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David Lazzaretti
Visioni e profezie

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  • LETTERA AI POPOLI D'ITALIA
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LETTERA AI POPOLI D'ITALIA

 

Stanotte tre maggio mi pareva di essere col mio buon Eremita pregando entro la Grotta qui di Monte Labaro al piè di un piccolo Altare ove è l'imagine della Madonna della Conferenza, quando vedo venire a noi un venerando vecchio vestito tutto di bianco; giunto davanti a detta Imagine s'inginocchia profondamente mettendo i ginocchi a terra, dopo un breve silenzio si alza in piedi e si rivolge a noi dicendo: – Le vostre preci davanti al trono di Dio sono tenui e fievoli suppliche che non possono placare la tanto irata giustizia divina, più fervorose siano da ora in avanti; con maggior fede e sollecitudine proseguite fra le persecuzioni e i dileggi del mondo l'opera vostra. Questo edificio si erga nell'oscurità dei pochi credenti, come l'Arca della Giustizia. Troppo osi allungarti, o uomo, nel secreto di tua Missione (a me rivolto), rammentati che altra volta ti dissi che io sarei teco, ovunque tu fossi: sono 27 mesi, giorni 27, 7 ore e 27 minuti da che io mi divisi da te sulla Santa Rupe da una natural Conferenza. Ti dico che per la grave necessità a te mi manda la mia e la tua signora a farti noto ciò che devi eseguire come ultimo sforzo della tua Missione. Vuolsi che del mistero di tua vita siano informate le maggioranze dei popoli; su di ciò a modo loro si conterranno. I segni saranno troppo bastanti a mostrargli la verità dei fatti e delle parole; nessuno di essi potrà dire scusandosi che non seppe, non vide, non udì.

Questi sono i noti segni che Dio comparte agli uomini. Uomo, avanzati meco al cielo aperto; qui solo lascia il tuo buon eremita, a te or farò vedere quanto è doloroso il cammino che ti resta da fare per giungere al fine della tua misteriosa vita.– Esso s'incammina per sortire della grotta ed io lo seguo dietro. Cosa maravigliosa e sorprendente, io così camminando dietro il santo vecchio, senza avvedermene, mi ritrovai in una grande valle framezzo una oscura tenebrosa e folta selva, solo e smarrito; altro non vedevo e non udivo che tenebre ed un gran rumore per l'aere dal gran vento che soffiavaforte che dava segno d'una vicina tempesta in ispaventevole luogo. Udivo fra mezzo alla foresta una moltitudine di urli, di strilli e di latrati, sembrava che in questa selva si fossero riunite tutte le fiere dei deserti della terra e vedevo da ogni parte venir contro di me immense turbe di animali feroci e rapaci, che io in verità non vi saprei descrivere le forme, le specie, il numero. A questa orribile scena m'intimorii, ma non poi tanto quanto umanamente avrei dovuto temere. Venni fra me pensando che altro campo non potevo trovare in dovermi salvare da quelle feroci fiere, che ricorrere all'aiuto divino, e così venni dicendo: – Mio Dio, salvatemi dalle crudeli zanne di queste terribili ed arrabbiate fiere che a me tutte vengono incontro. Dio mio, salvatemi dalla loro ferocia, nonostante che non meriti da Voi il dono della vita ch'ora in procinto mi trovo di doverla perdere. –

Ciò detto, vidi sortire di framezzo alla selva sette grandi guerrieri armati di spada e di lancia. Essi si precipitano sopra queste terribili fiere, ora colla lancia ed or colla spada, ed erano così veloci e destri nel loro corso, che pareva avessero le ali ai piedi e alle mani. In pochi minuti queste orribili fiere furono uccise e ridotte in polvere dai loro fulminei brandi, chè nemmeno una vestigia rimase di esse in questa oscura e tenebrosa selva: e senza che a me si facessero noti questi miei celesti difensori, me li vidi sparire per la selva. Di ciò rimasi alquanto sorpreso e meravigliato al successo di questa prodigiosa scena, e fra me non sapevo come pensarla. Indegno ne resi lode a Dio; e via proseguo il mio periglioso cammino per sortir fuori di questa folta ed oscurissima selva.

