Stanotte
tre maggio mi pareva di essere col mio buon Eremita pregando entro la Grotta qui di Monte Labaro
al piè di un piccolo Altare ove è l'imagine della Madonna della Conferenza,
quando vedo venire a noi un venerando vecchio vestito tutto di bianco; giunto
davanti a detta Imagine s'inginocchia profondamente mettendo i ginocchi a
terra, dopo un breve silenzio si alza in piedi e si rivolge a noi dicendo: – Le
vostre preci davanti al trono di Dio sono tenui e fievoli suppliche che non
possono placare la tanto irata giustizia divina, più fervorose siano da ora in
avanti; con maggior fede e sollecitudine proseguite fra le persecuzioni e i
dileggi del mondo l'opera vostra. Questo edificio si erga nell'oscurità dei
pochi credenti, come l'Arca della Giustizia. Troppo osi allungarti, o uomo, nel
secreto di tua Missione (a me rivolto), rammentati che altra volta ti dissi che
io sarei teco, ovunque tu fossi: sono 27 mesi, giorni 27, 7 ore e 27 minuti da
che io mi divisi da te sulla Santa Rupe da una natural Conferenza. Ti dico che
per la grave necessità a te mi manda la mia e la tua signora a farti noto ciò
che devi eseguire come ultimo sforzo della tua Missione. Vuolsi che del mistero
di tua vita siano informate le maggioranze dei popoli; su di ciò a modo loro si
conterranno. I segni saranno troppo bastanti a mostrargli la verità dei fatti e
delle parole; nè nessuno di essi potrà dire scusandosi che non seppe, non vide,
non udì.
Questi
sono i noti segni che Dio comparte agli uomini. Uomo, avanzati meco al cielo
aperto; qui solo lascia il tuo buon eremita, a te or farò vedere quanto è
doloroso il cammino che ti resta da fare per giungere al fine della tua
misteriosa vita.– Esso s'incammina per sortire della grotta ed io lo seguo
dietro. Cosa maravigliosa e sorprendente, io così camminando dietro il santo
vecchio, senza avvedermene, mi ritrovai in una grande valle framezzo una oscura
tenebrosa e folta selva, solo e smarrito; altro non vedevo e non udivo che
tenebre ed un gran rumore per l'aere dal gran vento che soffiava sì forte che
dava segno d'una vicina tempesta in ispaventevole luogo. Udivo fra mezzo alla
foresta una moltitudine di urli, di strilli e di latrati, sembrava che in
questa selva si fossero riunite tutte le fiere dei deserti della terra e vedevo
da ogni parte venir contro di me immense turbe di animali feroci e rapaci, che
io in verità non vi saprei descrivere nè le forme, nè le specie, nè il numero.
A questa orribile scena m'intimorii, ma non poi tanto quanto umanamente avrei
dovuto temere. Venni fra me pensando che altro campo non potevo trovare in
dovermi salvare da quelle feroci fiere, che ricorrere all'aiuto divino, e così
venni dicendo: – Mio Dio, salvatemi dalle crudeli zanne di queste terribili ed arrabbiate
fiere che a me tutte vengono incontro. Dio mio, salvatemi dalla loro ferocia,
nonostante che non meriti da Voi il dono della vita ch'ora in procinto mi trovo
di doverla perdere. –
Ciò detto,
vidi sortire di framezzo alla selva sette grandi guerrieri armati di spada e di
lancia. Essi si precipitano sopra queste terribili fiere, ora colla lancia ed
or colla spada, ed erano così veloci e destri nel loro corso, che pareva
avessero le ali ai piedi e alle mani. In pochi minuti queste orribili fiere
furono uccise e ridotte in polvere dai loro fulminei brandi, chè nemmeno una
vestigia rimase di esse in questa oscura e tenebrosa selva: e senza che a me si
facessero noti questi miei celesti difensori, me li vidi sparire per la selva.
Di ciò rimasi alquanto sorpreso e meravigliato al successo di questa prodigiosa
scena, e fra me non sapevo come pensarla. Indegno ne resi lode a Dio; e via
proseguo il mio periglioso cammino per sortir fuori di questa folta ed
oscurissima selva.
