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Giannotto Bastianelli
Pietro Mascagni

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  • RIPROVE E CONCLUSIONI.
    • L'ORCHESTRATORE.
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RIPROVE E CONCLUSIONI.

 

 

 

L'ORCHESTRATORE.

 

Non è ancor stata fatta, se non parzialmente e con intenti per lo più erronei, una storia dell'orchestrazione dalle origini alla presente fortuna, che, nel concepimento della musica europea, ha l'uso dei multipli colori strumentali. Ed essa potrebbe farsi, e sarebbe utile, ad un sol patto: di non fare un'astratta storia naturalistica delle varie tecniche orchestrali quali sembrano essersi svolte nel tempo; sibbene tenendo dinanzi alla coscienza, che svellere l'atto dell'orchestrare dall'interezza dell'atto creativo torna a mutilare intellettualisticamente l'unità totale dell'atto creativo; onde unica storia dell'orchestrazione potrebbe esser quella, in cui proiettassimo continuamente sulla serie degli elementi astratti da noi ammassati in ordine cronologico le luci delle individualità or massime or grandi or mediocri. Per spiegarmi meglio citerò la possibile storia della versificazione italiana, storia nella quale andrebbe dimostrato - come nel 200-300 il verso italiano ebbe agilità acerba e spontanea perfezione non più di poi raggiunte, essendo allora immediata e primitiva davanti alla natura l'anima dei poeti grandi e dei popolari - come col Petrarca e col Boccaccio incominciano i preludi dell'umanismo e i sintomi dello sfiorire del giovanissimo verso italiano mancando nei poeti al Petrarca posteriori «l'insuperabile pregio dei poeti primitivi che deriva dall'aver essi fortemente sentito e trasmesso ne' versi l'effetto prodotto nella lor fantasia dallo spettacolo della natura», ed accadendo, al contrario, che quei poeti postpetrarcheschi (eccettuato, a suo modo, l'Ariosto), «pigliarono per modello non la natura, sibbene i primitivi esemplari, sui quali le osservazioni dei filosofi stabilirono certe regole, e gli artefici si obbligarono di seguirle. Così la Poesia, che non è se non una facoltà naturale, si ridusse ad un'arte». E in tale storia della versificazione avremmo le riprove - che l'Ariosto fu l'unico che avesse avuto una musicalità di verso originale, sebbene ormai ben lontana dalla freschezza del verso trecentesco, predominando anche in lui «l'imitazione dell'imitazione» - e che la retorica trionfò nella massima parte dei nostri poeti «che fiorivano senza frutto; si confondevano coi mediocri; scrivevano gli uni per gli altri e non per l'Italia». Finchè preceduta dai solitari (Leopardi) e dei profeti  (Foscolo) non nacque l'arte del Carducci e l'arte in gran parte nuova e schietta dei presenti poeti: nei quali a riprova della rinascita della poesia italiana sta l'originalità assoluta del verso non barocco, non stantio, ma vibrante di nuova spontanea armonia.  La stessa storia andrebbe fatta per l'orchestrazione in termini infinitamente più vasti; chè se la musica ha consuetudini e tradizionalità d'espressione in ogni paese, come la poesia, onde si formano singolarità di linguaggio etnico, riconoscibili dagli esperti a colpo sicuro; essa è però, a differenza della poesia, di sua natura più universale, per lo che non potrebbesi fare una storia dell'orchestrazione italiana al modo stesso che la si può fare della versificazione italiana. Senza far qui una traccia storica dell'orchestrazione (nella quale dovrebbe rientrare di necessità la quasi incalcolabile produzione dell'arte corale, nonchè la strumentale dei singoli strumenti che precedette separò accompagnò