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Giulio Tanini
Giulio Tanini nella sua vita e nelle sue opere

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Fulgido anniversario

 

Dinanzi alle ceneri ancora fumanti del babbo morto, i figli salutano nel Padre, una grande anima, un grandissimo apostolo; il letterato, lo scienziato, il filosofo delle folle proletarie.

Noi viviamo in un tempo in cui gli scrittori onesti e i filosofi altruisti non abbondano. Il pensiero umano non ha dovizia di alte cime spirituali che l'intelligenza, la coltura, il lungo studio abbiano posto a servizio delle classi sofferenti con assoluta altruistica dedizione di tutto il loro essere, di tutta la loro vita.

Nostro padre che tutta l'esistenza lottò per la redenzione degli uomini dallo sfruttamento degli uomini, fu una luce spirituale d'inestinguibile grandezza, fu un faro rischiarante le tenebre di quell'ambiente di basse cupidigie e di vergognosi mercanteggiamenti di cui Egli fu il più acerrimo fustigatore.

Sovra ogni cosa, Colui che oggi noi tutti rievochiamo mestamente, amò la bontà e la fraternità umana: la sua bontà era così illimitata che spesso si toglieva il pan di bocca per nutrire un povero tapino, per aiutare un sofferente, per riconfortare un proletario. La sua casa era aperta a tutti; al suo desco si rifocillarono molti che la società perfida ed egoista scaccia dal suo seno come lupi randagi e pericolosi.

Le arcane meditazioni della filosofia, le aride e pur sante formule della matematica e delle scienze, che Egli conosceva tutte profondamente, la vastità sbalorditiva del suo sapere – a ciò aiutando il possesso perfetto delle principali lingue antiche e moderne – (ne sapeva dodici) – il diletto dei suoi classici, che egli delibava in auree coppe ideali, l'aristocraticismo raffinato del suo spirito leonardesco, fecero del nostro Padre l'Uomo il più temprato ai dolori umani e il meglio corazzato di fronte all'ingratitudine dei suoi simili.

Questo santo laico del proletariato, la cui gentilezza di sentimenti non aveva limiti e che non avrebbe ucciso un uccellino per tutto l'oro del mondo; quest'Uomo che a tutti diede a piene mani i tesori del suo vasto sapere, diceva che la vita di un essere umano tanto vale per quanto dà senza nulla chiedere in compenso; quest'Uomo che si era macerato nello studio di Veri infiniti ed aveva agonizzato dinanzi ai grandi imperscrutabili misteri della vita; ebbene, questo essere schivo di popolarità, modesto sino all'assurdo, aveva dei nemici tenacissimi, implacabili; sollevava gli odii mal repressi di piccoli uomini abbietti che pur sapendo appena leggere e scrivere, pontificavano su gazzette e giornali.

Pochi lo compresero ed uno solo venne a Lui nella vita a riconciliarlo con quella umanità che Egli giudicava severamente per colpa della barbaria storica che ancor oggi sovrasta e opprime le menti. Quest'uno Giuseppe Giulietti, fu la sola persona che Egli amasse di sviscerato amore e del quale proclamasse con accanimento, di fronte a viperini detrattori, la superiorità morale e la generosità del cuore, il cui apostolato ha salvato la classe dei marinai dai tormenti della fame e dalle ingiustizie del pescecanismo marittimo - bancario.

La vita del nostro venerato genitore, fu una odissea d'inenarrabili dolori che pochi uomini hanno conosciuto. I bagliori di questa lotta furibonda, cominciata a quindici anni, sono descritti nelle sue memorie, un libro tremendo di verità e d'ironia che tutti i doloranti, i disillusi, i travolti dall'esistenza dovrebbero leggere e meditare.

Queste memorie del più aristocratico proletario della penna, Egli ha lasciate per insegnare ai suoi simili, e specialmente agli operai, la tremenda sinfonia della vita di dolore di un essere che maravigliosamente dotato dalla natura, tutta l'esistenza trascorse nella lotta contro gli aguzzini, gli sfruttatori delle plebi e gl'invidiosi della sua persona.