Il rumor
dell'aere sempre più cresceva: pareva che a me si avvicinasse la tempesta che
procedeva alla lontana, il vento più impetuoso soffiava. Il cielo era coperto
di dense nubi; sicchè l'apparato era così terribile che altro io non andavo
aspettando che una improvvisa e divoratrice tempesta. Contuttociò fiducente in
Dio senza alcun timore proseguo il mio cammino per questa tenebrosa selva, e di
quando in quando mi trovavo sperso e intricato fra pruni, roveri e boscaglie,
chè dubitavo di non più doverne sortire. A un tratto mi armavo di fede e di
coraggio, e ogni sforzo ogni ingegno adoperavo, chè finalmente mi trovavo
libero e franco nel mio intrapreso cammino.
Prendo
la salita di un colle, poi scendo al basso in un'altra più oscura valle di
quella dove avevo trovato le già dette fiere. Qui lo stupore, la paura e lo
spavento mi assalì all'estremo in vedere questa oscura valle ricoperta
aggremita di piccoli e grossi serpenti che contro a me tutti venivano facendo
un sibilìo d' inferno. Io a così orribile vista rimasi atterrito e vinto in tal
modo che altro scampo non credei trovare che quello di raccomandarmi altra
volta a Dio dicendo: – Dio mio, così mi ritrovo, per le mie malvagità. Voi mi
avete salvato dalle crudeli zanne delle rapaci fiere, ora mi divoreranno questi
velenosi e maligni serpenti; Dio mio, salvate l'anima mia. – E così dicendo mi
copersi il capo con un mantello che avevo, e per non vedere lo spettacolo di me
stesso mi gettai per terra, dandomi preda di questi arrabbiati e velenosi
serpenti, che da ogni parte a me venivano contro. Appena che io mi fui gettato
per terra, odo una voce che mi dice: – Alzati uomo dal tuo avvilimento e noi
riconosci che qui siamo venuti in tua difesa a cavarti da questa oscurissima
selva e liberarti dal pericolo in cui ti trovi di essere divorato da questi
serpenti. –
All'udir
questa voce subito mi alzai da terra e mi riebbi del mio avvilimento, mi
scopersi il capo: che vedo? Altro prodigio: i sette gran personaggi che mi
erano apparsi altra volta in sogno nella grotta di Sabina descritto nella prima
lettera ai Romani; unitamente ad essi vi era il venerando vecchio che mi era
scomparso uscendo dalla Grotta come avete inteso. Esso era montato su di una
gran mula candida come neve parimente i sette gran personaggi erano montati
ciascheduno in cavalli candidi e grandi e ben fatti, ugualmente alla mula. Tre
di questi gran personaggi menavano un cavallo, ciascheduno di essi per mano,
fuori di quello che cavalcavano, bardati in tutto da potersi cavalcare, ed
erano detti cavalli uno rosso, uno nero ed uno bianco. Facendosi avanti a me
quello che conduceva il cavallo rosso, il venerando vecchio mi prese a dire: –
Uomo, monta su cotesto cavallo, (io subito vi montai colla velocità di un
baleno) tieni questa verga per virtù della quale ti libererai dalle morsicature
di questi velenosi serpenti e d'altri animali feroci e rapaci che a te e a noi
vengono contro frapponendosi ai nostri passi, insidiandoci la vita. Uomo, segui
le nostre orme e non ti dilungare da noi un sol passo; altrimenti questa verga
perderebbe la sua virtù e verresti divorato da questi velenosi e maligni
serpenti, o d'altri animali feroci e rapaci che troveremo lungo il nostro
cammino. – Sì dicendo, il vecchio in mezzo ai sette gran personaggi ed io
dietro, proseguiamo il cammino per la folta boscaglia, aprendosi essi il passo
colle loro spade, tagliando ed atterrando al suolo tutto ciò che dava ostacolo
al loro cammino, ed in pari tempo dove essi passavano, i serpenti rimanevano
calpestati e franti dalle zampe dei nostri cavalli, e uccisi e messi in pezzi
dalle ultrici spade. Camminato che ebbimo un lungo tratto per la folta e
tenebrosa selva dei serpenti, il mio cavallo cominciava a rimanere dal suo
corso, e me lo sentivo mancare sotto a poco a poco, perchè in gran copia il
sangue perdeva da tutte quattro le gambe per le tante morsicature di quelli
