CONCLUSIONE.
Chi m'ha potuto seguire
fin qui - e dico così, giacchè spiriti altissimi a comprendere il valore della
mia discussione dal punto di vista teorico si trovano per certo ora tra i così
detti critici letterari, ma, almeno qui in Italia detti spiriti sono, ohimè,
quasi sempre sprovvisti di sia pur rudimentale educazione del gusto musicale;
e, per converso, gli spiriti educati alla musica non sono, ohimè, capaci di
comprendere una seria argomentazione critica; chi, dunque, ha potuto seguirmi
fin qui, avrà notato come la mia affermazione dell'arte mascagnana è per così
dire tutta intessuta di negazioni. E realmente, ripeto per riepilogare i punti
principali del mio studio, il Mascagni rispetto ai grandi musicisti del passato
appare un ben piccolo compositore d'opere popolaresche. Ma sta appunto in
questa sua ingenuità di popolo la ragione estetica per cui io lo difendo
e lo oso contrapporre a musicisti di contenuto più dignitoso - in
apparenza - del suo. Io so già lo scandalo che sto per suscitare con l'audacia
della mia tesi a doppio taglio; all'estero essa parrà un sacrilegio; in Italia
una bestemmia, se non addirittura un'offesa al popolo italiano, dimostrando
piccolo non solo il contenuto dell'opera mascagnana, ma ancora il contenuto
dell'opera tutta ottocentesca italiana. Insomma il mio povero libro non piacerà
nè a Dio, nè al diavolo. E s'aggiunga, ribatto ancora, l'impossibilità che la
maggior parte dei miei lettori ha di comprendermi interamente, i colti non
essendo severamente musicisti, i musicisti non essendo severamente colti.
Che devo farci? Scrivere
un altro libro sopra Debussy e Strauss, con il qual libro certo completerei ed
esaurirei la mia critica sopra la musica contemporanea? Ciò potrò anche
farlo. Per ora basti a quei pochissimi che m'abbiano letto con «eros», il
vedere in iscorcio quello che potrebbe essere l'ossatura del libro futuro, di
cui, in fondo, questo sul Mascagni non sarebbe che un libro complementare».
L'arte modernissima a
cominciare dal Wagner per finire al d'Annunzio ha in sè un elemento estra
estetico, che io chiamerei una specie di stimolo alla vita, o una specie di
nepente per dimenticarla. Tale arte è generalmente fatta da e per
uomini deboli, stanchi, irrimediabilmente sciupati. I loro spiriti invece di
volere dall'artista una visione e una contemplazione, esigono quasi
un'eccitazione, un'ubbriacatura, sia pure d'indole assolutamente cerebrale.
Gli artisti che
soddisfano questa innumerevole famiglia di debilitati - si pensi ai pubblici
decadenti dei massimi teatri europei - si possono così dividere in due grandi
categorie: spiriti idillici - un pò nel senso desanctissiano46
- che vanno cercando una gocciolina di freschezza e d'ingenuità analoga alla pastoralità
del secento, e colorando tale nostalgica freschezza della loro melanconia
spesso ironica, ad es: tra gli italiani, Guido Gozzano, tra gli stranieri,
Claude Debussy. Oppure, spiriti dionisiaci - un pò nel senso nietzschano - che
cercano nascondere la rovina su cui danzano al ritmo della loro povera follia
con un rabbioso furore di baccanale. Esemplare di questa seconda categoria può
prendersi la parte falsa dell'opera d'annunziana e tutta l'opera dello Strauss.
Ecco perchè al sereno spettatore moderno dei fenomeni estetici europei balenano
spesso i più meravigliosi errori contradittori di giudizio che si possano
sognare. C'è chi vede in Debussy un prodigioso rifiorimento d'ingenuità e di
semplicità intima, e non s'accorge, malato del male comune, quanto suoni falsa
e spasmodica tale presunta freschezza e semplicità. Altri invece scorgerà in
Debussy un sorriso ambiguo di femmina logorata dal vizio, e pronuncia a suo
modo un giudizio giustissimo. Di Riccardo Strauss c'è chi giura trattarsi di
una vitalità superba, multiforme, superiore anche alla irruente vitalità
wagneriana - anche questo giudizio è parzialmente vero. Ma ci sarà altri che
invece troverà nello Strauss un ammasso vuoto e frigido sebbene
assordante di polifonie e confuse di armonie pazzesche.
La ragione di questa
parallela duplicità di giudizii sta nel fatto che ho sopradetto. L'arte di
costoro è più un eccitante o un calmante che una vera contemplazione o sintesi
estetica delle proprie emozioni, anzi, come tutti gli stimolanti è composta per
lo più ad artificio, è l'innaturalezza di ciò che serve a continuare e a
intensificare uno stato patologico.
Non rechi quindi troppo
stupore a quei pochi che saranno in grado di capirmi senza bigottismi e senza
dispregi fuor di luogo, se io oso parlare di un Pietro Mascagni e più, di
studiarlo con amore, rilevandone in mezzo alle difettosità, alle sciatterie e
alle contaminazioni estranee, i brani di buona e bella naturalezza e vera
ingenuità. Se nelle opere dei reputati maggiori c'è oggi meno che la vita, nel
nostro buon Mascagni, c'è veramente della vita quell'inimitabile baleno, quel
divino risopianto che ci trasporta nelle opere di un Mozart e di un Beethoven.
È una vita rudimentale, popolaresca come dirsi, una vita che ci auguriamo sia
presto superata ed obliata per ben altri canti altrettanto schietti e sinceri
ma profondi e pesanti di vera altissima conoscenza umana. Ma mi sia permesso
affermare, ad onta dell'apparenza paradossale di ciò che affermo, che,
presentemente, chi sia davvero puro, e non per moda nauseato
dalle malaticcie raffinatezze di Debussy e dagli spasimi sadistici di Riccardo
Strauss; se non si rassegni tristemente a chiudersi nel passato, ma voglia
godere d'un poco di vita sempre viva, sia pure inferiormente italiana; non
abbia altro scampo che dissetarsi alla vena zampillante d'una bella melodia di
Pietro Mascagni.
|