"Il lamento del Poeta per il
cipresso abbattuto"
«L'AZIONE»:
Un cipresso caro al Poeta ed abbattuto quando più nelle sue forze si
produceva, porge l'occasione e l'argomento a una superba saffica in cui Giulio
Tanini effonde ancora una volta l'anima sua di artista, di umanista e di
pensatore.
È pur questa, come tutta l'altra sua, opera di vita vissuta e sentita,
elevantesi alle più alte vette della ispirazione e penetrata, nell'arduo
cammino, dal «pathos» dell'anima universale. Ma il contenuto ha qui reagito,
forse inconsciamente sulla forma; onde questa poesia di pensiero, spezza lo
schema elegiaco del carme ed erompe, nel calore del soffio ispiratore, alla
grandezza ed alla severa maestà dell'ode. Si direbbe che «la fronzuta testa»
del cipresso amico finisca con l'identificarsi nell'intimo del cantore, colla
sua propria, già annosa e pur così vigoreggiante di luce di pensiero: ed egli
stesso si trasumani nello «spirito della selva» onde attorno al suo capo non a
quello delle rimpiante fronde aleggino «le cantatrici dalle alette d'oro» così
care all'attica Musa.
Il Poeta, sì, maledice alla «umana belva» che compiva lo scempio di
ciò che seppe rispettare «la folgore tonante» ma ancora una volta la bellezza
classica, succo vitale di quanto è intimamente umano, si disposa alla nobiltà
dello spirito cui nulla di quanto è umano riesce straniero. E vince. E l'elegia
si conchiude nell'inno.
Ecco: una bacca sopita a pie' del manomesso, crea nuova esistenza
all'albero e con essa rinverdisce la fede che attende sicura nuova poesia
«sgombra d'ogni martoro».
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