lo sviluppo della moderna sinfonistica), osserverò come, al punto cui oggi siamo giunti, l'orchestrazione derivi in ogni paese dalle massime correnti orchestrali tedesche del 700-800. Una lunga epoca di preparazione punteggiata per così dire dalle magnifiche conclusioni di Haydn e di Mozart, mette foce nella perfetta arte sinfonica beethoveniana. Beethoven, come psicologicamente rappresenta uno dei momenti massimi dell'umanità, il grande ricorso storico del romanticismo, considerato dal punto di vista dell'orchestrazione, quivi pur rappresenta uno dei culmini della musica. È opinione, più risibile che volgare, oggi, in cui tanto si fraintende il valore estetico dell'immenso spirito beethoveniano, di tanto l'umanità presente è lontana da quell'austera forza di sentimento e di pensiero; è opinione, dico, che Wagner superasse tutto il passato nell'arte dell'istrumentare e che oggi anzi accenni a superar Wagner istesso il decadente Riccardo II. E non si comprende come, rispetto alla perfezione di Beethoven, si commetta lo stesso errore grossolano che se si affermasse il Petrarca il Tasso l'Ariosto superar nell'arte del verso la perfezione naturale di DantePoichè, in realtà, a chi conscio dei valori morali d'un'epoca non si lasci abbagliare dalle funambolesche bravure tecniche degli artisti, che in tale valutazione critica riescono minori o addirittura distrutti, la sinfonistica dei postbeethoveniani non può non apparire quale una continua decadenza formale, per essere appunto generata da una sempre crescente degenerazione e corruzione del perfetto contenuto romantico che, a parer mio, raggiunse nell'opera beethoveniana la sua plenitudine espressiva. Or questa degenerazione di contenuto, è anche, sotto un certo aspetto, discendenza formale e in questa discendenza e derivazione noi possiamo cogliere diverse correnti, le quali più o meno si ricollegano all'orchestrica beethoveniana. Sembra quasi l'arte strumentale di Beethoven come un frutto che giunto a maturità s'apra lasciando irraggiare intorno a sé la fecondità innumerevole del seme. La principale corrente che nacque dalla nona sinfonia dalla Missa solemnis dalla 5a dalla 3a dalle ultime sonate dagli ultimi quartetti e dal resto delle composizioni beethoveniane32, è la corrente wagneriana. Potente e violento artista, Wagner trasformò più di tutti i componenti la famiglia dei postbeethoveniani, il patrimonio lasciato dal padre. Ma come non era nel contenuto di Wagner la perfetta ragion storica d'essere e di incarnarsi nella forma più sana, che era invece in Beethoven, Wagner invece superò tutti nell'opera di corruzione33. Al modo stesso che egli non seppe dire agli uomini la serena parola d'un dolore moralmente sublime, ma meglio non seppe fare che spingere gli agitati romantici fratelli che lo circondavano all'apostolico rifugio d'un misticismo in piena contradizione con le aspirazioni più pure dello spirito che anima la pienezza della storia moderna; egli neppur potè trattenersi dal cadere nell'errore in cui precipitano tutti coloro, che lavorano su di un contenuto contradittorio: l'esagerazione, la tronfiezza, la «furibonda enfase sonora». Onde oggi la molta anzi ormai incalcolabile oziosità e falsità dei ripieghi e dei farmachi con cui tenta medicarsi l'anima moderna dalla «corrottissima decrepitezza della civiltà», trova nel wagnerismo il sistema migliore d'orchestrazione che ci sia34. E Riccardo Strauss non prova fatica a immergere nelle forme mistiche del politemismo wagneriano il sadico contenuto d'una Salomè e d'una Ellettra; Claudio Debussy a immergere in quelle forme, modificate da uno spasmodico e impotente bisogno d'originalità, la «fatuità» del misticismo maeterlinckiano.  