arrabbiati e avvelenati serpenti. A un tratto me lo vedo morir sotto con un
gran disturbo, spavento e timore della vita, perchè contro di me pareva
venissero quei maligni velenosi e feroci serpenti. Vedendomi così morto il
cavallo, subito gridai: – Mio Dio, aiutatemi, io son perduto, il mio cavallo è
morto. –
Il
venerando vecchio si rivolse a me dicendo: – Uomo, temi tu forse al nostro
fianco e dubiti della virtù della verga che ti ho donato? Qual dubbio, qual
viltà ti tiene? Ti dico, o uomo, più valore sia in te, più fede d'ora in
avanti; il dubbio, il timore sia lungi dal tuo cuore. Altra volta tel dissi,
ultimo avviso sia questo. – Ciò detto, subito accorse a me colui che teneva il
cavallo nero, e senza arrestarmi di un sol passo, vi montai sopra, e via
proseguimmo il nostro cammino fra il sibilìo dei serpenti, il rumore della
vicina tempesta, e lo imperversar dei venti che soffiavano impetuosi per
l'aere, che rivolgendosi a terra sembrava che volessero schiantare o subissare
tutta la selva per cui noi camminavamo. Giunti che siamo quasi al fine
dell'oscura e tenebrosa valle dei serpenti che incominciavano a uscir fuori dal
bosco, altra volta il mio cavallo me lo vidi arrestare nel suo corso, ed era
tutto grondante di sangue in maggior copia dell'altro, perchè non solo gli
usciva dalle gambe, ma da diverse parti della vita, dal petto e dalla testa,
perchè più in moltitudine e più grossi e feroci avevamo trovati i serpenti nel
finir dell'oscura e tenebrosa valle. Altra volta mi vidi morire improvvisamente
il cavallo sotto. Io non mi intimorii, come l'altra volta, ma subito al
venerando vecchio gridai: – Il mio cavallo è morto.– Il vecchio mi rispose: –
Tieni viva la fede. – Ciò detto, fu subito a me l'altro personaggio che
conduceva il cavallo bianco; vi montai sopra, senza restare d'un solo passo, e
in breve giungemmo fuori dell'oscurissima valle dei serpenti e ci trovammo alle
falde d'un altissimo e maestoso monte, in cima del quale era una bellissima e
sontuosa Piramide. Noi salendo per le falde di detto monte, ove si vedeva dalle
basse pianure avanzarsi a noi la tempesta, avevamo il rumor del tuono, il forte
soffiar dei venti, il balenío, del folgore, lo strillo ed il sibilo che
facevano immense turbe di uccelli che volando dalle basse pianure tiravano a
scansare la precedente tempesta venendo alla volta di detto monte, dove noi con
gran velocità sui nostri candidi destrieri venivamo salendo. Io vedendo ed
udendo da ogni parte un apparato così terribile, che da per tutto ove io
volgevo lo sguardo, pareva che a fuoco andasse sottosopra questa oscurissima
selva, io in verità fra di me dubitai che questa fosse la fine del mondo. Il
venerando vecchio voltandosi alla pianura e riguardando le innumerevoli schiere
di volatili che verso di noi con gran furore venivano, esso battendosi la palma
della mano destra tre volte nella fronte, così venne dicendo:
– Misera
umanità, due terzi estinta! dei rossi uno resterà fra i dieci. Dei neri di
dieci ne resteranno tre. Dei bianchi, sei resteranno di dieci. Misera umanità!
Dei rossi uno per ogni cento si salverà. Dei neri dieci si salveranno per ogni
cento. Dei bianchi uno per cento perderanno il cielo. Misera umanità! Dei
grandi ogni dieci due resteranno. Dei candidati tre resteranno per ogni dieci,
e dei comuni resteranno per ogni dieci cinque.–
Così
dicendo rivoltosi alla cima del monte tirò tre grossissimi sospiri e
borbottando a voce bassa disse queste parole
– Le
malvagità commesse sulla terra costano care al cielo: l'abuso di pochi è una
corruzione in genere. I figli della menzogna e dell'adulazione saranno tolti
dal mondo. Oh miseri! troppo, sì troppo il loro cuore è indurito alla carità e
pietà cristiana, ma severa e terribile sarà per loro la mia giustizia. Io non
ho perduto il mio poter su di essi, lo vedranno i superbi, sì lo vedranno.