Il rumor dell'aere sempre più cresceva: pareva che a me si avvicinasse la tempesta che procedeva alla lontana, il vento più impetuoso soffiava. Il cielo era coperto di dense nubi; sicchè l'apparato era così terribile che altro io non andavo aspettando che una improvvisa e divoratrice tempesta. Contuttociò fiducente in Dio senza alcun timore proseguo il mio cammino per questa tenebrosa selva, e di quando in quando mi trovavo sperso e intricato fra pruni, roveri e boscaglie, chè dubitavo di non più doverne sortire. A un tratto mi armavo di fede e di coraggio, e ogni sforzo ogni ingegno adoperavo, chè finalmente mi trovavo libero e franco nel mio intrapreso cammino.

Prendo la salita di un colle, poi scendo al basso in un'altra più oscura valle di quella dove avevo trovato le già dette fiere. Qui lo stupore, la paura e lo spavento mi assalì all'estremo in vedere questa oscura valle ricoperta aggremita di piccoli e grossi serpenti che contro a me tutti venivano facendo un sibilìo d' inferno. Io a così orribile vista rimasi atterrito e vinto in tal modo che altro scampo non credei trovare che quello di raccomandarmi altra volta a Dio dicendo: – Dio mio, così mi ritrovo, per le mie malvagità. Voi mi avete salvato dalle crudeli zanne delle rapaci fiere, ora mi divoreranno questi velenosi e maligni serpenti; Dio mio, salvate l'anima mia. – E così dicendo mi copersi il capo con un mantello che avevo, e per non vedere lo spettacolo di me stesso mi gettai per terra, dandomi preda di questi arrabbiati e velenosi serpenti, che da ogni parte a me venivano contro. Appena che io mi fui gettato per terra, odo una voce che mi dice: – Alzati uomo dal tuo avvilimento e noi riconosci che qui siamo venuti in tua difesa a cavarti da questa oscurissima selva e liberarti dal pericolo in cui ti trovi di essere divorato da questi serpenti. –

All'udir questa voce subito mi alzai da terra e mi riebbi del mio avvilimento, mi scopersi il capo: che vedo? Altro prodigio: i sette gran personaggi che mi erano apparsi altra volta in sogno nella grotta di Sabina descritto nella prima lettera ai Romani; unitamente ad essi vi era il venerando vecchio che mi era scomparso uscendo dalla Grotta come avete inteso. Esso era montato su di una gran mula candida come neve parimente i sette gran personaggi erano montati ciascheduno in cavalli candidi e grandi e ben fatti, ugualmente alla mula. Tre di questi gran personaggi menavano un cavallo, ciascheduno di essi per mano, fuori di quello che cavalcavano, bardati in tutto da potersi cavalcare, ed erano detti cavalli uno rosso, uno nero ed uno bianco. Facendosi avanti a me quello che conduceva il cavallo rosso, il venerando vecchio mi prese a dire: – Uomo, monta su cotesto cavallo, (io subito vi montai colla velocità di un baleno) tieni questa verga per virtù della quale ti libererai dalle morsicature di questi velenosi serpenti e d'altri animali feroci e rapaci che a te e a noi vengono contro frapponendosi ai nostri passi, insidiandoci la vita. Uomo, segui le nostre orme e non ti dilungare da noi un sol passo; altrimenti questa verga perderebbe la sua virtù e verresti divorato da questi velenosi e maligni serpenti, o d'altri animali feroci e rapaci che troveremo lungo il nostro cammino. – Sì dicendo, il vecchio in mezzo ai sette gran personaggi ed io dietro, proseguiamo il cammino per la folta boscaglia, aprendosi essi il passo colle loro spade, tagliando ed atterrando al suolo tutto ciò che dava ostacolo al loro cammino, ed in pari tempo dove essi passavano, i serpenti rimanevano calpestati e franti dalle zampe dei nostri cavalli, e uccisi e messi in pezzi dalle ultrici spade. Camminato che ebbimo un lungo tratto per la folta e tenebrosa selva dei serpenti, il mio cavallo cominciava a rimanere dal suo corso, e me lo sentivo mancare sotto a poco a poco, perchè in gran copia il sangue perdeva da tutte quattro le gambe per le tante morsicature di quelli arrabbiati e avvelenati serpenti. A un tratto me lo vedo morir sotto con un gran disturbo, spavento e timore della vita, perchè contro di me pareva venissero quei maligni velenosi e feroci serpenti. Vedendomi così morto il cavallo, subito gridai: – Mio Dio, aiutatemi, io son perduto, il mio cavallo è morto. –