Ma la frantumazione della tecnica beethoveniana, accanto alla corrente wagneriana, produsse, minore e men facile ad essere seguita, anche perchè più sincera e meno consona al gusto di frenetica violenza che impera nell'arte moderna, un'altra corrente: la corrente schumanniana. Non meno ricca di elementi di degenerazione e di decadenza, l'arte dello Schumann dalla severa virilità beethoveniana si allontana non allo stesso modo con cui vi si allontana l'arte wagneriana. Se questa trova lo specifico per la guarigione a un'ansia da nevrastenici nel misticismo, quella trova non uno specifico, sibbene, e più naturalmente, un'accettazione ironica sentimentale di tale ansia nell'umorismo. Il movente è lo stesso: l'insofferenza d'una vita resa insopportabile da una mancanza di vera moralità che ne razionalizzi eroicamente le feroci contorsioni contradittorie. Ma Wagner ci insegna misticamente che bisogna dissolversi nella contemplazione del mistero, lo Schumann, in fondo in fondo, si comporta dinanzi alla «corrottissima decrepitezza» della sua povera vita come, certo con maggiore ingegno, Heine.  In che si distinguono queste due correnti tecniche dell'orchestrica e moderna? Non mi è in animo sprecare spazio e tempo per un'analisi che riuscirebbe poi incompleta, occorrendo a tale genere di ricerche e di confronti volumi interi e preparazioni laboriose. Mi limiterò a suggerire a chi non abbia mai pensato un simile confronto, come la tecnica wagneriana differisca dalla tecnica schumanniana nell'essere - la prima frutto d'un rigido complicato sistema e quindi nel resultato35 poco elastica e monotona; - la seconda molto più libera snella e leggiera. Nella prima agiscono come personaggi, o meglio come simboli gli strumenti; nella seconda gli strumenti non hanno valore solitario tanto meno simbolico, ma sono, per dir così, senza individualità contribuendo quasi con ufficio di coro a sottolineare a colorire a registrare come i timbri d'un organo lo svolgimento delle idee. Quella di Schumann sembra apparentemente un'orchestrazione più astratta e quella di Wagner più concreta, ma in realtà le parti vanno invertite. Wagner, laddove l'ispirazione non lo trascini e non gli gonfi - non so dir meglio - le forme che come vuoti canali egli scava fabbricandole sempre sullo stesso schema, è un raziocinatore, un critico filologo che ha imposte alla musica drammatica le regole scoperte da' glottologi nell'organismo delle lingue. Lo Schumann è invece più immediato più intimo più casto. Wagner, ripeto, ha violentata, innestandovi anche la tradizione bachiana, la nitida orchestrazione beethoveniana. Lo Schumann è rimasto più vicino e più fedele al tipo puro di quell'orchestrazione. Si confrontino infatti le partiture d'una sinfonia di Beethoven e di Schumann con quelle degli atti d'uno spartito wagneriano dal Rheingold in giù: si vedrà chiaramente che ciò che differenzia Beethoven da Wagner differenzia quasi allo stesso modo36 Schumann da Wagner. Una conferma storica della maggior purezza di tradizioni orchestrali nello Schumann piuttosto che in Wagner la troviamo nel beethovenismo per lo più retorico, ma significantissimo al caso nostro, dell'epigono di Beethoven e anche di Schumann, il Brahms.  