Dinanzi alle ceneri ancora fumanti del babbo morto, i figli salutano
nel Padre, una grande anima, un grandissimo apostolo; il letterato, lo
scienziato, il filosofo delle folle proletarie.
Noi viviamo in un tempo in cui gli scrittori onesti e i filosofi
altruisti non abbondano. Il pensiero umano non ha dovizia di alte cime
spirituali che l'intelligenza, la coltura, il lungo studio abbiano posto a
servizio delle classi sofferenti con assoluta altruistica dedizione di tutto il
loro essere, di tutta la loro vita.
Nostro padre che tutta l'esistenza lottò per la redenzione degli
uomini dallo sfruttamento degli uomini, fu una luce spirituale d'inestinguibile
grandezza, fu un faro rischiarante le tenebre di quell'ambiente di basse
cupidigie e di vergognosi mercanteggiamenti di cui Egli fu il più acerrimo
fustigatore.
Sovra ogni cosa, Colui che oggi noi tutti rievochiamo mestamente, amò
la bontà e la fraternità umana: la sua bontà era così illimitata che spesso si
toglieva il pan di bocca per nutrire un povero tapino, per aiutare un
sofferente, per riconfortare un proletario. La sua casa era aperta a tutti; al
suo desco si rifocillarono molti che la società perfida ed egoista scaccia dal
suo seno come lupi randagi e pericolosi.
Le arcane meditazioni della filosofia, le aride e pur sante formule
della matematica e delle scienze, che Egli conosceva tutte profondamente, la
vastità sbalorditiva del suo sapere – a ciò aiutando il possesso perfetto delle
principali lingue antiche e moderne – (ne sapeva dodici) – il diletto dei suoi
classici, che egli delibava in auree coppe ideali, l'aristocraticismo raffinato
del suo spirito leonardesco, fecero del nostro Padre l'Uomo il più temprato ai
dolori umani e il meglio corazzato di fronte all'ingratitudine dei suoi simili.
Questo santo laico del proletariato, la cui gentilezza di sentimenti
non aveva limiti e che non avrebbe ucciso un uccellino per tutto l'oro del
mondo; quest'Uomo che a tutti diede a piene mani i tesori del suo vasto sapere,
diceva che la vita di un essere umano tanto vale per quanto dà senza nulla
chiedere in compenso; quest'Uomo che si era macerato nello studio di Veri
infiniti ed aveva agonizzato dinanzi ai grandi imperscrutabili misteri della
vita; ebbene, questo essere schivo di popolarità, modesto sino all'assurdo,
aveva dei nemici tenacissimi, implacabili; sollevava gli odii mal repressi di
piccoli uomini abbietti che pur sapendo appena leggere e scrivere,
pontificavano su gazzette e giornali.
Pochi lo compresero ed uno solo venne a Lui nella vita a riconciliarlo
con quella umanità che Egli giudicava severamente per colpa della barbaria
storica che ancor oggi sovrasta e opprime le menti. Quest'uno Giuseppe
Giulietti, fu la sola persona che Egli amasse di sviscerato amore e del quale
proclamasse con accanimento, di fronte a viperini detrattori, la superiorità
morale e la generosità del cuore, il cui apostolato ha salvato la classe dei
marinai dai tormenti della fame e dalle ingiustizie del pescecanismo marittimo
- bancario.
La vita del nostro venerato genitore, fu una odissea d'inenarrabili
dolori che pochi uomini hanno conosciuto. I bagliori di questa lotta furibonda,
cominciata a quindici anni, sono descritti nelle sue memorie, un libro tremendo
di verità e d'ironia che tutti i doloranti, i disillusi, i travolti
dall'esistenza dovrebbero leggere e meditare.
Queste memorie del più aristocratico proletario della penna, Egli ha
lasciate per insegnare ai suoi simili, e specialmente agli operai, la tremenda
sinfonia della vita di dolore di un essere che maravigliosamente dotato dalla
natura, tutta l'esistenza trascorse nella lotta contro gli aguzzini, gli sfruttatori
delle plebi e gl'invidiosi della sua persona.
Preferì abbandonare ottime posizioni e con esse l'agiatezza e gli
onori per non essere paladino di una società di violenti e di mercenari. Non
piegò mai; mai tentennò o curvò la spina dorsale dinanzi a chicchessia.