Il venerando vecchio si rivolse a me dicendo: – Uomo, temi tu forse al nostro fianco e dubiti della virtù della verga che ti ho donato? Qual dubbio, qual viltà ti tiene? Ti dico, o uomo, più valore sia in te, più fede d'ora in avanti; il dubbio, il timore sia lungi dal tuo cuore. Altra volta tel dissi, ultimo avviso sia questo. – Ciò detto, subito accorse a me colui che teneva il cavallo nero, e senza arrestarmi di un sol passo, vi montai sopra, e via proseguimmo il nostro cammino fra il sibilìo dei serpenti, il rumore della vicina tempesta, e lo imperversar dei venti che soffiavano impetuosi per l'aere, che rivolgendosi a terra sembrava che volessero schiantare o subissare tutta la selva per cui noi camminavamo. Giunti che siamo quasi al fine dell'oscura e tenebrosa valle dei serpenti che incominciavano a uscir fuori dal bosco, altra volta il mio cavallo me lo vidi arrestare nel suo corso, ed era tutto grondante di sangue in maggior copia dell'altro, perchè non solo gli usciva dalle gambe, ma da diverse parti della vita, dal petto e dalla testa, perchè più in moltitudine e più grossi e feroci avevamo trovati i serpenti nel finir dell'oscura e tenebrosa valle. Altra volta mi vidi morire improvvisamente il cavallo sotto. Io non mi intimorii, come l'altra volta, ma subito al venerando vecchio gridai: – Il mio cavallo è morto.– Il vecchio mi rispose: – Tieni viva la fede. – Ciò detto, fu subito a me l'altro personaggio che conduceva il cavallo bianco; vi montai sopra, senza restare d'un solo passo, e in breve giungemmo fuori dell'oscurissima valle dei serpenti e ci trovammo alle falde d'un altissimo e maestoso monte, in cima del quale era una bellissima e sontuosa Piramide. Noi salendo per le falde di detto monte, ove si vedeva dalle basse pianure avanzarsi a noi la tempesta, avevamo il rumor del tuono, il forte soffiar dei venti, il balenío, del folgore, lo strillo ed il sibilo che facevano immense turbe di uccelli che volando dalle basse pianure tiravano a scansare la precedente tempesta venendo alla volta di detto monte, dove noi con gran velocità sui nostri candidi destrieri venivamo salendo. Io vedendo ed udendo da ogni parte un apparato così terribile, che da per tutto ove io volgevo lo sguardo, pareva che a fuoco andasse sottosopra questa oscurissima selva, io in verità fra di me dubitai che questa fosse la fine del mondo. Il venerando vecchio voltandosi alla pianura e riguardando le innumerevoli schiere di volatili che verso di noi con gran furore venivano, esso battendosi la palma della mano destra tre volte nella fronte, così venne dicendo:

Misera umanità, due terzi estinta! dei rossi uno resterà fra i dieci. Dei neri di dieci ne resteranno tre. Dei bianchi, sei resteranno di dieci. Misera umanità! Dei rossi uno per ogni cento si salverà. Dei neri dieci si salveranno per ogni cento. Dei bianchi uno per cento perderanno il cielo. Misera umanità! Dei grandi ogni dieci due resteranno. Dei candidati tre resteranno per ogni dieci, e dei comuni resteranno per ogni dieci cinque.–

Così dicendo rivoltosi alla cima del monte tirò tre grossissimi sospiri e borbottando a voce bassa disse queste parole

– Le malvagità commesse sulla terra costano care al cielo: l'abuso di pochi è una corruzione in genere. I figli della menzogna e dell'adulazione saranno tolti dal mondo. Oh miseri! troppo, sì troppo il loro cuore è indurito alla carità e pietà cristiana, ma severa e terribile sarà per loro la mia giustizia. Io non ho perduto il mio poter su di essi, lo vedranno i superbi, sì lo vedranno.