Io che
attentamente ascoltavo queste lugubri parole, vidi che sì dicendo gli cadevano
alquante lagrime dagli occhi. Uno dei gran personaggi gli dimandò: – Mio rege,
hai tu pietà di coloro che pietà non hanno? – A questo si rivolse dicendo: –
No; vedi qual terribile apparato a lor si appresta? Di lor non gemo, sol di
altri pur gemo che con essi periranno, e periranno per sempre: di questo io
gemo. – A questo dire si turbarono i gran personaggi e l'uno più non parlò; io
pure sentii un certo dolore interno, che tuttora sento.
Tiriamo
alla volta del monte: ecco sopra di noi le turbe dei volatili, una parte di
essi si fogano, stridendo a noi così impetuosi, con più rabbia e ferocia delle
fiere e dei serpenti, ma essi ci stavano un poco alla lontana, perchè coi loro
brandi si difendevano i gran personaggi, e al venerando vecchio e a me non si
accostarono in virtù della verga che esso mi aveva donato.
Cosa
sorprendente, meravigliosa e terribile era il veder tutti questi volatili far
guerra fra di loro, divisi in tre partiti gli uni dagli altri. Quelli che
avevano il capo rosso davano contro a quelli che avevano il capo bianco; essi
benchè in minor numero vincevano i rossi: questi perdendo dai bianchi
conducevano contro quelli che avevano il capo nero, e così fra i rossi e i neri
nasceva un'accanita e sanguinosa guerra, che più di mezzi si vedevano cader
morti sul suolo. Accorrevano i bianchi a questo terribile combattimento, e in
un momento si vedevano di nuovo divisi fra loro, ma di nuovo i rossi andavano
contro i bianchi, sicchè questo modo di micidiali combattimenti lo vidi
replicare più e più volte fra quelli innumerevoli volatili e divisi in tre
partiti fra loro in grossissime ciurme che volando per l'aria annebbiavano
tutto il suolo della terra per dove passavano, e lasciavano ingombra la
medesima di ammassati cadaveri che di essi così combattendosi cadevano a terra
morendo.
Noi
camminavamo alla volta della cima del monte dov'era la maestosa Piramide, in
cima della quale v'era una certa insegna che recava spavento e terrore ai rossi
e ai neri, ed in pari tempo incoraggiava ed animava i bianchi. I rossi ed i
neri spaventati alla vista di detta insegna, si precipitavano stridendo e
dibattcndo le ali a noi si fogavano col rostro e cogli artigli, che alcune
volte ci trattenevano il passo, e allora i bianchi venivano contro in nostra
difesa e ci rendevano libero il passo e così principiava un accanito
combattimento fra loro, e la vittoria era sempre dei bianchi, conciosiacchè
fossero di due terzi meno in confronto dei rossi e dei neri.
Viemaggiormente
fra questo strano combattimento cresce il vento, e la tempesta era quasi sopra
di noi. Raddoppia il rumor del tuono, il cielo si copre di dense nubi, comincia
a cader la pioggia; sicchè tutto era spavento, tutto era terrore, apparato di
morte.
Quasi
eravamo giunti alla cima del monte dov'era la sontuosa Piramide: la pioggia si
converte in un turbine di grandine, anzi pezzi di ghiaccio grossi più o meno
come la breccia dei fiumi. I volatili rossi e neri incalzati al tergo dal
turbine di così fiera e micidiale tempesta si precipitano alla volta della cima
del monte (dove la pioggia non procedeva nè poco, nè punto) ma appena che
vedevano ad una certa distanza la inalberata insegna ch'era sopra a detta
Piramide, rimanevano spaventati in modo che retrocedevano pieni di confusione e
d'ira, sì precipitavano su di noi, e come disperati si davano in preda alla
tempesta, al foro, alla morte. Sicchè appena siamo giunti nel recinto della
cima del monte, il mio cavallo, come gli altri due, me lo vidi morir sotto,
tutto percosso nella testa e al davanti nel petto, dalle tante pizzicature,
graffiature velenose e feroci di questi fuggitivi e furibondi volatili.