Cavaliere senza macchia e senza paura Egli fu, e mai come a questo uomo dalla
tempra d'acciaio puro e dall'animo adamantino, si addice meglio l'antico motto
della nostra casata «Flangar non flectar.».
La sua penna iridescente, la sua cultura umanistica, i resultati dei
suoi febbrili studi sulle maraviglie dello scibile umano – Egli pose a
disposizione delle classi sofferenti, affinchè si avvantaggiassero nella loro
lotta per la redenzione umana.
Apostolo fervente di nuovi Veri, insigne altruista, ribelle alle
classi dominanti, flaccide ed infrollite nel vizio e nella lussuria,
preconizzava una umanità futura fatta di bontà, di amore, di giustizia.
Il «poverello di Apparizione» simile al poverello di Assisi, amava gli
umili, i più umili fra gli umili, i più reietti fra i reietti.
Come Tolstoi voleva l'infinito bene di tutti gli uomini in una società
purificata e rigenerata dall'amore e dalla coltura.
Come Mazzini additava agli operai la vera via della loro redenzione
nel trinomio: Famiglia - Patria - Umanità.
In Lui, l'amore frenetico per l'umanità non uccise quello per la
Patria. Egli concepiva la patria in funzione di Umanità: questa era per Lui la
fusione armonica di tutte le Patrie del mondo. E nelle Patrie libere egli
inseriva il programma della liberazione totale delle plebi, vaticinato da Carlo
Marx.
In un tutto armonico, nessuno dei grandi problemi sociali della vita
moderna, trovò Giulio Tanini scettico o insensibile.
Egli non negava la Patria, perchè il vero socialismo non rinnega le
Patrie, ma le integra fra loro. Egli diceva che non può sparire quello che il
divino umano ha creato nei secoli. E quando nel 1914 la perfidia e tracotanza
imperialista dei teutoni unita all'albagia militarista dei junker proruppero nella
orrenda guerra delle nazioni, Egli pianse lacrime amare sulle sorti
degl'eroicissimi popoli, schiavi della volontà di alcuni incoronati e
diplomatici senza spirito di umanità. E nella lotta orrenda preconizzò la
vittoria del Diritto sulla barbarie.
Dopo la vittoria completa delle nazioni vilmente aggredite dai
teutoni; quando gli alleati vennero meno alla causa della civiltà mondiale, si
scagliò con frasi roventi e amare contro i traditori dei popoli, non ancora
paghi di tante orrende carneficine. L'ingratitudine della Francia,
dell'Inghilterra e dell'America verso l'Italia, che aveva vinto da sola la
grande nemica ereditaria nella più colossale battaglia della Storia, ed aveva
tanto potentemente e decisivamente contribuito con settecentomila morti e due
milioni di feriti alla vittoria comune, gli fecero comprendere maggiormente
l'infamia di una organizzazione sociale in mano a pochi uomini sordi ad ogni
senso di fraternità umana, tetragoni ai bisogni ed alle sofferenze delle classi
meno abbienti.
Ma la Patria infelice e poverella, Egli adorò sempre teneramente e non
venne mai meno, durante la sua vita, al dovere di ogni uomo di rispettare la
terra che gli diede i natali, specialmente quando questa terra si chiama
Italia; questa nostra Italia che egli considerava il sale della terra, la
nazione altruista e civilizzatrice per eccellenza e dalla quale un giorno, per
la genialità dei suoi figli, dopo l'Impero e dopo il Cristianesimo, sarebbe
scaturita la terza e definitiva sintesi umana caratterizzata nella Internazionale
dei popoli con Roma capitale morale e sociale del genere umano, finalmente e
definitivamente redento.
L'illuminato patriottismo del nostro Padre, non fu mai nè borghese, nè
monarchico. Per la Monarchia non poteva avere soverchie simpatie giacchè è ben
troppo notoria l'infamia colla quale essa trattò Garibaldi ad Aspromonte e che
Mazzini condannò a morte. Egli giudicava l'istituto monarchico inetto e
storicamente sorpassato.
Ai preti serbò il suo odio più sincero: li accusò di tutti i mali da
cui è afflitta l'Italia e per il papato ebbe gli sdegni e le collere di un
Victor Hugo. Però rispettò e amò Cristo nella sua essenza umana più pura e
diceva che il Golgota era l'esempio più sublime di altruismo in tutta la storia
dell'umanità.
