaste sul sentier le faci

«agli eroi del Cilento».

E quindi rivediamo tutte le scene dell'epopea, dipinte coi più vividi e nuovi colori.

Tra i canti ci piace notare quello di Trento a Calatafimi:

«E tu, vedi l'Eroe de la tua terra

«O Ferruccio di Trento

«Ergisto Bezzi. . . . . . . . . . . . . . .

«Di Caffaro, Bezzecca e Monsüiello

«ogni pietra che s'erga,

«che di sangue irrorai, novo Sordello

«col carme, oggi deterga».

E il diligente ed acuto psicologo ci fa ricordare con rinnovata ammirazione i sentimenti di quel popolo e di quell'Eroe, che dopo compiuta l'epopea sente il dovere d'inchinarsi al sentimento religioso popolare, quando il 17 maggio ad Alcamo:

«il Redentore

«è tratto a furia in chiesa:

«Fra Pantaleo con voci di furore,

«ne canta l'alta impresa,

«con la voce squillante e ne le ciglia

«una passionpura

«che tutto il popol freme; meraviglia,

«fervor, odio, paura,

« – e il mesto addio

«intenerìa le austere

«vergini da' nerissimi capelli;

«e di Ciullo, lïeta

«sonava antica, pe' sentieri belli,

«la dolcissina strofa del poeta».

Il contrasto psicologico di colui che fa la guerra per conquistare il regno della pace, che è il «leit motiv» dell'epopea garibaldina ha nella poesia del Tanini un grande interprete, specialmente quando mette in rilievo gli episodi più eloquenti, che non sono argomenti della Storia, ma che la cronaca intelligente nota.

E tra questi episodi uno dei più memorandi quello cui accenna il Senofonte dei Mille nelle sue auree Noterelle e che illustrò più ampiamente in uno degli ultimi suoi scritti, a proposito del libro di Gaspare Nicotri su «Le Rivoluzioni e Rivolte in Sicilia».

Mentre le rosse clamanti schiere cantavano i cori grandiosi dei crociati rivelati da colui che «diede una voce alle speranze, ai lutti», presso il Parco il garibaldino, nel cui petto ardeva il verbo di Mazzini, incontrò un frate, il frate Carmelo e

«una camicia rossa e un sajo strano»

parlarono come due vecchi amici.

Il monaco dicevanarra l'aedo – che pur ammirando Garibaldi gli parea che quella ch'egli combatteva non fosse la guerra di cui la Sicilia aveva bisogno.

Ed invero la santa crociata garibaldina desta sempre nuova sete, perchè l'ideale, come diceva il grande mistico russo, è irragiungibile. Ma è l'ossigeno eterno della vita.

«Tu solpensando o Ideal, sei vero

«che sei nervo di vita;

«il resto – e tutto – e tutti – un cimitero,

«per la morte infinita».

 

"CORRIERE DI LIVORNO" 14 Giugno 1915.

 

LA VISIONE DI CALATAFIMI

 

Arma virumque cano. Canta le armi di riscossa e la camicia purpurea, non canta amori o dame galanti, lo annunzia subito Giulio Tanini eletta anima toscana che mosso dalla ubertosa sua Lucca lancia sonoro dal cielo dell'Apparizione di Genova, il peana garibaldino.

Egli è barbuto grave di anni, ma sotto la bianca chioma folta e spiovente e dallo sguardo vivido attraverso il cristallo degli occhiali traspare l'intimo fuoco sacro di febbre ideale che ancora ne agita e scuote le fibre gagliarde e la mente fervida e sobbalzante ai lontani ricordi.

Quanti anni conta il poeta che il 5 Maggioinaugurandosi il monumento sullo scoglio di Quartodiffuse nel pubblico «la visione di Calatafimi» dedicata alle Ombre dei Mille?

«Senza ambagi lo confessa egli stesso che troppo modesto chiama il suo: un tentativo che la critica deve rispettare perchè se è giusto che essa fustighi i giovani ricercando i difetti, gli errori, le manchevolezze, dei loro scritti onde acquistino in più forte età le grazie e la robustezza necessarie a ornare i frutti del loro ingegno, non è opportuno, giusto che punga feroce un vecchio sessantenne il quale giammai scrisse versi e che questi ottomila gettò sulla carta in un momento di delirio senile in poco più di quarantacinque giorni».

Un neofita dunque. Ma se come tale l'improvvisato poeta non chiede ai critici che oblio e agli amici un benigno compatimento, egli fa mostra di una modestia eccessiva pari forse al merito reale di quella – chiamata da lui sempre discreto anzi severo contro se stesso – «povera» Visione.