Io che attentamente ascoltavo queste lugubri parole, vidi che sì dicendo gli cadevano alquante lagrime dagli occhi. Uno dei gran personaggi gli dimandò: – Mio rege, hai tu pietà di coloro che pietà non hanno? – A questo si rivolse dicendo: – No; vedi qual terribile apparato a lor si appresta? Di lor non gemo, sol di altri pur gemo che con essi periranno, e periranno per sempre: di questo io gemo. – A questo dire si turbarono i gran personaggi e l'uno più non parlò; io pure sentii un certo dolore interno, che tuttora sento.

Tiriamo alla volta del monte: ecco sopra di noi le turbe dei volatili, una parte di essi si fogano, stridendo a noi così impetuosi, con più rabbia e ferocia delle fiere e dei serpenti, ma essi ci stavano un poco alla lontana, perchè coi loro brandi si difendevano i gran personaggi, e al venerando vecchio e a me non si accostarono in virtù della verga che esso mi aveva donato.

Cosa sorprendente, meravigliosa e terribile era il veder tutti questi volatili far guerra fra di loro, divisi in tre partiti gli uni dagli altri. Quelli che avevano il capo rosso davano contro a quelli che avevano il capo bianco; essi benchè in minor numero vincevano i rossi: questi perdendo dai bianchi conducevano contro quelli che avevano il capo nero, e così fra i rossi e i neri nasceva un'accanita e sanguinosa guerra, che più di mezzi si vedevano cader morti sul suolo. Accorrevano i bianchi a questo terribile combattimento, e in un momento si vedevano di nuovo divisi fra loro, ma di nuovo i rossi andavano contro i bianchi, sicchè questo modo di micidiali combattimenti lo vidi replicare più e più volte fra quelli innumerevoli volatili e divisi in tre partiti fra loro in grossissime ciurme che volando per l'aria annebbiavano tutto il suolo della terra per dove passavano, e lasciavano ingombra la medesima di ammassati cadaveri che di essi così combattendosi cadevano a terra morendo.

Noi camminavamo alla volta della cima del monte dov'era la maestosa Piramide, in cima della quale v'era una certa insegna che recava spavento e terrore ai rossi e ai neri, ed in pari tempo incoraggiava ed animava i bianchi. I rossi ed i neri spaventati alla vista di detta insegna, si precipitavano stridendo e dibattcndo le ali a noi si fogavano col rostro e cogli artigli, che alcune volte ci trattenevano il passo, e allora i bianchi venivano contro in nostra difesa e ci rendevano libero il passo e così principiava un accanito combattimento fra loro, e la vittoria era sempre dei bianchi, conciosiacchè fossero di due terzi meno in confronto dei rossi e dei neri.

Viemaggiormente fra questo strano combattimento cresce il vento, e la tempesta era quasi sopra di noi. Raddoppia il rumor del tuono, il cielo si copre di dense nubi, comincia a cader la pioggia; sicchè tutto era spavento, tutto era terrore, apparato di morte.

Quasi eravamo giunti alla cima del monte dov'era la sontuosa Piramide: la pioggia si converte in un turbine di grandine, anzi pezzi di ghiaccio grossi più o meno come la breccia dei fiumi. I volatili rossi e neri incalzati al tergo dal turbine di così fiera e micidiale tempesta si precipitano alla volta della cima del monte (dove la pioggia non procedeva poco, punto) ma appena che vedevano ad una certa distanza la inalberata insegna ch'era sopra a detta Piramide, rimanevano spaventati in modo che retrocedevano pieni di confusione e d'ira, sì precipitavano su di noi, e come disperati si davano in preda alla tempesta, al foro, alla morte. Sicchè appena siamo giunti nel recinto della cima del monte, il mio cavallo, come gli altri due, me lo vidi morir sotto, tutto percosso nella testa e al davanti nel petto, dalle tante pizzicature, graffiature velenose e feroci di questi fuggitivi e furibondi volatili.

