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David Lazzaretti
Visioni e profezie

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  • LA DIVINA PASTORELLA
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LA DIVINA PASTORELLA

 

Tre giorni dopo del mio ritorno da Roma cominciai a provare qualche malessere. I medici dicevano che avevo una malattia di cuore: essi non erano lontani dalla verità; poichè il mio male era la conseguenza della mia passione. Intanto la mia malattia si aggravava di giorno in giorno, perchè a nessuno potevo comunicare i miei pensieri, e da nessuno prendere consiglio.

In misera condizione di nuovo ricorsi alla Madre di Dio, per ottenere qualche lume, benchè io fossi già persuaso che mi era impossibile di eseguire la mia Missione, poichè, se anche avessi potuto penetrare fino al Papa, egli non avrebbe creduto alle mie parole, come io stesso avevo creduto a ciò che mi aveva detto il vecchio nel deserto e il giovane nel mio sogno. Queste riflessioni mi calmarono un poco. Dopo due mesi e ventun giorno dal mio secondo ritorno da Roma, il giorno 8 settembre alle 8 di sera, sentii i brividi e il calore alla testa provati altre volte, e subito una febbre mi colpì, che mi fece delirare.

A mezza notte mi lasciò la febbre e come le altre volte mi addormentai di un profondo sonno, nel quale ebbi questa terza visione.

Mi sembrava di essere in un vasto prato, e per tutto, dove volgevo gli occhi, non vedevo che verdura e cielo calmo e sereno. Il sole che mi stava sopra alla testa, sembrava essere immobile in mezzo alla volta del cielo. Da parte di levante giungeva una brezza leggierasoavemente intiepidita dai raggi temperati del sole, che al mondo non sarebbe cosa più piacevole e inebriante. Ciò che mi fece provare un sommo stupore, era che mi trovavo solo in mezzo a questo incantevole prato. Lo scandagliai da ogni parte cercando scoprire qualche anima vivente in questo ridente soggiorno, allorchè mi accorsi venire verso di me dall'Oriente una giovane Pastorella, accompagnata da un infinito numero di pecore, bianche come la neve.

Tutte queste innocenti bestie avevano coronata la testa di fiori, e due che camminavano accanto all'amabile Pastorella, portavano un giglio sulla fronte. Io la guardai con stupore di un incantesimo. La loro ineffabile bellezza mi rapiva e le contemplavo senza poter saziare la mia curiosità. Queste pecore avevano piuttosto la figura umana che di bestie. Giunte a una trentina di passi vicino a me, si fermarono per guardarmi come io guardavo loro che ero immobile come una roccia. I fiori che adornavano le loro corone, esalavano un profumo simile a quello del giardino delle tre fontane. Una sola veste di più colori copriva la Pastorella la quale al più piccolo movimento che faceva, mostrava le diverse ombreggiature dell'arco baleno. Questa veste era fermata alla vita da un nastro colore azzurro annodato all'anca destra. Ella portava ai suoi piedi, bianchi come la neve, i sandali turchini, fermati al collo dei piedi per mezzo di un piccolo nastro scarlatto. Sopra la sua spalla sinistra aveva un manto di porpora annodato sulla spalla destra, e sulla testa una corona di fiori meravigliosissimi e brillanti come le stelle. Una bionda capellatura lunga e folta, divisa in mezzo alla testa, le cadeva liberamente fin sotto il petto. Nella destra teneva un lungo gambo di giglio, sul quale era posata una piccola colomba del colore della di lei veste. In una parola la di lei bellezza e l'eleganza delle sue vesti erano sovranaturali, ed è per questo che non mi stancavo di contemplarla. La salutai come un essere divino, ed ella mi rese il saluto, abbassando leggermente la testa e mi fece segno di avvicinarmi. Allora come colui che si getta nelle braccia di una persona che ama, mi slanciai verso di essa, ma vano fu il mio sforzo. Mi sentii fermato al mio posto da una forza misteriosa senza poter conoscere la causa.

La nobile Pastorella vedendo che con tutti i miei sforzi non potevo avvicinarmi, mi disse queste parole: – Perchè non ti avvicini, o Giovane, che cosa temi dunque? – Amabile Pastorella, le dissi, io sento una forza che mi trattiene e invano lotto contro di essa. – Sì, buon giovane, mi rispose, voi non v'ingannate, una forza vi trattiene. Voi non scorgete la presenza del vostro nemico, rivolgetevi e vedrete colui che vi tende insidie e vi perseguita impedendovi di fare ciò che vi rende grande davanti a Dio e agli uomini. – A queste parole mi volto e mi vedo in faccia un orribile serpente: – Gesù e Maria, gridai, facendo tre passi indietro. – Non temete, disse la Pastorella. – Ed essa si precipitò come una folgore davanti al rettile. Questo da sua parte si slancia contro la sua nemica mandando fuori un sibilo terribile, simile al rumore di un fulmine. La intrepida Pastorella gli si avvicina e gli conficca nella spalancata bocca il gambo del suo giglio, mentre la piccola colomba se ne vola sulla di lei testa. Io volevo afferrare il serpente e schiacciarlo fra le mie mani, ma essa mi prega di tenermi indietro, dicendomi che da sola può schiacciare l'orribile mostro. Infatti lo attacca vigorosamente, pone il piede destro sul suo collo e il sinistro sul dorso.