Eppure quale entusiasmo, quanta fede, qual vigore nelle strofe del poeta, vibranti di slancio, di passione, di adorazione per la gigantesca figura storica di Garibaldi e dei suoi bravi, e saettanti di sdegno e di odio contro gli oppressori dei popoli e i tiranni coronati: Garibaldi è il suo idolo ed egli ne celebra l'apoteosi.

Cento sono i canti, scolpiti con mano maestra; versi rudi e greggi per lo più – sdolcinature e fronzoli ohibò! quando squilla la diana di guerra – ma che fieri e impulsivi come scattarono da un animo insofferente e ribelle acquistano sorprendente rilievo che se forbiti li avesse un cesellator di cartello.

Poche frasi felicissime dipingono una località alpestre o marina; in una quartina si ha l'impressione di un'alba rosata o di un tramonto viola; in due strofe assistiamo alla descrizione viva movimentata di uno scontro accanito o a perigliosa avanzata o di una tacita spedizione notturna; e con tre parole vediamo tratteggiati gli uomini più salienti dell'epopea garibaldina che sfilano in lunga teoria dinanzi al lettore conquiso e attento.

Una pennellata e basta: è ricca la tavolozza colorita del poeta neofita.

Eccoli: noi li vediamo, li indoviniamo, li riconosciamo in brevi tratti i precursori e i pionieri, cospiratori e martiri, pensatori e guerrieri: solo pochi di questi sopravviventi purtroppo!

Della falange gloriosa eccoli i fratelli Bandiera e il prete Tazzoli, Agesilao Milano, Rosolino Pilo, Nievo ed Elia, Schiaffino e i fratelli Cairoli, Ripari e Tironi, Fra Pantaleo e Carlo Mosti, e cento e cento altri e in quadretti minuscoli balzano fuori e riddano fra il grandinar dei proiettili e il corruschìo delle baionette assetate, nomi di capi e di gregari, nomi che affidati alla storia corrono ancora come nomi di leggenda riveriti sulle bocche del popolo.

Ciascuna regione italiana ha il suo omaggio e i suoi campioni nei canti del poeta che ne evoca i baldi figli accorsi a fianco dell'eroe: livornesi e genovesi, di Piemonte e Romagna, di Calabria e di Puglia e pure di Riva, di Rovereto e di Trento! Tutte le cento città sono rappresentate nella cruenta gara.

Così con suggestiva armonia che sorge spontanea ed efficace per quanto semplice e priva d'artifizi, chi legge rivive con dilettosa trepidazione gli antichi tempi celebri per tenacia e prodezza per ribellione e per lotte, epiche gesta famose che oggidì apparirebbero frutto di sbrigliata fantasia ma che suscitano fremiti e palpiti e scatti d'entusiasmo e di ammirazione per chi soffrì, per chi lottò, per chi giacque, onorato anche se sul patibolo.

Tale è «la Visione di Calatafimi» smagliante radiosa inspirata rievocazione degna della mirabile epopea dei Mille che passerà ai posteri circonfusa di una abbagliante aureola d'immortalità. Nella sua francescana umiltà Giulio Tanini può andarne superbo, egli figlio adottivo di Genova la superba.

Ma pure per l'estetica è apprezzabile il libro edito con cura dal sig. Edoardo Isnenghi di Bergamo, figlio del garibaldino trentino Enrico e pur dei Mille, edizione che onora il suo stabilimento.

Quattro interessanti bozzetti lo adornano puranco opera del giovane e valoroso Vittore Marcucci di Lucca, e numerose fotoincisioni di garibaldini, una preziosa raccolta eseguita dal finissimo artista Gianninazzi di Genova, compresa quella della gloriosa bandiera dei Mille.

Fin qui il compito della critica sincera e senza pretese.

ANGIOLO BONCIANI

 

"CAFFARO" – 7 Maggio 1921.

 

Una bella e assai opportuna pubblicazione è quella fatta testè per la grande ricorrenza, (inaugurazione del Monumento dei Mille – Quarto) dal Poeta e pubblicista Giulio Tanini, che con i tipi della tipografia Edoardo Isnenghi ha dato alle stampe la sua: Visione di Calatafimi. – È una cospicua e ispirata collana di poesie tutte illustranti in forma veramente poetica, in versi armoniosi e spontanei, e in un impeto lirico ed entusiasta gli episodi più salienti dell'eroica giornata di Calatafimi e dell'epopea dei Mille, rievocanti anche le figure più eccelse della nostra rivoluzione e più gloriose dei combattenti per la libertà della Sicilia.

Il volume, è in elegante edizione, ornato di nitide fotoincisioni con il ritratto di Garibaldi, di Mazzini, dei fratelli Bandiera, dei superstiti della schiera dei Mille e con il ritratto dello stesso autore.




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2008. Content in this page is licensed under a Creative Commons License