Coloro che non hanno ancora dimenticato la nobile e dolce figura di
Giulio Tanini, il vegliardo della Federazione marinara, proveranno, ancor oggi,
ad un anno di distanza dal suo distacco dagli uomini, la tristezza infinita
della dipartita senza ritorno di Colui che tanto amò l'umanità e tanto soffrì
per essa.
Ma se gli uomini passano, le idee restano: non morranno, no, le
sublimi concezioni altruistiche di Colui che tutto offerse ai proletari, ai
sofferenti, ai marinai, agli uomini in catene di questo basso mondo.
*
* *
Dopo una vita avventurosa e piena di peripezie, dopo un lungo viaggio
nel tempestoso mare dell'esistenza, attraverso dolori senza fine, fiammate di
lotte intime e ribellioni furibonde contro uomini e cose, la sera del 30 Giugno
1921 il vecchio lottatore esalava il supremo anelito rifugiandosi sotto le ali
pietose e protettrici della morte. Pietose e protettrici, scriviamo, e non a
caso!
La vita che Egli aveva amata per le sue bellezze, per le sue lotte,
per i suoi superamenti, la vita corrusca e gioiosa che Egli aveva cantata in
versi di un'infinita esaltazione, quella vita che egli aveva sceverato nelle
sue più complesse ed energiche manifestazioni, si ritraeva da Lui con una
suprema vendetta.
Il buon vecchio non si consumò lentamente, dolcemente, come tanti
vecchi che la morte vuole ricompensare dell'ingiustizia dell'esistenza,
facendoli trapassare nell'assopimento, quasi insensibile di tutto l'essere
loro. No. Il profeta dei marinai, doveva morire come aveva vissuto:
atrocemente. Un mese di ferocissima agonia aveva scarnificato la dolcissima
persona, facendo maggiormente risaltare sul suo viso stupendo dai vividi occhi
cerulei, l'indomita fibra di questo vecchio patrizio toscano, discendente
diretto di una più che millenaria stirpe di ribelli, di lottatori, di
costruttori italici.
E quando, composta la Sua persona nell'atteggiamento della pace
eterna, colla barba fluente e bianchissima che gli scendeva sul petto, mentre i
suoi occhi spenti alla luce, fissavano ancora come per un ultimo supremo addio
i cari singhiozzanti sul suo sudario, chi nella notte lo vegliò nella atroce e
pur dolce solitudine di quella nuda cameretta dell'Ospedale Galliera, provò
l'infinito lacerante dolore di veder annientata prematuratamente una preziosa
esistenza, una indomita energia creatrice, una fibra eccezionale di uomo e di
lottatore.
Addio, caro venerato Padre. Noi, i tuoi figli, noi i tuoi compagni
d'arme, non ti dimenticheremo mai; i legionari della Tua grande Idea vegliano
sulle tue preziose ceneri.
Entra in tutte le memorie, ombra venerabile; sii amato dal popolo che
hai tanto amato. Gli uomini come Te sono fulgidissimi esempi dell'Idea
rinnovatrice; indicano la diritta via alle masse fuorviate e brancolanti nel
buio della moderna «civiltà». Gli uomini che hanno finito come Te,
splendidamente il loro triste viaggio in questa terra d'ignominie in cui il
Vero e il Giusto ancora non hanno trionfato, sono i grandi benemeriti
dell'Umanità. E non saranno mai dimenticati. La loro vita ideale continua oltre
la tomba, ininterrottamente.
Tu lottasti per il sublime Ideale della redenzione delle plebi, ed
esse, non dubitare, verranno a Te nelle ore tristi e nelle ore della suprema
liberazione.
È un anno che Te ne sei andato verso i paradisi elisei del caos e
dell'energia, e noi tutti da un anno viviamo intensamente della Tua morte, che
per noi è Vita.
La Tua morte ci guida, ci spinge con febbrile attività a continuare la
tua bella lotta; la Tua morte continua in noi l'opera di vita per cui tu fosti
così grande, così sublime, così umano.
«C'est un
prolongement que la tombe
«on y monte, etonnés d'avoir cru qu'on y tombe»
V. HUGO
30 Giugno 1922.
I FIGLI
|