Preferì abbandonare ottime posizioni e con esse l'agiatezza e gli onori per non essere paladino di una società di violenti e di mercenari. Non piegò mai; mai tentennò o curvò la spina dorsale dinanzi a chicchessia. Cavaliere senza macchia e senza paura Egli fu, e mai come a questo uomo dalla tempra d'acciaio puro e dall'animo adamantino, si addice meglio l'antico motto della nostra casata «Flangar non flectar.».

La sua penna iridescente, la sua cultura umanistica, i resultati dei suoi febbrili studi sulle maraviglie dello scibile umano – Egli pose a disposizione delle classi sofferenti, affinchè si avvantaggiassero nella loro lotta per la redenzione umana.

Apostolo fervente di nuovi Veri, insigne altruista, ribelle alle classi dominanti, flaccide ed infrollite nel vizio e nella lussuria, preconizzava una umanità futura fatta di bontà, di amore, di giustizia.

Il «poverello di Apparizione» simile al poverello di Assisi, amava gli umili, i più umili fra gli umili, i più reietti fra i reietti.

Come Tolstoi voleva l'infinito bene di tutti gli uomini in una società purificata e rigenerata dall'amore e dalla coltura.

Come Mazzini additava agli operai la vera via della loro redenzione nel trinomio: Famiglia - Patria - Umanità.

In Lui, l'amore frenetico per l'umanità non uccise quello per la Patria. Egli concepiva la patria in funzione di Umanità: questa era per Lui la fusione armonica di tutte le Patrie del mondo. E nelle Patrie libere egli inseriva il programma della liberazione totale delle plebi, vaticinato da Carlo Marx.

In un tutto armonico, nessuno dei grandi problemi sociali della vita moderna, trovò Giulio Tanini scettico o insensibile.

Egli non negava la Patria, perchè il vero socialismo non rinnega le Patrie, ma le integra fra loro. Egli diceva che non può sparire quello che il divino umano ha creato nei secoli. E quando nel 1914 la perfidia e tracotanza imperialista dei teutoni unita all'albagia militarista dei junker proruppero nella orrenda guerra delle nazioni, Egli pianse lacrime amare sulle sorti degl'eroicissimi popoli, schiavi della volontà di alcuni incoronati e diplomatici senza spirito di umanità. E nella lotta orrenda preconizzò la vittoria del Diritto sulla barbarie.

Dopo la vittoria completa delle nazioni vilmente aggredite dai teutoni; quando gli alleati vennero meno alla causa della civiltà mondiale, si scagliò con frasi roventi e amare contro i traditori dei popoli, non ancora paghi di tante orrende carneficine. L'ingratitudine della Francia, dell'Inghilterra e dell'America verso l'Italia, che aveva vinto da sola la grande nemica ereditaria nella più colossale battaglia della Storia, ed aveva tanto potentemente e decisivamente contribuito con settecentomila morti e due milioni di feriti alla vittoria comune, gli fecero comprendere maggiormente l'infamia di una organizzazione sociale in mano a pochi uomini sordi ad ogni senso di fraternità umana, tetragoni ai bisogni ed alle sofferenze delle classi meno abbienti.

Ma la Patria infelice e poverella, Egli adorò sempre teneramente e non venne mai meno, durante la sua vita, al dovere di ogni uomo di rispettare la terra che gli diede i natali, specialmente quando questa terra si chiama Italia; questa nostra Italia che egli considerava il sale della terra, la nazione altruista e civilizzatrice per eccellenza e dalla quale un giorno, per la genialità dei suoi figli, dopo l'Impero e dopo il Cristianesimo, sarebbe scaturita la terza e definitiva sintesi umana caratterizzata nella Internazionale dei popoli con Roma capitale morale e sociale del genere umano, finalmente e definitivamente redento.

L'illuminato patriottismo del nostro Padre, non fu mai nè borghese, nè monarchico. Per la Monarchia non poteva avere soverchie simpatie giacchè è ben troppo notoria l'infamia colla quale essa trattò Garibaldi ad Aspromonte e che Mazzini condannò a morte. Egli giudicava l'istituto monarchico inetto e storicamente sorpassato.

Ai preti serbò il suo odio più sincero: li accusò di tutti i mali da cui è afflitta l'Italia e per il papato ebbe gli sdegni e le collere di un Victor Hugo. Però rispettò e amò Cristo nella sua essenza umana più pura e diceva che il Golgota era l'esempio più sublime di altruismo in tutta la storia dell'umanità.