Io nulla ebbi da temere, conciosiacchè fossi rimasto a piedi, perchè ormai ero fuori d'ogni pericolo dalla ferocia dei volatili e dal furore della tempesta. Il venerando vecchio ed i sette gran personaggi si volsero a me dicendomi: – Uomo, non temere, chè abbiamo vinto. La vittoria è nostra, conciossiacchè molto sangue ne costi. –

Il vecchio prosegue dicendo: – Sì, molto sangue è costata la vittoria dei bianchi. Il cielo così placherà l'ira sua sul mondo. È d'uopo far così: questa delle tue vittorie è una piccola parte. I segni saranno esecuzioni, avvertimenti non solo a te, ma all'universo intero. – Ciò detto, come un'ombra si diparte fra mezzo ai sette gran personaggi, e va sulla cima della Piramide, sempre stante a cavallo sulla candida mula. Io ammirai questo prodigio, pieno di meraviglia e di stupore.

In sull'istante cessa il turbine e la tempesta: torna l'aere sereno placido e tranquillo: vedo che quei pochi di volatili rossi e neri restati semivivi dopo passato il turbine e la tempesta, gli andavano sopra i bianchi e con il loro rostro a guisa di forbici taglienti, gli radevano le penne dalle ali e dalla coda, acciò non si potessero più sollevare da terra, staccando altro volo per non più andarli contro, e così i rossi ed i neri rimasero prigionieri e vinti dai bianchi.

Il venerando vecchio dall'alto della sontuosa Piramide muove una sonora ed imponente voce dicendo: – Principi delle sante milizie, andate sulla faccia della terra; battetevi per la divina giustizia; contro di voi invano rugghiano le fiere del deserto; i serpenti più velenosi maligni e feroci invano sibilano contro di voi. I volatili più rapaci e crudeli invano aguzzano il loro rostro e i loro artigli. Niun mostro, dico, nessuna insidia ed inganno, o forza umana potrà prevalere alla vostra possanza.–

Così dicendo il venerando vecchio si vide trasportato in aria al disopra della Piramide (ugualmente alla sua mula) su di una grossa nube tutta risplendente come i raggi del sole.

A questo prodigio muta la scena. I sette gran personaggi li vidi alla testa di sì grandi eserciti armati a piedi e a cavallo, ed ognuno di essi aveva schierato il suo campo in sette amene valli che si dividevano fra la pendice di diverse colline di questo montuoso monte. Al piè di detta Piramide vi erano altri sette grandi personaggi armati di spada e di lancia, in ugual modo dei sette guerrieri che avevano ucciso ed impolverito le innumerevoli fiere della oscurissima selva. Detta Piramide era costruita in tre ordini di gradinate che formano come tre recinti di mura, chè uno era sollevato di un terzo dall'altro dalla sua totale altezza. In queste gradinate vi si vedevano intorno come in balaustrati tanti piissimi sommi e santi sacerdoti del primo, secondo e terzo ordine francescano. In cima di detta Piramide come in altro balaustrato vi si vedevano tre venerandi personaggi vestiti uno differente dall'altro. Quello che stava in mezzo ai due era vestito di una lunga cappa color di cenere e sugli omeri portava una clamide color celeste, e dalla mano destra portava il pastorale, nella cima del quale vi era una Colomba che teneva nel rostro due rami di olivo. L'altro personaggio che a questo stava alla destra, era vestito di porpora, tenendo uno scettro dalla mano destra. Il terzo ch'era dalla sinistra, era vestito di un modo così straordinario, quasi simile ai sette guerrieri che stavano al piè della Piramide. Le sue divise erano di diverso colore, come esso diverso era nell'aspetto guerriero ed energico dagli altri due gran personaggi, e dalla destra mano teneva una verga simile a quella che a me aveva donato il venerando vecchio.

Fra tutto questo mutamento di cose non sapevo riconoscere in me se ero quello che sono, o quello che a me sembrava di essere: comunque fosse, per me tutto era prodigio e nulla dubitavo di essere ingannato da altre imaginazioni, senonchè reale e naturale successo di quello che più volte ho annunziato in altri miei scritti.

