INDICE DELLA SECONDA PARTE
Dei discorsi che si tengono a tavola
Discorsi irreligiosi
Discorsi lubrici
Maldicenza
Sugli elogi alle vivande
Cerimonie per servirsi dopo gli altri
Del cambiare il piatto e la posata
Dell’eccitare a mangiar molto
Episodio sulle polpette, e aneddoto
Ancora sullo stimolare a mangiar troppo
Sugli eccitamenti al bere
Del vino e dei vini
Il vino di Bordò
Il vino fiorentino e i tre scienziati
Il vino del 1802
Sull’uso dei brindisi in versi
Alcuni brindisi in dialetto milanese
Il formaggio di grana
La lettera anonima
Il ritorno nella sala da conversazione
Ultimi consigli a Giorgio e conclusione
Per chi nol sapesse, questa parola anfitrione
è un nome proprio nella storia mitologica. Essendo però passata nel patrimonio
della lingua come pretto sinonimo di convitante, perde il diritto alla distinzione
della iniziale majuscola. Lo stesso si ripete per le parole mentore, minosse,
cerbero, significanti consigliatore, giudice, guardiano.
Sopra questo tema così serio e importante
meriterebbe di essere conosciuta assai più che probabilmente non sia una
preziosa memoria di Giuseppe Gautieri, intitolata: Dell’influsso dei boschi
sullo stato fisico dei paesi e sulla prosperità delle nazioni. Milano,
tipografia Pirotta, 1817.
Quanto a Liszt, fui testimonio io di una di queste
comparse calcolate: entrò nella sala a pranzo innoltrato, con una di quelle
ciere da cataclisma ambulante che non si dimenticano più da chi sente tutto il
ridicolo di un sublime così grottesco. Quanto all’altro invasato, l’ho
introdotto, benchè morto da molti anni, perchè la debolezza in discorso era
famigliare a quel poeta grande e infelice, la cui vita fu un esercizio e un
tormento di piccole vanità. Nel leggere la di lui biografia è facile
l’indovinare che la sua tetra misantropia derivava, almeno in gran parte, dal
dolore di essere zoppo; egli, che attaccava tanta importanza alle virtù
ginnastiche, all’eleganza esteriore, alla bellezza, alla bellezza delle
mani..., e trovarsi fritto nei piedi!
Questo è un mero scherzo col quale non s’intende
menomare la stima dovuta a un uomo di nobilissimo ingegno e di ottimo cuore.
A proposito di zio mostro è bene che tutti
conoscano la classificazione scientifica della specie zio: e quì
s’intende lo zio per eccellenza, cioè celibe o senza figli, e sopratutto
denaroso; in somma quello zio dal quale i nipoti sperano ed attendono. Dunque
vi sono le seguenti varietà di zii: lo zio cavallo, lo zio majale,
lo zio bue, lo zio rospo. Lo zio cavallo è colui che fa molto
bene in vita, e nessuno in morte: lo zio majale all’opposto non fa nulla di
buono in vita, ma vi riserva tutti i suoi benefizi dopo morte: lo zio bue è
quello che dà ottimo conto di sè e vivo e morto: finalmente lo zio rospo è
colui che, a somiglianza di questo schifoso animale, non giova a nulla nè in
vita nè in morte.
Barlassina (per chi nol sapesse) è un villaggio a
mezza strada fra Milano e Como: nelle sue vicinanze v’è il magnifico Seminario
Arcivescovile di S. Pietro Martire, altre volte convento di Domenicani.
Barlassina è volgarmente celebre per l’abbondanza degli asini, e pare che
dovrebbe intendersi di quelli quadrupedi: giacchè i bipedi abbondano press’a
poco egualmente dappertutto. Ma dove s’appoggi quella riputazione proverbiale,
nol saprei: perchè davvero nessuno può dire esservi più asini colà che in
qualunque altra terra della pianura lombarda.
Questo è uno scherzo che può correre a tavola: ma
porge occasione di protestare con tutta l’energia (e l’impotenza) di un povero
scrittore contro l’abuso di cambiare i nomi alle piazze e alle contrade; perchè
tali nomi, oltre al richiamare spesso istituzioni antiche o patrie vicende,
sono poi sempre abitudini di tutta la vita, e care e indelebili reminiscenze
della prima età; quindi fanno, direi quasi, parte integrante della patria, la
quale è un composto di molte cose e anche di molte parole. Mettiamo l’ipotesi
strana che si volesse cambiare il nome di Milano in qualunque altro più bello e
sonoro; ma qual è il Milanese, io dimando, che non rifuggirebbe con ribrezzo da
tale idea? Ebbene, ciò che vale pel tutto, proporzionalmente valga per le
parti. Volete onorare alti personaggi? dedicate loro monumenti nuovi, e non
contrade vecchie, perchè insomma i nomi passano, e le contrade restano: e per
la generazione adulta, il dover disavvezzare la lingua da vocaboli resi cari
dall’uso, per assumerne de’ nuovi, è una cosa antipatica al massimo grado.
Otello.
Cenerentola.
Mosè.
Barbiere.
Gazza Ladra.
In dialetto basso la musica si chiama busecca,
specialmente quella da chiesa.
Questa parola scialacquare
l’ho riportata come sta scritta nell’originale per iscrupolo di esattezza. Mi
fa però ricordare di averla più volte udita, nel senso dell’amico anonimo, da
qualche bravo chirurgo, e perfino da qualche medico distinto. Cari dottori,
fate attenzione a non ripetere mai più questo lapsus linguæ, che
potrebbe danneggiarvi nell’opinione delle persone côlte: giacchè scialacquare
significa dilapidare, consumare malamente la fortuna; si scialacqua un
patrimonio, ma non mai la bocca; nel quale ultimo senso bisogna dire risciacquare,
e, in buon milanese, cioè in milanese non volgarissimo sciaquà. Mi
raccomando, per l’onore solidario del nostro ceto.
|