Coloro che non hanno ancora dimenticato la nobile e dolce figura di Giulio Tanini, il vegliardo della Federazione marinara, proveranno, ancor oggi, ad un anno di distanza dal suo distacco dagli uomini, la tristezza infinita della dipartita senza ritorno di Colui che tanto amò l'umanità e tanto soffrì per essa.

Ma se gli uomini passano, le idee restano: non morranno, no, le sublimi concezioni altruistiche di Colui che tutto offerse ai proletari, ai sofferenti, ai marinai, agli uomini in catene di questo basso mondo.

 

*

* *

 

Dopo una vita avventurosa e piena di peripezie, dopo un lungo viaggio nel tempestoso mare dell'esistenza, attraverso dolori senza fine, fiammate di lotte intime e ribellioni furibonde contro uomini e cose, la sera del 30 Giugno 1921 il vecchio lottatore esalava il supremo anelito rifugiandosi sotto le ali pietose e protettrici della morte. Pietose e protettrici, scriviamo, e non a caso!

La vita che Egli aveva amata per le sue bellezze, per le sue lotte, per i suoi superamenti, la vita corrusca e gioiosa che Egli aveva cantata in versi di un'infinita esaltazione, quella vita che egli aveva sceverato nelle sue più complesse ed energiche manifestazioni, si ritraeva da Lui con una suprema vendetta.

Il buon vecchio non si consumò lentamente, dolcemente, come tanti vecchi che la morte vuole ricompensare dell'ingiustizia dell'esistenza, facendoli trapassare nell'assopimento, quasi insensibile di tutto l'essere loro. No. Il profeta dei marinai, doveva morire come aveva vissuto: atrocemente. Un mese di ferocissima agonia aveva scarnificato la dolcissima persona, facendo maggiormente risaltare sul suo viso stupendo dai vividi occhi cerulei, l'indomita fibra di questo vecchio patrizio toscano, discendente diretto di una più che millenaria stirpe di ribelli, di lottatori, di costruttori italici.

E quando, composta la Sua persona nell'atteggiamento della pace eterna, colla barba fluente e bianchissima che gli scendeva sul petto, mentre i suoi occhi spenti alla luce, fissavano ancora come per un ultimo supremo addio i cari singhiozzanti sul suo sudario, chi nella notte lo vegliò nella atroce e pur dolce solitudine di quella nuda cameretta dell'Ospedale Galliera, provò l'infinito lacerante dolore di veder annientata prematuratamente una preziosa esistenza, una indomita energia creatrice, una fibra eccezionale di uomo e di lottatore.

Addio, caro venerato Padre. Noi, i tuoi figli, noi i tuoi compagni d'arme, non ti dimenticheremo mai; i legionari della Tua grande Idea vegliano sulle tue preziose ceneri.

Entra in tutte le memorie, ombra venerabile; sii amato dal popolo che hai tanto amato. Gli uomini come Te sono fulgidissimi esempi dell'Idea rinnovatrice; indicano la diritta via alle masse fuorviate e brancolanti nel buio della moderna «civiltà». Gli uomini che hanno finito come Te, splendidamente il loro triste viaggio in questa terra d'ignominie in cui il Vero e il Giusto ancora non hanno trionfato, sono i grandi benemeriti dell'Umanità. E non saranno mai dimenticati. La loro vita ideale continua oltre la tomba, ininterrottamente.

Tu lottasti per il sublime Ideale della redenzione delle plebi, ed esse, non dubitare, verranno a Te nelle ore tristi e nelle ore della suprema liberazione.

 

È un anno che Te ne sei andato verso i paradisi elisei del caos e dell'energia, e noi tutti da un anno viviamo intensamente della Tua morte, che per noi è Vita.

La Tua morte ci guida, ci spinge con febbrile attività a continuare la tua bella lotta; la Tua morte continua in noi l'opera di vita per cui tu fosti così grande, così sublime, così umano.

«C'est un prolongement que la tombe

«on y monte, etonnés d'avoir cru qu'on y tombe»

V. HUGO

30 Giugno 1922.

I FIGLI




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