La iniqua bestia manda dei gridi spaventevoli, e si dibatte sotto i piedi della Pastorella, ma quasi subito spira tra convulsioni spaventose.

Dopo che il mostro ha reso l'ultimo respiro, la mia liberatrice ritira dalla di lui bocca lo stelo del giglio, e divenne vittoriosa del mio e del suo nemico. Nello stesso tempo la colomba ritorna a posarsi sul giglio, e le bianche pecore, che durante la lotta erano rimaste in distanza tremanti e timorose, accorsero intorno alla Pastorella per dimostrarle la loro gioia per la vittoriagloriosa. Dopo un momento di silenzio la Pastorella parlò così: – Mie amabile pecore, allontanatevi un poco, affinchè colui che mi ha cercato ove io era, possa avvicinarsi a me – A queste parole le pecore si allontanarono subito di trenta passi almeno e formarono un cerchio. – Avvicinatevi o Giovane, riprese l'amabile Pastorella; di nulla temete; il passaggio è libero, colui che vi tendeva insidie e vi impediva di avvicinarsi, è steso al suolo. – Durante la lotta e il discorso della Pastorella io rimasi al mio posto tutto rapito e come incantato. Udendo che io era libero, mi approssimai fermandomi tre passi distante da Lei e le dissi: – O valorosa Pastorella, il vostro coraggio, la vostra bellezza, l'eleganza dell'abbigliamento, come la natura e la bellezza di queste bianche pecore non hanno del terreno. Tutto ciò mi fa credere che voi siete piuttosto un essere divino che mortale. Sarei molto contento di sapere chi voi siete, e qual'è la vostra dimora, poichè qui in questo prato non scorgo che il cielo azzurro e la verdura. – La mia dimora, essa rispose, è , dove regna il Padre mio.– E vostro padre dove regna – Sopra e sotto questo prato. – Non comprendo questo linguaggiomisterioso. Ma ditemi di grazia chi vi ha confidato questo meraviglioso gregge? – È il mio stesso Padre. – E come è che queste pecore sono sì bianche che non hanno alcuna macchia nel loro corpo? – Questo è perchè sono state nutrite nei pascoli eccellenti, i quali hanno donato loro queste bellezze. Mai le passioni della terra hanno arrecato danno alla loro natura. – E che cosa significa la corona che portano sulla testa come voi? – Che mio Padre le ama, come io stessa le amo. – Perchè quelle che stanno al vostro fianco portano un giglio sulla fronte? – Perchè esse mi hanno amato più delle altre e per ricompensarle ho voluto distinguerle dando loro un giglio ch'è il mio fiore prediletto. –

Alzando gli occhi al cielo fece tre passi indietro e disse: – Allontaniamoci da questo cadavere immondo. Vedo in cielo un uccello. Ci allontaniamo venti passi e le bianche pecore ci seguono. – Frattanto l'uccello si precipita sul cadavere del serpente, lo prende co' suoi artigli, lo solleva tanto alto in aria che subito disparve davanti ai miei occhi. Meravigliato di vedere un uccelloenorme, domandai di quale specie fosse. – Voi dovete sapere, mi rispose essa, che questo uccello è quello che porta la gloria all'Italia. – Ma come, interruppi pieno di confusione, dove siamo noi dunque? Voi non mi trattate nella stessa maniera di quelli che già mi sono apparsi, come chiamate dunque questo luogo? – Esso si chiama il campo della gloria. – A quale nazione appartiene il campo della gloria? – Alla Nazione del Padre mio, e sappiate che qui non possono entrare che coloro che si rendono degni della sua e della mia amicizia. – Per me mi ci sono trovato senza sapere da quale parte sono venuto.

– Voi avete pregato e la vostra voce è stata esaudita. Il vostro nemico non vi perseguita più. Ora potete eseguire la vostra Missione. – O Santa Maria! gridai. A queste parole un raggio di luce mi abbagliò gli occhi e mi piombò nell'oscurità. Le tenebre si dissiparono; ma io non ero più nell'immenso prato; mi trovavo in una vasta sala del Vaticano ai piedi di Pio IX. A questa vista mandai un grido di gioia e mi svegliai.




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