Io nulla
ebbi da temere, conciosiacchè fossi rimasto a piedi, perchè ormai ero fuori
d'ogni pericolo dalla ferocia dei volatili e dal furore della tempesta. Il
venerando vecchio ed i sette gran personaggi si volsero a me dicendomi: – Uomo,
non temere, chè abbiamo vinto. La vittoria è nostra, conciossiacchè molto
sangue ne costi. –
Il
vecchio prosegue dicendo: – Sì, molto sangue è costata la vittoria dei bianchi.
Il cielo così placherà l'ira sua sul mondo. È d'uopo far così: questa delle tue
vittorie è una piccola parte. I segni saranno esecuzioni, avvertimenti non solo
a te, ma all'universo intero. – Ciò detto, come un'ombra si diparte fra mezzo
ai sette gran personaggi, e va sulla cima della Piramide, sempre stante a
cavallo sulla candida mula. Io ammirai questo prodigio, pieno di meraviglia e
di stupore.
In
sull'istante cessa il turbine e la tempesta: torna l'aere sereno placido e
tranquillo: vedo che quei pochi di volatili rossi e neri restati semivivi dopo
passato il turbine e la tempesta, gli andavano sopra i bianchi e con il loro
rostro a guisa di forbici taglienti, gli radevano le penne dalle ali e dalla
coda, acciò non si potessero più sollevare da terra, staccando altro volo per
non più andarli contro, e così i rossi ed i neri rimasero prigionieri e vinti
dai bianchi.
Il
venerando vecchio dall'alto della sontuosa Piramide muove una sonora ed
imponente voce dicendo: – Principi delle sante milizie, andate sulla faccia
della terra; battetevi per la divina giustizia; contro di voi invano rugghiano
le fiere del deserto; i serpenti più velenosi maligni e feroci invano sibilano
contro di voi. I volatili più rapaci e crudeli invano aguzzano il loro rostro e
i loro artigli. Niun mostro, dico, nessuna insidia ed inganno, o forza umana
potrà prevalere alla vostra possanza.–
Così
dicendo il venerando vecchio si vide trasportato in aria al disopra della
Piramide (ugualmente alla sua mula) su di una grossa nube tutta risplendente
come i raggi del sole.
A questo
prodigio muta la scena. I sette gran personaggi li vidi alla testa di sì grandi
eserciti armati a piedi e a cavallo, ed ognuno di essi aveva schierato il suo
campo in sette amene valli che si dividevano fra la pendice di diverse colline
di questo montuoso monte. Al piè di detta Piramide vi erano altri sette grandi
personaggi armati di spada e di lancia, in ugual modo dei sette guerrieri che
avevano ucciso ed impolverito le innumerevoli fiere della oscurissima selva.
Detta Piramide era costruita in tre ordini di gradinate che formano come tre
recinti di mura, chè uno era sollevato di un terzo dall'altro dalla sua totale
altezza. In queste gradinate vi si vedevano intorno come in balaustrati tanti
piissimi sommi e santi sacerdoti del primo, secondo e terzo ordine francescano.
In cima di detta Piramide come in altro balaustrato vi si vedevano tre
venerandi personaggi vestiti uno differente dall'altro. Quello che stava in
mezzo ai due era vestito di una lunga cappa color di cenere e sugli omeri
portava una clamide color celeste, e dalla mano destra portava il pastorale,
nella cima del quale vi era una Colomba che teneva nel rostro due rami di
olivo. L'altro personaggio che a questo stava alla destra, era vestito di
porpora, tenendo uno scettro dalla mano destra. Il terzo ch'era dalla sinistra,
era vestito di un modo così straordinario, quasi simile ai sette guerrieri che
stavano al piè della Piramide. Le sue divise erano di diverso colore, come esso
diverso era nell'aspetto guerriero ed energico dagli altri due gran personaggi,
e dalla destra mano teneva una verga simile a quella che a me aveva donato il
venerando vecchio.
Fra
tutto questo mutamento di cose non sapevo riconoscere in me se ero quello che
sono, o quello che a me sembrava di essere: comunque fosse, per me tutto era
prodigio e nulla dubitavo di essere ingannato da altre imaginazioni, senonchè
reale e naturale successo di quello che più volte ho annunziato in altri miei
scritti.