Vedo per la seconda volta il venerando vecchio sospeso per l'aere entro la risplendente nube, ma sopra d'ogni altro avevo ardente desiderio di sapere se nella verga che egli mi aveva donato si conservasse sempre la virtù di rendere invulnerabile la mia persona da ogni qualunque colpo o insidia mortale. Grande era il mio desiderio su ciò, ma Egli al mio pensier si avanza dicendo: – La tua verga sarà sagrata al sangue tuo. La vita di molti costerà. Le turbe al solo alzarla tremeranno e al poter suo si renderanno vinte. Ma pensa che ad altri potrei passarla in dono. –

dicendo, spiegò al vento una piccola bandiera di color giallo, in essa si vedeva dipinta l'imagine di Gesù profeta, di Maria Vergine, con una croce in mezzo di essi, ed in mezzo alla croce vi era una Colomba simile a quella del pastorale del detto personaggio, e vi erano pure diverse cifre scritte all'intorno del campo giallo di detta bandiera. Voltandosi il venerando vecchio alle schierate milizie, venne dicendo: – Eccovi, figli della fede, campioni di Cristo; questa è la prodigiosa insegna, con la quale riunirete tutti i popoli della terra ad una sola fede. Chi militerà sotto di essa sarà benedetto in eterno. –

Detto ciò, cala alquanto dalla sua nube al disopra della Piramide e consegna questa piccola bandiera all'uomo venerando che teneva in mano il pastorale. Poi elevandosi per l'aere (unitamente alla sua candida mula) entro la risplendente nube, in un momento si sollevò ad una grande altezza, che male appena la vedevo cogli occhi, e così sparendo lasciava l'aere nuvoloso e denso. E ad un tratto al disopra della Piramide scoppiano sette grandi folgori, uno dei medesimi mi sembrò che mi colpisse nella testa rovesciandomi come morto a terra. Nell'atto mi desto; e mi trovai essere fuori dal posto ove io dormivo, ed il rumore della testa non mi è ancora passato. Forse dipenderà dalla prevenzione della percussione improvvisa di dette folgori. Quest'effetto non saprei come si producesse in me, se non che per la viva immaginazione del sogno. In altro modo io non saprei come pensarla. Ai moralisti lascio di studiare su ciò, se sotto tali fenomeni di un ordine morale e sopranaturale esistano o no tali cose. Io solo, vi dico (come altre volte ho ridetto) che per me tutto è mistero, tutto è opra della mano divina che col pennello del sogno e della visione vuol dipingere agli uomini l'orribile quadro della inesorabile sua irata giustizia.

Questo misterioso sogno di più mi ha portato alla memoria altri sei sogni, fatti in diverse epoche nella mia vita giovanile fino ad oggi, e tutti contengono, secondo il mio poco conoscere, il medesimo mistero, ed abbracciano su per giù la medesima sostanza: pure di questi voglio fare una descrizione a tempo debito per poi farne un confronto, se questi sette sogni sono un tessuto, o no, della mia vita passata presente e futura, col contenuto di tutto l'avvenire delle vicende umane.

Le epoche di detti sogni sono. Il primo lo feci il 1848, il 3 di maggio, lungo la riva di un piccolo fiume, detto Trisubbie, nel territorio del Comune di Scansano, dormendo sotto una quercia. Il secondo lo feci il 15 agosto 1855 sulla montagna di Montebono, territorio del Comune di Sarano, di giorno, dormendo sotto di un faggio. Il terzo lo feci il 23 luglio 1862, in un'amena collina sul Monte Labaro, sotto uno spino (di giorno, ove è la mia dimora). Il quarto lo feci il 7 febbraio del 1869, nell'isola di Montecristo. Il quinto lo feci il 23 luglio 1870, dentro la vôlta della torre che or vengo costruendo qui sul Monte Labaro. Il sesto lo feci il 4 aprile 1871 a Roma. Del settimo vi ho fatta alla meglio la narrativa, ed a voi la trasmetto, miei buoni fratelli Italiani, perchè così devo per comando espresso della mia missione. Ora a voi tocca lo studiarvi sopra ed apprezzarne il contenuto, il quale è molto utile alla salvezza dell'anima e della vita.

A voi tutti mi umilio, miei fratelli Italiani, segnandomi vostro fratello in Cristo, peccatore indegnissimo.




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