Come molti compositori moderni, eccettuato lo Strauss despoticamente dominato da Wagner - Claude Debussy, natura più latinamente armoniosa, risente l'influenza e wagneriana e schumanniana, questa quasi come reattivo a quella - Pietro Mascagni porta nella sua tecnica sinfonica le traccie della nova rivoluzionaria tradizione wagneriana e della più classica tradizione schumanniana-beethoveniana37. Nonostante che pur su di lui Wagner estenda la sua «cappa di piombo», come è stato giustamente detto, del Wagner egli poteva assimilare timbri, impasti, e ricette d'effetti, ma non poteva per sua natura italianissima, prender ciò che forma l'essenza del wagnerismo, il sistema glottologico dei leitmotive. Onde, come già dicemmo per il simbolismo, per il romanticismo, per il verismo del Mascagni, anche il suo stilistico wagnerismo è «a orecchio» e spesso si riduce una verniciatura che potrebbe esser scrostata senza danno di sulla musica, laddove certo non ne abbia intaccata la vita stessa, riducendola a mero sforzo retorico, come accade per l'Amica. Al contrario era facilissimo al Mascagni rivivere la tradizione classica - d'una orchestrazione cioè di chiara e semplice struttura - tramandata attraverso Haydn Mozart Beethoven Schumann Berlioz Brahms fino al recente Giuseppe Verdi. E infatti non è il Mascagni un figlio somigliantissimo del nostro buon Verdi che nell'Otello e nel Falstaff raggiunge la stessa squisita parsimonia e modernità di mezzi estranei al sistema wagneriano, che si ammira nell'istrumentazione delicatissima dello Schumann? E non è alla fin delle fini, questo38 tipo classico d'orchestrazione estraneo al tipo wagneriano, di origine, se non di perfezionamento, latina? La perspicua chiarezza dell'orchestrica beethoveniana non si avvicina più alla limpidità mediterranea39, che al goticismo misterioso dell'arte nordica?  Ed ecco che anche sotto il punto di vista della orchestrazione, veniamo ad avere una conferma di quanto dicemmo sulla italianità incosciente di Pietro Mascagni. Italianamente egli orchestra le sue fresche danze e i preludi e gli intermezzi (perfetta è la strumentazione della Monferrina nell'Amica, della Sinfonia delle Maschere etc.); italianamente egli colora la base su cui si svolge il fregio nitidissimo della sua bella melodia italiana; ma la sua coscienza critica - e meglio sarebbe dire estetica, che gli artisti non hanno coscienza critica che a un40 grado quasi direi pragmatistico - non è mai giunta a rappresentarsi con chiarezza i cammini che si dovevano seguire per creare, se non di più, almeno un'opera come l'Otello del Verdi. Il Mascagni così non ha saputo espungere dalla sua orchestrica la retorica wagneriana, inconciliabile nemica alla semplicità virgiliana della nostra più grande arte. Non ha saputo riattaccarsi con vigore all'unica tradizione a cui spetti il diritto di generare la tecnica strumentale della nostra musica - la tradizione beethoveniana-schumanniana. C'è in lui spontaneo questo bisogno41, ma è un bisogno spesso non compreso, quindi mal soddisfatto, anzi addirittura calpestato per gettarsi in una polifonia tronfia e vana, mancando in essa la sua ragion prima, un pensiero o se non altro una pensosità, un pensiero latente. Le ramificazioni aggrovigliate dello sviluppo tematico nel Tristano e Isotta sono, per dir così, tutte intrecciate alla trama complessissima d'un pensiero che ne vivifica l'astruso labirinto. Ma se i temi del sole e dell'aurora si ripercuotono com'echi sordi per la partitura dell'Iris, nessuno dubiterà che quelle ripetizioni wagneriane non sieno un artificio esteriore, tutt'al più pittorico-descrittivo. Mentre quando il Mascagni svolge una fresca melodia, quasi con le semplici arti innocenti di un Mozart - non c'inganni l'accresciuta tavolozza orchestrale, che il Mascagni ha riempito di colori fisicamente più abbaglianti di quelli mozartiani - allora solo noi sentiamo che la sua tecnica orchestrale raggiunge la sua giusta misura42.