Vedo per
la seconda volta il venerando vecchio sospeso per l'aere entro la risplendente
nube, ma sopra d'ogni altro avevo ardente desiderio di sapere se nella verga
che egli mi aveva donato si conservasse sempre la virtù di rendere
invulnerabile la mia persona da ogni qualunque colpo o insidia mortale. Grande
era il mio desiderio su ciò, ma Egli al mio pensier si avanza dicendo: – La tua
verga sarà sagrata al sangue tuo. La vita di molti costerà. Le turbe al solo
alzarla tremeranno e al poter suo si renderanno vinte. Ma pensa che ad altri
potrei passarla in dono. –
Sì
dicendo, spiegò al vento una piccola bandiera di color giallo, in essa si
vedeva dipinta l'imagine di Gesù profeta, di Maria Vergine, con una croce in
mezzo di essi, ed in mezzo alla croce vi era una Colomba simile a quella del
pastorale del detto personaggio, e vi erano pure diverse cifre scritte
all'intorno del campo giallo di detta bandiera. Voltandosi il venerando vecchio
alle schierate milizie, venne dicendo: – Eccovi, figli della fede, campioni di
Cristo; questa è la prodigiosa insegna, con la quale riunirete tutti i popoli
della terra ad una sola fede. Chi militerà sotto di essa sarà benedetto in
eterno. –
Detto
ciò, cala alquanto dalla sua nube al disopra della Piramide e consegna questa
piccola bandiera all'uomo venerando che teneva in mano il pastorale. Poi
elevandosi per l'aere (unitamente alla sua candida mula) entro la risplendente
nube, in un momento si sollevò ad una grande altezza, che male appena la vedevo
cogli occhi, e così sparendo lasciava l'aere nuvoloso e denso. E ad un tratto
al disopra della Piramide scoppiano sette grandi folgori, uno dei medesimi mi
sembrò che mi colpisse nella testa rovesciandomi come morto a terra. Nell'atto
mi desto; e mi trovai essere fuori dal posto ove io dormivo, ed il rumore della
testa non mi è ancora passato. Forse dipenderà dalla prevenzione della
percussione improvvisa di dette folgori. Quest'effetto non saprei come si
producesse in me, se non che per la viva immaginazione del sogno. In altro modo
io non saprei come pensarla. Ai moralisti lascio di studiare su ciò, se sotto
tali fenomeni di un ordine morale e sopranaturale esistano o no tali cose. Io
solo, vi dico (come altre volte ho ridetto) che per me tutto è mistero, tutto è
opra della mano divina che col pennello del sogno e della visione vuol
dipingere agli uomini l'orribile quadro della inesorabile sua irata giustizia.
Questo
misterioso sogno di più mi ha portato alla memoria altri sei sogni, fatti in
diverse epoche nella mia vita giovanile fino ad oggi, e tutti contengono,
secondo il mio poco conoscere, il medesimo mistero, ed abbracciano su per giù
la medesima sostanza: pure di questi voglio fare una descrizione a tempo debito
per poi farne un confronto, se questi sette sogni sono un tessuto, o no, della
mia vita passata presente e futura, col contenuto di tutto l'avvenire delle
vicende umane.
Le
epoche di detti sogni sono. Il primo lo feci il 1848, il 3 di maggio, lungo la
riva di un piccolo fiume, detto Trisubbie, nel territorio del Comune di
Scansano, dormendo sotto una quercia. Il secondo lo feci il 15 agosto 1855
sulla montagna di Montebono, territorio del Comune di Sarano, di giorno,
dormendo sotto di un faggio. Il terzo lo feci il 23 luglio 1862, in un'amena collina
sul Monte Labaro, sotto uno spino (di giorno, ove è la mia dimora). Il quarto
lo feci il 7 febbraio del 1869, nell'isola di Montecristo. Il quinto lo feci il
23 luglio 1870, dentro la vôlta della torre che or vengo costruendo qui sul
Monte Labaro. Il sesto lo feci il 4 aprile 1871 a Roma. Del settimo vi
ho fatta alla meglio la narrativa, ed a voi la trasmetto, miei buoni fratelli
Italiani, perchè così devo per comando espresso della mia missione. Ora a voi
tocca lo studiarvi sopra ed apprezzarne il contenuto, il quale è molto utile
alla salvezza dell'anima e della vita.
A voi
tutti mi umilio, miei fratelli Italiani, segnandomi vostro fratello in Cristo,
peccatore indegnissimo.
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