 

 

 






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32 Nell'originale "beetoveniane"



33 Questo mio giudizio storico-morale su Wagner non va assolutamente confuso col giudizio che Francesco de Sanctis pronunciò su Wagner come «corruttore della musica». Il de Sanctis (e con lui, per altre vie, lo Hanslick [Nell'originale " Hanslik". Nota per l'edizione elettronica Manuzio]) intendeva la musica in astratto, io intendo invece la musica postbeethoveniana. I due critici succitati non seppero porre sulle sue vere basi il problema estetico dell'opera, con rigidità troppo intellettualistica scavando un solco incolmabile tra la musica e la poesia. In realtà, per ora, quella forma espressiva che è l'opera non è stata attuata così pienamente[Nell'originale "pienameute". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio] come da Riccardo Wagner, che non ha unito, come troppo comunemente si crede e si dice, due arti viventi a , sibbene ha espresso la sua intuizione centrale in un linguaggio che per riprodurla non frammentariamente ed ambiguamente, ha bisogno di suoni articolati, di suoni armonizzati e di gesti. Dire che Wagner ha riuniti (e non potrebbe trattarsi che di una sovrapposizione e quindi spesso di un duplicato) e il linguaggio poetico e il linguaggio musicale, è fare lo stesso errore che dire Eschilo aver riunito la poesia e la mimica (la danza).



34 E non solo d'orchestrazione. Il wagnerismo ha invaso la pittura, la poesia, la scultura, nonchè l'architettura.



35 Nell'originale "resuItato". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



36 Dicendo così potrebbe saltare in mente a qualche fanatico quanto cieco wagneriano che sta appunto in questo allo stesso modo l'inferiorità di Schumann a Wagner rispetto a Beethoven. Ma ciò vorrebbe dire che il fanatico wagneriano non avrebbe mai compresa l'originalità indiscutibile di Schumann per nulla inferiore a quella di Wagner. Onde l'obbiezione non meriterebbe d'esser discussa.



37 L'influenza dello Schumann nell'orchestrazione moderna non va tanto derivata dalle vere e proprie opere sinfoniche, sibbene, e moltissimo, anche nella sinfonicissima musica per pianoforte.



38 Nell'originale "questa". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



39 È bene, ad evitar malintesi, osservare come il Mascagni per la sua inferiore italianità, anzi bassa meridionalità, di quanto è lontano dal pensiero wagneriano, di tanto, e forse più, è lontano dall'altezza solitaria del pensoso dolore beethoveniano. Il Mascagni si trova sulla direzione orchestrale classica, che mette capo a Beethoven, senza aver coscienza di questa sublime vicinanza. Così la perfetta armonia della concezione beethoveniana sta all'equilibrio mascagnano, sebbene questo inquinato da elementi rovinosi, come la perfetta latina simmetria della Commedia dantesca, sta alla classica stabilità dell'Orlando Furioso. Con la differenza - che il Mascagni non è davvero l'Ariosto.



40 Nell'originale "un a ". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



41 Esempî lampanti di derivazione schumanniana troviamo in molte parti dell'opera mascagnana, e non solo nel tecnicismo, ma pur nel contenuto. Si ricordi il movimento della descrizione di vita londinese nel atto del Ratcliff, così somigliante al n. 13 delle Davidbündlerlänze.



42 Nascerebbe in me, discorrendo questi argomenti, di specificare come la pura tradizione, sulla cui via si trovano Haydn Mozart Beethoven Berlioz Schumann, debba da noi altri italiani esser ripresa e non come servile infeconda imitazione. Ma questo libro è uno studio critico, non una raccolta di programmi. Certo che servirà a illuminare anche lo svolgimento delle mie tesi critiche sul Mascagni il dire che, allontanandoci da Wagner, il nostro ravvicinamento a Beethoven dovrebb'essere, per dir così, bene auspicato da una riverente preghiera al genio tutelare di Monteverdi. Ma tutto sta che - per uscire d'immagini - il preteso ritorno a Monteverdi e ai fraterni musicisti del 500-600-700 non sia... wagnerizzamento delle loro forme e contenuti - come, a un dipresso, per Rameau e Monteverdi, accade nel movimento francese moderno, col quale noi coincidiamo per quel che riguarda il desiderio di reazione al wagnerismo, non per quel che riguarda l'attuazione di tale bisogno rivoluzionario.





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